La tragedia di Ischia e le sue potenziali ricadute sulla salute umana e animale
L’immane tragedia che ha colpito al cuore Ischia e la sua meravigliosa gente, a soli 5 e 13 anni di distanza, rispettivamente, dal sisma e da un analogo evento alluvionale che hanno interessato l’isola, ci richiama per l’ennesima volta alla fragilità del nostro territorio ed alle azioni, non più rinviabili, che la politica nazionale e locale deve attuare al fine di porre rimedio al grave dissesto idro-geologico che ne affligge numerose quanto vaste aree, complice il progressivo surriscaldamento globale ed i fenomeni meteo-climatici ad esso connessi.
Fra le potenziali conseguenze delle alluvioni, che come avvenuto ad Ischia possono causare la movimentazione di enormi masse di acqua, fango e detriti, rientra anche il trasferimento di una folta gamma di microorganismi patogeni dagli ecosistemi terrestri a quelli marini. Ciò riguarda, in special modo, virus, batteri, funghi e parassiti responsabili d’infezioni umane ed animali a trasmissione oro-fecale, quali ad esempio – solo per citarne alcuni – Salmonella, Escherichia coli, Vibrio cholarae, Toxoplasma gondii, virus dell’epatite A e, last but not least, anche SARS-CoV-2, il betacoronavirus causa della CoViD-19. Per quanto attiene a quest’ultimo, in particolare, gia’ un paio di anni fa uno studio di colleghi cinesi pubblicato sul BMJ aveva documentato l’eliminazione di SARS-CoV-2 attraverso le deiezioni in circa il 60% dei pazienti SARS-CoV-2-infetti, per un arco temporale pari in media a ben 22 giorni!
I germi a trasmissione oro-fecale, una volta veicolati in mare dalle succitate masse di acqua, fango e detriti, possono essere ingeriti, a loro volta, da molluschi eduli bivalvi lamellibranchi quali i mitili (ciascun esemplare dei quali e’ in grado di filtrare dai 5 ai 7 litri di acqua ogni ora!), che “concentrandoli” all’interno del proprio organismo si comporterebbero come vere e proprie “bombe biologiche” qualora venissero consumati senza sottostare ai preventivi protocolli di depurazione previsti “ope legis“. Vale la pena ricordare, a tal proposito, la drammatica epidemia insorta nell’estate del 1973 fra la popolazione di Napoli e di Bari in seguito al consumo di mitili crudi contaminati dal vibrione del colera.
Un’altra rilevante conseguenza legata al potenziale trasferimento di microorganismi patogeni dalla terraferma al mare in seguito alla comparsa di eventi alluvionali riguarda i Cetacei, il cui stato di salute e di conservazione risulta sempre più minacciato per mano dell’uomo. Non a caso, infatti, le indagini che stiamo svolgendo anche nel nostro Paese documentano un progressivo incremento nella frequenza delle infezioni sostenute da agenti a trasmissione oro-fecale (vedi Toxoplasma gondii) soprattutto fra le specie costiere, quali ad esempio il tursiope. Altri nostri recenti studi hanno parimenti dimostrato l’esistenza di una spiccata omologia di sequenza fra il recettore ACE-2 dell’uomo, utilizzato dal virus SARS-CoV-2 per entrare nelle nostre cellule, e quello di varie specie di Cetacei diffusamente popolanti il “Mare Nostrum”, quali giustappunto il tursiope e la stenella striata. E, sebbene l’infezione da SARS-CoV-2 non sia stata finora descritta in natura nei Cetacei – a dispetto del fatto che ben 30 diverse specie animali risulterebbero spontaneamente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti della stessa -, l’elevato grado di omologia del loro recettore ACE-2 rispetto a quello umano conferirebbe plausibilita’ biologica all’ipotesi che anche delfini e balene possano svilupparla, con tutte le potenziali ricadute negative che ciò potrebbe arrecare al loro sempre più precario stato di salute e di conservazione.
Concludo questa mia riflessione sottolineando che, per quanto i drammatici fatti coi quali ci si sta attualmente confrontando ad Ischia non consentano al momento di definire le fattispecie sin qui esposte come una “cogente priorità” – cosa peraltro facilmente comprensibile -, la gestione “a medio e a lungo termine” di tale emergenza e, più in generale, di tutte quelle il cui “minimo comune denominatore” si identifica nel grave dissesto idro-geologico che caratterizza intere aree del nostro Paese, necessita senza alcun dubbio ed improcrastinabilmente di un approccio “olistico, multidisciplinare ed evidence-based”, profondamente permeato dal salutare quanto salvifico principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.
Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo