Le micro-nanoplastiche, una sempre più consistente minaccia per le balene, i giganti del mare!

L’ingente e progressivamente crescente contaminazione da micro-nanoplastiche (MNP) degli ecosistemi acquatici e terrestri del nostro Pianeta rappresenta senza dubbio un’emergenza di rilevanza prioritaria, come peraltro risulta testimoniato dalla lapidaria “sentenza” emessa qualche anno fa dal “World Economic Forum”, che recita testualmente: “Nel 2050 (vi sarà) più plastica che pesci nei mari e negli oceani del mondo” (World Economic Forum Report, 2016).

A rendere un siffatto scenario ancora più allarmante contribuisce il comprovato ruolo di potenti “attrattori e concentratori” esplicato dalle MNP nei confronti di una vasta gamma di “contaminanti ambientali persistenti”, ivi compresi metalli pesanti quali il metil-mercurio (MeHg), oltre a numerose categorie di xenobiotici di natura organica quali le diossine, i policlorobifenili (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e le sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate (PFAS) (Xiang et al., 2022).

Fra le conseguenze negative di tale fenomeno, ritengo opportuno segnalare la consistente “destabilizzazione” arrecata alle catene trofiche in ambito marino e oceanico, con particolare riferimento alle balene, che da “consumatori secondari” (visto e considerato che di zooplancton normalmente si nutrono) si ritroverebbero “improvvisamente” a scalare numerose posizioni della catena alimentare, attestandosi in pratica sui livelli di “predatori apicali” quali delfini, orche ed orsi polari (Berta et al., 2022).

Le ricadute sulla salute e sulla conservazione di queste gigantesche quanto iconiche creature del mare, sempre più minacciate per mano dell’uomo, sarebbero particolarmente gravi in quei contesti geografici ove si registrano alti livelli di contaminazione chimico-ambientale, quali ad esempio il Mar Mediterraneo (Concato et al., 2023).

Ciò a motivo dei documentati effetti immunotossici e neurotossici prodotti da molti contaminanti ambientali persistenti, nonché dai variegati “cocktail” fra gli stessi, senza peraltro tralasciare la rilevante “interferenza” da essi esplicata nei confronti di molteplici attività e funzioni endocrine dell’ospite (Jeong et al., 2024).

Tale quadro risulterebbe ulteriormente aggravato dalla comprovata azione vettrice esercitata dalle MNP nei confronti di svariati agenti patogeni, ivi compresi batteri antibiotico-resistenti che potrebbero trasferire ad altri microorganismi una serie di geni coinvolti nel fenomeno dell’antibiotico-resistenza (Di Guardo, 2023).

Alla luce di quanto sopra esposto ed in considerazione della grande rilevanza e complessità della problematica qui rappresentata, ritengo che un approccio multidisciplinare, ispirato al principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, possa verosimilmente costituire la migliore strategia sia per quantificare la reale “magnitudo” di tali fenomeni sia per mitigare le conseguenze deleterie connesse alla crescente esposizione alle MNP della cetofauna popolante i mari e gli oceani del nostro Pianeta.

Bibliografia consultata

1) Berta A., Kienle S.S., Lanzetti A. Evolution: Killer whale bites and appetites. Curr. Biol. 2022; 32(8):R375-R377. DOI: 10.1016/j.cub.2022.03.001.
2) Concato M., et al. Detection of anthropogenic fibres in marine organisms: Knowledge gaps and methodological issues. Mar. Pollut. Bull. 2023; 191:114949. DOI: 10.1016/j.marpolbul.2023.114949.
3) Di Guardo G. Flood-Associated, Land-to-Sea Pathogens’ Transfer: A One Health Perspective. Pathogens 2023; 12(11):1348. DOI: 10.3390/pathogens12111348.
4) Jeong H., Ali W., Zinck P., Souissi S., Lee J.S. Toxicity of methylmercury in aquatic organisms and interaction with environmental factors and coexisting pollutants: A review. Sci. Total Environ. 2024; 943:173574. DOI: 10.1016/j.scitotenv.2024.173574.
5) Xiang Y., et al. Microplastics and environmental pollutants: Key interaction and toxicology in aquatic and soil environments. J. Hazard. Mater. 2022; 422:126843. DOI: 10.1016/j.jhazmat.2021.126843.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Cetacei e Malattia di Alzheimer

A dispetto del fatto che la malattia di Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza a livello globale, i modelli animali finora caratterizzati non sarebbero in grado di ricapitolarne in maniera adeguata l’intero spettro delle peculiari lesioni osservate in ambito cerebrale, ovverosia i depositi di ß-amiloide (Aß) e gli aggregati neurofibrillari di proteina tau (1).

Di particolare interesse appare, in proposito, la presenza di alterazioni “Alzheimer-like” recentemente osservate in sede encefalica in alcuni delfini appartenenti alle specie Stenella coeruleoalba e Tursiops truncatus, rinvenuti spiaggiati sulle coste spagnole (2). Analoghe lesioni sono state altresi’ descritte a livello del neuroparenchima cerebrale di esemplari di Cetacei appartenenti alla Famiglia Ziphiidae, in cui le stesse sono state messe in relazione di causa-effetto con reiterati episodi di ipossia a livello della compagine encefalica (3).

L’eziologia delle suddette alterazioni “Alzheimer-like” osservate nei Cetacei e’ stata ascritta alla β-metilamino-L-alanina (BMAA), una neurotossina di origine cianobatterica che sarebbe in grado di accumularsi all’interno delle catene trofiche marine e che era già stata associata in precedenza allo sviluppo di analoghe lesioni cerebrali nei Primati non umani (4). In un siffatto contesto, la posizione di vertice occupata in seno alle catene alimentari marine dai Cetacei Odontoceti (quali sono giustappunto i delfini) li predispone al “bioaccumulo” ed alla conseguente “biomagnificazione” di una folta gamma di “contaminanti ambientali persistenti” quali il “metil-mercurio” (MeHg), fattispecie quest’ultima che risulterebbe di particolare interesse alla luce del documentato sinergismo di azione tossica intercorrente fra BMAA e MeHg (5). A conferma di ciò, l’intensità e la “magnitudo” delle alterazioni “Alzheimer-like” risulterebbero accresciute a livello del tessuto cerebrale di delfini contestualmente esposti a BMAA e MeHg (6).

Dal punto di vista neuropatogenetico, appare significativo il ruolo esplicato dalla “proteina prionica cellulare” (PrPc) quale recettore ad alta affinita’ espresso sulla superficie delle cellule neuronali nei confronti degli oligomeri di ß-amiloide (Aß), oltre che come “mediatore” delle disfunzioni sinaptiche indotte dai succitati oligomeri (7). Ne consegue che sarebbe importante analizzare l’espressione della PrPc anche a livello della compagine encefalica di Cetacei con lesioni “Alzheimer-like”, al precipuo fine di poterli “candidare” quali validi modelli di studio nei confronti della neuropatologia e della neuropatogenesi comparate della malattia di Alzheimer (8).

References

  1. Querfurth, H.W., LaFerla, F.M. (2010). Alzheimer’s disease. N. Engl. J. Med. 362;329-344.
  2. Gunn-Moore, D., Kaidanovich-Beilin, O., Gallego Iradi, M.C., Gunn-Moore, F., Lovestone, S. (2018). Alzheimer’s disease in humans and other animals: A consequence of postreproductive life span and longevity rather than aging. Alzheimers Dement. 14:195-204.
  3. Sacchini, S., Díaz-Delgado, J., Espinosa de los Monteros, A., Paz, Y., Bernaldo de Quirós, Y., Sierra, E., Arbelo, M., Herráez, P., Fernández, A. (2020). Amyloid-beta peptide and phosphorylated tau in the frontopolar cerebral cortex and in the cerebellum of toothed whales: Aging versus hypoxia. Biol. Open 9(11):bio054734.
  4. Davis, D.A., Mondo, K., Stern, E., Annor, A.K., Murch, S.J., Coyne, T.M., Brand, L.E., Niemeyer, M.E., Sharp, S., Bradley, W.G., Cox, P.A., Mash, D.C. (2019). Cyanobacterial neurotoxin BMAA and brain pathology in stranded dolphins. PLoS One 14(3):e0213346.
  5. Rush, T., Liu, X., Lobner, D. (2012). Synergistic toxicity of the environmental neurotoxins methylmercury and beta-N-methylamino-L-alanine. Neuroreport 23:216-219.
  6. Davis, D.A., Garamszegi, S.P., Banack, S.A., Dooley, P.D., Coyne, T.M., McLean, D.W., Rotstein, D.S., Mash, D.C., Cox, P.A. (2021). BMAA, Methylmercury, and Mechanisms of Neurodegeneration in Dolphins: A Natural Model of Toxin Exposure. Toxins (Basel) 13(10):697.
  7. Lauren, J., Gimbel, D.A., Nygaard, H.B., Gilbert, J.W., Strittmatter, S.M. (2009). Cellular prion protein mediates impairment of synaptic plasticity by amyloid-β oligomers. Nature 457:1128-1132.
  8. Di Guardo, G. (2018). Alzheimer’s disease, cellular prion protein, and dolphins. Alzheimers Dement. 14, 259-260.

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università  degli Studi di Teramo

 




I sonar militari minacciano la vita in mare!

E’ pubblicata sulla prestigiosa rivista londinese “Veterinary Record”  la Letter to the Editor dal titolo “Impact of naval sonar systems on sealife mortality“, a firma di GiovanniDi Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, insieme al Professor Antonio Fernández, Full Professor of Veterinary Pathologic Anatomy, Institute of Animal Health, University of Las Palmas de Gran Canaria, Arucas, Las Palmas, Gran Canaria, Canary Islands, Spain e al Dr Paul D Jepson, Honorary Senior Scientist, Institute of Animal Health, University of Las Palmas de Gran Canaria, Arucas, Las Palmas, Gran Canaria, Canary Islands, Spain.

Esattamente 20 anni fa, nell’Arcipelago delle Isole Canarie, si verificò uno spiaggiamento di massa di Zifidi, cetacei capaci di immergersi fino a 2.000 metri di profondità. Tale evento occorse in stretta connessione spazio-temporale con un’esercitazione della marina militare statunitense, durante la quale era stato fatto ricorso all’utilizzo di dispositivi sonar. L’equipe del Professor Antonio Fernández fu in grado di dimostrare, di lì a breve, il ruolo delle onde rilasciate dai sonar nel determinismo del succitato evento, dal cui studio emerse che una “sindrome embolica gassoso-lipidica” – condizione patologica simile alla “malattia da decompressione” dei sommozzatori – aveva interessato gli Zifidi spiaggiatisi in massa alle Isole Canarie.

Destano fondati motivi di preoccupazione, al riguardo, le esercitazioni militari recentemente condotte in acque mediterranee, così come quelle in corso di svolgimento e/o programmate nelle acque norvegesi ed asiatiche, che risulterebbero accomunate fra loro dall’impiego di dispositivi sonar.

Riferiscono il Prof. Antonio Fernández, il Dr Paul D. Jepson ed il Professor Giovanni Di Guardo i quali concludono:

Stiamo parlando, infatti, di specie e popolazioni animali oltremodo vulnerabili e sempre più minacciate per mano dell’uomo, che vivono all’interno di sempre più fragili e perturbati ecosistemi marini.




Covid-19 e animali. Di Guardo: tamponi ai domestici e controlli sui cetacei

Il sito kodami.it ospita un’intervista al Prof. Giovanni Di Guardo, già docente di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria nell’Università di Teramo, sulla necessità di monitorare la presenza di SARS-CoV-2 nei mammiferi acquatici, con particolare riferimento ai Cetacei che popolano i nostri mari.

In generale lo stato di salute degli animali domestici, soprattutto, e di quelli presenti nei parchi e nei giardini zoologici, andrebbe strettamente monitorato –  tramite tamponi a tappeto e prelievo di campioni di sangue per determinare l’eventuale presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 –  anche alla luce del fatto che molti casi di infezione tra loro decorrono in forma asintomatica o paucisintomatica, non destando pertanto allarme.

L’attenzione va rivolta anche al mondo marino, avverte Di Guardo. Secondo un lavoro coordinato dai colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, dei 9 cetacei presi in esame (stenella striata, tursiope, balenottera comune, globicefalo, zifio, capodoglio, balenottera minore, megattera, orca), 7 sarebbero suscettibili a SARS-CoV-2, avendo il recettore ACE-2 piu’ simile a quello umano. Solo zifio e capodoglio li hanno più dissimili.

Altri studi già ci dicono che il tursiope e la balena grigia sono potenzialmente suscettibili a SARS-CoV-2, spiega Di Guardo: “tutto ciò, mentre c’è un’altra grande pandemia che ci si aspetta di vivere da qui al 2050, ed è quella della resistenza agli antibiotici. In mare la rete di sorveglianza ha già notato diversi casi di cetacei spiaggiati colpiti da infezioni sostenute da MRSA, lo stafilococco aureo resistente alla meticillina. È un problema quando poi si parla di itticoltura, con l’uso massiccio di farmaci negli allevamenti ittici».

Leggi l’articolo integrale

 




Spiaggiamento dei cetacei, perchè succede?

spiaggiamentiIl 26 dicembre un capodoglio si è spiaggiato lungo la costa di Castellabate, nel Cilento. Ormai non è più così raro che accada su una spiaggia italiana. Ma per quale motive succede?

Giovanni Di Guardo, docente alla facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Teramo e super esperto di cetacei, ne ha parlato in un’intervista a kodami.it.

«Un cetaceo spiaggiato è un’ “occasione d’oro” perché dà la possibilità di effettuare una serie di indagini fondamentali per conoscere il livello di minacce che affliggono questi animali. Oltre a farci capire come vivono e cosa gli facciamo. E quando gli spiaggiamenti sono molti, diventano un vero e proprio campanello d’allarme in grado di mostrarci le nefandezze di cui siamo capaci».

Ve ne proproniamo la lettura




Report spiaggiamenti cetacei nel Lazio e Toscana 2017 – 2019

spiaggiamentiE’ stata pubblicata la relazione congiunta delle attività svolte nell’ambito degli spiaggiamenti di cetacei avvenuti lungo le coste del Lazio e della Toscana dal gennaio 2017 all’agosto 2019, periodo durante il quale si sono registrati 140 soggetti spiaggiati, con la prevalenza di Stenella coeruleoalba (n. 72) e Tursiops truncatus (n. 40).

Sugli animali spiaggiati, quando possibile e a seconda dei casi, sono stati eseguiti esami necroscopici, virologici, batteriologici, parassitologici, istologici e tossicologici.

La ricerca di agenti virali si è concentrata particolarmente sul Dolphin Morbillivirus (DMV) e sull’Herpesvirus. Il Morbillivirus è ampiamente riconosciuto come agente eziologico causa della morte di singoli animali o come responsabile negli eventi di mortalità nei Cetacei. Meno si conosce dell’Herpesvirus il cui ruolo deve essere ancora approfondito.

I dati confermano in ogni caso l’estrema importanza del monitoraggio sanitario, e in particolare degli agenti zoonotici, negli animali marini.

Si ritrovano infatti anche in queste specie di mammiferi problematiche emergenti di sanità pubblica ed agenti dal potere patogeno per l’uomo, come Brucella sp. ( isolata per la prima volta nel Mediterraneo in una Stenella spiaggiata nel 2012 lungo le coste Toscane) e Listeria monocytogenes (isolata in più soggetti nel 2017) che è anche uno dei principali contaminanti ambientali di importanza per la salute pubblica.

La gestione degli animali, le attività legate agli spiaggiamenti, i risultati conseguiti sono frutto di un lavoro delle equipe che a vario titolo operano per la salvaguardia e per il monitoraggio dello status sanitario dei cetacei: AA.SS.LL., Capitanerie di Porto, Osservatorio Toscano Biodiversità, ARPAT Livorno, Università di Siena, Banca Dati Spiaggiamenti, Università di Padova, Università di Teramo, Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui mammiferi marini Spiaggiati (C.Re.Di.Ma), Ministero della Salute, MiPAAFF, e tutta la rete degli IIZZSS.

Il testo integrale della relazione

A cura della segreteria SIMeVeP




Morbillo, un aiuto dai Cetacei?

Delfino di RissoGrande clamore ha destato e sta tuttora destando l’oltremodo interessante ed originale lavoro a firma di Michael J. Mina e collaboratori, pubblicato sulla prestigiosa Rivista Science, in cui viene descritta e caratterizzata – sia in pazienti umani naturalmente infetti ad opera del virus del morbillo sia in macachi sottoposti ad infezione sperimentale – una singolare forma di “amnesia immunitaria” nei confronti di altri agenti infettivi, virali e non, che i succitati ospiti avevano “incontrato” (a seguito d’infezione naturale o di vaccinazione) nel corso della propria esistenza, sviluppando in tal modo un’immunità persistente nei loro confronti.

I risultati di tale studio appaiono decisamente allarmanti in virtù del fatto che agli effetti immunodeprimenti prodotti dal virus del morbillo, già ben noti da tempo, si associerebbe la contestuale perdita di memoria immunitaria in un’elevata percentuale di individui infetti. Ne deriva un caloroso quanto giustificato invito, rivolto alla collettività da parte degli Autori, nei confronti delle profilassi immunizzanti e, in particolar modo, nei riguardi della vaccinazione contro il morbillo, malattia che miete oltre 100.000 vittime ogni anno su scala globale.

All’originale quanto intrigante ed, al contempo, allarmante contributo scientifico di cui sopra ha fatto seguito una “Lettera all’Editore“, congiuntamente firmata dal Professor Giovanni Di Guardo (Università degli Studi di Teramo) e dal Professor Sandro Mazzariol (Università degli Studi di Padova), che è stata appena pubblicata su Science ed in cui viene suggerito di analizzare la perdita di memoria immunologica virus-indotta ponendola in relazione sia ai ceppi virali responsabili dei vari casi d’infezione nell’uomo sia all’immunofenotipo (Th1-dominante o Th2-dominante) dei pazienti affetti da morbillo.

A tal fine, lo studio comparato dell’infezione da Cetacean morbillivirus, un agente patogeno che negli ultimi 30 anni si è reso responsabile, a livello planetario, di drammatiche epidemie fra i Cetacei e che risulta strettamente imparentato con il virus del morbillo, potrebbe fornire valide e preziose informazioni sulle complesse dinamiche d’interazione virus-ospite correlate alla perdita di memoria immunitaria in pazienti con morbillo, sebbene andrebbe parimenti sottolineato che non è dato ancora sapere se i delfini e/o le balene infetti ad opera di Cetacean morbillivirus siano in grado di sviluppare una condizione di amnesia immunitaria analoga a quella recentemente descritta nei nostri conspecifici affetti da morbillo.

 




Messo a punto il primo algoritmo di foto-identificazione automatica dei cetacei della specie Grampo

Delfino di RissoIl sistema è stato messo a punto dall’Istituto di sistemi e tecnologie industriali per il manifatturiero avanzato del Cnr, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari e la Jonian Dolphin Conservation ed è rivolto al Grampo, una specie di delfino rara e poco conosciuta a livello globale. I risultati ottenuti possono avere importanti ricadute, poiché contribuiscono a orientare le Amministrazioni verso più efficaci misure di tutela, finalizzate alla conservazione della diversità biologica marina.

Uno studio, frutto della collaborazione tra l’Istituto di sistemi e tecnologie industriali per il manifatturiero avanzato del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Stiima, ex Cnr-Issia) di Bari, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari Aldo Moro e la Jonian Dolphin Conservation, apre nuovi orizzonti per la tutela e la conservazione dei cetacei nel Mediterraneo. La ricerca, basata sulle più moderne tecniche di Computer Science, ha consentito di riconoscere in maniera inequivocabile numerosi individui di Grampo (Grampus griseus), quali affezionati visitatori del Mar Ionio settentrionale. Il risultato è stato conseguito grazie all’attività di monitoraggio svolta dal team di ricerca nel Golfo di Taranto ed effettuata all’interno di un articolato progetto di Citizen Science che ha coinvolto numerosi studenti e turisti. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.

Il Grampo è una specie di delfino rara e poco conosciuta a livello globale che presenta una particolarità nella livrea (insieme del colore e del disegno della pelle): i giovani delfini nascono grigi e con l’avanzare dell’età il corpo dell’adulto si ricopre di numerosi graffi chiari, fino ad assumere una colorazione quasi bianca, soprattutto nella parte anteriore del corpo. “Grazie all’unione delle nostre diverse competenze abbiamo sviluppato il primo algoritmo di foto-identificazione automatica di questa specie, basato sull’analisi dei graffi presenti sulla pinna dorsale di ciascun delfino; graffi che vengono interpretati come vere e proprie impronte di riconoscimento individuale, grazie all’uso di un rivelatore statistico delle caratteristiche locali dell’immagine, caratterizzato da un tempo di calcolo molto rapido”, spiega Rosalia Maglietta esperta di Intelligenza artificiale del Cnr-Stiima. “La foto-identificazione avviene grazie al confronto tra immagini digitali delle pinne dorsali di delfini di cui si vuole conoscere l’identità e un database di delfini precedentemente foto-identificati. L’ algoritmo è in grado di analizzare enormi quantità di immagini in tempi brevi e senza l’intervento umano, questa caratteristica lo rende adatto a essere impiegato in studi su larga scala”.

I prodotti dello studio sono stati presentati nella innovativa piattaforma digitale DolFin, accessibile on-line. “DolFin consentirà in futuro di realizzare approfondimenti relativi alla distribuzione spaziale di questa o di altre specie di cetacei in tutto il Mediterraneo o su scala globale”, aggiunge Roberto Carlucci ecologo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari. “Nonostante sia considerato un abitante regolare del Mar Mediterraneo, il Grampo rimane una delle specie di cetacei meno conosciute nel bacino. Usando DolFin potremo sapere se il delfino identificato rimane in uno stesso tratto di mare o se compie spostamenti, quali sono i suoi compagni di viaggio e le motivazioni che lo inducono a queste migrazioni”.

La presenza di questi animali, quale apice di una rete alimentare marina in un’area fortemente antropizzata qual è il Golfo di Taranto, rappresenta un indicatore fondamentale circa lo stato di salute del Mar Ionio”, conclude Carmelo Fanizza, presidente della Jonian Dolphin Conservation. “I risultati ottenuti potrebbero inoltre avere importanti implicazioni gestionali, poiché contribuiscono a orientare le Amministrazioni verso più efficaci misure di tutela, finalizzate alla conservazione della diversità biologica, dell’integrità degli habitat e alla fruibilità dei servizi ecosistemici”.

Fonte: CNR




22kg di plastica nella pancia del capodoglio, il lavoro dei veterinari IZS

CapodoglioI veterinari dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna sono intervenuti, come da prassi, a seguito del ritrovamento di un capodoglio spiaggiato nei pressi di Porto Cervo per eseguire il primo sopralluogo e l’esame anatomo-patologico.

Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici” afferma l’IZS in un comunicato che riportiamo integralmente poichè illustra il ruolo dei veterinari in questi casi:

«Venerdì 29 marzo un capodoglio, giovane femmina della lunghezza di otto metri, è stato trovato spiaggiato venerdì scorso a Cala Romantica, vicino Porto Cervo, nel nord-est della Sardegna.Il sopralluogo preliminare è stato svolto dai veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna della ASl, unitamente a Capitaneria di porto e personale del comune di Arzachena.

In seguito al sopralluogo, verificata l’impossibilità di svolgere la necroscopia sul luogo di ritrovamento, è stato concordato di spostare la carcassa in un’area idonea, dove eseguire tutti gli accertamenti sanitari e smaltire i resti. La rimozione del cetaceo e il trasporto sono stati effettuati grazie alla preziosa opera di Vigili del fuoco, Capitaneria di porto e Comune. Nella giornata di sabato 30 i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, di concerto con il CERT (Cetaceans Stranding Emergency Response Team) della facoltà di Veterinaria di Padova hanno effettuato la necroscopia. Queste operazioni sono state eseguite secondo il protocollo operativo della Rete Nazionale Spiaggiamenti concordato dai Ministeri della Salute e dell’Ambiente che attribuisce la competenza degli accertamenti sanitari all’IZS competente per territorio in caso di spiaggiamenti ordinari (cetacei di grandezza inferiori ai 5 metri) e IZS unitamente al CERT per gli spiaggiamenti straordinari (spiaggiamenti di massa o di animali superiori ai 5 metri).

Nel caso specifico si è evidenziato che la femmina di Capodoglio, gravida con feto di circa due metri e mezzo, presumibilmente morto già prima della madre, ed era in uno scarso stato di nutrizione e, al momento del ritrovamento, in avanzato stato di decomposizione. Lo stomaco era ostruito da 22 kg di materiale plastico (sacchetti, piatti, tubi, e materiale vario), questo, unitamente alla mancanza di materiale alimentare, se non numerosi becchi di calamari, sta a testimoniare che l’animale non si alimentava da vario tempo. Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici.

Purtroppo” – rileva il dott. Pintore – “l’ingestione di materiale plastico è sempre più diffusa e costituisce un reperto molto frequente negli animali che vivono in ambiente marino, sia che si tratti di cetacei che di tartarughe, causandone il progressivo indebolimento e anche la morte.”»