Covid-19 e salvataggio degli animali domestici, il ruolo dei veterinari nella relazione uomo-animale-ambiente

logo emervetE’ stato pubblicato sulla rivista internazionale “Journal of Applied Animal Ethics Research” l’articolo “COVID-19 Pandemic and Rescue of Pets. The Role of Veterinarians in the Human-Animal-Environment Relationship at the Time of the Coronavirus” di Serena Adamelli, Antonio Tocchio e Carlo Brini,  una riedizione di quanto già presente con il titolo “Pandemia Covid19:Codice della Protezione Civile e soccorso degli animali domestici. Il ruolo dei Medici Veterinari nella relazione uomoanimaleambiente al tempo del Coronavirus” nella raccolta  Contributi per capire la Pandemia da Sars-Cov-2 lanciata da SIMeVeP e SIVeMP a inizio pandemia.

“Le attività di salvataggio degli animali richiede capacità di formazione e collaborazione per tutte le figure professionali coinvolte. Al giorno d’oggi la vera sfida per tutti i soccorritori è considerare i molteplici aspetti del rapporto uomo-animale-ambiente che sono cambiati profondamente nel corso della storia e che rendono unica nel suo genere la pandemia di COVID-19. In questo periodo l’emergenza da affrontare consiste nel fornire l’assistenza agli animali appartenenti a persone decedute, ricoverate in ospedale o costrette a isolarsi. Un’attenta analisi dei diversi scenari rivela che non esiste un’unica soluzione per intervenire, ma che è necessario trovare l’alternativa più adatta ai singoli casi. Lo scopo del documento proposto è di offrire indicazioni specifiche a volontari, veterinari e non, in diversi scenari non perdendo di vista l’obiettivo: proteggere il benessere dell’animale e del suo proprietario, evitando la diffusione dell’infezione”.




Potenziale ottimizzazione della sorveglianza COVID-19, integrando approcci di sorveglianza veterinaria

E’ pubblicato su sardegnasoprattutto.com un contributo di Maurizio Ferri (Coordinatore scientifico SIMeVeP) e Alessandro Foddai (National Food Institute, Technical University of Denmark) sulla opportunità dell’applicazione una strategia di sorveglianza veterinaria veterinaria per la sorveglianza COVID-19, come supporto aggiuntivo alle altre professionalità in virtù della condivisione di esperienze sul controllo delle infezioni animali, comprese le zoonosi trasmissibili dall’animale all’uomo, come appunto COVID-19.

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Conclusa indagine OMS a Wuhan: i dati conducono a origine animale di SARS-CoV-2

Tutti i dati che abbiamo raccolto sin qui ci portano a concludere che l’origine del coronavirus è animale”. Lo ha detto il capo della missione dell’Oms a Wuhan, Peter Ben Embarek, in una conferenza stampa nella città cinese, primo focolaio del coronavirus.

Il lavoro sul campo su quello che è successo all’inizio della pandemia di coronavirus non ha stravolto le convinzioni che avevamo prima di cominciare”, ha detto ancora il ricercatore.

Della stessa opinione anche il professor Lian Wannian, a capo della delegazione di 17 esperti cinesi che ha affiancato la missione dell’Oms.

Le ricerche effettuate sul coronavirus sin qui suggeriscono che abbia un’origine “animale” ma non è chiaro quale sia l’esemplare “ospite” ha detto sottolineando che “pipistrelli e pangolini sono i più probabili candidati alla trasmissione, ma i campioni di coronavirus trovati in quelle specie non sono identici al Sars-CoV-2”.

Non ci sono tracce sostanziali della diffusione del coronavirus in Cina prima della fine del 2019. E non ci sono prove che circolasse a Wuhan prima del dicembre del 2019”, ha detto il professor Lian Wannian.

Molti casi di contagio sono «stati rilevati nella seconda metà di dicembre. Dal punto di vista epidemiologico il virus è stato trovato al mercato del pesce Huanan, ma altri casi in altri mercati. Non è possibile concludere che il virus sia arrivato per primo al mercato Huanan».

«L’ipotesi della fuga dal laboratorio del coronavirus è estremamente improbabile». lo ha detto il capo missione dell’Oms a Wuhan, Peter Ben Embarek. Il capo missione dell’Oms ha anche sottolineato che raccomandazione per il futuro è di non continuare «le ricerche» nella direzione di una fuga del Codi dal laboratorio di Wuhan.

Sappiamo che il virus può sopravvivere nei cibi surgelati, ma non sappiamo ancora se da questi si può trasmettere all’uomo. Su questo servono più ricerche”. Ha detto Peter Ben Embarek. “L’ipotesi che il Covid attraverso il commercio di prodotti surgelati è possibile ma molto lavoro deve essere ancora fatto in questo ambito”, ha aggiunto.

Il lavoro congiunto in Cina del team di esperti dell’Oms e di Pechino “è terminato” e ora il lavoro di tracciamento dell’origine del Covid-19 procederà nel resto del mondo e “non sarà vincolato ad alcuna località”, ha affermato Lian Wannian che ha anche aggiunto che la Cina sosteniene “il lavoro e l’azione dell’Oms”.

La notizia sul sito dell’Onu (in inglese)

Il video della conferenza stampa (in inglese)




Covid, troppe vittime e poco tracciamento

zoonosi viraleNonostante l’indice Rt in discesa, il numero dei decessi da/con Covid- 19 continua a rimanere ancora troppo elevato, a dispetto delle 8 settimane già trascorse da quando il trend dei contagi ha iniziato a invertire la rotta.

Sebbene il numero delle morti sia l’ultimo parametro destinato a subire una flessione, penso che dovremmo oramai assistere a una riduzione dei decessi ben più marcata di quella attualmente rilevata” afferma Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, in una lettera pubblicata da Il Fatto Quotidiano con la quale il Professore indaga le possibili cause, rintracciabili anche nell’interpretazione dei numeri.




Gli strumenti diagnostici nella strategia di sorveglianza epidemiologica di COVID-19

Maurizio ferri, Coordinatore Scientifico SIMeVeP, analizza gli strumenti diagnostici oggi disponibili all’interno dei programmi di sorveglianza per COVID-19, come la loro scelta dipenda dal contesto epidemiologico, l’accuratezza degli stessi e l’ effetto delle varianti su test diagnostici e vaccinazioni.

E’ chiaro – sostiene Ferri in conclusione – che per garantire in futuro l’accuratezza dei test diagnostici (molecolare ed antigenico) è di fondamentale importanza portare avanti i programmi di vaccinazione il più rapidamente possibile, catalogare gli obiettivi genomici della diagnostica SARS-CoV-2 e sequenziare in maniera regolare e diffuso i campioni clinici”.

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CoViD-19, influenza e morbillo, una salvifica alleanza fra vaccini

A pochi giorni dall’avvio della campagna vaccinale in Italia, che dovrebbe auspicabilmente portare all’immunità di gregge nei confronti di  SARS-CoV-2 entro al fine del 2021, il Prof. Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, con  una lettera al Direttore pubblicata su Quotidiano Sanità, invita a riflettere sulla contestuale importanza della vaccinazione anti-influenzale “di massa” e dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo.

Recentemente sulle pagine della prestigiosa Rivista Science, è stato descritto il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace d’indurre una singolare condizione di “amnesia immunitaria” nei pazienti infetti. Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo “si dimenticherà”, per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere “incontrato” in precedenza a seguito di un’infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.

Conclude Di Guardo

“Proviamo ad immaginare, per un solo istante, quale “catastrofe” potrebbe avere origine dal “ritorno” del morbillo in un contesto d’immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale nei confronti della CoViD-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!”




I Veterinari, la pandemia COVID-19 e i vaccini

vaccinoDi Maurizio Ferri
Coordinatore scientifico Società Italiana di Medicina veterinaria preventiva (SIMeVeP)

SIMEVEP: In un’ottica One Health è quanto più necessaria una collaborazione interprofessionale tra la medicina veterinaria e quella umana. L’esperienza sul campo e la ricerca veterinaria su virus patogeni nei selvatici con potenziale epidemico o pandemico possono contribuire alla messa a punto di vaccini e di strategie di controllo della pandemia COVID-19 e di prevenzione di quelle future

La pandemia COVID-19  ha fatto emergere una interrelazione stretta tra la salute delle persone, la sanità animale e la protezione dell’ambiente.  Questo scenario,  non nuovo se si considerano la passate pandemie SARS (2002),  HIN1 (2009) e MERS (2012) deve richiamare i Governi e le istituzioni sanitarie ad un impegno preciso ed inderogabile:  declinare con forza  e consapevolezza le azioni di prevenzione e controllo delle infezioni secondo una visione olistica-globale che attiene il concetto One Health.  Lo sforzo da compiere,  a cui siamo chiamati tutti,  in primis i decisori è di lavorare per trovare una convergenza delle professionalità che operano in settori diversi della sanità pubblica,  ma che condividono gli stessi interessi ed obiettivi sanitari,   ed inserire  le emergenze sanitarie all’interno di un sistema molto più ampio per assicurare interventi di prevenzione e controllo efficaci e sostenibili.   Per garantire l’efficacia dei piani pandemici e la loro coerenza con l’approccio One Health,  occorre abbattere gli steccati tra le professioni e sviluppare sinergie ed integrazioni metodologiche tra la medicina veterinaria e quello umana,  al netto del contributo altrettanto essenziale di altre figure professionali come sociologi, ingegneri, antropologi,  esperti ambientali,  economisti.

I piani pandemici devono prevedere opportuni  e sempre aggiornati programmi di sorveglianza integrata finalizzati al rilevamento di segnali spill-over in contesti eco-ambientali con stretta interfaccia animale-umana e con potenziale epidemico o pandemico,  oltre che assicurare una più ampia mobilizzazione delle competenze veterinarie (epidemiologi, virologi)  all’interno delle task force nazionali.  Detti piani devono inoltre far proprio un modello simile a quello militare,  in cui le operazioni,  comprensive delle esercitazioni annuali di simulazione di epidemie,  vengono realizzate  già in tempi di pace,  sostenute da strumenti e dalla definizione di ruoli specifici all’interno di una piano strategico che consenta di essere sapere quando e come rispondere, ed essere più preparati a contrastare le future pandemie.  In sostanza si tratta di un guerra tra noi ed il virus!  Per tradurre ciò su scala nazionale è imperativo che la politica assicuri capitoli di finanziamenti ad hoc per la prevenzione e gestione delle ‘emergenze pandemiche,’ sotto la guida delle istituzioni sanitarie.

I veterinari e la sorveglianza epidemiologica.

La professione veterinaria parte già con un forte accento One Health  in virtù delle esperienze fatte sul terreno della sorveglianza  delle infezioni negli animali che si trasmettono alle persone  (es. zoonosi come Salmonella e Campylobacter) per la loro prevenzione e controllo,  gestione delle passate epidemie animali e costruzione di vaccini.  Questo bagaglio professionale va sostenuto perché è funzionale alla gestione della pandemia COVID-19 e di quelle future.  Un esempio eccellente della sorveglianza  in chiave One-Health  è il  piano nazionale di preparazione e risposta all’infezione West Nile,  che colpisce i cavalli,  si trasmette all’uomo ed è endemica in alcune regioni italiane,  principalmente nelle province del Nord situate nel bacino del Po.  Dal 2018 nel nostro paese sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di malattia neuro-invasiva da West Nile.  L’applicazione del piano  ha permesso ai veterinari di rilevare la circolazione virale nei vettori (zanzare del genere Culex) nove giorni prima dell’insorgenza dei sintomi del primo caso umano confermato.  Ciò ha consentito di attivare risposte tempestive sia per il controllo vettoriale, sia per l’applicazione in medicina umana delle misure di sicurezza nelle donazioni del sangue e trapianti e per prevenire la trasmissione dell’infezione umana.

I veterinari ed i vaccini

La narrativa sui primi vaccini nella storia dell’umanità si intrecciano con gli animali e veterinari. Già il termine vaccino,  nel senso etimologico di bovino,  designava il vaiolo dei bovini (cowpox)  o vaiolo vaccino.  Ad Edward Jenner si deve nel 1796 il  vaccino contro la variante umana (smallpox) del virus del vaiolo.  Il medico e naturalista britannico,  osservò che i contadini contagiati dal vaiolo bovino una volta superata la malattia,  non si ammalavano della sua variante di gran lunga più grave.  L’inoculazione di materiale purulento da una donna ammalata di cowpox al braccio di un ragazzo di otto anni lo rese immune e prevenne la malattia.  Da allora il vaiolo vaccino ha permesso di debellare a livello mondiale la malattia.  Successivamente,  nel 1880,  Louis Pasteur dimostrò l’applicabilità dello stesso principio,  utilizzando colture di germi responsabili del colera dei polli che conferivano resistenza contro le infezioni batteriche nell’uomo e chiamò vaccino la coltura batterica.

Oggi, in un’ottica One Health si colloca la creazione di vaccini animali contro alcune zoonosi.  Mi piace citare la ricerca sui virus del papilloma nei conigli e bovini che ha contribuito allo sviluppo del vaccino contro il papillomavirus umano somministrato alle ragazze per prevenire il cancro cervicale.  Riguardo invece ai coronavirus,  la veterinaria  da decenni studia le relative infezioni  animali  (cani,  gatti ed animali  da allevamento) ed ha messo a punto vaccini efficaci per prevenirle.  I veterinari sanno che i coronavirus isolati per lo sviluppo di vaccini contro alcune infezioni animali sono rimasti in gran parte invariati per decenni,  il che suggerisce un basso tasso di mutazione rispetto ad altri virus come l’influenza,  che  al contrario richiedono vaccini stagionali contro gli ultimi ceppi circolanti.  Forse ciò può costituire una lezione preziosa per lo studio dei vaccini contro il coronavirus?  In  sostanza  le tecnologie esistenti ed il relativo know-how  non necessitano di essere inventati dal nulla.   E questo ci conduce ad un esempio eccellente dell’approccio One Health per la costruzione di vaccini,  che consente alle diverse discipline di ricerca di collaborare per fornire soluzioni che giovino contemporaneamente agli animali,  alle persone e agli ecosistemi.   Ed è  il nuovo vaccino contro la Febbre della Valle del Rift (FVR),  denominato ChAdOx1,  sviluppato dal  Jenner Institute  presso l’Università di Oxford e la cui l’efficacia protettiva è stata confermata dai ricercatori del Pirbright Institute nel Regno Unito. La FVR è un’infezione che colpisce i ruminanti  e si trasmette all’uomo attraverso il contatto con animali infetti e relativi tessuti contaminati,  oltre che con la puntura di zanzare infette.   L’infezione umana può condurre a cecità,  encefalite e febbre emorragica,  ed ad oggi non esistono vaccini umani.   La tecnologia ChAdOx1 si basa sull’utilizzo di un vettore costituito da un adenovirus della scimmia non replicante integrato con i geni che codificano alcune glicoproteine dell’envelope virale responsabili della risposta immunitaria.   Oltre che per la FVR,  il vaccino vettoriale ChAdOx1 viene attualmente sperimentato per le infezioni virali umane MERS, Chikungunya   e  Nipha   che riconoscono tutte un serbatoio animale.   La stessa tecnologia ChAdOx1 è stata impiegata sempre dal Jenner Institute in collaborazione con la casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca per lo sviluppo del vaccino umano vettoriale ChAdOx1 nCov-19 contenente il materiale genetico della proteina Spike del virus SARS-CoV-2,  attualmente in attesa di essere autorizzato dall’European Medicines Agency (EMA).

Il contributo è stato pubblicato da Quotidiano Sanità




La nuova variante inglese VOC 202012/01 di SARS-COV-2 e potenziali effetti sui vaccini ed immunità naturale

Nelle prime settimane di dicembre le autorità sanitarie del Regno Unito registrano un rapido aumento dei casi di COVID-19 nella regione del Kent, nel sud-est del paese.

L’analisi delle sequenze genomiche del virus SARS-CoV-2 isolato da pazienti consente di associare un’ampia percentuale di casi (60%) ad un nuovo cluster filogenetico. Si tratta di una variante del virus o più precisamente di una famiglia di varianti che si collocano in un ramo evolutivo dell’albero filogenetico di SARS-CoV-2 e caratterizzate da una combinazione di delezioni (assenza di piccoli pezzi di genoma virale) e di mutazioni nella proteina S (degli spikes) mai viste nel panorama delle tante varianti che circolano nel mondo.

Infatti presentano in maniera insolita 17 mutazioni di recente denominate Variant of Concern 202012/01 (VOC) dal Public Health England

L’analisi di Maurizio Ferri Coordinatore scientifico SIMeVeP




SARS-CoV-2. Virus “parenti” nei pipistrelli in Giappone e Cambogia

Trovati “parenti stretti” del virus Sars-CoV-2 in due laboratori fuori dalla Cina. Un gruppo di ricercatori ha riferito alla rivista Nature di aver trovato un coronavirus strettamente correlato a SARS-CoV-2 nei pipistrelli a ferro di cavallo conservati in un congelatore in Cambogia. Nel frattempo, un team in Giappone ha segnalato la scoperta di un altro coronavirus strettamente correlato, trovato negli escrementi di pipistrello congelati. I virus sono i primi parenti noti di SARS-CoV-2 a essere trovati al di fuori della Cina e confermano quanto concluso dall’Organizzazione mondiale della sanità e cioè che la pandemia ha origini animali.

Ci sono evidenze forti che suggeriscono che SARS-CoV-2 abbia avuto origine nei pipistrelli a ferro di cavallo, ma rimane un mistero se sia passato direttamente dai pipistrelli alle persone o attraverso un ospite intermedio.

Il virus in Cambogia è stato trovato in due pipistrelli a ferro di cavallo di Shamel (Rhinolophus shameli) catturati nel Nord del paese nel 2010. Il genoma del virus non è stato ancora completamente sequenziato – né la sua scoperta è stata pubblicata – rendendo difficile accertare il pieno significato della sua esistenza per la pandemia.

Se il virus è strettamente correlato a quello pandemico o addirittura a un suo antenato, potrebbe fornire informazioni cruciali su come SARS-CoV-2 è passato dai pipistrelli alle persone e confermare ulteriormente che l’origine della pandemia è animale, afferma Veasna Duong, un virologo presso l’Istituto Pasteur in Cambogia a Phnom Penh, che ha guidato la ricerca sui vecchi campioni in Cambogia e che ha allertato Nature della sua scoperta all’inizio di novembre. Per fornire queste informazioni, il virus dovrebbe condividere più del 97 per cento del suo genoma con SARS-CoV-2, diventando così il parente più stretto conosciuto.

Ma il nuovo virus potrebbe essere anche più distante e in questo caso studiarlo aiuterà gli scienziati a saperne di più sulla diversità in questa famiglia di virus, secondo Etienne Simon-Loriere, virologo presso l’Istituto Pasteur di Parigi, che prevede di sequenziare il virus e poi pubblicare i risultati.

L’altro virus si chiama Rc-o319 ed è stato identificato in un piccolo pipistrello giapponese a ferro di cavallo (Rhinolophus cornutus) catturato nel 2013.

Questo virus condivide l’81 per cento del suo genoma con SARS-CoV-2, il che rende un parente meno stretto e che quindi può dirci poco sull’origine della pandemia, secondo Edward Holmes, virologo dell’Università di Sydney in Australia. “Indipendentemente da ciò che ha trovato il team cambogiano, entrambe le scoperte sono entusiasmanti perché confermano che i virus strettamente correlati a SARS-CoV-2 sono relativamente comuni nei pipistrelli Rhinolophus e persino nei pipistrelli trovati fuori dalla Cina”, scrive Nature citando Alice Latinne, biologa evolutiva del Wildlife. “Questo è quello che stavamo cercando e l’abbiamo trovato”, dice Duong.

È stato emozionante e sorprendente allo stesso tempo”, aggiunge. I risultati suggeriscono anche che altri parenti di SARS-CoV-2 non ancora scoperti potrebbero essere conservati nei congelatori di qualche laboratorio, afferma Aaron Irving, un ricercatore di malattie infettive presso l’Università di Zhejiang a Hangzhou, in Cina, che ha in programma di testare campioni conservati di pipistrelli e altri mammiferi per gli anticorpi contro SARS-CoV-2.

Non mi aspettavo di trovare un parente di SARS-CoV-2”, dice il virologo Shin Murakami presso l’Università di Tokyo, che faceva parte del team che ha deciso di riesaminare i campioni di animali congelati. Solo una manciata di coronavirus noti sono strettamente correlati a SARS-CoV-2, incluso il suo parente più vicino noto, RaTG13. Questo è stato scoperto in pipistrelli a ferro di cavallo intermedi (Rhinolophus affinis) nella provincia cinese dello Yunnan nel 2013. Ci sono anche molti altri coronavirus, trovati in altri pipistrelli e pangolini catturati tra il 2015 e il 2019, che gli scienziati ora sanno essere strettamente correlati a SARS-CoV-2.

SARS-CoV-2 probabilmente non era un virus nuovo di zecca che è apparso all’improvviso. I virus in questo gruppo esistevano prima che ne venissimo a conoscenza nel 2019”, afferma Tracey Goldstein, direttore associato del One Health Institute presso l’Università della California, Davis, che ha collaborato con il team cambogiano. Latinne afferma che le scoperte confermano che i pipistrelli Rhinolophus sono il serbatoio di questi virus. Il team di Duong ha catturato i pipistrelli a ferro di cavallo di Shamel in Cambogia come parte del progetto PREDICT finanziato dal governo degli Stati Uniti, che per decenni ha esaminato la fauna selvatica in tutto il mondo alla ricerca di virus con potenziale pandemico e si è concluso all’inizio di quest’anno.

Ad aprile, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale ha assegnato al programma ulteriori 3 milioni di dollari e un’estensione di 6 mesi per cercare prove di SARS-CoV-2 in campioni animali – principalmente pipistrelli, pangolini e altri animali – conservati in congelatori da laboratorio in Laos, Malesia, Nepal, Thailandia, Vietnam e Cambogia. Un rapporto completo di queste indagini è previsto nelle prossime settimane.

Duong afferma che il sequenziamento preliminare del genoma di un breve frammento del nuovo virus pipistrello – lungo 324 paia di basi – ha mostrato che era simile in una particolare regione di SARS-CoV-2 e RaTG-13, suggerendo che i tre sono strettamente correlati. Quella regione è altamente conservata nei coronavirus, dice Latinne, e viene spesso utilizzata per identificare rapidamente se un virus è nuovo o noto. Ma non è ancora chiaro se RaTG-13 o il nuovo virus sia più strettamente correlato a SARS-CoV-2. È difficile dirlo con un frammento così piccolo, dice Vibol Hul, virologo anche presso l’Istituto Pasteur in Cambogia, che ha catturato i pipistrelli a ferro di cavallo di Shamel all’ingresso di una grotta nel 2010. In un’analisi separata, il team della Cambogia ha sequenziato circa il 70 per cento del genoma del nuovo virus. Da quella sequenza mancavano le istruzioni per le parti cruciali del virus, come i geni che codificano la proteina spike che i coronavirus usano tipicamente per entrare nelle cellule. Il sequenziamento di quella sezione indicherà se questo virus può infettare le cellule umane, afferma Duong.

Il nuovo virus dovrebbe essere almeno per il 99 per cento simile a SARS-CoV-2 per essere considerato un antenato immediato dell’attuale virus pandemico, afferma Irving. I genomi di RaTG13 e SARS-CoV-2 differiscono solo del 4 per cento, ma questa divergenza rappresenta tra i 40 ei 70 anni di evoluzione poiché condividevano un antenato comune. Anche se a distanza di decenni, i virus sono abbastanza simili da utilizzare lo stesso recettore per entrare nelle cellule. Gli studi sulle cellule suggeriscono che RaTG13 potrebbe infettare le persone. Tra i coronavirus noti relativi alla SARS-CoV-2, l’Rc-o319 appena scoperto sembra essere il più distante, dice Duong. Negli studi sulle cellule, il team giapponese ha scoperto che il virus non può legarsi al recettore che SARS-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule umane, suggerendo che non potrebbe infettare facilmente le persone.

Shin afferma che i suoi colleghi hanno catturato più pipistrelli in Giappone all’inizio di quest’anno e hanno in programma di testarli per i coronavirus. E in ottobre, Hul è tornato nella grotta nel Nord della Cambogia per catturare altri pipistrelli. Probabilmente esistono più coronavirus correlati a SARS-CoV-2 nelle popolazioni di pipistrelli Rhinolophus, che vivono in tutta la regione, afferma Holmes. “Si spera che uno o più di questi siano così strettamente correlati a SARS-CoV-2 che possiamo considerarlo il vero antenato”, conclude.




Vaccini anti-CoViD-19 e trombosi, alcune domande cruciali

E’ pubblicato su “La Città” del 25 aprile 2021 un interessante articolo di Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, che pone una serie di temi che andrebbero approfonditi a proposito dei pur assai rari incidenti trombotici (1 caso ogni 150-200.000 vaccinati, con esito infausto riportato in circa 1.000.000-1.500.000 di soggetti vaccinati, soprattutto di sesso femminile e di età inferiore ai 50 anni) riscontrati a seguito dell’utilizzo dei 2 vaccini anti-CoViD-19 a vettore virale, prodotti da AstraZeneca e Johnson & Johnson.

Ribadendo che il rischio zero è un’utopia e che i benefici della vaccinazione sono ben più alti del rischio rappresentato da CoViD-19, il Professore riprende quanto già osservato con una “Lettera all’Editore” recentemente pubblicata sul prestigioso “British Medical Journal”,  suggerendo l’approfondimento dei seguenti aspetti:

  • Qual e’ il motivo o quali sono i motivi per cui i succitati fenomeni trombotici si verificano soprattutto negli individui di sesso femininile e di eta’ inferiore ai 50 anni?
  • Essendo i due vaccini in oggetto basati sulla tecnologia del “vettore virale”, analogamente a quanto accade per il vaccino russo “Spubtnik 5” e a differenza degli altri due vaccini anti- CoViD-19 prodotti dalla Pfizer-BioNTech e da Moderna, che si avvalgono entrambi della tecnologia dell’RNA messaggero, quale sarebbe il ruolo eventualmente esplicato dall’adenovirus che funge da “vettore virale” (assolutamente innocuo per la nostra specie, fra l’altro) nella genesi della condizione “auto-immunitaria” che sarebbe alla base dell’insorgenza delle affezioni trombotiche in parola?
  • Quale sarebbe, inoltre, il contributo eventualmente esercitato dalla “proteina spike” (S) del virus – il piu’ importante ed il piu’  immunogenico antigene di SARS-CoV-2, grazie al quale il virus sarebbe in grado di penetrare all’interno delle nostre cellule – nella genesi delle suddette affezioni?

Si tratta di alcune domande cruciali alle quali la ricerca e’ chiamata a fornire una serie di risposte.

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