Vaccinazioni, occhio al morbillo!

Proponiamo la lettura della lettera del Prof. Giovanni Di Guardo, docente della Facoltà di Medicina veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, pubblicata sulla rubrica “italians” del Corriere della Sera il 12 giugno 2020

Caro Bsev, mentre i numeri della pandemia da SARS-CoV-2 – il coronavirus responsabile della CoViD-19 – hanno abbondantemente superato nel mondo i 7 milioni di casi con oltre 410.000 decessi, si stima che una percentuale oscillante fra il 3 ed il 5% della popolazione planetaria sia stata esposta al virus. Gli individui SARS-CoV-2-infetti (computando i casi d’infezione pregressi con quelli attuali) assommerebbero, pertanto, ad una cifra compresa fra i 240 e i 380 milioni. Mentre il virus avrebbe considerevolmente rallentato la propria corsa in Italia e in buona parte del Vecchio Continente, il tributo di vite umane pagato alla CoViD-19 continua ad essere particolarmente drammatico, se non addirittura in preoccupante escalation, in Paesi quali USA, Brasile, Peru’, Messico, India ed altri ancora. Proiettando un siffatto scenario nelle settimane e nei mesi a venire, e’ da ritenere oltremodo plausibile – soprattutto in quei Paesi ove SARS-CoV-2 avesse fatto la propria comparsa in epoca piu’ recente e/o che non avessero applicato in maniera rigorosa le draconiane quanto salvifiche e ben note misure di “lockdown” e di contenimento del virus – una progressiva, ulteriore espansione dei casi d’infezione nella popolazione generale. Considerata la rilevanza dei pazienti asintomatici nella trasmissione del virus, che fa il paio con l’elevata prevalenza dell’infezione negli stessi, e’ importante valutare la percentuale di individui che nel tempo l’hanno acquisita. A questa finalita’ rispondono le indagini siero-epidemiologiche che, attraverso il rilievo di anticorpi anti-SARS-CoV-2, ci dicono quanto il virus abbia circolato nella popolazione generale. Ciononostante non sappiamo ancora per quanto tempo persista l’immunita’ e quale sia il tasso anticorpale in grado di conferire un’efficace protezione nei confronti del virus. Mai dismettere, quindi, la vaccinazione per il morbillo, una malattia che puo’ cancellare l’immunita’ verso altri agenti.

Giovanni Di Guardo




ISS: Indicazioni ad interim sull’igiene degli alimenti durante l’epidemia da virus SARS-CoV-2

Il virus SARS-CoV-2 si diffonde per contagio inter-umano, e non vi sono evidenze di trasmissione alimentare, associata agli operatori del settore alimentare o agli imballaggi per alimenti.

La sicurezza degli alimenti, nel quadro normativo europeo, è garantita tramite un approccio combinato di prevenzione e controllo che abbraccia le filiere agroalimentari “dal campo alla tavola”. Nel corso dell’epidemia di COVID-19, tuttavia, la tutela dell’igiene degli alimenti richiede azioni aggiuntive mirate a circoscrivere nei limiti del possibile il rischio introdotto dalla presenza di soggetti potenzialmente infetti in ambienti destinati alla produzione e commercializzazione degli alimenti.

Il Rapporto ISS COVID-19 n. 17/2020, elaborato dal Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, fornisce indicazioni e raccomandazioni specifiche per garantire l’igiene degli alimenti e degli imballaggi alimentari nelle fasi di produzione, commercializzazione e consumo domestico.

Fonte: ISS




COVID-19: Food safety risk? The facts

covid-19La pandemia da COVID-19 ha creato interruzioni senza precedenti e imprevedibili in ogni ambito della vita sociale ed economica e ha generato molte incertezze, fra cui quelle sulla salubrità della catena di approvvigionamento alimentare, ponendo nuove sfide agli agricoltori, produttori, distributori, aziende di beni di consumo, dettaglianti.

La filiera alimentare e l’industria alimentare sono sotto i riflettori a causa della preoccupazione, a volte amplificata dai media, sul potenziale ruolo degli alimenti nella trasmissione dell’infezione alle persone.

Maurizio Ferri, Coordinatore Scientifico SIMeVeP, propone un’analisi delle attuali posizioni e conoscenze scientifiche (in inglese)




ISS per COVID-19

issL’Istituto Superiore di Sanità ha dedicato un numero speciale del notiziario all’attività svolta dall’Ente nell’ambito dell’emergenza
legata alla pandemia del nuovo coronavirus COVID-19, dall’inizio dell’emergenza sino alla data di pubblicazione del numero stesso.

Il Presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, membro del Comitato Tecnico Scientifico (Decreto del Capo della Protezione Civile n. 371 del 5 febbraio 2020), ha istituito 22 Gruppi di lavoro sui rischi per la salute legati all’infezione da COVID-19 a cui partecipano sia esperti ISS che esperti di altre importanti istituzioni.

I risultati delle attività, che riguardano importanti aree di ricerca, sorveglianza, formazione, informazione e comunicazione, forniscono al Governo le informazioni e i dati tecnico-scientifici utili per intraprendere misure di sanità pubblica e aggiornare il personale sanitario e gli stakeholder

L’intento è di rendere disponibili in un unico contenitore le diverse e molteplici attività svolte dall’ISS per farle conoscere, valorizzarle e documentarle nel tempo, offrendo ai lettori le chiavi di accesso a preziose informazioni per il contenimento dell’epidemia.

Le attività descritte non esauriscono il notevole impegno dell’ISS su più fronti e in continua e costante evoluzione. Per i documenti
prodotti dall’ISS è fornito il link alle risorse online, liberamente accessibili.

Accedi allo speciale




CoViD-19 e fase 2

Fase 2Sono un patologo veterinario e insegno da quasi 20 anni patologia generale e fisiopatologia veterinaria all’Universita’ di Teramo. Le “malattie infettive emergenti”, il 70% delle quali sostenute da agenti in grado di trasferirsi dall’animale all’uomo, sono da oltre 30 anni al centro dei miei interessi scientifici ed il coronavirus responsabile della CoViD-19 non rappresenta di certo “un’eccezione alla regola”, come peraltro testimoniato dai lavori che ho recentemente pubblicato su prestigiose riviste scientifiche quali Science e British Medical Journal (BMJ).

A tal proposito, il tanto agognato ed oramai imminente avvio della cosiddetta “fase 2” in data 4 Maggio mi spinge a fare le considerazioni che verranno esposte qui di seguito e che fondano le loro premesse sulle conoscenze scientifiche attualmente disponibili (e non) sulla CoViD-19 e su SARS-CoV-2, il betacoronavirus che ne e’ l’agente causale:

  1. L’effettivo numero dei casi d’infezione da SARS-CoV-2 in Italia potrebbe esser pari (secondo l’autorevole King’s Imperial College londinese) a 5 milioni, a fronte dei circa 200.000 finora accertati.
  2.  Gli individui SARS-CoV-2-infetti, seppur asintomatici o paucisintomatici, sarebbero in grado di trasmettere l’infezione ad altri individui.
  3. I tamponi naso-faringei e le relative indagini biomolecolari finalizzate a ricercare la presenza del virus sono stati/e finora effettuati/e in larghissima misura solo su pazienti sintomatici.
  4. La positivita’ ad un test sierologico (effettuato sul sangue ed opportunamente validato a cura dell’Istituto Superiore di Sanità) testimonia l’avvenuta esposizione a SARS-CoV-2, il che non equivale a dire che i soggetti sieropositivi abbiano acquisito un’immunita’ nei suoi confronti.
  5. L’immunita’ nei confronti del virus e’ comprovata dalla presenza degli “anticorpi neutralizzanti”, la cui “concentrazione minima” nel sangue in grado di rivelarci se quell’individuo abbia sviluppato (o meno) un’efficiente ed efficace risposta immunitaria anti-virale non e’ a tutt’oggi nota.
  6. Quand’anche un individuo venisse classificato come “immune” nei confronti del virus, non e’ dato ancora sapere per quanto tempo rimarrà tale.
  7. Uno studio appena pubblicato su BMJ riferisce che il 60% dei pazienti con CoViD-19 eliminerebbero il virus con le feci per un arco temporale mediamente pari a 22 giorni, a fronte dell’eliminazione di SARS-CoV-2 per via respiratoria, ad opera degli stessi, per un tempo mediamente pari a 18 giorni.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, che nella mia veste di rappresentante della comunità scientifica ho comunque inteso mantenere ben distinte e separate dalle pur fondamentali componenti e valutazioni di carattere economico-finanziario alle quali la drammatica “emergenza CoViD-19” risulta intimamente connessa, mi sento di esprimere una serie di perplessità su alcune delle misure appena adottate dal nostro Governo in vista della “ripartenza”, seppur parziale, scaglionata e graduale, che avverrà per le diverse attività lavorative a far tempo dal fatidico quanto agognato avvio della “fase 2”.

Nello specifico, come si può pensare di “ripartire” il 4 Maggio e di avviare, in pari data, lo “screening siero-epidemiologico” (mediante i “famosi” tests che ricercano la presenza degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 nel sangue), oltre che l’eventuale, auspicabile effettuazione dei tamponi naso-faringei (e/o salivari), sulle lavoratrici e sui lavoratori interessate/i in prima istanza dalle succitate disposizioni governative?

Logica e buon senso avrebbero richiesto che per il 4 Maggio fossero già disponibili i risultati delle indagini laboratoristiche di cui sopra, non gia’ che si decidesse di avviarle! Aggiungo, per amore di verità (scientifica) e per completezza d’informazione, che bisognerebbe fare esclusivo riferimento a test di comprovata affidabilità, ovverosia ufficialmente validati e certificati come tali a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, con l’ulteriore avvertenza che sarebbe “cosa buona e giusta” utilizzare test “unici ed univoci” sull’intero territorio nazionale, in maniera tale da poter consentire tutti i confronti “ex ante” e, soprattutto, “ex post” che si renderanno necessari via via necessari fra i diversi laboratori chiamati ad analizzare i numerosissimi campioni biologici prelevati e a refertarne i relativi esiti.

Così operando o, per dirla in maniera oltremodo prosaica, “confrontando mele con mele e pere con pere”, si potra’ fornire una risposta ben più rapida, affidabile e precisa a questi due fondamentali interrogativi:

  1. a quale titolo gli anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 presenti nel sangue risultano protettivi
  2. quanto dura l’immunità conferita dai succitati anticorpi nei confronti dell’agente virale?

Concludo esprimendo un’ulteriore perplessità, che racchiude al suo interno, per così dire, tutte quelle fin qui esplicitate: come mai, sic stantibus rebus e visto che questo temibilissimo virus lo conosciamo da soli 4 mesi, non e’ stato disposto dal nostro Governo, in una sana ottica di applicazione del salvifico “principio di precauzione”, l’obbligo incondizionato (unitamente al “social distancing“), per tutte e per tutti (indipendentemente dall’eta’), di indossare sempre e comunque (e non soltanto nei luoghi chiusi, sui mezzi di trasporto pubblico o durante le cerimonie funebri) l’oramai “famosa” mascherina chirurgica (che dovrebbe essere perfettamente “a norma”, peraltro)?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria

 




Aumentano i contagi da SARS-CoV-2 fra gli addetti dei macelli nel mondo. E in Italia?

Sale il numero dei contagiati da Covid-19 fra gli operatori di uno dei più grandi stabilimenti per la lavorazione delle carni d’Europa, a Guetersloh, nel Land tedesco del Nord Reno-Vestfalia in Germania.
Sugli oltre 6500 lavoranti, molti in quarantena, più di 1300 sono stati colpiti dal virus SARS-CoV-2.
Anche negli Stati Uniti d’America il fenomeno sta preoccupando le autorità sanitarie.

È bene ricordare in primo luogo che i focolai che stanno interessando i macelli in Europa e nel mondo, in particolare negli Usa e Brasile, non dipendono dagli animali o dalle carni che vi vengono lavorate.

Poi è necessario contestualizzare le situazioni in cui gli addetti a questo tipo di lavorazione si sono ammalati o sono risultati infetti asintomatici. Non è casuale che questo in Italia non sia accaduto.

Gli impianti di macellazione per definizione sono “Industrie insalubri di prima categoria”, sono quindi luoghi molto esposti alle contaminazioni e per questo da sempre le norme e le rigide prassi igienico-sanitarie devono essere rispettate per tutelare i lavoratori ed evitare contaminazioni.

Per poter dare un giudizio fondato sul fenomeno occorre inquadrarlo secondo i criteri tipici delle indagini epidemiologiche, quindi occorre tenere presente che il comparto alimentare durante la pandemia è stato più attivo del solito anche per la psicosi che ha portato a fare incetta di alimenti.
Porterebbero quindi essere stati più intensi e serrati i ritmi di lavoro in quei paesi dove i focolai si sono verificati, in Italia i ritmi di lavoro sono evidentemente rimasti compatibili con la tutela dei lavoratori.

Un fattore di rischio è indubbiamente legato alla particolare atmosfera degli ambienti di macellazione o sezionamento delle carni dove si fa largo uso di acqua per lavare e pulire al fine di tenere sotto controllo la flora batterica che si concentra in quegli ambienti particolarmente insalubri per la presenza di feci e sangue animale e conseguentemente l’elevata umidità e il maggior tenore di vapore possono aver aumentato la diffusione del virus da un soggetto asintomatico o pauci sintomatico mediante “droplet” ad altri lavoratori che non hanno potuto proteggersi adeguatamente con i DPI (dispositivi di protezione individuale) che la legge italiana Dlgs n. 81/2008 prescrive.

Non sottovalutiamo poi la frequente escursione termica cui sono sottoposti i lavoratori che entrano ed escono dalle celle frigorifere, specialmente quelle di congelamento, che ha un impatto rilevante sulle vie respiratorie.

Proprio per le condizioni sopra richiamate tutti i lavoratori degli stabilimenti di macellazione devono essere muniti di protezioni anti infortunistiche e di mascherine e visiere per proteggerli dall’aspirazione di patogeni, ancor di più laddove è più difficile mantenere le distanze di sicurezza.

In ultimo non possiamo nascondere che la macellazione è un lavoro faticoso e pericoloso, che spesso nei paesi dove si sono verificati i focolai viene assegnato a lavoratori scarsamente protetti dal punto di vista contrattuale e sindacale, spesso reclutati da sedicenti “cooperative” che mascherano forme di caporalato che non garantisce tutele a fronte di bassi salari e di precarietà estrema. Abbiamo conferma che in alcuni paesi che hanno avuto focolai se qualche lavoratore reclutato dal caporalato chiede qualche garanzia in più viene immediatamente licenziato.

Questi lavoratori che sono stati colpiti dal Covid 19, quindi, come molti altri della filiera agricolo-zootecnico-alimentare, sono lavoratori poveri e indifesi, che vivono in case umili o addirittura in baracche fatiscenti, spesso sovraffollate, ove la promiscuità concorre a favorire la diffusione di patologie infettive e contagiose.

La Fase 2/3 non è libera dal Covid-19, occorre quindi mantenere alta l’attenzione, anche in Italia, monitorando lo stato di salute di tutti coloro che hanno ripreso a lavorare.

L’industria italiana delle carni deve essere anch’essa tutelata da notizie generalizzate e da associazioni infondate con quella di altri paesi.

Innanzitutto perché l’Italia non è stata colpita da casi di Covid-19 nei macelli, secondariamente perché una crisi di fiducia montata ad arte verso le nostre produzioni alimentari farebbe l’interesse della concorrenza e si rivelerebbe un disastro per l’intero paese.

Un danno grave, economico ed umano. Non dimentichiamo che nei macelli italiani e negli stabilimenti di sezionamento e lavorazione delle carni la gestione delle operazioni è ispezionata e certificata da Veterinari Ufficiali del Servizio Sanitario Nazionale che sono costantemente presenti lungo tutti i passaggi della filiera.

Il compito dei Servizi Veterinari della sanità pubblica consiste nel garantire buone prassi di lavorazione che comportano anche la tutela della salute degli addetti e quella degli stessi Ispettori Veterinari che in quei macelli e in quei laboratori garantiscono il rispetto del benessere animale e la salubrità delle carni che finiscono sulle tavole dei consumatori.

In Italia non abbiamo avuto focolai in questo settore, le nostre imprese hanno operato correttamente, tuttavia non possiamo pensare che il rischio sia zero. Per questo è utile aggiornare costantemente le linee guida per prevenire la diffusione del Covid-19 anche tra i lavoratori degli stabilimenti di lavorazione delle carni, come fatto sin ora nel nostro paese.

In modo da mantenere un elevato livello di epidemio-sorveglianza secondo l’approccio ‘One Health’, cioè attraverso una collaborazione tra veterinari igienisti degli alimenti e medici (in particolare medici igienisti e medici del lavoro), come da tempo OMS e OIE (Organizzazione mondiale per la salute animale) suggeriscono sia fatto a livello mondiale, prendendo i Dipartimenti di Prevenzione italiani a modello di riferimento.

Aldo Grasselli
Presidente Onorario SIMeVeP

Delle condizioni che favoriscono la trasmissione in questi impianti, Aldo Grasselli ha parlato oggi insieme a Paolo D’Ancona dell’Istituto superiore di sanità nel corso la trasmissione “Radio1 giorno per giorno” a Radio Rai 1.

 




Prevenire pandemie zoonotiche. Sorice: i Servizi Veterinari Italiani lo fanno

Scienziati australiani preparano veterinari e operatori del settore agricolo di 11 paesi asiatici per individuare precocemente le malattie zoonotiche che potrebbero fare il “salto di specie” dagli animali agli esseri umani.

Qual è la situazione in Italia e cosa sarebbe successo se il salto di specie che ha portato alla pandemia Covid-19 fosse avvenuto in Italia? Lo ha chiesto, fra l’altro, Sanità Informazione al Presidente SIMeVeP, Antonio Sorice

«Il focolaio sarebbe stato circoscritto e la diffusione del contagio contenuta», ha dichiarato Sorice. Questo perché in Italia c’è un sistema di prevenzione che permette una sorveglianza continuativa da parte dei servizi sanitari del sistema sanitario nazionale, in stretta collaborazione con i servizi medici. «Tale sorveglianza consente di intercettare sin da subito le patologie che derivano dal mondo animale e che possono essere trasmesse all’uomo».

L’articolo integrale su Sanità Informazione




Differenze di genere in COVID-19: l’importanza dei dati disaggregati per sesso

La pandemia da COVID-19 sta colpendo tutta la popolazione, anche se in modo diverso, a causa di vari fattori, tra i quali anche il sesso e il genere che sembrano svolgere un ruolo molto importante. In particolare il genere (vale a dire l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile) determina importanti differenze su come questa pandemia influenzi la vita quotidiana delle persone. Un esempio è proprio quello recentemente riportato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che mette in luce il dato allarmante dei numerosi episodi di violenza domestica che tante donne sono costrette a subire, a causa della condivisione continuativa degli spazi con uomini maltrattanti, con conseguenti e reiterate situazioni di disagio fisico e psicologico.

Tuttavia, ancor più evidenti durante un’epidemia o una pandemia come questa, sono le differenze di sesso, ovvero quelle differenze dovute alle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce (per esempio i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali). Per poter capire davvero quale sia il peso del sesso e del genere in questa patologia abbiamo però bisogno di dati aggiornati e disaggregati.

Mancanza di dati disaggregati per sesso e genere

Prima di approfondire l’argomento delle differenze di sesso nel contesto della pandemia da COVID-19, vale la pena ricordare che l’immagine che si può dipingere è destinata ad essere incompleta, poiché non tutti i Paesi hanno raccolto e riportano i propri dati disaggregati per sesso e genere. L’articolo “Sex, gender and COVID-19: Disaggregated data and health disparities” pubblicato sul blog della rivista BMJ Global Health il 24 marzo 2020 ha esaminato i dati dei 20 Paesi che avevano il numero più alto di casi confermati di COVID-19, a quel momento. Di queste 20 nazioni, Belgio, Malesia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti non avevano fornito dati disaggregati o suddivisi per sesso. L’Italia, da sempre molto impegnata nello studio delle differenze di genere, ha invece rilasciato da subito dati disaggregati. In seguito alcuni Paesi hanno reso disponibili i propri dati ma ad oggi rimangono una minoranza i Paesi che forniscono dati completi differenziati per sesso.

Decessi: gli uomini muoiono di più delle donne

Global Health 50/50, un’organizzazione internazionale che promuove l’uguaglianza di genere nell’assistenza sanitaria, ha iniziato a raccogliere i dati disaggregati per sesso su COVID-19 riportati finora dai governi nazionali e disponibili pubblicamente. Dall’analisi, oltre al tema dell’under-reporting dei dati disaggregati per sesso, emerge chiaramente una più alta proporzione di decessi per COVID-19 negli uomini rispetto alle donne in quasi tutti i Paesi che forniscono dati completi. In Italia secondo i dati riportati nel bollettino della sorveglianza integrata (aggiornamento del 23 aprile 2020), la percentuale di letalità per gli uomini è circa il doppio di quella delle donne (17,1% e 9,3% rispettivamente). Differenze simili sono riportate in molti altri Paesi europei (fra cui Grecia, Olanda, Danimarca, Belgio e Spagna) ed extraeuropei (come Cina e Filippine). In alcuni Paesi, come Tailandia e Repubblica Domenicana, il rapporto maschi/femmine (M/F) risulta ancora più alto, superiore cioè a 3:1 (3,8 e 3,2 rispettivamente). Tra le nazioni che forniscono i dati differenziati per sesso, solo l’India e il Pakistan mostrano una proporzione lievemente più alta nelle donne decedute per COVID-19, con un rapporto M/F pari a 0,9.

Diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 in donne e uomini

Più incerta è la situazione sulle differenze di sesso e genere per quanto riguarda i casi diagnosticati. I dati disponibili non sono sufficienti per trarre una conclusione sui tassi di infezione suddivisi per sesso, almeno fino a quando non conosceremo la percentuale di persone di ciascun sesso che si sono sottoposte al tampone. In Italia, come in altri Paesi, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo e Danimarca è stata riportata una maggiore percentuale di casi tra le donne. In altri, come Singapore, Pakistan e India, l’infezione sembra essere molto più frequente nei maschi.

In Italia, come in altri Paesi, la maggior parte degli operatori sanitari infetti è donna

Un dato italiano molto importante è quello dei casi di infezione tra gli operatori sanitari, ad oggi infatti il 69% degli operatori infetti è donna. Altre nazioni, come Stati Uniti, Spagna e Gremania riportano dati simili (73%, 72% e 75% rispettivamente). Questo dato potrebbe essere giustificato dalla più alta percentuale di donne in questa categoria professionale ma saranno necessari ulteriori studi per poter giungere a delle conclusioni più certe.

Perché i dati disaggregati per sesso sono importanti

Conoscere le reali differenze di sesso e genere in termini di incidenza e letalità rappresenta il primo passo per investigare i meccanismi biologici e/o sociali alla base di queste differenze al fine di identificare strategie preventive e bersagli terapeutici specifici per uomini e donne. Politiche di intervento che prendano in considerazione le esigenze delle donne che lavorano in prima linea, per esempio come operatrici sanitarie, potrebbero aiutare a prevenire i più alti tassi di infezione che vediamo nel sesso femminile in questa fascia di popolazione. Inoltre, uomini e donne tendono a reagire in modo diverso ai potenziali vaccini e trattamenti, quindi avere accesso a dati disaggregati per sesso risulterebbe fondamentale per condurre studi clinici più appropriati. Tenere quindi in considerazione il sesso e il genere in relazione alla salute non deve essere considerata una componente aggiuntiva ed opzionale, ma un aspetto necessario a garantire efficacia ed equità ai sistemi sanitari di ogni Paese.

Risorse utili

Fonte: EPICENTRO aggiornamento al 25 aprile 2020




Indicazioni ad interim sul contenimento del contagio da SARS-CoV-2 e sull’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione e somministrazione di alimenti.

Il Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare COVID-19, di cui fa parte anche il Presidente SIMeVeP Antonio Sorice, ha elaborato il Rapporto ISS COVID-19 n. 32/2020 “Indicazioni ad interim sul contenimento del contagio da SARS-CoV-2 e sull’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione e somministrazione di alimenti”.

Il rapporto approfondisce le tematiche connesse al contenimento del contagio e all’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione pubblica nella “fase 2” dell’epidemia di COVID-19.

Il settore della ristorazione costituisce un ambito di particolare rilievo poiché, all’interno dei locali deputati alla somministrazione degli alimenti, possono realizzarsi simultaneamente condizioni di rischio quali affollamento, limitato ricambio d’aria, permanenza prolungata e – in relazione al consumo dei pasti – impossibilità di garantire l’utilizzo delle mascherine.

Inoltre, il consumo di alimenti e bevande determina l’esposizione ravvicinata al viso di mani, oggetti e prodotti, potenziali veicolo del virus.

Risulta pertanto particolarmente importante l’applicazione del distanziamento fisico e delle altre misure di mitigazione del rischio, un’attenta ridefinizione dell’organizzazione degli esercizi commerciali e un innalzamento delle garanzie igienico-sanitarie.

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Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP