Ulteriori notizie preoccupanti sull’influenza aviaria: i gatti potrebbero diventare portatori di influenza aviaria?
Ad oggi H5N1 clade 2.3.4.4b è stato segnalato in oltre 90 specie di uccelli selvatici e domestici e più di 21 specie di mammiferi, tra cui bovini, volpi, puzzole, leoni marini, visoni, delfini, cani procione, gatti e foche, e nell’uomo. Sul ruolo dei gatti come me portatori del virus dell’influenza avaria H5N1 due fonti indirizzano verso questo scenario: un studio pubblicato questa settimana sulla rivista Emerging Microbes and Infections dal titolo ‘Neurotropismo marcato e potenziale adattamento del virus del clade H5N1 2.3.4.4.b nei gatti domestici infettati naturalmente’, e la sospetta influenza aviaria H5 rilevata nei gatti della contea di Los Angeles associata al consumo di latte crudo oggetto di richiamo e proveniente da un allevamento da latte risultato positivo al virus dell’influenza aviaria H5 nelle vacche e nel latte. I gatti risultati positivi al virus H5N1 clade 2.3.4.4b dopo il consumo di latte crudo hanno manifestato sintomi che includevano mancanza di appetito, febbre e segni neurologici con peggioramento delle condizioni e decesso. Ancora più recente è la notizia di un’epidemia di influenza aviaria che ha colpito un piccolo numero di animali al Wildlife World Zoo vicino a Phoenix, in Arizona. I test presso il Dipartimento dell’Agricoltura dell’Arizona hanno mostrato che i campioni erano probabilmente positivi per H5N1. I funzionari della sanità pubblica stanno lavorando per identificare il personale e i volontari che probabilmente hanno avuto un’esposizione prolungata agli animali.
I ricercatori dello studio sopracitato hanno trovato due nuove mutazioni nella proteina PA (F314L, L342Q) che possono influenzare sia l’attività della polimerasi, un enzima che il virus usa per copiare il suo genoma che la virulenza, espressa dalla emoagglutinina, l’H in H5N1, la proteina che il virus usa per attaccarsi alle cellule, per stabilizzarla per la trasmissione per via aerea e aiutarla a legarsi meglio alle cellule nelle vie aeree superiori umane. I risultati dello studio suggeriscono un potenziale adattamento del virus e rilevano una diffusa co-espressione dei recettori dell’acido sialico α-2,6 (presente nell’uomo ed altri mammiferi) e α-2,3 (aviario) cha fanno dei gatti potenziali vasi di miscelazione per il riassortimento dei virus dell’influenza aviaria e dei mammiferi. Un cambiamento nell’affinità di legame dell’HA del virus H5N1 dai recettori dell’acido sialico α-2,3 a α-2,6, abbondantemente espresso nelle vie aeree umane superiori, è fondamentale per ottenere la capacità di trasmissione da uomo a uomo. Uno studio recentissimo pubblicato su Science sull’analisi genetica e strutturale delle mutazioni necessarie per modificare completamente il riconoscimento del recettore ospite da parte del virus ha evidenziato come una singola mutazione dall’aminoacido glutammina a leucina al residuo 226 dell’antigene virale emoagglutinina (HA) sia stata sufficiente a modificare la specificità aviaria a quella umana. Tuttavia, una mutazione della polimerasi, soprannominata 627K perché porta all’amminoacido lisina (K) alla posizione 627 della proteina, è stata trovata più volte nei ceppi che infettano i mammiferi nonché in quelli isolati dal primo caso umano associato all’epidemia negli Stati Uniti nelle vacche da latte. E’ anche vero che i virus negli uccelli, nei bovini e nell’uomo ad oggi non hanno mostrato mutazioni dell’emoagglutinina 226L che consentirebbe a H5N1 di agganciarsi meglio ai recettori umani. In natura, il verificarsi di questa singola mutazione potrebbe essere un indicatore del rischio di pandemia umana. I ricercatori ritengono che perché il virus abbia successo sia necessaria una combinazione specifica di mutazioni nella neurominidasi ed emagglutinina. Le due proteine hanno effetti opposti sulle stesse catene di zucchero (acido sialico) sulla superficie delle cellule umane: l’emagglutinina si attacca a queste catene, aiutando il virus a infettare nuove cellule, mentre la neuraminidasi taglia quelle catene, liberando il virus appena formato dalle cellule ospiti. Se l’emoagglutinina è troppo appiccicosa e la neuraminidasi è troppo povera, il virus rimane bloccato nella cellula. E’ una questione di equilibrio che consente al virus di infettare nuove cellule.
Da quando il virus ha iniziato a circolare nei bovini da latte negli USA (rilevato in 832 allevamenti in 16 stati) con almeno 60 casi umani, la maggior parte dei quali associati a stretto contatto con vacche da latte o pollame infetti (ma gli esperti ritengono che la cifra stata sottovalutata data la mancanza di test obbligatori), si sono verificati diversi decessi nei gatti negli allevamenti da latte colpiti. Dalla fine del 2022, almeno 53 gatti domestici negli Stati Uniti sono stati infettati dal virus H5N1 2.3.4.4b. I gatti possono essere esposti all’influenza aviaria cibandosi di uccelli infetti o altri animali o consumando latte non pastorizzato di vacche infette. Si stima che la versione attuale di H5N1 abbia un tasso di mortalità nei felini del 67%. Il virus dell’influenza aviaria H5 puoi trasmettersi da mammifero a mammifero. L’attuale versione del ceppo H5N1 si è dimostrata sorprendentemente promiscua infettando non solo 90 specie di uccelli ma più di 20 specie di mammiferi. I gatti domestici potrebbero dunque fornire questo nuovo percorso inaspettato per l’H5N1 con il rischio di evolvere in una forma più pericolosa. Ad oggi i gatti hanno trasmesso un altro ceppo influenzale all’uomo, ma mai l’H5. Tuttavia, nell’eventualità che un gatto venisse infettato contemporaneamente da H5N1 e dal virus dell’influenza stagionale, H5N1 potrebbe potenzialmente acquisire le mutazioni necessarie per l’adattamento ai mammiferi, alcune delle quali già evidenziate, per diffondersi in modo efficiente tra le persone. Il nuovo studio sopra citato evidenzia la necessità per i funzionari di sanità pubblica di rafforzare la sorveglianza dell’influenza aviaria nei felini domestici. Nei mesi passati in USA i test per la ricerca di H5N1 si sono limitati alle vacche da latte e uomo, lasciando gli esperti all’oscuro della vera portata dei focolai epidemici. Il Dipartimento dell’agricoltura (USDA)- sebbene in ritardo, quasi un anno dopo che il virus ha iniziato a circolare attraverso i bovini da latte- ha annunciato un programma di esecuzione di test su campioni di latte non pastorizzato da grandi centri di stoccaggio ubicati negli impianti di lavorazione del latte in tutto il paese al fine di individuare gli allevamenti infetti, ma senza includere il monitoraggio di altri animali da allevamento, per non parlare di quelli domestici.
Come detto i virus dell’influenza aviaria si agganciamo naturalmente ai recettori di tipo aviario presente negli uccelli. Diversamente i virus dell’influenza stagionale richiedono recettori di tipo umano abbondantemente espressi nelle vie aeree umane superiori. Naturalmente, preoccupano sia i suini che dispongono di entrambi i tipi di recettori e per tale ragione fungono da vasi di miscelazione ideali con lo scambio di geni di entrambi i virus, che altre specie animali. Difatti lo studio citato ha rilevato nei gatti entrambi i tipi di recettori nel cervello, nei polmoni e nel sistema gastrointestinale, il che li rende ospiti ideali di entrambi i virus. Man mano che la stagione influenzale riprende nelle prossime settimane negli USA, aumentano anche le probabilità che i gatti vengano infettati contemporaneamente da H5N1 e da un virus dell’influenza stagionale. L’acquisizione della specificità del recettore di tipo umano è necessaria per la trasmissione da uomo a uomo del virus influenzale ed è uno dei principali fattori considerati per il rischio di pandemia di un nuovo ceppo animale di influenza aviaria.
Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP