Virus West Nile ed agenti veicolati da artropodi: una sfida nel segno della One Health
I casi umani di encefalite da virus West Nile (VWN) recentemente diagnosticati in Veneto – uno dei quali ad esito fatale in un paziente ultraottantenne – impongono una seria riflessione, non limitata esclusivamente al virus anzidetto, ma più in generale all’ecologia ed all’epidemiologia delle infezioni veicolate da artropodi.
Si tratta di un folto gruppo di agenti patogeni, virali (virus Zika, virus della Dengue e della febbre gialla, virus delle encefaliti da zecche, etc.), batterici (Ehrlichia spp.) e protozoari (Leishmania spp., Plasmodium malariae, etc.), il cui ciclo biologico si svolge parzialmente in un ospite invertebrato (insetto o zecca), che acquisirebbe la noxa biologica in questione da un ospite animale o umano infetto, per ritrasmettere a sua volta la stessa ad un nuovo ospite suscettibile.
Nel caso del VWN, che nel 1998 sarebbe comparso per la prima volta in Italia, rendendosi responsabile di una serie di casi di encefalomielite equina in Toscana (Cantile et al., 2000), sarebbero le zanzare del genere Culex (Culex pipiens, in particolare) a rappresentarne i principali vettori. E’ notizia di questi giorni, infatti, l’avvenuta identificazione del virus in pool di zanzare catturate in Veneto.
Gli agenti responsabili di infezioni veicolate da artropodi costituirebbero all’incirca i due terzi di quelli responsabili delle cosiddette “malattie infettive emergenti”, il 70% e più dei quali trarrebbe origine, a sua volta, da uno o più serbatoi animali (Casalone & Di Guardo, 2020).
Complice il progressivo surriscaldamento atmosferico cui stiamo assistendo, come eloquentemente testimoniato dal fatto che i 7 anni compresi fra il 2015 e il 2021 sono stati quelli in cui si sono registrate, nel corso degli ultimi 140 anni, le più alte temperature a livello planetario, la capacità e l’efficienza vettoriale degli artropodi nei confronti di molti agenti infettivi verrebbero esaltate. Ciò in quanto i mesi autunno-invernali vengono superati dagli insetti e dalle zecche, oggigiorno, in maniera ben più agevole rispetto agli anni passati, con il conseguente “svernamento” (“overwintering”) che si tradurrebbe, a sua volta, in una riduzione dei tempi di “maturazione” (alias replicazione) delle diverse noxae biologiche nell’organismo dei rispettivi artropodi vettori (“extrinsic incubation period”).
Un ulteriore, inconfutabile elemento probatorio sarebbe costituito, in proposito, dalla più o meno recente identificazione di casi d’infezione da Leishmania spp. nella popolazione canina del Regno Unito, così come di numerosi casi d’infezione da sierotipo 8 di “Bluetongue virus” (BTV) fra i ruminanti domestici dei Paesi Bassi, del Belgio, della Germania e di altri Paesi nord-europei. Queste evenienze, infatti, ben più difficilmente si sarebbero potute realizzare negli anni precedenti, in cui le rigide quanto persistenti temperature proprie dei mesi invernali avrebbero seriamente ostacolato l’overwintering di pappataci e culicoidi, vettori rispettivamente di Leishmania spp. e di BTV.
Alla luce di quanto sin qui esposto e considerato altresi’ il documentato potere zoonosico di numerosi agenti responsabili di infezioni veicolate da artropodi (ivi compreso il VWN), il “leitmotiv” al quale dovrebbe ispirarsi una corretta gestione di tali evenienze – anche e soprattutto in termini di “capacità predittiva” nei confronti delle medesime – e’ l’approccio “One Health”, da perseguire mediante la multidisciplinarieta’, la sinergia ed il confronto permanente fra tutte le figure istituzionali e professionali coinvolte, prime fra tutte ovviamente quelle di Medici e Veterinari.
Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo