Riscaldamento globale, virus e aerosol
“Come possiamo pensare di vivere sani in un mondo malato?“: l’arguta domanda che Papa Francesco si pone e ci pone in piena pandemia da Covid-19 ci ricorda che la nostra vita è strettamente interconnessa con quella di tutti gli altri esseri viventi. Dalla stessa si evincerebbe, al contempo, un accorato invito affinché la Comunità Scientifica operi quanto più possibile in maniera multidisciplinare, in ossequio al principio della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.
Il 2021 è stato, perlappunto, il più caldo degli ultimi 140 anni, all’interno di un’allarmante sequenza in cui dal 2015 in avanti si sono succeduti i sette anni più torridi che si siano mai registrati sul nostro pianeta durante il succitato arco cronologico.
E’ quantomai opportuno sottolineare, in proposito, la naturale propensione degli agenti patogeni più resistenti a sfruttare il progressivamente ingravescente riscaldamento globale per aumentare la propria diffusione e, con essa, le occasioni di contagio intraspecifico ed interspecifico. E’ questo il caso del virus della peste suina africana (agente non zoonosico) e di quello del vaiolo delle scimmie (agente zoonosico), ben noti da tempo a noi Medici Veterinari e recentemente balzati agli onori della cronaca. Si tratta, in particolare, di due DNA-virus che, pur nelle notevoli differenze che caratterizzano gli stessi e le infezioni da essi sostenute, condividono tuttavia un’elevata resistenza ambientale, cosi’ come nei riguardi dell’inattivazione chimico-fisica.
In un siffatto contesto, la possibilità che i venti, le correnti ed altri fenomeni atmosferici possano veicolare per più o meno lunghe distanze aerosol alberganti al proprio interno le due anzidette, così come altre noxae biologiche dotate di elevata resistenza ambientale e nei confronti di molti agenti chimico-fisici, dovrebbe esser tenuta in debita considerazione.
Ciò potrebbe costituire, infatti, un valido ausilio ai fini del riconoscimento delle fonti d’infezione ove le stesse non risultassero prontamente e/o precisamente identificabili, come giustappunto accaduto in alcuni focolai di peste suina africana tra i cinghiali, così come in alcuni recenti casi umani d’infezione da “monkey poxvirus” (vaiolo delle scimmie).
Absit iniuria verbis, ma senza alcuna vis polemica mi sia consentito, in chiosa a questo breve articolo, di esprimere unitamente al mio pregresso disappunto nei confronti della mancata cooptazione dei miei Colleghi Veterinari in seno all’oramai (e purtroppo!) defunto CTS, tutto il mio stupore derivante dalla pressoché totale assenza dei Medici Veterinari – fatte salve alcune eccezioni di natura prettamente istituzionale – dalla scena e dalla narrazione mass-mediatica.
Quanto sopra a dispetto dell’inconfutabile fatto che le “materie del contendere” siano rappresentate da una problematica di esclusiva rilevanza in ambito di sanità animale (peste suina africana) e da un’infezione a carattere zoonosico, vale a dire trasmissibile dagli animali all’uomo (vaiolo delle scimmie)!
Errare humanum est perseverare autem diabolicum!
Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo