Africa: genetica zanzare spiega perchè virus Zika poco diffuso

C’entrano anche le zanzare se in Africa le epidemie del virus Zika sono rare. Un equilibrio che tuttavia potrebbe essee alterato dai cambiamenti climatici. Uno studio dell’High Meadows Environmental Institute (HMEI) presso la Princeton University, l’Institut Pasteur e della University of California, San Diego (US), pubblicato su The Lancet Planetary Health, dimostrerebbe che i bassi tassi correlati alla diffusione del virus Zika, responsabile di difetti alla nascita e di devastanti epidemie nelle Americhe dal 2015 al 2016, possa dipendere dalla composizione genetica delle zanzare autoctone africane. “Esistono due specie di zanzara che diffondono Zika”, dichiara Jamie Caldwell, Associate Research Scholar presso l’HMEI, “ciascuna con tipiche preferenze alimentari e capacità di trasmissione della malattia. Questa differenza genetica potrebbe spiegare perché Zika ha ampiamente risparmiato l’Africa, continente in cui il virus è stato originariamente scoperto, nonostante la presenza di grandi popolazioni di zanzare e le condizioni climatiche favorevoli alla loro attività”. In particolare la forma specializzata umana preferisce pungere gli esseri umani ed ha tendenza a vivere in aree urbane densamente popolate.

Al contrario, la forma ancestrale africana che domina in Africa, è “generalista” e si nutre sia di esseri umani che di animali e proprio la dieta mista ridurrebbe le possibilità che una zanzara infettiva punga un essere umano. Inoltre, la forma ancestrale africana è meno efficace nell’acquisire e trasmettere Zika rispetto alle quelle specializzate umane, costituendo una barriera naturale alla diffusione del virus nel continente africano. Sebbene entrambe le forme di zanzare vivano in Africa, la diversità delle popolazioni di zanzare spiegherebbe la variazione del carico di Zika in Africa, o quale altra ipotesi il contenimento epidemico sul territorio potrebbe dipendere dalla temperatura locale: l’Africa subsahariana ha il clima ideale per la trasmissione del virus Zika, mentre aree con temperature troppo calde o fredde potrebbero limitare la diffusione del virus. Il clima è infatti considerato un “trigger”, cioè un fattore stimolante importante, anche per la distribuzione di altre malattie correlate alle stesse specie di zanzare, come la dengue e la febbre gialla, e in grado di influenzare molti aspetti della trasmissione virale, come la frequenza con cui le zanzare pungono o la velocità con cui si sviluppano in adulti che prediligono gli esseri umani.

La creazione di modelli per studiare gli effetti genetici sulle preferenze di puntura delle zanzare e sulla capacità di diffondere il virus, così come per comprendere il ruolo della temperatura nell’influenzare lo sviluppo, la sopravvivenza e la capacità di trasmissione delle zanzare, ha permesso ai ricercatori di rilevare l’importanza della componente genetica della popolazione di zanzare con un ruolo di maggior peso rispetto al clima. Ciò avrebbe permesso di correlare la proporzione di zanzare specializzate umane in diverse popolazioni in Africa al carico del virus Zika.

Poiché il clima gioca comunque un ruolo importante nel processo di trasmissione, le attuali variazioni climatiche, come anche la rapida urbanizzazione, potrebbero rendere le città africane più vulnerabili alle epidemie del virus Zika nel prossimo futuro. I ricercatori hanno stimato che su un totale di 59 città africane considerate, con una densità di popolazione superiore a 1 milione, 23 città, pari al 39%, rispondano alle condizioni favorenti per la diffusione di un’epidemia di Zika. Se le attuali proiezioni sul clima e sulla crescita della popolazione e gli effetti previsti sulle zanzare si rivelassero accurati, altre 22 città diventeranno luoghi adatti alla contaminazione di Zika, portando a 76% le città africane più popolose. “La nostra ricerca sottolinea l’urgente necessità di sistemi di sorveglianza delle zanzare, soprattutto nelle città con popolazioni in rapida crescita dove anche il cambiamento climatico potrebbe alterare le dinamiche della malattia e sulla diffusione globale di Zika in modi inaspettati “, ha concluso il Noah Rose, coautore dello studio e professore associato presso l’Università della California, San Diego.

 

Fonte: AGI