Influenza aviaria da virus A(H5N1): Siamo pronti a fronteggiare una nuova pandemia?

Fra le varie motivazioni che sono alla base del fondato allarme suscitato dal virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza, HPAI) A(H5N1), con particolare riferimento al clade 2.3.4.4b, possiamo annoverare lo spiccato neurotropismo e l’elevata neuropatogenicità dello stesso nei confronti di numerose specie di uccelli e di mammiferi domestici e selvatici, anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, ivi compresi i Pinnipedi e i Cetacei, nonché la già pluriminacciata popolazione di orsi polari (Ursus maritimus), con un caso accertato lo scorso Gennaio in Alaska (https://www.nytimes.com/2024/01/03/science/bird-flu-polar-bears.html). Ciò appare ulteriormente giustificato dalla comprovata suscettibilità dei bovini nei confronti di tale infezione, come in maniera oltremodo eloquente testimoniano i numerosi casi recentemente insorti nella popolazione bovina statunitense di ben nove Stati, primo fra tutti il Texas (7), ove un allevatore ha sviluppato una congiuntivite bilaterale insorta dopo il contatto con un capo infetto (8), cui ha fatto seguito un analogo episodio di malattia oculare riscontrato in un allevatore del Michigan (https://www.nytimes.com/2024/05/22/health/h5n1-bird-flu-dairy.html). Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, anche il parallelo riscontro del virus A(H5N1) nelle acque reflue di più città texane (9) – come già segnalato in precedenza sia per il poliovirus sia per il betacoronavirus SARS-CoV-2 (10) -, a fronte di una presunta origine del medesimo da una matrice avicola o bovina, se non addirittura umana (9).

Per quanto specificamente attiene alla sorveglianza epidemiologica dell’infezione da virus A(H5N1) nella popolazione bovina statunitense e, più in generale, in quella di tutti gli altri Paesi, un serio ostacolo è rappresentato dalle manifestazioni cliniche paucisintomatiche con cui la stessa generalmente evolve nella specie in esame, con il conseguente rischio di una più o meno marcata sottostima dei casi d’infezione effettivamente presenti (11). Ciononostante, mentre si assisterebbe da un lato ad una consistente eliminazione del virus attraverso il latte – fattispecie quest’ultima che richiama ad un caloroso invito a consumare esclusivamente latte pastorizzato (il processo di pastorizzazione, è bene ricordarlo, sarebbe in grado di inattivare sia questo che molti altri agenti microbici, virali e non) -, l’epitelio tubulo-alveolare della ghiandola mammaria bovina albergherebbe al proprio interno, dall’altro lato, un’elevata densità di recettori nei confronti del virus A(H5N1) (11,12). A tal proposito, la coesistenza a livello dell’epitelio ghiandolare mammario dei bovini di un’elevata concentrazione di recettori specifici sia per i virus influenzali aviari (sialic acid, SA-alfa 2-3) sia per quelli umani (SA-alfa 2-6) – a differenza di quanto osservato in ambito respiratorio e cerebrale, ove tali recettori sarebbero presenti in numero decisamente inferiore, se non addirittura assenti – qualificherebbe la specie bovina, secondo alcuni studiosi, quale ulteriore “mixing vessel” in grado di consentire un “rimescolamento genetico” fra virus di origine aviare ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo notoriamente svolto in tal senso dai suini (12). Ciò potrebbe contribuire, unitamente alle succitate dinamiche evolutive progressivamente assunte dall’infezione da virus A(H5N1), ad un ulteriore affinamento della “fitness” virale, con conseguente acquisizione ad opera dello stesso della capacità di trasmettersi facilmente da uomo a uomo. Per quanto sia attualmente ben lungi dall’essere comprovata, una siffatta evenienza appare tuttavia oltremodo plausibile, vista e considerata l’elevata propensione dei virus influenzali di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico attraverso i ben noti fenomeni di riassortimento/ricombinazione genomica che li contraddistinguono (6).

La possibilità di una trasmissione interumana efficiente risulta ulteriormente supportata dalla comprovata diffusione dell’agente vireale in numerose specie  di uccelli e di mammiferi, domestici e selvatici, terrestri ed acquatici, fra cui si annoverano più specie di Pinnipedi e di Cetacei.

In epoca recente, infatti, un ceppo di HPAI virus A(H5N1) ha causato una significativa mortalità fra gli uccelli selvatici e i mammiferi marini lungo le coste di numerosi Paesi del Sud America, ove si calcola che almeno  30.000 esemplari di leoni marini (Otaria byronia) sarebbero deceduti. Nonostante i casi umani di malattia  siano stati numericamente  limitati, seppur variabili nelle manifestazioni cliniche,  il rischio zoonosico associato  a tutti i ceppi di virus A(H5N1) e ad altri sottotipi non può essere sottovalutato, come peraltro testimonierebbe anche il recente caso d’infezione ad esito fatale da HPAI virus A(H5N2) recentemente segnalato in un paziente messicano che non avrebbe tuttavia riferito una pregressa esposizione a volatili infetti (https://www.who.int/emergencies/disease-outbreak-news/item/2024-DON520).

Risulta cruciale,  pertanto, diagnosticare tempestivamente e  notificare  in modo rapido tutti i casi sospetti, insieme all’adozione di rigorose misure di biosicurezza, al fine di sviluppare strategie efficaci di contenimento e prevenzione, proteggendo il  benessere degli animali e degli esseri umani e tutelando la  biodiversità.

Le linee guida attuali, riassunte nel documento “Practical Guide for Authorized Field Responders to HPAI Outbreaks in Marine Mammals, with a Focus on Biosecurity, Sample Collection for A(H5N1) Virus Detection and Carcass Disposal” (World Organization for Animal Health, WOAH),   sono state formulate da un panel di esperti internazionali con il Centro di Collaborazione per la Salute dei Mammiferi Marini (WOAH), in risposta agli ultimi episodi di malattia che hanno coinvolto le popolazioni di mammiferi marini lungo le coste del Sud America, e forniscono indicazioni importanti per la progettazione di strategie preventive e di gestione di eventuali focolai.

Per quanto riguarda l’Europa,  fra  Dicembre 2022 e Marzo 2023 si è registrata  un’ulteriore diffusione dell’agente patogeno ai mammiferi marini, con un caso di  meningoencefalite da virus A(H5N1) in una focena (Phocoena phocoena) rinvenuta spiaggiata lungo le coste svedesi (4), in stretta connessione epidemiologica  con una serie di casi accertati nei volatili selvatici. Il rischio per la popolazione generale in Europa è considerato basso, ma si presume che lo stesso possa essere di grado più elevato in categorie di individui professionalmente esposte al virus.

In considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene opportuno sottolineare  che adeguati sforzi andrebbero profusi, anche  sulla scia delle lezioni apprese dalla drammatica pandemia da CoViD-19, al precipuo fine di giungere adeguatamente “preparati e pronti “preparedness and readiness“, queste le parole-chiave, giustappunto) ad un’eventuale emergenza pandemica da virus dell’influenza aviaria A(H5N1), in una salutare ottica di collaborazione multidisciplinare ed intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, diffusamente permeata dal concetto/principio della “One Health“, la salute unica di uomo, animali ed ambiente!

 

Bibliografia citata

1) Ariyama, N., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus in Wild Birds, Chile. Emerg. Infect. Dis. 29:1842-1845. doi: 10.3201/eid2909.230067.

2) Puryear, W., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Outbreak in New England Seals, United States. Emerg. Infect. Dis. 29:786-791. doi: 10.3201/eid2904.221538.

3) Gamarra-Toledo, V., et al. (2023). Mass Mortality of Sea Lions Caused by Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus. Emerg. Infect. Dis. 29:2553-2556. doi: 10.3201/eid2912.230192.

4) Thorsson, E., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus in a Harbor Porpoise, Sweden. Emerg. Infect. Dis. 29:852-855. doi: 10.3201/eid2904.221426.

5) Murawski, A., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus in a common bottlenose dolphin (Tursiops truncatus) in Florida. Commun. Biol. 7:476. doi: 10.1038/s42003-024-06.

6) Di Guardo, G., Roperto S. (2024). AH5N1 avian influenza, a new pandemic behind the corner? (Rapid Response). BMJ https://www.bmj.com/content/380/bmj.p510/rr.

7) Reardon, S. (2024). Bird flu in US cows: Where will it end? Nature

https://www.nature.com/articles/d41586-024-01333-9.

8) Uyeki, T.M., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus infection in a dairy farm worker. N. Engl. J. Med.

doi:10.1056/NEJMc2405371.

9) Tisza, M.J., et al. (2024). Virome sequencing identifies H5N1 avian influenza in wastewater from nine cities. MedRxiv preprint 2024.05.10. doi:https://doi.org/10.1101/2024.05.10.24307179.

10) Clark, J.R., et al. (2023). Wastewater pandemic preparedness: Toward an end-to-end pathogen monitoring program. Front. Public Health 11:1137881. doi:10.3389/fpubh.2023.1137881.

11) Gerhard, D. (2024). Deciphering the unusual pattern of bird flu symptoms in cows. The Scientist Magazine

https://www.the-scientist.com/deciphering-the-unusual-pattern-of-bird-flu-symptoms-in-cows-71850.

12) Kristensen, C., et al. (2024). The avian and human influenza A virus receptors sialic acid (SA)-α2,3 and SA-α2,6 are widely expressed in the bovine mammary gland. BioRxiv preprint 2024.05.03.592326.

 

Cristina Casalone (1), Giovanni Di Guardo (2)

1) DVM, Dirigente Veterinario presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino

2) DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo