Ogni Dipartimento di prevenzione ha attivato in media 20 hub vaccinali con una copertura giornaliera dell’1,5-2% della popolazione

L’Osservatorio Italiano Prevenzione, costituito su impulso della Fondazione “Smith Kline”, a cui si sono aggiunte Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI); Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP) e Società Nazionale Operatori della Prevenzione (Snop), ha diffuso i dati di una rilevazione, effettuata su base volontaria, sui principali aspetti organizzativi per contrastare la pandemia da Covid.

La rilevazione si è basata su un questionario rapido, contenente poche domande centrate su alcuni nodi ritenuti cruciali nell’organizzazione delle attività vaccinali (numerosità degli hub vaccinali, personale impiegato, numero delle somministrazioni giornaliere, effettuazione delle attività di tracciamento).

Hanno partecipato 25 Dipartimenti di prevenzione, distribuiti in 12 Regioni, nel periodo di Febbraio-Marzo 2022. La popolosità di tali Dipartimenti varia da 150mila abitanti a quasi 3,5 milioni ed essi servono, nel loro complesso, più di 18 milioni di cittadini.

Secondo lo studio i dipartimenti di prevenzione si sono fortemente impegnati nel corso della campagna vaccinale contro il Covid. Particolarmente soddisfacenti le situazioni riguardanti sia gli Hub vaccinali – ogni Dipartimento è riuscito, in media, ad allestirne oltre 20 – sia delle somministrazioni vaccinali – giunte ad una media giornaliera di 9mila – con una copertura giornaliera dell’1,5-2% della popolazione residente nei vari Dipartimenti di Prevenzione.

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I vaccini Covid-19 sono strumenti fondamentali per la prevenzione delle forme sintomatiche gravi

E’ pubblicato su linkedin un post in inglese di Maurizio Ferri, Responsabile scientifico SIMeVeP, che si occupa della sorveglianza Covid-19 attraverso l’analisi del carico virale Sars-Cov-2 nella acque reflue urbane.

Dal lavoro italiano citato emergono due elementi:

  • la possibilità di anticipare di almeno due settimane l’insorgenza di eventuali focolai rilevati con la sorveglianza classica;
  • l’utilità della vaccinazione nel prevenire forme gravi ed ospedalizzazioni.

I vaccini Covid-19 si dimostrano quindi strumenti fondamentali per la prevenzione delle forme sintomatiche gravi ed ospedalizzazioni.




Di Guardo: “I vaccini, una vera e propria manna per il mondo intero!”

Sono un veterinario che per quasi 20 anni ha insegnato patologia generale e fisiopatologia veterinaria all’Universita’ di Teramo e, mantenendo fede all’identità culturale appannaggio della categoria professionale cui mi vanto e mi onoro di appartenere, mi preme sottolineare che la ragion storica all’origine delle Facoltà di Medicina Veterinaria nel Vecchio Continente, nate dapprima in Francia ed in Italia a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, si deve alla peste bovina.

Questa malattia, sostenuta da un virus imparentato con quello del morbillo e che illo tempore era causa di gravissime perdite fra le mandrie di mezza Europa, è stata dichiarata ufficialmente eradicata a livello globale nel 2011 – a distanza di 250 anni esatti dall’istituzione della prima Facoltà di Medicina Veterinaria, fondata nel 1761 a Lione – grazie alle campagne di vaccinazione effettuate sulla popolazione bovina.

Analoga sorte è toccata al vaiolo, anch’esso debellato su scala planetaria nel 1980 grazie alle vaccinazioni di massa della popolazione umana.

Ai giorni nostri il “nemico pubblico” da combattere si chiama SARS-CoV-2, il betacoronavirus che ha sinora mietuto oltre 5 milioni di vittime nel mondo! Gli efficaci vaccini di cui disponiamo a distanza di un solo anno dall’identificazione del virus – quasi un miracolo (!) – costituiscono, come è ben noto, una formidabile arma nel contrasto alla diffusione di SARS-CoV-2, con particolare riferimento alle forme gravi e ad esito letale di CoViD-19.

Di contro, la mancata vaccinazione di ampie fette di popolazione, oltre a “mettere le ali” al virus (come sta avvenendo in diversi Paesi dell’est Europa), si traduce di fatto in un accresciuto rischio di comparsa di nuove varianti, non di rado più contagiose e/o patogene rispetto a quelle circolanti, come chiaramente testimoniato dalle varianti delta, delta plus, lambda e mu, di gran lunga prevalenti e dominanti la scena epidemiologica in molti Paesi se non addirittura in interi Continenti.

In un siffatto contesto, non andrebbe parimenti tralasciato il ruolo che gli animali potrebbero giocare nell’insorgenza di nuove varianti virali. Se da un lato, infatti, il range delle specie suscettibili nei confronti dell’infezione naturale e/o sperimentale da SARS-CoV-2 appare in progressiva espansione, come recentemente documentato dai “cervi a coda bianca” (Odocoileus virginianus) nella regione nord-orientale degli Stati Uniti d’America, l’emblematico “precedente” rappresentato dagli allevamenti intensivi di visoni nei Paesi Bassi e in Danimarca (ove ben 17 milioni di questi animali sono stati abbattuti!) dovrebbe essere adeguatamente enfatizzato: nei visoni allevati in questi due Paesi è stata accertata già nel 2020, infatti, la presenza di una nuova variante di SARS-CoV-2, denominata “cluster 5” e contraddistinta dalla mutazione Y453F a livello della glicoproteina “spike” (S), che si sarebbe “selezionata” a seguito della pregressa acquisizione del virus umano da parte dei visoni, che gli stessi avrebbero quindi “restituito” all’uomo.

Repetita iuvant e, cosa non meno importante, Historia magistra vitae!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e
Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo

 




Ipotesi patogenetiche sulle (pur rarissime) affezioni trombotiche post-vaccinali

Il Professor Giovanni Di Guardo, già Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, in una “Lettera all’Editore” recentemente pubblicata sul prestigioso “British Medical Journal” avanza alcune ipotesi patogenetiche in merito a quella rarissima condizione trombotica che va sotto il nome di “vaccine-induced, thrombotic, immune-mediated thrombocytopenia“, che e’ stata descritta in un ridottissimo numero di pazienti (1 caso su 150.000-200.000 vaccinati, con esito infausto segnalato in un individuo ogni 1.500.000 vaccinati), prevalentemente di sesso femminile e di età compresa fra i 20 e i 50 anni, a seguito della vaccinazione anti-CoViD-19 con il vaccino anglo-svedese prodotto da AstraZeneca e, cosa emersa ancor più di recente, anche con quello statunitense prodotto da Johnson & Johnson.

Si tratta, sottolinea il Prof. Di Guardo, di un’evenienza rarissima, che mai e poi mai dovrebbe mettere in discussione gli enormi vantaggi derivanti dalla vaccinazione di massa anti-CoViD-19 con i succitati presidi immunizzanti e rispetto alla cui verosimile natura autoimmunitaria il contributo in oggetto rimarca l’opportunità che vengano eseguite approfondite indagini sulle motivazioni alla base dell’insorgenza di tali fenomeni trombotici soprattutto in soggetti di sesso femminile e di età inferiore ai 50 anni. Sebbene le forme più gravi di CoViD-19 siano infatti caratterizzate da disordini sistemici della coagulazione (cosiddetta “coagulazione intravasale disseminata”), sarebbero soprattutto gli individui di sesso maschile ed in età geriatrica, come ben noto, a pagare il tributo più alto in termini di percentuale di ricoveri in terapia intensiva nonché di decessi”.




CoViD-19, influenza e morbillo, una salvifica alleanza fra vaccini

A pochi giorni dall’avvio della campagna vaccinale in Italia, che dovrebbe auspicabilmente portare all’immunità di gregge nei confronti di  SARS-CoV-2 entro al fine del 2021, il Prof. Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, con  una lettera al Direttore pubblicata su Quotidiano Sanità, invita a riflettere sulla contestuale importanza della vaccinazione anti-influenzale “di massa” e dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo.

Recentemente sulle pagine della prestigiosa Rivista Science, è stato descritto il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace d’indurre una singolare condizione di “amnesia immunitaria” nei pazienti infetti. Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo “si dimenticherà”, per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere “incontrato” in precedenza a seguito di un’infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.

Conclude Di Guardo

“Proviamo ad immaginare, per un solo istante, quale “catastrofe” potrebbe avere origine dal “ritorno” del morbillo in un contesto d’immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale nei confronti della CoViD-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!”




Primo vaccino orale per i cinghiali euroasiatici nei confronti del ceppo di ASFV genotipo II

cinghialiLa peste suina africana è tra le malattie virali più complesse a cui fanno seguito danni socioeconomici considerevoli.
Non è trasmissibile all’uomo e colpisce sia il maiale domestico sia il cinghiale (biologicamente la stessa specie, Sus scrofa). Ad oggi, a seguito dell’emergenza sanitaria in atto in Asia ed Europa è necessario ottenere un vaccino stabile ed efficace per contribuire a mitigare la diffusione del virus, per ridurre di fatto il numero degli animali sensibili attraverso il potenziamento dello stato immunitario delle popolazioni di cinghiali, diminuendone così l’incidenza.

Questa condizione di emergenza ha accresciuto l’interesse della comunità scientifica per lo sviluppo di un vaccino efficace contro la malattia; ma la complessità genetica del virus, l’insufficienza di informazioni in merito all’immunità conferita e le difficoltà nel realizzare linee cellulari di produzione stabili hanno ostacolato lo sviluppo di un vaccino idoneo.

Lo studio pubblicato da Barasona et al., descrive la vaccinazione sperimentale contro ASFV in un gruppo di cinghiali di allevamento.

L’immunizzazione orale con un ASFV attenuato non emoadsorbente del genotipo II (Lv17/WB/Rie1), ha conferito una protezione del 92% nei confronti del ceppo di campo (Arm07) circolante attualmente in Europa ed Asia.

Il ceppo vaccinale (Lv17/WB/Rie1) somministrato per via orale nei cinghiali oggetto dello studio, ha indotto una risposta anticorpale senza causare segni clinici compatibili con ASFV e lesioni anatomopatologiche riconducibili alla malattia. Inoltre, è stata evidenziata la capacità del virus vaccinale di conferire un’immunità tramite contatto con altri soggetti non vaccinati, ciò permetterebbe di estendere la copertura vaccinale riducendo così costi di produzione e di somministrazione su vasta scala del vaccino nel territorio.

Alla luce di questi risultati, di natura preliminare, sono necessari approfondimenti per valutare la capacità del ceppo vaccinale (Lv17/WB/Rie1) di persistere nell’ambiente e di essere trasmesso tra i cinghiali sentinella.

Referenze

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fvets.2019.00137/full

Fonte: IZS Abruzzo e Molise




Rabbia, vaccinazioni più efficaci nei cani vaccinati in Italia

I cani importati in Italia dall’Est Europa presentano un tasso di vaccinazioni contro la rabbia inefficaci più alto rispetto ai cani vaccinati in Italia, sollevando dubbi sulla conformità delle vaccinazioni antirabbiche effettuate nei paesi di origine. È quanto emerge da uno studio del Centro di referenza nazionale per la rabbia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha analizzato i risultati di 21.001 test sierologici su cani vaccinati contro la rabbia effettuati tra il 2006 e il 2012.