Spiaggiamento dei cetacei, perchè succede?

spiaggiamentiIl 26 dicembre un capodoglio si è spiaggiato lungo la costa di Castellabate, nel Cilento. Ormai non è più così raro che accada su una spiaggia italiana. Ma per quale motive succede?

Giovanni Di Guardo, docente alla facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Teramo e super esperto di cetacei, ne ha parlato in un’intervista a kodami.it.

«Un cetaceo spiaggiato è un’ “occasione d’oro” perché dà la possibilità di effettuare una serie di indagini fondamentali per conoscere il livello di minacce che affliggono questi animali. Oltre a farci capire come vivono e cosa gli facciamo. E quando gli spiaggiamenti sono molti, diventano un vero e proprio campanello d’allarme in grado di mostrarci le nefandezze di cui siamo capaci».

Ve ne proproniamo la lettura




Report spiaggiamenti cetacei nel Lazio e Toscana 2017 – 2019

spiaggiamentiE’ stata pubblicata la relazione congiunta delle attività svolte nell’ambito degli spiaggiamenti di cetacei avvenuti lungo le coste del Lazio e della Toscana dal gennaio 2017 all’agosto 2019, periodo durante il quale si sono registrati 140 soggetti spiaggiati, con la prevalenza di Stenella coeruleoalba (n. 72) e Tursiops truncatus (n. 40).

Sugli animali spiaggiati, quando possibile e a seconda dei casi, sono stati eseguiti esami necroscopici, virologici, batteriologici, parassitologici, istologici e tossicologici.

La ricerca di agenti virali si è concentrata particolarmente sul Dolphin Morbillivirus (DMV) e sull’Herpesvirus. Il Morbillivirus è ampiamente riconosciuto come agente eziologico causa della morte di singoli animali o come responsabile negli eventi di mortalità nei Cetacei. Meno si conosce dell’Herpesvirus il cui ruolo deve essere ancora approfondito.

I dati confermano in ogni caso l’estrema importanza del monitoraggio sanitario, e in particolare degli agenti zoonotici, negli animali marini.

Si ritrovano infatti anche in queste specie di mammiferi problematiche emergenti di sanità pubblica ed agenti dal potere patogeno per l’uomo, come Brucella sp. ( isolata per la prima volta nel Mediterraneo in una Stenella spiaggiata nel 2012 lungo le coste Toscane) e Listeria monocytogenes (isolata in più soggetti nel 2017) che è anche uno dei principali contaminanti ambientali di importanza per la salute pubblica.

La gestione degli animali, le attività legate agli spiaggiamenti, i risultati conseguiti sono frutto di un lavoro delle equipe che a vario titolo operano per la salvaguardia e per il monitoraggio dello status sanitario dei cetacei: AA.SS.LL., Capitanerie di Porto, Osservatorio Toscano Biodiversità, ARPAT Livorno, Università di Siena, Banca Dati Spiaggiamenti, Università di Padova, Università di Teramo, Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui mammiferi marini Spiaggiati (C.Re.Di.Ma), Ministero della Salute, MiPAAFF, e tutta la rete degli IIZZSS.

Il testo integrale della relazione

A cura della segreteria SIMeVeP




22kg di plastica nella pancia del capodoglio, il lavoro dei veterinari IZS

CapodoglioI veterinari dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna sono intervenuti, come da prassi, a seguito del ritrovamento di un capodoglio spiaggiato nei pressi di Porto Cervo per eseguire il primo sopralluogo e l’esame anatomo-patologico.

Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici” afferma l’IZS in un comunicato che riportiamo integralmente poichè illustra il ruolo dei veterinari in questi casi:

«Venerdì 29 marzo un capodoglio, giovane femmina della lunghezza di otto metri, è stato trovato spiaggiato venerdì scorso a Cala Romantica, vicino Porto Cervo, nel nord-est della Sardegna.Il sopralluogo preliminare è stato svolto dai veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna della ASl, unitamente a Capitaneria di porto e personale del comune di Arzachena.

In seguito al sopralluogo, verificata l’impossibilità di svolgere la necroscopia sul luogo di ritrovamento, è stato concordato di spostare la carcassa in un’area idonea, dove eseguire tutti gli accertamenti sanitari e smaltire i resti. La rimozione del cetaceo e il trasporto sono stati effettuati grazie alla preziosa opera di Vigili del fuoco, Capitaneria di porto e Comune. Nella giornata di sabato 30 i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, di concerto con il CERT (Cetaceans Stranding Emergency Response Team) della facoltà di Veterinaria di Padova hanno effettuato la necroscopia. Queste operazioni sono state eseguite secondo il protocollo operativo della Rete Nazionale Spiaggiamenti concordato dai Ministeri della Salute e dell’Ambiente che attribuisce la competenza degli accertamenti sanitari all’IZS competente per territorio in caso di spiaggiamenti ordinari (cetacei di grandezza inferiori ai 5 metri) e IZS unitamente al CERT per gli spiaggiamenti straordinari (spiaggiamenti di massa o di animali superiori ai 5 metri).

Nel caso specifico si è evidenziato che la femmina di Capodoglio, gravida con feto di circa due metri e mezzo, presumibilmente morto già prima della madre, ed era in uno scarso stato di nutrizione e, al momento del ritrovamento, in avanzato stato di decomposizione. Lo stomaco era ostruito da 22 kg di materiale plastico (sacchetti, piatti, tubi, e materiale vario), questo, unitamente alla mancanza di materiale alimentare, se non numerosi becchi di calamari, sta a testimoniare che l’animale non si alimentava da vario tempo. Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici.

Purtroppo” – rileva il dott. Pintore – “l’ingestione di materiale plastico è sempre più diffusa e costituisce un reperto molto frequente negli animali che vivono in ambiente marino, sia che si tratti di cetacei che di tartarughe, causandone il progressivo indebolimento e anche la morte.”»




Cetacei spiaggiati, il report 2017

spiaggiamentiSono 212 i cetacei spiaggiati lungo le coste italiane nel corso del 2017, 44 in meno rispetto all’anno precedente. Lo rileva, nel report annuale, il Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui Mammiferi marini spiaggiati (C.Re.Di.Ma), istituito dal Ministero della Salute presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Nella maggior parte dei casi si tratta di tursiopi (41,5%) e stenelle (33.9%). Gli eventi di spiaggiamento per gli altri mammiferi marini sono risultati sporadici.

Gli IIZZSS, coordinati dal C.Re.Di.Ma, hanno effettuato accertamenti diagnostici sul 50% degli esemplari spiaggiati, l’11% in più rispetto a quanto osservato nel 2016 e sono riusciti ad avanzare ipotesi di causa di morte per 69 soggetti:

  • nel 66.6% dei casi è stata accertata l’origine infettiva, confermando la persistente circolazione nei nostri mari di agenti virali (Morbillivirus, Herpesvirus) e protozoari (Toxoplasma gondii). Il riscontro sporadico di Brucella ceti, Salmonella typhimurium variante monofasica ed Erysipelothrix rhusiopathiae evidenzia la presenza di agenti zoonotici, importanti anche per l’impatto sulla salute pubblica; l’isolamento di 3 ceppi di Listeria monocytogenes nell’area tirrenica, conferma la contaminazione da agenti di origine terrestre nel Santuario Pelagos, a seguito della prima segnalazione nel 2015 in Liguria;
  • nel 29% dei casi la causa di morte è stata attribuita ad un’origine antropica;
  • nel 4.3% la morte è sopraggiunta per patologie naturali non infettive;
  • Nel 35% dei casi esaminati non è stato possibile avanzare ipotesi per le cause del decesso soprattutto per il cattivo stato di conservazione delle carcasse.

Consulta il Report C.Re.Di.Ma 2017 sullo spiaggiamento dei cetacei

Fonte: Ministero della salute




Alzheimer e delfini

Tursiops-truncatusE’ di alcune settimane fa la notizia, riferita dalla prestigiosa Rivista statunitense Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, di una peculiare forma di encefalopatia in alcuni esemplari di stenella striata (Stenella coeruleoalba) e di tursiope (Tursiops truncatus) rinvenuti spiaggiati lungo le coste spagnole.

Il lavoro in oggetto, a firma di Danièlle Gunn-Moore e collaboratori, riporta che i succitati animali, appartenenti a due specie cetologiche ampiamente diffuse nel Mediterraneo così come nelle acque temperate dei mari e degli oceani del nostro Pianeta, mostravano lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, vale a dire la presenza di “depositi e/o placche di beta-amiloide”, nonché di “aggregati neurofibrillari di proteina tau”.

Al di là del fatto che quella sopra menzionata costituisce la prima descrizione di una siffatta neuropatia centrale nei Cetacei e, più in generale, in qualsivoglia specie animale selvatica, questo studio riconosce il suo principale elemento di forza nell’identificazione della stenella striata e del tursiope quali “nuove” specie potenzialmente in grado di “ricapitolare” le caratteristiche neuropatologiche e, presumibilmente, anche i fondamentali aspetti neuropatogenetici tipici della malattia di Alzheimer.

Infatti, con la sola eccezione della specie felina e, assai di recente, pure del macaco, i modelli animali fino ad allora caratterizzati – ivi compresi quelli murini – sarebbero risultati capaci di “riassumere” solo una parte, più o meno consistente, dei succitati aspetti neuropatologici propri della malattia umana, che peraltro rappresenta la forma di demenza maggiormente diffusa a livello globale.

Ne consegue che i delfini e, più precisamente, stenella striata e tursiope potrebbero candidarsi come validi “modelli di neuropatologia comparata” per lo studio della malattia di Alzheimer, qualificandosi ancor più “compiutamente” in tal senso qualora anche nei delfini – come già documentato nella nostra specie – la “proteina prionica cellulare” fungesse da recettore nei confronti degli “oligomeri solubili di beta-amiloide”, molecole a spiccata azione neurotossica che svolgerebbero un ruolo cruciale nella patogenesi della malattia di Alzheimer.

Quest’ultima sottolineatura trova riscontro, unitamente ad un commento sull’intrigante articolo in questione, in una Letter to the Editor a firma del professor Giovanni Di Guardo, docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, che è stata appena pubblicata su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.

Come riportato dal professor Di Guardo, l’espressione della proteina prionica cellulare è già stata descritta, nell’ambito di un precedente lavoro svolto in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” e con l’Università degli Studi di Padova, a livello sia del tessuto cerebrale sia di una serie di organi e tessuti linfatici di Cetacei rinvenuti spiaggiati lungo le coste italiane, cosa che potrebbe agevolare l’acquisizione delle importanti conoscenze  neuropatogenetiche di cui sopra.

A tal fine non andrebbe minimamente trascurato, aggiunge Di Guardo, lo stato di conservazione/preservazione post-mortale in cui vengono rinvenuti i Cetacei spiaggiati, il grado di “freschezza/integrità” dei cui tessuti costituisce un prerequisito di cruciale rilevanza ai fini dello svolgimento di indagini laboratoristiche così delicate quanto sofisticate e, nondimeno, dell’attendibilità dei risultati ottenuti.