Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Un approccio olistico per valutare il rischio per la salute umana delle nano- e microplastiche

microplasticheUn consorzio internazionale ha recentemente pubblicato una sintesi dei possibili nuovi paradigmi di cui bisogna tener conto per valutare il rischio per la salute umana associato all’esposizione alle nano- e microplastiche attraverso cibo e aria. L’approccio proposto prevede l’acquisizione di nuovi dati mediante l’impiego di nuove tecnologie, strumenti modellistici innovativi e il coinvolgimento partecipato di cittadini, esperti scientifici e portatori di interesse. La review è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nanoplastics and Microplastics, leader del settore.

Il consorzio, guidato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e denominato PLASTIRISK, ha riunito importanti e riconosciuti esperti europei in una proposta scientifica che affronta il tema del rischio per la salute umana associato all’ingestione e inalazione di nano- e microplastiche.

Maggiori informazioni sul sito dell’IZS delle Venezie




Microplastiche: brevettato a Catania brevetto per quantificarle

Microplastiche al microscopio

Microplastiche al microscopio

Da oggi sarà possibile, per la prima volta al mondo, determinare e quantificare le microplastiche inferiori a 10 micrometri con una elevata sensibilità.

L’invenzione, già brevettata in Italia, frutto della ricerca dal titolo “Metodo per l’estrazione e la determinazione di microplastiche in campioni a matrici organiche e inorganiche”, porta la firma del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti dell’Università di Catania.

La ricerca – già pubblicata su riviste scientifiche internazionali come la prestigiosa “Water Research” (Elsevier) e presentata in diversi congressi internazionali – è stata condotta dal direttore del LIAA Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti, prof.ssa Margherita Ferrante, dalla ricercatrice prof.ssa Gea Oliveri Conti e dal PhD Pietro Zuccarello.

L’originalità e l’inventività di questa metodologia – che permette la reale quantificazione delle microplastiche inferiori a 10 micron fino alle nano per quasi tutte le tipologie di plastica – è stata accettata per tutte e dieci le rivendicazioni depositate nella domanda di brevetto. Le attuali metodologie pubblicate in ambito internazionale, infatti, come ad esempio la tecnica µFTIR e µRAMAN mostrano numerose limitazioni nell’identificazione e determinazione delle particelle plastiche inferiori ai 10 micrometri. Prima di questa invenzione tutte le metodologie di estrazione di microplastiche ad oggi internazionalmente accettate prevedono un processo di filtrazione per la raccolta delle microparticelle e microfibre plastiche. Un processo selettivo dimensionale, quello adottato fino ad oggi, che però non consentiva di riconoscere le particelle con diametro inferiore al poro del filtro utilizzato con conseguente perdita irrimediabile delle micro- e nanoplastiche.
L’Università di Catania, inoltre, nel marzo scorso ha depositato la domanda di estensione del Brevetto Internazionale (PCT/IB2019/051838) al fine di proteggere l’invenzione in moltissimi paesi tra cui tutti quelli comunitari, ma anche Russia, Cina, Giappone, Korea, Taiwan, Canada, Usa e Australia.

Il brevetto – che ha reso il LIAA l’unico laboratorio in grado di determinare le microplastiche con dimensione inferiore ai 10 µm a livello mondiale – ha permesso all’ateneo di Catania di siglare diverse collaborazioni scientifiche con vari atenei del territorio nazionale, ma anche con centri di ricerca in Tunisia, Austria e a breve con la Columbia University negli Stati Uniti.
Il LIAA, inoltre, sta sviluppando applicazioni del brevetto in campo ambientale, alimentare e medico al fine di meglio comprendere le interazioni ad oggi sconosciute tra microplastica e cellule nell’ottica di chiarire la relazione tra microplastiche ambientali e salute.

Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study
Reply for comment on “Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study by Zuccarello et al. [Water Research 157 (2019) 365–371]”

Fonte: Università degli Studi di Catania




Le microplastiche nel piatto, con scampi e gamberi

microplastiche crostaceiOgni anno finiscono nei mari tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica. Una parte importante di questo materiale si trasforma in minuscoli frammenti, chiamati microplastiche, che possono essere ingerite dagli organismi, anche quelli che vivono nelle profondità, come scampi e gamberi viola, che poi finiscono sulle tavole.

Un gruppo di ricercatori e docenti del Dipartimento di Scienze della vita e Ambiente dell’Università di Cagliari, in collaborazione con quelli dell’Università Politecnica delle Marche, hanno documentato la presenza di microplastiche in queste due specie di crostacei, prelevati attorno alla Sardegna, mostrando un’elevata contaminazione: 413 particelle trovate nello scampo e 70 nel gambero.

Prevalentemente si tratta di polietilene (PE, il principale costituente degli imballaggi e della plastica monouso), e di polipropilene (PP, usato per i tappi delle bottiglie o le capsule del caffè).

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Pollution. “Sono risultati allarmanti ma che non devono creare allarmismo – spiega all’ANSA Alessandro Cau, che ha firmato lo studio insieme a Claudia Dessì, Davide Moccia, Maria Cristina Follesa e Antonio Pusceddu – non sappiamo ancora, infatti, se la quantità ritrovata nello stomaco dei gamberi ma soprattutto negli scampi (sono crostacei scavatori, quindi tendono ad ingerire maggiormente le sostanze depositate nel fondo marino), possa causare danni all’organismo o all’uomo. Certo è che quelle microplastiche, che sembrano così distanti da noi, ci ritornano indietro in maniera subdola“.

Il prossimo passo della ricerca è capire quanta microplastica possa arrivare davvero sulle tavole. “Ci stiamo chiedendo se gli scampi, in particolare, siano in grado di triturare quelle microplastiche che abbiamo trovato nel loro stomaco e che non sono riuscite a passare nel tratto digerente perché troppo grandi. In questo caso le particelle verrebbero reimmesse nel mare e nella catena alimentare di altre specie, nel caso contrario – avverte il ricercatore – arriverebbero tutte sui nostri piatti“.

Fonte: Ansa




Microplastiche e nanoplastiche nei prodotti ittici. Quali rischi per l’uomo?

microplasticheÈ stata pubblicata a giugno 2016, da parte del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA, una relazione sulla presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti,  in particolare nei prodotti ittici

Il CONTAM ha provveduto a effettuare un riesame della letteratura scientifica attualmente disponibile in materia e a valutare  il rischio di esposizione per l’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati.

Il Ceirsa, Centro interdipartimentale di Ricerca e documentazione sulla sicurezza alimentare della Regione Piemonte- ASL TO 5, propone una sintesi del Documento “EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain  – Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus seafood”.

Tenuto conto del fatto che i dati attualmente presenti su concentrazioni, tossicità e tossicocinetica sono estremamente ridotti e riguardano esclusivamente le microplastiche, mentre la comunità scientifica non dispone ancora di informazioni per quanto riguarda le nanoplastiche, dal documento Efsa emerge un  rischio di esposizione per l’uomo alle microplastiche in seguito al consumo di pesce basso, dal momento che nella maggior parte dei casi stomaco e intestino dei pesci vengono eliminati.

Il rischio può invece risultare maggiore quanto riguarda i molluschi bivalvi e i crostacei, di cui viene consumato il tratto gastroenterico.

In ogni caso l’Efsa in conclusione raccomanda un’ulteriore implementazione e standardizzazione dei metodi analitici per il rilevamento delle micro e nanoplasticheper al fine di valutare la loro presenza e quantificarla negli alimenti. Si rendono inoltre necessari ulteriori studi volti ad approfondire la tossicocinetica e tossicità di tali composti sia negli organismi marini che nell’uomo.

A cura della segreteria SIMeVeP




Le nanoplastiche sono ormai un ingrediente della dieta umana

microplastiche

Riportiamo un articolo pubblicato sul numero 1091 di La Settimana Veterinaria, a cura della dott.ssa Claudia Capua.

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