La farsa di Coldiretti sul “segreto di stato” dei cibi stranieri.

Etichettatura alimentiColdiretti è una lobby che si autodefinisce “la principale organizzazione agricola a livello nazionale ed Europeo che rappresenta le imprese agricole, i coltivatori diretti, gli imprenditori agricoli professionali, le società agricole, le imprese e gli imprenditori ittici, i consorzi, le cooperative, le associazioni e ogni altra entità e soggetto operante nel settore agricolo, ittico, agroalimentare, ambientale e nell’ambito rurale, a livello nazionale, europeo ed internazionale”.

Fonte: ilfattoalimentare.it

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Nuova consultazione sull’etichettatura degli alimenti

Etichettatura alimentiISMEA e Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del Turismo hanno lanciato una seconda consultazione pubblica sul tema dell’etichettatura dei prodotti alimentari, per poter valutare,  a 3 anni di distanza dalla prima, quanto sia maturato l’interesse dell’opinione pubblica italiana sulla trasparenza delle informazioni sull”origine della materia prima e dell’indicazione in etichetta del luogo di trasformazione.

La consultazione pubblica è parte integrante di un progetto più ampio che mira a valutare l’impatto delle recenti norme nazionali sull’etichettatura in particolare dei derivati dei cereali e dei prodotti lattiero caseari, in sperimentazione sino alla prossima entrata in vigore del Regolamento Comunitario che disciplinerà la materia in tutti gli Stati membri.

Il primo sondaggio del 2015 ha visto la partecipazione di oltre 26.500 cittadini e i risultati sono stati alla base dei successivi provvedimenti normativi riguardanti l’etichettatura di origine di alcuni alimenti come pasta, latte e conserve di pomodoro.

La consultazione pubblica ha come destinatari tutti coloro che sono direttamente o indirettamente interessati al tema e hanno voglia di esprimere la propria opinione, siano essi singoli cittadini-consumatori o operatori delle filiere agroalimentarisarà ed è isponibile fino al 30 novembre.

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A cura della segreteria SIMeVeP




L’etichettatura sull’origine dei prodotti promuove le economie locali e lo sviluppo sostenibile

Un nuovo studio ha rilevato che i prodotti alimentari collegati al loro luogo di origine sono economicamente e socialmente vantaggiosi per le aree rurali da cui provengono e promuovono lo sviluppo sostenibile.

I prodotti alimentari registrati con un’etichetta d’indicazione geografica vantano a livello mondiale un valore commerciale annuale di oltre 50 miliardi di dollari. Tali prodotti hanno caratteristiche, qualità e reputazioni specifiche derivanti dalla loro origine geografica.

Lo studio Rafforzamento dei sistemi alimentari sostenibili attraverso le indicazioni geografiche condotto dalla FAO e dalla Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, analizza l’impatto economico della registrazione dell’indicazione geografica in nove studi di casi: il caffè colombiano, il tè Darjeeling (India), il cavolo Futog (Serbia), il caffè Kona (Stati Uniti), il formaggio Manchego (Spagna), il pepe Penja (Camerun), lo zafferano Taliouine (Marocco), il formaggio Tête de Moine (Svizzera) e il vino Vale dos Vinhedos (Brasile).

In tutti e nove i casi, la registrazione legata all’origine ha sostanzialmente aumentato il prezzo del prodotto finale, con un valore aggiunto compreso tra il 20% e il 50%. Uno dei motivi è che i consumatori identificano caratteristiche uniche – come gusto, colore, consistenza e qualità – in prodotti con lo status d’indicazione geografica, e come tali sono disposti a pagare prezzi più alti.

Le indicazioni geografiche sono un approccio alla produzione alimentare e ai sistemi di marketing che pongono considerazioni sociali, culturali e ambientali al centro della catena di valore”, ha affermato Emmanuel Hidier, Economista del Centro investimenti della FAO. “Possono essere un percorso per lo sviluppo sostenibile delle comunità rurali promuovendo prodotti di qualità, rafforzando le catene di valore e migliorando l’accesso a mercati più remunerativi“.

Lo studio di casi: il pepe Penja e il cavolo Futog

Nel caso del pepe Penja, un pepe bianco coltivato nel terreno vulcanico della Valle Penja in Camerun – il primo prodotto africano a ricevere un’etichetta geografica – la registrazione ha contribuito a far aumentare di sei volte il reddito degli agricoltori locali.

Il processo – dall’impostazione degli standard alla registrazione e alla promozione – ha avvantaggiato non solo gli agricoltori locali, ma l’intera area locale in termini di entrate, produttività, crescita di altre industrie connesse e, soprattutto, l’inclusione di tutte le parti interessate“, ha affermato Emmanuel Nzenowo, dell’associazione dei produttori del pepe Penja.

La denominazione d’origine per il cavolo Futog, coltivato nelle fertili pianure lungo il Danubio, nel nord della Serbia, ha fornito a una piccola comunità di coltivatori un aumento sostanziale dei redditi negli ultimi anni, con alcuni agricoltori che hanno ottenuto un aumento del 70% del prezzo di vendita.

A partire dalla registrazione del prodotto, i produttori locali hanno iniziato a lavorare più strettamente insieme e questo ha contribuito a proteggere la qualità unica del cavolo Futog e la sua tradizione agricola. Ha anche contribuito a difenderne il nome e la reputazione, di cui in passato si era spesso abusato“, ha dichiarato Miroljub Jankovic della Futog Cabbage Association.

Non solo per ragioni economiche: si collegano prodotti, luoghi e persone

La registrazione di prodotti legati al loro luogo di origine ha implicazioni che vanno ben oltre i guadagni economici. I produttori e i trasformatori locali al centro del processo di registrazione contribuiscono a rendere i sistemi alimentari più inclusivi e più efficienti. Insieme, i produttori sviluppano le qualità specifiche del prodotto e promuovono e proteggono l’etichetta di origine. La creazione di tali etichette stimola anche il dialogo tra settore pubblico e privato, con le autorità pubbliche spesso strettamente associate al processo di registrazione e certificazione.

Nelle nostre regioni vicine all’unione Europea c’è un forte interesse per la denominazione d’origine controllata da parte dei governi, che possono vedere in che misura hanno innescato uno sviluppo rurale positivo in paesi come la Francia e l’Italia“, ha dichiarato Natalya Zhukova, Direttrice della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, responsabile del settore agroalimentare. “Ora, i nostri clienti agroindustriali nei settori della vendita al dettaglio e della trasformazione sono anche interessati a sostenere i processi e i mercati della denominazione d’origine in quanto possono vedere che i consumatori nei mercati locali e in quelli dell’UE sono interessati all’origine e alla qualità del cibo“.

Trovare il giusto equilibrio

La registrazione dell’indicazione geografica protetta segue le leggi e i regolamenti definiti da ciascun paese. A livello internazionale, le etichette sono regolamentate e protette ai sensi dell’accordo TRIPs, un accordo multilaterale sui diritti di proprietà intellettuale riconosciuto da tutti i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Lo studio riconosce un numero di ostacoli che i produttori devono prendere in considerazione prima di richiedere un’etichetta di origine. Ad esempio, alcuni produttori su piccola scala o tradizionali potrebbero rimanerne esclusi se le specifiche del prodotto sono eccessivamente industrializzate o se sono onerose in settori come l’imballaggio.

Il rapporto sottolinea inoltre che deve essere preso in considerazione l’impatto ambientale e le specifiche devono includere requisiti per proteggersi dal sovra-sfruttamento delle risorse naturali.

Uno strumento per lo sviluppo sostenibile

“I legami unici di questi prodotti con le risorse naturali e culturali delle aree di provenienza li rendono uno strumento utile per il progresso degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare preservando un patrimonio alimentare e contribuendo a diete sane”, ha affermato Florence Tartanac, Funzionario senior della Divisione FAO Nutrizione e Sistemi Alimentari.

La FAO e la EBRD hanno lavorato insieme per sostenere i produttori e le autorità locali nello sviluppo di prodotti d’indicazione geografica sostenibile in paesi come Montenegro, Serbia e Turchia. La FAO collabora anche con altri partner per promuovere prodotti basati sulla denominazione d’origine in Afghanistan, Benin e Tailandia, tra gli altri.

Fonte: Fao




Gaianews intervista Maurizio Ferri

Maurizio Ferri, componente del Consiglio direttivo SIMeVeP, è stato intervistato da gaianews.it sul tema dell’etichettatura dei prodotti alimentari. Dalle indicazioni obbligatorie a quella supplementari, dalla comprensibilità delle informazioni al ruolo e responsabilità del consumatore per scelte sicure e consapevoli.

Un approfondimento particolare è dedicato al sistema di etichettatura volontario “Traffic Light” introdotto dal Regno Unito.

Istruzioni per l’uso delle etichette alimentari: intervista a Maurizio Ferri

Traffic Light, il nuovo ‘sistema a semaforo’ tra critiche e polemiche. Intervista all’esperto




Pubblicati atti-Il Laboratorio delle Etichette Alimentari. Normativa nazionale ed Ue

Pubblicati gli atti
Sono pubblicati gli atti del corso “Il Laboratorio delle Etichette Alimentari. Normativa nazionale ed Ue” svoltosi a Termoli (CB) il 28 settembre2017.

Leggi anche:

Tanti produttori al corso di etichettatura: “Formazione fondamentale” – primonumero.it

 




Migliorare l’uso delle date di conservazione e scadenza per prevenire lo spreco alimentare

AlimentiLa Commissione europea Ue ha pubblicato uno studio sull’utilizzo delle date di conservazione e scadenza nel sistema di etichettatura e sulle altre informazioni fornite sulle etichette degli alimenti, ai fini della prevenzione dei rifiuti alimentari.

Ne emerge che lo spreco alimentare generato annualmente in Unione europea (88 milioni di tonnellate di cibo) collegato alle data di conservazione e scadenza ammonta fino al 10% del totale, dunque un uso migliore e la comprensione delle date date utilizzate – da parte di tutti gli attori della filiera alimentare – aiuterebbe a prevenire lo spreco .

Lo studio ha riguardato l’applicazione pratica della legislazione Ue sull’uso delle date indagando come queste siano utilizzate sul mercato, sia dagli Operatori del Settore Alimentare che dalle Autorità di controllo. Attraverso 109 visite in negozi di 8 Stati membri (Germania, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Spagna e Svezia) sono state raccolte e analizzate le date etichettate su 2.296 prodotti provenienti da 1,058 marchi alimentari relativi a 10 prodotti alimentari predefiniti (frutta/verdura pre-confezionata, pane affettato preconfezionato, pesce fresco, prosciutto affettato, latte fresco, yogurt, formaggio a pasta dura, succo fresco refrigerato, pasta fresca pre-preparata e ketchup).

Lo studio ha effettivamente verificato un’ampia diversità di utilizzo delle date indicate in etichetta (non solo in relazione al tipo di prodotto alimentare preso in esame, ma anche variazioni da Stato a Stato), oltre a una scarsa leggibilità della stessa (sull’11% dei prodotti campionati) che non facilita la comprensione da parte del consumatore.

L’analisi evidenzia che l’utilizzo delle date da parte degli OSA è influenzato da diversi fattori come la sicurezza alimentare e considerazioni tecnologiche, le prassi consuetudinarie nazionali e fattori specifici delle aziende produttrici .

Lo studio sottolinea quindi come l’innovazione e la cooperazione fra tutti gli attori della filiera alimentare possono giocare un ruolo importante nella prevenzione dello spreco alimentare e che, per alcuni settori, sarebbero necessarie delle indicazioni ulteriori da parte della autorità di controllo, ad esempio per facilitare la ridistribuzione del cibo che ha superato il Termine Minimo di Conservazione (TMC) “da consumarsi preferibilmente entro“.

In particolare sono necessarie linee guida tecniche per le aziende produttrici su come determinare la data di conservazione, come scegliere fra le diciture “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro“, consigli per la conservazione e l’estensione della vita commerciale dei prodotti; alle aziende sono anche richieste azioni specifiche per rimediare al problema delle etichette illeggibili.

Così come sono ritenute necessarie campagne di divulgazione rivolte ai consumatori per migliorare la comprensione della data di scadenza e del TMC e aiutarli quindi a fare scelte informate.

La Commissione considera il tema della date di conservazione e scadenza dei prodotti alimentari come parte del “Piano per l’economia circolare”. Per esaminare i risultati dello studio sarà creato, nell’ambito della Piattaforma sulle perdite e sullo spreco alimentare, uno specifico sottogruppo di lavoro per discutere delle possibili implicazioni per la prevenzione dello spreco alimentare con l’obiettivo di individuare le opzioni (legislative e non) da percorrere e di guidare l’azione coordinata degli attori coinvolti.

Lo studio ha provveduto anche a una revisione dei dati per identificare le principali categorie alimentari che contribuiscono allo spreco verificando che frutta e verdura rappresentano il 33% del totale (16,2 milioni di tonnellate) dei rifiuti alimentari evitabili nell’Ue a 28. Seguono prodotti da forno (21%, 10,5 milioni di tonnellate), pesce e carni (10%, 4,8 milioni di tonnellate) e prodotti lattiero-caseari (10%, 4,7 milioni di tonnellate).

Intervenire sulle date in etichetta per ridurre gli sprechi, conclude lo studio, avrebbe comunque senso in particolare per alcuni prodotti, come latte e yogurt, succhi di frutta freschi, carne refrigerata e pesce.

Lo studio “Market study on date marking and other information provided on food labels and food waste prevention“.

A cura della segreteria SIMeVeP