I risultati del progetto EpiCovAir. Covid-19, la qualità dell’aria incide su rischio di infezione e mortalità

I risultati del progetto EpiCovAir su inquinamento atmosferico e COVID-19

Esiste un legame tra incidenza di infezioni da SARS-CoV2, mortalità per COVID-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10). Lo dimostrano i risultati di EpiCovAir, un progetto epidemiologico nazionale di ricerca su COVID-19 e inquinamento promosso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ISPRA-SNPA), in collaborazione con la Rete Italiana Ambiente e Salute (RIAS), presentati oggi durante un webinar nella sede dell’ISS.

Le indagini hanno riguardato circa 4 milioni di casi di SARS-CoV-2 e 125 mila decessi registrati dal Sistema Nazionale di Sorveglianza Integrata COVID-19 tra i 60 milioni di italiani residenti in 7800 comuni durante le prime tre ondate epidemiche (da febbraio 2020 a giugno 2021), con un’incidenza di 67 casi infetti su 1000 abitanti e un tasso di letalità di 31 decessi ogni 1000 persone contagiate.

La distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per COVID-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del nord Italia, che hanno anche più elevati livelli di inquinamento atmosferico di lungo periodo. Questo vale particolarmente nella prima ondata dell’epidemia, che si è originata e propagata a partire dalle regioni settentrionali, mentre le distribuzioni dei casi e dei decessi per COVID-19 sono più omogenee sul territorio nazionale nella seconda e terza fase pandemica.

Le associazioni con l’inquinamento atmosferico, più forti tra i soggetti anziani, rivelano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.

Lo stesso vale per i tassi di letalità per COVID-19 che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.

Le analisi effettuate, spiegano gli autori, tengono conto di numerose variabili geografiche, demografiche, socio-economiche, sanitarie, così come della mobilità della popolazione durante la pandemia grazie ai dati forniti da ENEL X sui flussi di traffico per tutti i comuni italiani.

I risultati conseguiti da EpiCovAir”, afferma Ivano Iavarone, coordinatore del Progetto, “sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici ed il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione Europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica”.

Sotto questo punto di vista, e non potendo escludere futuri rischi epidemici,” dichiarano congiuntamente i Presidenti ISS ed ISPRA-SNPA Silvio Brusaferro e Stefano Laporta “sarà importante individuare strategie sinergiche ed intersettoriali di prevenzione integrata che su scala europea, nazionale, regionale e locale accelerino l’implementazione di politiche improntate sui co-benefici, attraverso interventi strutturali in settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura”.

 

I due lavori del progetto EpiCovAir, recentemente pubblicati, sono disponibili ai seguenti link:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37167483/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37154300/

Fonte; ISS




SARS-CoV-2 negli animali, la valutazione del rischio dell’Ecdc/EFSA

L’Ecdc, Centro europeo per il controllo delle malattie e L’Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare hanno pubblicato il Risk Assestment “SARS-CoV-2 in animals: susceptibility of animal species, risk for animal and public health, monitoring, prevention and control

La situazione epidemiologica di SARS-CoV-2 nell’uomo e negli animali è in continua evoluzione” si legge nell’abstract del documento.

Ad oggi, le specie animali note per essere in grado di trasmettere SARS-CoV-2 sono:

-visone americano
– cane procione
– gatto
– furetto
– criceto
– topo domestico
– pipistrello della frutta egiziano
– topo cervo
– cervo dalla coda bianca.

Tra gli animali d’allevamento, i visoni americani hanno la più alta probabilità di essere infettati da esseri umani o animali e trasmettere ulteriormente SARS-CoV-2.

Nel 2021 nell’UE sono stati segnalati 44 focolai in allevamenti di visoni in 7 Stati membri; nel 2022 la tendenza è al ribasso; solo 6 nel 2022 in 2 Stati membri.

L’introduzione di SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni avviene solitamente tramite esseri umani infetti; il rischio può essere controllato testando sistematicamente le persone che entrano negli allevamenti e applicando adeguate misure di biosicurezza.

Tra gli animali da compagnia, gatti, furetti e criceti ci sono quelli a più alto rischio di infezione da SARSCoV-2; molto probabilmente i contagi provengono da un essere umano infetto e hanno comuqnue un impatto nullo o molto basso sulla circolazione del virus nella popolazione umana.

Tra gli animali selvatici (animali degli zoo compresi),  sono risultati suscettibili per lo più carnivori, grandi scimmie e cervi dalla coda bianca.

Nell’UE finora non sono stati segnalati casi di fauna selvatica infetta.

Le due Agenzie europee consigliano un corretto smaltimento dei rifiuti umani per ridurre i rischi di ricaduta di SARS-CoV-2 sulla fauna selvatica. Dovrebbe inoltre essere ridotto al minimo  il contatto con esemplari di fauna selvatica, specialmente se malati o morti. Per la fauna selvatica non è raccomandato alcun monitoraggio specifico, vanno però testati gli animali raccolti dai cacciatori con segni clinici o trovati morti.

I pipistrelli, ospiti naturali di molti coronavirus, dovrebbero essere monitorati.

A cura della segreteria SIMeVeP




L’OMS abbandona i piani per la seconda fase di indagine sulle origini del Covid-19

covid-19Secondo un articolo pubblicato ieri su “Nature”, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha abbandonato i piani per la seconda fase cruciale dell’indagine sulle origini del Covid-19 che prevedevano anche studi sensibili in Cina per individuare la fonte del virus pandemico.

A febbraio 2021 il team di esperti WHO si è recata in Cina per una indagine sulle origini della pandemia Covid-19. Il rapporto di marzo di quell’anno delinea quattro possibili scenari, il più probabile dei quali è che SARS-CoV-2 si sia diffuso dai pipistrelli alle persone, forse attraverso una specie intermedia e che è estremamente improbabile che il virus sia sfuggito accidentalmente da un laboratorio. Quest’ultimo scenario è stato un punto chiave di contesa tra i ricercatori e funzionari cinesi.

Questa prima fase di indagini in sostanza doveva gettare le basi per una seconda fase di studi più approfonditi che comunque erano già iniziati con gli studi sulla sequenza temporale della diffusione iniziale del virus, la cattura di pipistrelli nelle regioni al confine con la Cina alla ricerca di virus strettamente correlati alla SARS-CoV-2; studi sperimentali per aiutare a restringere il campo degli animali sensibili al virus e che potrebbero essere ospiti; test su acque reflue archiviati e campioni di sangue raccolti in tutto il mondo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.

Nell’agosto 2021, i membri del team della missione originale pubblicano un commento su Nature in cui sollecitano un’azione rapida sugli studi proposti per tracciare le origini del virus.

La reazione del ministero degli affari esteri cinese è stata di non risposta alle richieste di Nature di commentare il motivo per cui gli studi della fase due erano stati bloccati.

C’è generale sintonia e delusione dei ricercatori, sul dato secondo cui l’indagine sulle origini sia stata mal gestita dalla comunità globale, dalla Cina e WHO. Capire come le prime persone si sono infettate dal coronavirus SARS-CoV-2 è importante per prevenire le future epidemie. Tra le motivazioni dello stallo le sfide in corso sui tentativi di condurre studi cruciali in Cina.
È pur vero che è trascorso troppo tempo per raccogliere i dati necessari per individuare l’origine del virus. Inoltre se all’inizio c’era una maggiore probabilità di collaborazione con i funzionari cinesi, con il passare del tempo, fattore cruciale per l’efficacia delle indagini, questa volontà è andata scemando, complici alcuni fattori geopolitici.

E dunque il WHO ha accantonato la seconda fase della attesa indagine scientifica sulle origini della pandemia di COVID-19.

Maurizio Ferri
Coordinatore scientifico SIMeVeP




I vaccini Covid-19 sono strumenti fondamentali per la prevenzione delle forme sintomatiche gravi

E’ pubblicato su linkedin un post in inglese di Maurizio Ferri, Responsabile scientifico SIMeVeP, che si occupa della sorveglianza Covid-19 attraverso l’analisi del carico virale Sars-Cov-2 nella acque reflue urbane.

Dal lavoro italiano citato emergono due elementi:

  • la possibilità di anticipare di almeno due settimane l’insorgenza di eventuali focolai rilevati con la sorveglianza classica;
  • l’utilità della vaccinazione nel prevenire forme gravi ed ospedalizzazioni.

I vaccini Covid-19 si dimostrano quindi strumenti fondamentali per la prevenzione delle forme sintomatiche gravi ed ospedalizzazioni.




Di Guardo: dovremmo vaccinare gli animali domestici e selvatici sensibili nei confronti di SARS-CoV-2

E’ stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa Rivista Veterinary Record il contributo del Prof. Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, dal titolo ‘We should be vaccinating domestic and wild animal species against Covid-19’, incentrato sull’opportunità di vaccinare nei confronti di SARS-CoV-2 le specie animali domestiche e selvatiche suscettibili all’infezione virale.

Questa pandemia ci ha insegnato che la salute umana, animale e ambientale sono reciprocamente e inestricabilmente collegate tra loro. Tenendo conto della potenziale trasmissione zoonotica di SARS-CoV-2, ritengo che la vaccinazione delle specie animali sensibili al virus – soprattutto di quelle allevate intensivamente come il visone, così come di quelle particolarmente suscettibili nei confronti dell’infezione virale come il cervo a coda bianca (Odocoileus virginianus) – sia fondamentale per limitare lo sviluppo di varianti di SARS CoV-2 oltremodo diffusive (quali la Omicron) e/o patogene (quali la Delta). Un tale programma richiederebbe un solido approccio One Health.

Scrive  di Guardo nel contributo integrale (qui in inglese)




OMS, FAO, OIE: monitoraggio dell’infezione da SARS CoV 2 nella fauna selvatica e prevenzione della formazione di serbatoi animali

OIE OMS FAOL’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) hanno diffuso una dichiarazione congiunta sulla priorità del monitoraggio dell’infezione da SARS CoV 2 nella fauna selvatica e sulla prevenzione della formazione di serbatoi animali.

“Mentre entriamo nel terzo anno di pandemia, SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, si sta diffondendo intensamente tra le persone a livello globale. Ci sono molti fattori che alimentano la trasmissione. Uno di questi è l’emergere di varianti VOC altamente trasmissibili, l’ultima è Omicron. Il virus continua ad evolversi e il rischio della comparsa di varianti nel futuro è elevato.

Sebbene la pandemia di COVID-19 sia sostenuta dalla trasmissione da uomo a uomo, è noto che il virus SARS-CoV-2 infetta anche le specie animali. Le attuali conoscenze indicano che la fauna selvatica non svolge un ruolo significativo nella diffusione di SARS-CoV-2 negli esseri umani, ma la diffusione nelle popolazioni animali può influire sula salute di queste popolazioni e può facilitare l’emergere di nuove varianti del virus.

Oltre agli animali domestici, sono stati infettati da SARS-CoV-2 anche animali selvatici – in libertà, in cattività o d’allevamento – come grandi felini, visoni, furetti, cervi dalla coda bianca nordamericani e grandi scimmie. Ad oggi, visoni d’allevamento e criceti da compagnia hanno dimostrato di essere in grado di infettare gli esseri umani con il virus SARS-CoV-2, mentre è allo studio un potenziale caso di trasmissione tra un cervo dalla coda bianca e un essere umano.

L’introduzione di SARS-CoV-2 nella fauna selvatica potrebbe portare alla formazione di animali serbatoio. Ad esempio, è emerso che circa un terzo dei cervi dalla coda bianca selvatici negli Stati Uniti d’America è stato infettato da SARS-CoV-2, inizialmente tramite vari eventi di trasmissione uomo-cervo. I lineage rilevati nei cervi dalla coda bianca stanno circolando anche nelle popolazioni umane vicine. È stato dimostrato che i cervi dalla coda bianca diffondono il virus e lo trasmettono tra loro.

La FAO, l’OIE e l’OMS chiedono a tutti i paesi di adottare misure per ridurre il rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 tra uomo e fauna selvatica, con l’obiettivo di ridurre il rischio di comparsa di varianti e di proteggere sia l’uomo che la fauna selvatica. Esortiamo le autorità ad adottare le normative pertinenti e a diffondere le raccomandazioni precedentemente rilasciate da FAO, OIE e OMS alle persone che lavorano a stretto contatto o manipolano la fauna selvatica, inclusi cacciatori e macellai, e al pubblico.

Il personale che lavora a stretto contatto con la fauna selvatica dovrebbe essere formato per mettere in atto misure che riducano il rischio di trasmissione tra persone e tra persone e animali, utilizzando i consigli dell’OMS su come proteggersi e prevenire la diffusione del COVID-19 e le Linee guida OIE e FAO sull’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e delle buone pratiche igieniche relative agli animali, comprese le buone pratiche igieniche per cacciatori e macellai.

Le prove attuali suggeriscono che gli esseri umani non vengono infettati dal virus SARS-CoV-2 mangiando carne. Tuttavia, i cacciatori non dovrebbero rintracciare gli animali che sembrano malati o raccogliere quelli che vengono trovati morti. Appropriate tecniche di macellazione e preparazione degli alimenti, comprese appropriate pratiche igieniche, possono limitare la trasmissione di coronavirus, incluso SARS-CoV-2, e altri agenti patogeni zoonotici.

FAO, OIE e OMS sottolineano che il pubblico dovrebbe essere educato al contatto con la fauna selvatica. Alcuni animali selvatici possono avvicinarsi agli insediamenti umani e alle aree residenziali. Come precauzione generale, le persone non dovrebbero avvicinarsi o nutrire animali selvatici o toccare o mangiare coloro che sono malati o trovati morti (comprese le vittime di incidenti stradali). Dovrebbero invece contattare le autorità locali per la fauna selvatica o professionisti della salute della fauna selvatica.

È anche fondamentale smaltire in sicurezza il cibo non consumato, le mascherine, i tessuti e qualsiasi altro rifiuto umano per evitare di attirare la fauna selvatica, in particolare nelle aree urbane e, se possibile, tenere gli animali domestici lontani dalla fauna selvatica e dai loro escrementi.

Esortiamo inoltre i servizi nazionali per la salute degli animali e dell’uomo dei paesi ad adottare le seguenti misure:

– Incoraggiare la collaborazione tra i servizi veterinari nazionali e le autorità nazionali per la fauna selvatica, la cui partnership è fondamentale per promuovere la salute degli animali e salvaguardare la salute umana e ambientale.

– Promuovere il monitoraggio della fauna selvatica e incoraggiare il campionamento di animali selvatici noti per essere potenzialmente suscettibili a SARS-CoV-2.

– Condividere tutti i dati sul sequenziamento genetico provenienti dagli studi sulla sorveglianza degli animali attraverso le banche dati pubbliche disponibili.

– Segnalare casi animali confermati di SARS-CoV-2 all’OIE tramite il sistema mondiale di informazione sulla salute degli animali (OIE-WAHIS).

– Creare con attenzione i messaggi su SARS-CoV-2 negli animali in modo che percezioni pubbliche imprecise non influiscano negativamente sugli sforzi per la conservazione degli animali. Nessun animale trovato infetto da SARS-CoV-2 dovrebbe essere abbandonato, rifiutato o ucciso senza fornire una giustificazione basata su una valutazione del rischio specifica per paese o evento.

Come misura di emergenza, sospendere la vendita nei mercati alimentari di mammiferi selvatici vivi catturati.

Le nostre organizzazioni sottolineano l’importanza del monitoraggio dell’infezione da SARS-CoV-2 nelle popolazioni di mammiferi selvatici, riportando i risultati ai servizi veterinari nazionali (che segnalano i risultati all’OIE) e condividendo i dati di sequenziamento genomico su database pubblicamente disponibili. I paesi dovrebbero anche adottare precauzioni per ridurre il rischio di formazione di serbatoi animali e la potenziale accelerazione dell’evoluzione del virus in nuovi ospiti, che potrebbero portare all’emergere di nuove varianti del virus. Tali misure preserveranno la salute della preziosa fauna selvatica così come degli esseri umani.

Invitiamo i governi e gli altri soggetti interessati a portare i contenuti di questa dichiarazione congiunta all’attenzione delle autorità competenti e di tutte le parti interessate”.

Traduzione a cura della segreteria SIMeVeP




Crisi umanitaria e CoViD-19 in Ucraina

L’immane catastrofe umanitaria vissuta dall’Ucraina e dal suo fiero popolo per via della scellerata invasione perpetrata dal folle leader russo Vladimir Putin andrebbe letta e narrata tenendo in debito conto anche la pandemia da SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

A tal proposito, le oltre 100.000 morti provocate in due anni dal virus in quel Paese fanno il paio con un esiguo tasso di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 della popolazione ucraina, che si attesterebbe intorno al 35%.

La verosimile conseguenza di tutto cio’ sara’ un consistente aumento dei casi d’infezione da SARS-CoV-2, tanto piu’ a motivo dei frequenti e prolungati assembramenti di quella martoriata popolazione (spesso in assenza di adeguati dispositivi di protezione individuale) nei bunker piuttosto che nei sotterranei della metropolitana e degli ospedali, nonche’ nelle stazioni ferroviarie, assembramenti resi inevitabili dagli incessanti quanto drammatici bombardamenti non solo di obiettivi militari, ma anche civili da parte delle forze armate russe.

In un siffatto scenario, che a dire il vero sembra esser rimasto “un po’ in disparte” nella narrazione dell’immane tragedia umanitaria vissuta dalla gente ucraina, l’emergenza e la successiva diffusione di nuove varianti di SARS-CoV-2 dotate di elevata trasmissibilita’ (vedi “omicron”) o, peggio ancora, di marcata patogenicita’ (vedi “delta”) appare un’evenienza probabile oltre che biologicamente plausibile ed, in quanto tale, una sorta di “dramma nella catastrofe”!

Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo.




CovidZoo. Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali

E’ pubblicato sul numero di Panorama del 2 febbraio 2022 un contributo di Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare all’Università Campus Biomedico di Roma e Giovanni Di Guardo, patologo veterinario, già professore di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria all’Università di Teramo dal titolo CovidZoo.

Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali. L’ultimo caso: un negozio cinese di criceti. Il rischio (assai reale) è che
il coronavirus si ricombini e ci ritorni mutato. Troppo per essere riconosciuto da questi vaccini.

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Animali e varianti di SARS-CoV-2, quali incognite?

covid-19Mentre il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 si assottiglia vieppiù, i dati che vanno emergendo dalla sorveglianza epidemiologica e dagli studi condotti sugli animali documentano un progressivo ampliamento del “range” delle specie sensibili nei confronti dell’infezione naturale, così come di quella sperimentalmente indotta.

Fra queste rientrano, seppur con differenti livelli di suscettibilità, cani, gatti, furetti, criceti, maiali, conigli, leoni, tigri, leopardi delle nevi, puma, iene, cani procione, visoni, cervi a coda bianca, gorilla, ippopotami, otarie ed altre specie ancora.

Di particolare interesse risulta, altresi’, la piu’ o meno recente identificazione in Cina e nel Laos, in pipistrelli del genere Rinolophus, di una serie di sarbecovirus geneticamente correlati (grado di omologia pari se non addirittura superiore al 96%) a SARS-CoV-2 (“Ra-TG13”, “Rm-YN02”, “BANAL-52”, “BANAL-103”, “BANAL-236”), fattispecie quest’ultima che avvalorerebbe in maniera significativa l’origine naturale dell’agente responsabile della CoViD-19, che ha sinora mietuto – dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ben 6 milioni di vittime su scala globale!

In un siffatto contesto, gli elementi qui di seguito elencati appaiono particolarmente degni di nota:

1) Negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca e’ stata segnalata, oltre un anno fa, la comparsa di una peculiare variante di SARS-CoV-2 denominata “cluster 5”, che si sarebbe selezionata nell’organismo dei visoni previa acquisizione del virus dall’uomo (“viral spillover”), al quale lo stesso sarebbe stato quindi “restituito” in forma mutata dai visoni stessi (“viral spillback”).

2) Tassi di sieroprevalenza particolarmente elevati nei confronti di SARS-CoV-2 sono stati recentemente documentati fra i cervi a coda bianca (Odocoileus virginianus) popolanti la regione nord-orientale degli USA (40%) e lo Stato dell’Iowa (80%). Le indagini biomolecolari effettuate su questi ultimi hanno altresi’ consentito di amplificare sequenze genomiche virus-specifiche a livello dei linfonodi retrofaringei in circa un terzo degli esemplari nel cui emosiero erano presenti anticorpi anti-SARS-CoV-2.

3) La notevole omologia di sequenza esistente, a livello della regione specificamente interagente con il “receptor binding domain” (RBD) della glicoproteina “spike” (S) di SARS-CoV-2, fra il recettore virale ACE-2 dell’uomo e quello del cervo a coda bianca accrediterebbe quest’ultimo come una specie di mammifero particolarmente sensibile nei confronti del betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

Cio’ e’ stato definitivamente acclarato grazie a due distinti lavori sperimentali, il piu’ recente dei quali ha peraltro documentato la trasmissione diaplacentare dell’infezione nei cervi a coda bianca, unitamente ad una maggior suscettibilita’ degli stessi alla variante “alfa” (alias “B.1.1.7”) di SARS-CoV-2.

4) Casi d’infezione sostenuti dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2 sono stati documentati, abbastanza di recente, in un cane e in due gatti di proprieta’ con sospetta miocardite in Francia, dopo che un analogo caso d’infezione era stato segnalato in Piemonte in un altro gatto i cui proprietari erano risultati affetti da CoViD-19.

5) La temibile variante “delta” di SARS-CoV-2 (alias “B.1.617.2”) e’ stata segnalata, alcune settimane fa, in criceti “d’affezione” destinati alla vendita all’interno di appositi negozi per animali in quel di Hong Kong, ove si sarebbero successivamente verificati casi d’infezione sostenuti dalla medesima variante in persone frequentanti i succitati esercizi commerciali.

Ove confermato, quest’ultimo rappresenterebbe il secondo caso documentato di “spillback” di SARS-CoV-2 animale (criceto)-uomo, dopo quanto avvenuto poco piu’ di un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca (ove sono stati abbattuti ben 17 milioni di esemplari!).

6) La presenza della contagiosissima variante “omicron” (alias “B.1.529”) di SARS-CoV-2 e’ stata appena segnalata fra i cervi a coda bianca residenti nello Stato di New York, cosi’ come in Ohio.

Quali spunti, riflessioni e considerazioni e’ possibile desumere da quanto sin qui esposto?

Una premessa appare indispensabile al riguardo: SARS-CoV-2, il cui genoma consta di circa 30.000 nucleotidi, e’ un RNA-virus e soggiace, come tale, ad un serie di eventi mutazionali la cui frequenza risulta strettamente correlata all’attivita’ replicativa dell’agente patogeno. Detto altrimenti, più il virus si riproduce all’interno delle cellule-ospiti umane e/o animali, piu’ il genoma virale subirà mutazioni.

Ovviamente c’e’ mutazione e mutazione (guai a fare di ogni erba un fascio!), cosicché ad eventi mutazionali “silenti” o “sinonimi” (vale a dire che non producono conseguenze sulla sintesi delle proteine virali) se ne affiacheranno altri di segno opposto, definiti appunto “non silenti” o “non sinonimi”, mentre gli “errori replicativi” potranno esser corretti grazie alla cosiddetta “selezione negativa” o “purificante”, il cui “alter ego” sarebbe costituito dalla “selezione positiva” o “darwiniana”. E proprio quest’ultima sarebbe in grado di permettere al virus di acquisire una serie di caratteri “favorevoli” allo stesso, quali una maggior  trasmissibilita’/contagiosita’ e/o una piu’ spiccata propensione ad eludere la risposta immunitaria indotta da una pregressa infezione e/o dalla vaccinazione, dando cosi’ luogo alla comparsa di reinfezioni da SARS-CoV-2.

La variante “omicron”, albergante in seno al proprio genoma una serie incredibile di mutazioni – cui si aggiungono quelle recentemente identificate nella sotto-variante “BA.2″ della medesima -, sembra ricapitolare tutto ciò in maniera quantomai tangibile ed eloquente, se e’ vero come e’ vero che l'”indice di trasmissibilita’” (il famoso “indice RT”) della stessa sarebbe pari se non addirittura superiore a quello del virus del morbillo (il cui “indice RT” oscillerebbe perlappunto fra 15 e 18), sin qui ritenuto l’agente più diffusivo e contagioso rispetto ai virus noti.

Si calcola che, di pari passo con ogni evento replicativo coinvolgente 10.000 delle 30.000 basi azotate componenti il genoma di SARS-CoV-2, si verificherebbe uno degli eventi mutazionali anzidetti.

In un siffatto scenario, appare oltremodo logico e sensato continuare ad operare e a concentrare i massimi sforzi sullo strategico obiettivo di una quanto più ampia e capillare copertura vaccinale dell’intera popolazione globale, a motivo delle abissali differenze tuttora esistenti, purtroppo, fra Paesi come il nostro e numerosi Paesi africani ed asiatici.

E’ a dir poco sorprendente, di contro, che gli animali – nei cui confronti la vaccinazione anti-CoViD-19 non e’ praticata, fatte salve alcune eccezioni -, così come l’andamento dell’infezione da SARS-CoV-2 fra gli animali – ivi compresa la dianzi ricordata presenza e circolazione, fra gli stessi, di alcune temibili varianti virali -, godano di una considerazione che non esiterei a definire trascurabile, nella migliore delle ipotesi.

Se a tutto ciò si aggiunge, inoltre, l’ancor più sorprendente assenza dei Medici Veterinari dal “Comitato Tecnico-Scientifico” (alias “CTS”), a dispetto degli oltre due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione (incredibile visu et auditu!), risulta ben più agevole comprendere, a questo punto, la scarsa considerazione di cui beneficiano – quantomeno nel nostro Paese –  gli animali (e non certo da parte delle Istituzioni Veterinarie nonché dei miei Colleghi Veterinari!) nel disegnare e nel prevedere le future traiettorie evolutive dell’infezione da SARS-CoV-2.

Sic est, ahime/ahinoi e per buona pace della “One Health”, la “salute unica di uomo, animali ed ambiente”, di cui con somma ipocrisia ci si continua a riempire la bocca ad ogni pie’ sospinto!

L’ultimo pensiero di questo mio articolo desidero riservarlo al fiero Popolo Ucraino che, gia’ duramente provato dalla pandemia da SARS-CoV-2 (che in quel Paese ha gia’ fatto oltre 100.000 vittime!), si trova a vivere in queste drammatiche giornate la tragica condizione di una guerra assurda, che sta producendo e, temo, produrra’ nefaste conseguenze non solo su quella Nazione, ma anche sull’intera Europa.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria nella Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




CoViD-19, serve un approccio olistico!

In qualità di patologo veterinario nonché di professore universitario – attualmente in pensione – che ha dedicato 30 anni della propria vita professionale allo studio delle malattie infettive negli animali domestici e selvatici, posso tranquillamente affermare che SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19, mi spaventa e mi affascina al contempo.

Questa duplice sensazione mi deriva dalla straordinaria “plasticità” di un virus che, pur avendo di fronte a se’ una platea di 8 miliardi di esseri umani potenzialmente in grado di sviluppare l’infezione (400 milioni e piu’ dei quali l’avrebbero effettivamente contratta!), si e’ rivelato capace di disegnare traiettorie che lo hanno portato ad infettare, in natura, una folta gamma di specie animali domestiche e selvatiche, tutte accomunate fra loro dal fatto che avrebbero acquisito il virus dall’uomo.

In un siffatto contesto, la suscettibilità di alcune specie a determinate varianti di SARS-CoV-2 circolanti nella popolazione umana – come segnalato nel gatto, nel cane e nei cervi a coda bianca per la variante “alfa” nonché, assai di recente, in numerosi criceti “d’affezione” a Hong Kong per la variante “delta” – o, peggio ancora, la documentata comparsa di certe varianti in grado di ri-trasmettersi all’uomo, come nel caso di quella denominata “cluster 5”, che oltre un anno fa e’ comparsa negli allevamenti di visoni olandesi e danesi, costituiscono fatti degni della massima attenzione.

La “One Health”, alias la salute unica di uomo, animali ed ambiente, rappresenta pertanto la chiave di volta, necessaria ed imprescindibile al contempo, per gestire al meglio questa così come tutte le pandemie che il genere umano si troverà ad affrontare in futuro.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo