Long Covid e cortisolo

Gentile Direttore,
sulla prestigiosa Rivista Nature è stato appena pubblicato un interessante articolo a firma di Jon Klein e collaboratori, i quali hanno caratterizzato – anche tramite l’impiego dell’intelligenza artificiale – i profili della risposta immunitaria in individui con “long Covid” rispetto a pazienti non affetti da tale condizione morbosa (1), che su scala globale affliggerebbe almeno il 10% di coloro che abbiano sviluppato una pregressa infezione da SARS-CoV-2 in forma asintomatica, lieve oppure grave (2). I medesimi Autori hanno altresì dimostrato che livelli più bassi di cortisolo sarebbero presenti nei soggetti affetti da “long Covid” (1).

Assolutamente degno di nota, a tal proposito, è il dato secondo cui il betacoronavirus Sars-CoV-2 mostrerebbe un’elevata affinità di legame nei confronti dell’acido linoleico, un acido grasso essenziale. A ciò farebbe seguito una diminuita interazione della proteina “spike” (S) del virus con il recettore ACE2, mentre un intrigante sinergismo di azione farmacologica è stato parimenti descritto fra l’acido linoleico da un lato, e l’antivirale remdesivir dall’altro, con conseguente soppressione della replicazione di Sars-CoV-2 (3).

Come già a suo tempo sottolineato da chi scrive a commento del succitato articolo, la comprovata e forte affinità di legame della proteina S di Sars-CoV-2 con l’acido linoleico (3) conferirebbe notevole plausibilità biologica ai risultati positivi frequentemente ottenuti grazie all’impiego di corticosteroidi (desametasone) nella terapia delle forme gravi di Covid-19 (4). I corticosteroidi – sia naturali sia sintetici – possiedono infatti la ben nota capacità di inibire selettivamente l’attività della fosfolipasi-A2, un enzima-chiave in grado di convertire l’acido linoleico in acido linolenico, reazione quest’ultima che costituisce una tappa di cruciale rilevanza nella sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni, importanti mediatori chimici della risposta infiammatoria derivati dall’acido arachidonico (5).

In considerazione di quanto sopra, appare pertanto verosimile che ai più bassi livelli di cortisolo descritti in pazienti affetti da “long Covid” (1) possa fare seguito una ridotta inibizione di attività della fosfolipasi-A2 in tali individui, con conseguente aumento dell’affinità di legame di Sars-CoV-2 con il recettore ACE2, esitante a sua volta in un’accresciuta replicazione e persistenza virale nei tessuti dell’ospite.

Giovanni Di Guardo,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Bibliografia di riferimento
1) Klein, J., Wood, J., Jaycox, J. et al. Distinguishing features of Long COVID identified through immune profiling. Nature (2023). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06651-y.
2) Altmann, D.M., Whettlock, E.M., Liu, S., Arachchillage, D.J., Boyton, R.J. The immunology of long COVID. Nature Reviews in Immunology (2023). DOI: 10.1038/s41577-023-00904-7.
3) Toelzer, C., Gupta, K., Yadav, S.K.N. et al. Freefatty acid binding pocket in the locked structure of SARS-CoV-2 spike protein.Science 370: 725-730(2020).DOI:10.1126/science.abd3255.
4) Di Guardo, G. SARS-CoV-2-linoleic acid interaction (e.Letter-Letter to the Editor). Science (2020). https://www.science.org/doi/10.1126/science.abd3255#elettersSection.
5) Robbins & Kumar Basic Pathology, 11th Edition. Inflammation Chapter. Elsevier – Health Sciences Division (2022).