Sempre più temibile il virus dell’influenza aviaria A(H5N1): Una prospettiva “One Health”

Lo spiccato neurotropismo del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza, HPAI) A(H5N1), che fa il paio con la notevole neuropatogenicità dello stesso per numerose specie di uccelli e di mammiferi anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, ivi compresi Pinnipedi e Cetacei (1-6), desta fondati motivi di allarme.

Ciò appare ulteriormente giustificato dalla comprovata suscettibilità dei bovini nei confronti di tale infezione, come in maniera oltremodo eloquente testimoniano i numerosi casi recentemente insorti nella popolazione bovina statunitense di ben nove Stati, primo fra tutti il Texas (7), ove un allevatore avrebbe altresi’ sviluppato una congiuntivite bilaterale verosimilmente conseguente al contatto con un capo infetto (8). Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, anche il parallelo riscontro del virus A(H5N1) nelle acque reflue di più città texane (9) – come già segnalato in precedenza sia per il poliovirus sia per il betacoronavirus SARS-CoV-2 (10) -, a fronte di una presunta origine del medesimo da una matrice avicola o bovina, se non addirittura umana (9).

Per quanto specificamente attiene alla sorveglianza epidemiologica dell’infezione da virus A(H5N1) nella popolazione bovina statunitense e, più in generale, in quella di tutti gli altri Paesi, andrebbe sottolineato che un serio ostacolo è rappresentato dalle manifestazioni cliniche paucisintomatiche con cui la stessa generalmente evolve nella specie in esame, con il conseguente rischio di una più o meno marcata sottostima dei casi d’infezione realmente esistenti (11).

Ciononostante, mentre si assisterebbe da un lato ad una consistente eliminazione del virus attraverso il latte – fattispecie quest’ultima che richiama ad un caloroso invito a consumare esclusivamente latte pastorizzato (il processo di pastorizzazione, è bene ricordarlo, sarebbe in grado di inattivare sia questo che molti altri agenti microbici, virali e non) -, l’epitelio tubulo-alveolare della ghiandola mammaria bovina albergherebbe al proprio interno, dall’altro lato, un’elevata densità di recettori nei confronti del virus A(H5N1) (11,12).

A tal proposito, la coesistenza a livello dell’epitelio ghiandolare mammario dei bovini di recettori specifici sia per i virus influenzali aviari (sialic acid, SA alfa 2-3 gal) sia per quelli umani (SA alfa 2-6 gal) potrebbe qualificare la specie bovina, secondo alcuni studiosi, quale ulteriore “mixing vessel” in grado di consentire un “rimescolamento genetico” fra virus di origine avicola ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo notoriamente svolto in tal senso dai suini (12).

Ciò potrebbe contribuire, unitamente alle succitate dinamiche evolutive progressivamente assunte dall’infezione da virus A(H5N1), ad un ulteriore affinamento della “fitness” virale, con conseguente acquisizione ad opera dello stesso della capacità di trasmettersi facilmente da uomo a uomo. Per quanto sia attualmente ben lungi dall’essere comprovata, una siffatta evenienza appare tuttavia oltremodo plausibile, vista e considerata l’elevata propensione dei virus influenzali di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico attraverso i ben noti fenomeni di riassortimento/ricombinazione genomica che li contraddistinguono (6).

Va da se’, pertanto, che adeguati sforzi andrebbero profusi, sulla scia delle lezioni apprese dalla drammatica pandemia da CoViD-19, al precipuo fine di giungere opportunamente “preparati e pronti” (“preparedness and readiness” le parole-chiave, giustappunto) ad un’eventuale emergenza pandemica da virus dell’influenza aviaria A(H5N1), in una salutare ottica di collaborazione multidisciplinare ed intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, diffusamente permeata dal concetto/principio della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente!

 

Bibliografia citata 
1) Ariyama, N., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus in Wild Birds, Chile. Emerg. Infect. Dis. 29:1842-1845. doi: 10.3201/eid2909.230067.
2) Puryear, W., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Outbreak in New England Seals, United States. Emerg. Infect. Dis. 29:786-791. doi: 10.3201/eid2904.221538.
3) Gamarra-Toledo, V., et al. (2023). Mass Mortality of Sea Lions Caused by Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus. Emerg. Infect. Dis. 29:2553-2556. doi: 10.3201/eid2912.230192.
4) Thorsson, E., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus in a Harbor Porpoise, Sweden. Emerg. Infect. Dis. 29:852-855. doi: 10.3201/eid2904.221426.
5) Murawski, A., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus in a common bottlenose dolphin (Tursiops truncatus) in Florida. Commun. Biol. 7:476. doi: 10.1038/s42003-024-06.
6) Di Guardo, G., Roperto S. (2024). AH5N1 avian influenza, a new pandemic behind the corner? (Rapid Response). BMJ https://www.bmj.com/content/380/bmj.p510/rr.
7) Reardon, S. (2024). Bird flu in US cows: Where will it end? Nature 
https://www.nature.com/articles/d41586-024-01333-9.
8) Uyeki, T.M., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus infection in a dairy farm worker. N. Engl. J. Med. 
doi:10.1056/NEJMc2405371.
9) Tisza, M.J., et al. (2024). Virome sequencing identifies H5N1 avian influenza in wastewater from nine cities. MedRxiv preprint 2024.05.10. doi:https://doi.org/10.1101/2024.05.10.24307179.
10) Clark, J.R., et al. (2023). Wastewater pandemic preparedness: Toward an end-to-end pathogen monitoring program. Front. Public Health 11:1137881. doi:10.3389/fpubh.2023.1137881.
11) Gerhard, D. (2024). Deciphering the unusual pattern of bird flu symptoms in cows. The Scientist Magazine
https://www.the-scientist.com/deciphering-the-unusual-pattern-of-bird-flu-symptoms-in-cows-71850.
12) Kristensen, C., et al. (2024). The avian and human influenza A virus receptors sialic acid (SA)-α2,3 and SA-α2,6 are widely expressed in the bovine mammary glandBioRxiv preprint 2024.05.03.592326.

 

Giovanni Di GuardoDVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria da virus AH5N1, un’altra pandemia in dirittura d’arrivo?

La crescente diffusione del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza virus, HPAI virus) AH5N1 nella popolazione bovina statunitense, unitamente al recente riscontro di materiale genetico virale nel latte bovino non pastorizzato (il virus risulterebbe comunque sensibile nei confronti delle temperature utilizzate nel processo di pastorizzazione), rappresentano per la Comunità Scientifica motivi di fondato allarme rispetto alla capacità dell’agente patogeno di adattarsi progressivamente alla nostra specie dando vita, in tal modo, ad una preoccupante catena di contagi interumani. Se e’ vero com’e’ vero, infatti, che a far tempo dall’inizio del 2003 a tutt’oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe registrato quasi 900 casi d’infezione da virus AH5N1 nell’uomo in 23 Paesi, con un allarmante tasso di mortalità pari al 52%, e’ altrettanto vero che non e’ stato finora segnalato alcun caso di trasmissione interumana.

Ciò non significa, ovviamente, che una siffatta evenienza non si possa prima o poi verificare, vista e considerata la straordinaria capacità dei virus influenzali di mutare il proprio make-up genomico ed antigenico (c.d. “genome shift” e “antigenic drift“) attraverso i meccanismi/fenomeni di ricombinazione e di riassortimento genetico che notoriamente li contraddistinguono.

A tal proposito, mentre ci si interroga sull’origine di un recente caso d’infezione umana da virus AH5N1 in Texas, che potrebbe essere stato acquisito attraverso il contatto con un bovino infetto, preoccupa non poco la documentata trasmissione dell’agente virale dai volatili domestici agli uccelli selvatici e, da questi ultimi, a numerose specie di mammiferi domestici e selvatici, ivi compresi i mammiferi marini, con drammatici episodi di mortalità collettiva che hanno interessato i leoni marini lungo le coste di Perù, Argentina e Cile, unitamente a singoli casi d’infezione ad esito fatale che hanno interessato la cetofauna (focene e tursiopi) residente lungo le coste della Svezia e della Florida.

Di particolare rilievo appare, in un contesto caratterizzato da un crescente quanto allarmante ampliamento dello “spettro d’ospite” del virus a specie animali anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, la recente segnalazione dell’infezione anche in un esemplare di orso polare (Ursus maritimus) in Alaska, con tutte le gravi implicazioni che ciò potrebbe comportare ai fini della conservazione di una specie la cui sopravvivenza in natura sarebbe già seriamente minacciata dal progressivo scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale.

Degni di nota risultano, altresì, lo spiccato neurotropismo e la rilevante neuropatogenicità’ del virus AH5N1, caratteristiche inequivocabilmente comprovate dai gravi ed estesi quadri anatomo-istopatologici di meningo-encefalite riscontrati sia nei volatili sia nei mammiferi domestici (gatto) e selvatici (leone marino, focena, tursiope), quadri lesivi che il virus potrebbe continuare a produrre anche nella nostra specie, ove lo stesso dovesse mutare di quel tanto che gli basti ad avviare un’efficiente catena di trasmissione interumana.

Morale della favola, e’ assolutamente necessario e imprescindibile mantenere alta la guardia attraverso una capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica su tutti i casi di malattia “simil-influenzale” umana, con particolare riferimento a quelli insorti in individui che abbiano avuto contatti recenti e/o reiterati con animali suscettibili nei confronti dell’infezione.

A ciò dovrebbe necessariamente associarsi, in una sana ottica di collaborazione intersettoriale e nel più completo rispetto di un approccio multidisciplinare e del concetto/principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, un’altrettanto capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica, svolta in primis ad opera dei Servizi Veterinari nonché degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (presso i quali, è bene ricordarlo, sono attivi da anni “Centri di Referenza Nazionali” appositamente istituiti “ad hoc” per la lotta nei confronti delle malattie infettive animali e delle malattie trasmissibili dagli animali all’uomo), su tutte le specie animali, domestiche e selvatiche, ritenute suscettibili all’infezione da virus AH5N1 e, più in generale, ai virus influenzali.

Teniamo sempre e comunque ben presente, al riguardo, che almeno i due terzi delle “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da un serbatoio animale, comprovato o presunto che esso sia, regola alla quale non avrebbe fatto eccezione neppure SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19!

E, per favore, facciamo del nostro meglio, tutti insieme (visto che solo stando tutti insieme ci si salva, come a ogni piè sospinto Papa Francesco ci ricorda!), per non ripetere i drammatici errori che hanno contrassegnato e scandito l’evoluzione della pandemia da COVID-19, primo fra tutti la sconsiderata gestione “ospedalocentrica” della stessa e, fattispecie non meno rilevante, la mancata cooptazione dei Medici Veterinari nel “Comitato Tecnico-Scientifico per la Gestione della Pandemia” (popolarmente noto con l’acronimo “CTS”), come ho peraltro denunciato in una lettera a mia firma pubblicata nel 2021 sulla prestigiosa Rivista BMJ.

Quanto al CTS, poi, l’amaro in bocca rimane anche per il fatto che lo stesso e’ stato incomprensibilmente disciolto, mentre in previsione di future pandemie (non solo quella, qui trattata, da virus AH5N1, ma anche l’altra, “sic stantibus rebus” oltremodo plausibile e probabile, da uno o più “batteri super-resistenti agli antibiotici”) si sarebbe dovuto provvedere, di contro ed in ossequio al principio/concetto della “One Health”, a potenziarlo adeguatamente e a “rivisitarlo” nella propria composizione, includendovi almeno un Medico Veterinario.

Errare Humanum est Perseverare Autem Diabolicum!

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Le intriganti traiettorie del virus influenzale AH5N1 fra animali e uomo

Mentre il betacoronavirus SARS-CoV-2 non smette di mostrarci la sua straordinaria capacità di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico, risultando via via più abile ad eludere l’immunità conferita dalle pregresse infezioni e/o dalle vaccinazioni anti-COVID-19, oltre ad accrescere la propria affinità di legame nei confronti del recettore ACE-2 – come chiaramente testimoniato dalla sottovariante Omicron XBB.1.5, alias “Kraken” -, il virus AH5N1 è balzato ancora una volta agli onori della cronaca.

Infatti, dopo la prima apparizione nel sud-est asiatico, un quarto di secolo fa, di questo virus influenzale ad elevata patogenicita’ (“High Pathogenicity Avian Influenza virus“, “HPAI virus”), che a seguito dello “spillover” dai volatili domestici (polli) aveva già prodotto una serie di casi di malattia umana – numerosi dei quali anche ad esito fatale -, quello che al momento desta una certa preoccupazione e’ il ceppo virale noto con la sigla “2.3.4.4b”.

A testimonianza di ciò, la presenza di questo virus è stata finora segnalata in Asia, così come in Africa, Europa e Nord-America, in numerose specie di avifauna selvatica, attraverso le cui attività migratorie l’agente patogeno si sarebbe quindi trasmesso ad altre specie, ivi compresi i mammiferi marini ed i visoni d’allevamento. Questi ultimi, sulla scorta di quanto e’ stato recentemente documentato in un allevamento intensivo della regione spagnola della Galizia, avrebbero acquisito il virus da gabbiani infetti, dopodiché lo avrebbero diffusamente propagato in forma mutata tra i propri conspecifici. A tal proposito, non può non sovvenire in mente un parallelo rispetto a quanto accaduto durante la pandemia da SARS-CoV-2 in Danimarca e nei Paesi Bassi, nei cui allevamenti intensivi si sarebbe sviluppata la variante “cluster 5”, previa acquisizione del virus umano da parte dei visoni (“viral spillover“), che avrebbero successivamente propagato al proprio interno e quindi “restituito” lo stesso all’uomo in forma mutata (“viral spillback“).

Per quanto riguarda i mammiferi marini, il cui stato di salute e di conservazione risulta sempre più minacciato per mano dell’uomo e la cui suscettibilità nei confronti dei virus influenzali era già stata dimostrata da vari studi pubblicati nel corso degli ultimi 40 anni, il virus 2.3.4.4b e’ stato recentemente identificato in alcuni esemplari di focena e di tursiope, nonché in leoni marini ed in esemplari di foca rinvenuti spiaggiati lungo le coste statunitensi della Florida, oltre che su quelle del Perù e della Svezia.
Particolarmente degno di nota, in questi animali, lo spiccato neurotropismo del virus, denotato dai gravi quadri di meningo-encefalite emersi grazie alle approfondite indagini post mortem effettuate sui medesimi.

Per quanto riguarda la nostra specie, i casi d’infezione da HPAI virus AH5N1 documentati dal 2003 sino alla fine dello scorso anno ammonterebbero ad oltre 800, con la metà degli stessi ad esito infausto. Da notare, in un siffatto contesto, il caso recentemente accertato in una ragazza undicenne della Cambogia, il cui exitus non sarebbe stato tuttavia causato dal ceppo 2.3.4.4b.

Il consistente quanto rapido e progressivo ampliamento del “range” delle specie suscettibili al virus AH5N1 e, segnatamente, al “clade” 2.3.4.4b costituisce un motivo di fondato allarme, tanto più alla luce delle notevoli distanze filogenetiche intercorrenti fra volatili e mammiferi terrestri ed acquatici sensibili, oltre che della comparsa di uno stipite virale mutato nei visoni allevati intensivamente in Spagna, fra i quali l’agente patogeno si sarebbe diffusamente e celermente propagato.

Sebbene allo stato attuale delle conoscenze non risulti che il virus AH5N1 abbia finora acquisito la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo una volta che lo stesso sia stato acquisito ad opera di animali infetti (figure professionali particolarmente a rischio sarebbero rappresentate, in proposito, dai Medici Veterinari e dalle maestranze operanti negli allevamenti e nei macelli avicoli, nonché dagli addetti al trasporto di volatili vivi), la formidabile capacità di ricombinazione e riassortimento genetico insita nell’RNA multi-segmentato dei virus influenzali conferirebbe un’elevata plausibilita’ biologica ad una siffatta evenienza.

Il salvifico principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – dovrebbe rappresentare ancora una volta, come la drammatica pandemia da SARS-CoV-2 ci ha insegnato, il “minimo comune denominatore”, alias la stella polare attorno alla quale dovrebbe svilupparsi la sorveglianza epidemiologica nei confronti dell’infezione sostenuta dal virus AH5N1, in un clima di piena, mutua ed incondizionata trasparenza e collaborazione interdisciplinare, a garanzia del quale la divulgazione e lo scambio di sequenze virali fra i vari laboratori pubblici coinvolti su scala globale costituisce un fondamentale, ineludibile presupposto.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo