Lo sviluppo del settore della carne coltivata dovrebbe preoccupare i veterinari?

La carne coltivata, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, viene prodotta attraverso un processo di coltivazione in vitro di linee cellulari staminali prelevate direttamente dall’animale donatore.  E’ una industria emergente, in una fase iniziale e presenta sfide tutte da superare, come i costi di produzione elevati, efficienza energetica, rischi microbiologici e chimici, accettazione da parte dei consumatori e sviluppo di mercati oligopolistici.  Va osservato, tuttavia come i risultati di studi condotti negli ultimi anni la rendono, in una prospettiva a lungo termine,  una alternativa ecologica alla produzione di carne convenzionale  in quanto più sostenibile ed efficiente per soddisfare il fabbisogno proteico di una popolazione mondiale in rapida crescita. La carne coltivata  è un’idea futuristica che deve essere vista come una preziosa opportunità,  insieme alle alternative vegetali e proteiche per la transizione proteica sostenibile ed ecologica. Non è  in antitesi rispetto all’allevamento tradizionale  che negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di precisione e genetica innovativa e bio-sicurezza, ha garantito l’efficienza produttiva con ridotte emissioni e minore impatto ambientale.   La transizione della carne coltivata dai laboratori agli impianti di produzione richiederà maggiori investimenti  per la ricerca su efficienza dei bio-processi , ottimizzazione delle tecnologie, definizione di criteri per la valutazione della sicurezza.  Allo stesso tempo andrà sviluppato un quadro normativo nazionale ed internazionale con standard di sicurezza alimentare di benessere animale e sostenibilità ambientale ed affrontate le questioni sociali e politiche, da cui derivano posizioni indebitamente polarizzate anche all’interno di gruppi di interesse notoriamente omogenei come ambientalisti e difensori dei diritti degli animali.   La comunicazione giocherà un ruolo chiave,  soprattutto quella rivolta ai non esperti (clienti, consumatori) e parti interessate (allevatori, legislatori, politici).  Attualmente la ricerca sulla carne coltivata soffre di un approccio frammentato e isolato in diversi settori (ad esempio economia, alimentazione, salute, biotecnologia e ambiente),  un gap che deve essere colmato promuovendo la collaborazione multidisciplinare tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità di regolamentazione e la condivisione dei database scientifici sia pubblici che privati.  La ricerca necessita di modelli accurati.  Per averli, c’è bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.

Nuove competenze veterinarie? I sistemi di controllo ufficiale oggi applicati alla carne convenzionale,  dovranno essere adattati alle specificità dei nuovi contesti produttivi della carne coltivata ed avvalersi di nuovi strumenti e know how  per la prevenzione e gestione dei rischi connessi ai diversi passaggi del processo di produzione e commercializzazione.   Il passaggio dalla carne tradizionale a quella alternativa – che richiederà tempo per ragioni economiche e socio-culturali – solleva alcune preoccupazioni all’interno della professione veterinaria.  I veterinari si stanno già chiedendo quale sarà l’impatto sul loro futuro professionale e se quelli che operano negli allevamenti – la categoria più vulnerabile nel mondo futuro della carne alternativa – sopravvivranno.  Il sentimento comune è che la carne coltivata influenzerà da un lato gli allevatori e la comunità rurale, dall’altro produrrà un cambiamento tettonico nella professione.  È indubbio che i veterinari  avranno un ruolo fondamentale nel processo di bio-produzione di carne coltivata, a cominciare dalla valutazione della sanità e storia clinica degli animali donatori di linee cellulari, una  fase ritenuta un fattore di rischio microbiologico e per l’attività di supervisione e verifica della conformità degli impianti di produzione e dei processi ai requisiti di sicurezza alimentare.   Se i veterinari vogliono continuare a svolgere un ruolo chiave in un prospettiva a lungo termine – che è la scala temporale necessaria per trovare   la carne coltivata sugli scaffali dei supermercati –  dovranno reiventarsi.  E non sarà la prima volta.  La storia ci racconta che la professione veterinaria a partire dalla seconda rivoluzione industriale del XIX secolo, ha dovuto far fronte a diverse crisi esistenziali generate da trasformazioni socio-economiche del sistema produttivo industriale. Il cavallo, linfa vitale della professione,  iniziò a perdere valore economico e fu sostituito dalle reti ferroviarie e in seguito dalle automobili.  Negli Stati Uniti, molte scuole veterinarie chiusero negli anni ’20 per un forte calo del numero di cavalli.  Ma altri cambiamenti arrivarono forieri di nuovi sbocchi professionali legati ai programmi di eradicazione delle malattie contagiose animali e allo sviluppo della medicina per animali da compagnia a partire dagli anni ’60.  Il settore della carne coltivata confermerà le  responsabilità dei veterinari in materia di sanità animale e sicurezza alimentare e aprirà nuove opportunità in molteplici aree scientifiche.  L’allineamento della professione veterinaria alle nuove tecnologie richiederà la convergenza della ricerca in campo veterinario con altre discipline scientifiche, tra cui biotecnologia, biochimica, metabolomica, bioingegneria, ingegneria tissutale, ingegneria di processo, zootecnia, solo per citarne alcune.  L’istruzione, la formazione e la motivazione sono fattori chiave per sviluppare nuove competenze veterinarie a beneficio della professione,  della società, degli animali e dell’ambiente.

E’ molto probabile che la domanda di carne tradizionale continuerà a crescere per almeno un altro decennio prima di rallentare, momento in cui quella alternativa prenderà sempre più il sopravvento. Le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40% .  Con questo orizzonte, le innovazioni tecnologiche e le preoccupazioni ambientali potrebbero dare impulso al settore, unitamente ad un riconoscimento delle competenze veterinarie,  in primis in quei paesi che hanno adottato un approccio politico più progressista alla lotta al cambiamento climatico, che, lo ricordiamo, è un campanello d’allarme per reinventare le nostre economie secondo principi etici, di sostenibilità ed efficienza,  ripensare i consumi e riprogettare i nostri rapporti con la natura e all’interno delle nostre comunità.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Il principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale

Le norme di principio sono norme a contenuto generale che esprimono determinati valori ritenuti di particolare importanza in quanto indirizzano l’azione amministrativa e dai quali dipendendono le altre disposizioni normative. L’azione amministrativa non è pertanto solo assoggettata alle norme specifiche per il singolo caso, ma anche a un insieme di principi generali che assicurano l’adeguatezza della scelta adottata dalla amministrazione.

Secondo Nicotra, crescente importanza e funzionalità ha assunto nel diritto pubblico il principio di proporzionalità, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici. L’autore aggiunge che, in ragione di tale principio, ogni provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinario (es. sanzioni, imposisioni di obblighi, ecc.), dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.

Conseguentemente, ogniqualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determina un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra i vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta.

Al principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale ex art. 138 del regolamento (UE) 625/2017 è dedicato un approfondimento a cura del Dott. Antonio Di Luca, Referente nazionale del Gruppo di lavoro SIMeVeP “Diritto e legislazione veterinaria”

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Alcune riflessioni sulla carne coltivata

Possiamo immaginare un futuro scintillante di un mondo appena oltre il presente in cui la carne è abbondante e accessibile, con quasi nessun costo per l’ambiente e senza la preoccupazione esistenziale legata all’uccisione degli animali.  Al centro di questa visione ci sono mega-strutture high-tech, che ospitano serbatoi d’acciaio (i bioreattori  o fermentatori) alti come palazzi contenenti migliaia di litri di terreni di coltura cellulare ed in grado di produrre milioni di chili di carne, tali da nutrire un intero paese. È una visione edonistica,  ma anche altruistica, una scappatoia per gli eccessi dell’umanità, perché consente di risparmiare acqua, liberare terreni, proteggere le specie vulnerabili e la biodiversità e ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale.  Parliamo di carne coltivata o carne a base cellulare, correlata all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, termini imprecisi che possono avere una connotazione negativa per i consumatori. L’aspetto semantico con l’utilizzo di una terminologia per i nuovi alimenti prodotti utilizzando nuove tecnologie – più facilmente comprensibile dal grande pubblico – è rilevante per  superare la potenziale neofobia e la possibile riluttanza verso le nuove scelte alimentari. Esistono diverse definizioni di carne coltivata. Quella che preferisco è la seguente: la carne coltivata è una carne animale genuina, in grado di replicare le stesse proprietà sensoriali e nutrizionali di quella convenzionale, in quanto costituita dello stesso tipo di cellule organizzate nella stessa struttura dimensionale del tessuto muscolare animale.  In parole povere, la carne coltivata è prodotta a partire da vere cellule animali, ad esempio cellule prelevate da un bovino, un pollo, un suino, un pesce.  L’unica differenza è che il prodotto è sempre basato su cellule animali ma non siamo costretti ad allevare e macellare animali.

Sebbene di recente interesse, l’idea originale di carne coltivata ha radici antiche.  Nel 1923, JBS Haldane nel libro ‘Dedalo della scienza e del futuro’ prospettò l’idea del cibo sintetico o coltivato in laboratorio. Winston Churchill nel 1931, critico nei confronti dei metodi di allevamento, introdusse l’argomento della carne coltivata.  Ma la prima ricerca di carne coltivata risale al 2002, quando la NASA pubblicò uno studio sulle colture di cellule muscolari di tacchino e filetto di pesce rosso.  A seguire nel 2013 Mark Post, uno scienziato olandese presentò il primo prototipo di carne a base di cellule di muscolo scheletrico bovino, sotto forma di hamburger, costato circa 290 mila euro per 142 grammi.  Ma il vero pioniere della carne coltivata è l’olandese Willem van Eelen, che negli anni 80’ pose le basi per questa nuova tecnologia.  Oggi il testimone di Willem van Eelen è passato a sua figlia Ira van Eelen, cofondatrice di RespectFarm, un progetto pilota che in alternativa ai grossi impianti, propone il decentramento della produzione di carne coltivata, riadattando le infrastrutture agricole esistenti in strutture per la carne coltivata e  garantendo la transizione dei mezzi di sostentamento degli agricoltori verso un modello di business più sostenibile. RespectFarm fa parte del programma di ricerca collaborativo FEASTS per la carne e pesce coltivato, finanziato con fondi strutturali e di investimento europei, e propone l’integrazione dell’agricoltura tradizionale con l’agricoltura cellulare, con un ruolo futuro nel passaggio verso la sostenibilità. Negli ultimi dieci anni, dunque il concetto di agricoltura cellulare, in particolare la coltivazione di carne e frutti di mare da cellule animali, è passato dalla fantascienza al mondo reale, sebbene con un mercato di nicchia, in alcuni paesi.

Ma come si produce la carne coltivata? Sinteticamente si parte dal prelievo di cellule (per lo più staminali perché dotate di estesa capacità rigenerativa) da un animale tramite una biopsia, e loro inserimento in un bioreattore (o fermentatore), che riproduce le stesse condizioni che le cellule incontrerebbero all’interno del corpo, tra cui presenza di sostanze nutritive, ossigeno e fattori necessari per la crescita e differenziazione. In alternativa alla biopsia che necessita di prelievi continui,  non garantisce l’uniformità dei campioni e presenta limiti dovuti alla soglia di divisione delle cellule primarie (limite di Hayflick), si possono utilizzare linee cellulari più omogenee e performanti e conservate in biobanche. La carne coltivata rappresenta dunque una fusione di biologia e tecnologia, afferisce alla agricoltura cellulare che unisce la tecnologia delle colture cellulari e biologia delle cellule staminali (in prestito dal settore biofarmaceutico) alla ingegneria tissutale-cellulare del settore della medicina umana rigenerativa.

Su questo sfondo di innovazione tecnologica una domanda ricorrente è questa: ma è naturale? Una riflessione che discende da un mito sociale più ampio secondo cui naturale equivale a migliore, più sano e più sicuro.  Siamo avvezzi a romanticizzare il naturale e questa preferenza deriva da pregiudizi radicati legati ad un comfort psicologico: la naturalezza sembra familiare e sicura, anche quando la scienza suggerisce il contrario. E su questo c’è un forte influenza del marketing. Etichette come biologico o naturale sono progettate per rassicurarci, ma possono oscurare i costi ambientali ed etici della produzione.  E’ una prima impressione che però si scontra con una realtà molto più complessa.  Sappiamo che gli alimenti naturali o convenzionali sono spesso imprevedibili. Prendiamo ad esempio la carne tradizionale prodotta in  ambienti (allevamenti ed impianti di macellazione e lavorazione) in cui circolano patogeni come E. coli, Salmonella, Campylobacter che si trasmettono all’uomo, per i quali il rischio non è mai zero e possono persistere anche con ispezioni rigorose.

Diversamente dalle procedure manuali, la tecnologia di automazione del processo di produzione della carne coltivata all’interno di bioreattori dotati di sofisticati  sistemi di monitoraggio, consente di rilevare rapidamente, tramite sensori fisico-chimici eventuali condizioni sfavorevoli nelle vasche di coltivazione, inclusi batteri patogeni, ma anche residui di ormoni ed antibiotici.

A differenza della maggior parte dei produttori di alimenti che testano i lotti in modo casuale, questo sistema offre maggiori garanzie poiché esamina ogni singolo lotto, riduce il rischio di contaminazione e aumenta il controllo, la sicurezza e la tracciabilità dei processi.  In pratica, il rischio può essere facilmente monitorato utilizzando test per la quantificazione dei farmaci veterinari sulla linea cellulare e sul prodotto finito, ma soprattutto recuperando i dati sanitari degli animali donatori.

L’utilizzo della modellazione poi, offre vantaggi sostanziali in termini di riproducibilità, scalabilità e sostenibilità, riduce al minimo le materie prime, gli sprechi, la manipolazione e la dipendenza dall’operatore portando a una maggiore efficienza dei bioprocessi. Il processo dunque è progettato per soddisfare rigorosi standard normativi che garantiscono la qualità e la sicurezza.  Per la produzione su larga scala, i bioreattori automatizzati operano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Tuttavia, i  bioreattori automatizzati lavorano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Da un punto di vista della sostenibilità i relativi costi possono essere ridotti utilizzando fonti di energia rinnovabili e introducendo pratiche di riciclaggio e riutilizzo dell’acqua. In aggiunta alla sicurezza ci sono vantaggi  di tipo ambientale rispetto all’agricoltura e allevamento tradizionali, che senza una corretta regolamentazione e pianificazione, favoriscono la deforestazione, sono responsabili per un terzo dell’emissione globale di gas serra proveniente dal settore della produzione alimentare (potenzialmente la carne coltivata produce il 92% in meno di emissioni) e consumano vaste risorse.  I dati ci dicono che siamo nel bel mezzo di una catastrofe globale al rallentatore, ogni anno che passa, la forza distruttiva del cambiamento climatico diventa più destabilizzante e il danno umano agli animali più estremo.

Tornando al quesito sopra espresso, possiamo chiederci: l’agricoltura naturale può raggiungere la  precisione della carne coltivata? E sostenibilità ma anche compassione (viene ridotta la macellazione industriale) non sono forse una definizione migliore di naturale? La scienza sta ora sfidando queste percezioni, dimostrando che il meglio può essere creato attraverso l’innovazione.  La carne coltivata, forse, non è del tutto naturale, ma è più sicura, più sostenibile ed eticamente allineata con i valori moderni.  Inoltre tra i suoi vantaggi, e questo va incontro alle esigenze dietetiche dei nuovi consumatori più attenti, c’è la possibilità di ottimizzarla sotto il profilo nutrizionale. La carne è ricca di acidi grassi saturi, come l’acido stearico, palmitico e laurico, questi ultimi due responsabili dell’aumento delle concentrazioni di colesterolo nel sangue, ma povera di acidi grassi polinsaturi (es. omega 3 e 6) che invece, riducono i livelli di colesterolo e con essi il rischio di subire malattie cardiovascolari. Queste sostanze più salutari potrebbero consentire di creare una prodotto proteico più funzionale e benefico per il consumatore.

Oggi alcuni prodotti che includono cellule coltivate sono stati approvati per la vendita a Singapore, Hong Kong, Stati Uniti (in pausa) e  Israele, ma non ancora nei paesi dell’Unione Europea. Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato nel 2016 che ‘l’umanità è sull’orlo del ‘secondo addomesticamento’: invece di addomesticare gli animali per produrre carne, addomestichiamo le cellule per coltivarla direttamente, un cambiamento dietetico importante quanto il passaggio dalla caccia e dalla raccolta alle colture e all’allevamento. Per il futuro sicuramente i quadri normativi sui nuovi prodotti alimentari (novel food) dissiperanno le preoccupazioni relative alla sicurezza e trasparenza dei  metodi di produzione e dei potenziali impatti a lungo termine. Per migliorare l’efficacia della comunicazione con i non esperti (es. clienti, consumatori, elettori) e le parti interessate (es. allevatori, enti di regolamentazione e politici) e sviluppare un quadro unificato e multidisciplinare, occorrerà  superare l’approccio frammentato e a silos della ricerca sull’agricoltura cellulare in diversi settori (es. economico, alimentare, sanitario, biotecnologico e ambientale, promuovere la collaborazione tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità regolatorie e condividere database scientifici. Sono necessari modelli accurati.  E per averli abbiamo bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.  Sullo sfondo di dati promettenti di una recente analisi per il contributo significativo della carne coltivata all’economia dell’UE e una elettrizzante corsa globale agli  investimenti nel settore dell’ordine di miliardi di dollari da parte di capitale di rischio e fondi sovrani, nonché dei principali produttori di carne, e di start-up come East Just e Upside food, che, prima di aver superato le sfide tecnologiche più fondamentali, hanno spinto per l’approvazione del governo americano, si stagliano dichiarazioni che sottolineano come all’ampia rivoluzione della carne coltivata non corrisponda una prospettiva reale, e sicuramente non nei pochi anni che ci sono rimasti per evitare la catastrofe climatica.  Dalle interviste con investitori e addetti ai lavori, tra cui molti che hanno fatto parte dei team di leadership di aziende del settore, emerge una litania di risorse sperperate, promesse non mantenute, strutture costose, significativi ostacoli tecnologici e dati scientifici non validati.  Sono battute d’arresto prevedibili del ciclo hype di Gartner per l’innovazione e di sviluppo di tecnologie trasformative, che la storia ha dimostrato non seguire una linea retta. Affinché l’agricoltura cellulare raggiunga il “plateau della produttività”, non deve solo superare ostacoli di tipo biotecnologico e ingegneristico, ma anche quelli di natura sociale e politica. La carne coltivata, una idea futuristica, lungi dal ritenerla, in una prospettiva di scalabilità a lungo termine, sostitutiva di quella convenzionale, rappresenta una preziosa opportunità a fianco alle offerte vegetali e proteine alternative per realizzare una transizione proteica sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Le conseguenze disastrose del cambiamento climatico sono un wake-up che ci spinge a reinventare le nostre economie, a ripensare ai consumi e ridisegnare le nostre relazioni con la natura e l’uno con l’altro.

Parimenti è giunto il momento di ripensare alla narrativa del cibo cercando di superare la dicotomia semplicistica tra natura e innovazione scientifica e tecnologia che non riesce a catturare l’evoluzione dei moderni processi di produzione e favorire l’accettazione da parte del pubblico di soluzioni solo apparentemente innaturali come la carne coltivata.

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Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Anisakis e Norovirus: SIMeVeP e ADMV al Ministero della Salute

In data 22 ottobre il Dott. Maurizio Ferri, coordinatore scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP) e la Dott.ssa Valentina Tepedino, referente del gruppo di lavoro sui prodotti ittici della SIMeVeP e membro del Direttivo della Associazione Donne Medico Veterinario (ADMV) sono stati ricevuti dal dott. Ugo Della Marta, Direttore Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute e dalla dott.ssa Rosa Gaglione.

 L’incontro, su impulso dei Presidenti delle due Associazioni nelle persone di Antonio Sorice (SIMeVeP) e Laura Cutullo (ADMV), ha rappresentato l’occasione per un tavolo di confronto su quelle che sono le tematiche emergenti di sicurezza alimentare e di maggiore rilievo per i numerosi associati nonché oggetto di attenzione mediatica e di aggiornamento da parte dei legislatori.

Obiettivo principale dell’incontro è stato infatti, per le due Associazioni, quello di rinnovare il rapporto di stima, fiducia e collaborazione con la Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute e rafforzare il confronto e lo scambio di informazioni facendo rete sui temi di reciproco interesse.

In particolare, si è discusso dell’importanza dei medici veterinari per gli aspetti legati alla sostenibilità e benessere animale e del loro ruolo strategico anche come divulgatori sui temi di loro competenza e di formatori. Sono stati affrontati anche due temi relativi al settore ittico, come l’Anisakis e i Norovirus, di specifico interesse da parte di entrambe le Associazioni, ed anche oggetto di richieste di chiarimenti. Il Dott. Ferri ha anche espresso il suo interesse ad un confronto sulla carne/pesce “coltivato”.

SIVeMeP e ADMV ringraziano il dott. Della Marta e la Direzione per la disponibilità e per l’opportunità preziosa di un confronto costruttivo.

 

 




WELFAIR – FIERA DEL FARE SANITA’ – One Health: quale equilibrio tra uomo, animali ed ambiente?

Si svolgerà a Roma dal 5 al 7 novembre “WELFAIR – FIERA DEL FARE SANITA” dedicata alla Sanità in Italia, che riunisce in un appuntamento nazionale i vertici della governance sanitaria, delle società scientifiche e delle grandi aziende di tecnologie medicali.

Nella giornata del 6 novembre dalle 16:30 alle 18:30 è in programma la tavola rotonda “One Health: quale equilibrio tra uomo, animali ed ambiente?” coordinata da Sofia Gorgoni, Direttore Responsabile Prevenzione e Salute, alla quale parteciperà Aldo Grasselli, Segretario Nazionale SIVeMP e Presidente Onorario SIMeVeP.

Intervengono:

Ugo Della Marta, Direttore Generale della Direzione per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, Ministero della Salute

Sara Faravelli, Corporate Communcation Director, Purina Southern Europe

Gaetana Ferri, Consigliere Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani (FNOVI)

Piero Formica, Innovation Value Institute, Maynooth University, Ireland

Aldo Grasselli, Presidente Onorario SIMeVeP e Segretario Nazionale SIVeMP

Ylenja Lucaselli, Deputato, Presidente intergruppo parlamentare One Health

Giulia Marchetti, Professore ordinario di Malattie Infettive Direttore Clinica delle Malattie Infettive e Tropicali Dip di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano

Marco Melosi, Presidente Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI)

Maria Triassi, Direttore del Dipartimento ad Attività Integrata di Sanità Pubblica, Farmacoutilizzazione e Dermatologia AOU Federico II; Professore ordinario di igiene generale e applicata, Università degli Studi di Napoli Federico II.

L’ingresso in Fiera è gratuito

Clicca qui per registrarti e partecipare




Il nuovo rapporto di SYSTEMIQ LTD sul futuro della carne coltivata

La produzione di carne per soddisfarne il fabbisogno di quasi otto miliardi di persone sul pianeta sta mettendo a dura prova le risorse disponibili. Fattori come lo sfruttamento dei terreni per l’allevamento intensivo, il disboscamento, la minaccia alla biodiversità e l’ emissione di gas serra sono responsabili degli effetti disastrosi del cambiamento climatico.  Se questo trend globale continuerà, il consumo di carne è destinato a crescere in modo significativo, con un aumento della domanda del 30% entro il 2050.  Tuttavia, è possibile contrastare questa tendenza e mitigare gli effetti della pressione ambientale attraverso la diversificazione della dieta e l’introduzione di proteine alternative tra cui quelle ​​vegetali, carni coltivate in laboratorio, o persino proteine ​​di insetti.

Una  analisi pubblicata nel 2019 dalla società di consulenza AT Kearney stima che nel 2040 la carne coltivata occuperà il 35% del mercato della carne globale insieme ad  altri analoghi di origine vegetale per un totale di 640 miliardi di dollari. Riguardo invece ai volumi di produzione futuri il rapporto Mc Kinsey prevede che entro il 2030 la produzione di carne coltivata,  benchè in crescita costante, con 2,1 milioni di tonnellate potrà soddisfare solo lo 0,5% della domanda globale di carne a causa delle capacità limitate degli attuali bioreattori che oggi vanno da 2.000 a 10.000 litri.   Una stima più recente è fornita dalla società di consulenza Systemiq Ltd. finanziato da e in collaborazione con Good Food Institute (GFI) relativo ai benefici economici che il settore della carne coltivata potrebbe apportare in Unione Europea ed altri come un migliore valore nutrizionale, profili di grassi più sani e rischi ridotti di zoonosi e resistenza antimicrobica,  riduzione del bioaccumulo di tossine soprattutto nei frutti di mare e livelli superiori di disponibilità alimentare per la riduzione dei  costi di produzione della carne, influenzati dal cambiamento climatico, dalla pressione sulle risorse, nonché dalla dipendenza dalle importazioni e dalla produzione di mangimi per animali.  Per stimare il potenziale della carne coltivata l’analisi prende in considerazione tre scenari, di cui due ambiziosi ma plausibili per lo sviluppo futuro del settore della carne coltivata.

L’obiettivo di questa analisi non è quello di fornire proiezioni definitive su ciò che accadrà ma di illustrare quale potrebbe essere il potenziale economico per l’Europa nell’ambito di alcuni scenari ambiziosi con l’intento di assumere fin da ora un ruolo di leadership nel settore. Negli scenari delineati, l’analisi stima che il settore potrebbe rappresentare un mercato globale da 170 a 510 miliardi di euro entro il 2050, e  nello scenario più ambizioso da 15 a 80 miliardi di euro all’anno a livello europeo, fra consumo interno ed esportazioni e sulla base di una catena di valore nazionale della carne coltivata e di opportunità commerciali. Inoltre la crescita di questo settore creerebbe 25.000-90.000 nuovi posti di lavoro ben retribuiti. La relazione rileva anche un particolare vantaggio competitivo nell’UE che in forza della ricerca nella scienza e nella biotecnologia è in grado di fornire materie prime per la coltivazione cellulare, come i terreni di crescita e attrezzature. In una prospettiva sul ruolo che i singoli paesi potrebbero svolgere nella filiera della carne coltivata, il rapporto illustra con casi-studio specifici le opportunità per Francia, Spagna, Polonia e Germania di sviluppare mercati nazionali e input chiave per la bioproduzione. Questi risultati sono estremamente entusiasmanti ma per cogliere l’opportunità, occorre assicurare la scalabilità del settore e la progressione da prodotto di nicchia (intorno a 85 euro al kg) a prodotto maggiormente accessibile con la parità di prezzo rispetto alle carni convenzionali, condizioni che potranno realizzarsi solo in un contesto normativo equo e trasparente e con investimenti significativi dei governi nei settori della ricerca e sviluppo nei prossimi anni.  La relazione ha calcolato che per concretizzare lo scenario più atteso e realizzare questi benefici, il settore della carne coltivata necessita di un investimento globale medio annuo di 55 miliardi di euro a livello globale da qui al 2050, di cui 5 miliardi dovrebbero provenire dall’UE, tra investimenti pubblici (500 milioni) e privati. L’UE sta attualmente destinando  diversi miliardi per le infrastrutture di trasporto green ed innovazioni eco-compatibili.  E’ ampiamente dimostrato come investimenti simili nel settore alimentare producano vantaggi superiori.

Dal punto di vista dell’impatto ambientale, il rapporto rileva che se il settore della carne coltivata crescesse a livello globale fino a queste dimensioni, rispetto ad altre tecnologie, potrebbe mitigare fino a 3,5 giga tonnellate di emissioni di gas serra (pari al 17% delle emissioni totali del sistema alimentare nel 2050).  Inoltre, si risparmierebbero fino a un terzo dei terreni agricoli globali (1,4 miliardi di ettari) e fino a 225 milioni di metri cubi di acqua, il tutto rafforzando la salute pubblica e la sicurezza alimentare. La capacità del settore di raggiungere questi traguardi dipenderà dalla disponibilità degli investimenti pubblici e privati necessari per superare le sfide tecniche, ridurre i costi e scalare la produzione in modo efficiente. Questi scenari dipenderanno anche dalla capacità della carne coltivata di mantenere un percorso di commercializzazione equo e basato su dati concreti in Europa e nel mondo. In termini di allocazione, gli autori del report consigliano di distribuire l’investimento con una suddivisione 40/60, dando priorità al 40% per Ricerca e sviluppo e al 60% per la costruzione di infrastrutture, entrambi fondamentali per inviare i segnali giusti agli attori privati ​​e sbloccare i flussi di capitale privato.  In Italia i poli universitari in cui si fa ricerca sul settore hanno sollecitato un dialogo multidisciplinare, concretizzatosi con  una conferenza multidisciplinare dal titolo ‘Le scienze della carne coltivata’ organizzato presso il Molecular biotechnology center “Guido Tarone  dall’Università di Torino e da Good Food Institute in occasione della European Biotech Week.  Sono stati coinvolti accademici di biotecnologia, ingegneria, diritto, psicologia, nutrizione, sicurezza alimentare e bioetica per riflettere sul futuro della carne coltivata e su come orientarsi tra le sfide che ci attendono.  L’evento ha visto il lancio di un progetto di crowdfunding a supporto della ricerca in UniTo, che ha già raccolto oltre il 90% dei fondi.

Dott. Maurizio Ferri e Dott.ssa Maria Grazia Cofelice – SIMeVeP




Le PAT nell’economia circolare

economia circolareLe proteine animali trasformate (PAT) derivano esclusivamente da materiale a basso rischio definito di categoria 3 dal Reg. 1069/2009 sui sottoprodotti, ovvero parti di animali (ossa, frattaglie, ecc.) dichiarati idonei al consumo umano a seguito di ispezione prima della macellazione. Costituiscono dunque un prodotto del rendering, un processo di sterilizzazione e stabilizzazione che converte i tessuti animali in materiali utilizzabili.

L’industria del rendering ogni anno in Europa gestisce 18 milioni di tonnellate di materiale animale, che in un’economia circolare viene ritrasformato in prodotti farmaceutici, cere e biodiesel, mangimi ricchi di proteine di alta qualità per l’industria degli alimenti per animali domestici e acquacoltura, combustibili, oleochimica, fertilizzanti. Il rendering, con gli attuali volumi di produzione industriale, è pertinente alla sfida climatica, inoltre utilizzando l’energia pulita che deriva dai sottoprodotti per produrre calore ed energia, può essere considerato a impatto zero di CO2.

Per garantire la sicurezza per l’uso nell’alimentazione animale la produzione avviene solo in stabilimenti approvati ai sensi del Reg. 1069/2009 e Reg. di esecuzione 142/2011 ed è sostenuta da rigidi controlli veterinari per prevenire la diffusione di malattie degli animali e zoonosi, garantire la tracciabilità e la sicurezza.

Ne parla il dott. Maurizio Ferri in un articolo pubblicato su La Settimana Veterinaria




La carne coltivata: soluzioni per la riduzione dei costi di produzione

Numerosi studi e pubblicazioni di Life cycle assessment (LCI) peer reviewed hanno dimostrato che la carne coltivata offre l’opportunità,  insieme agli alimenti di origine vegetale, di rendere la produzione  delle proteine animali più sostenibile. Utilizzando l’agricoltura cellulare, la carne coltivata riduce le emissioni di azoto, l’uso del suolo e le preoccupazioni per il benessere degli animali,  offrendo una soluzione sostenibile per soddisfare la domanda globale di proteine.

E’ indubbio che la produzione di carne coltivata debba affrontare una serie di sfide economiche, tecnologiche e sociali.  Una di queste è relativa al costo elevato dei terreni di coltura con ingredienti  di tipo farmaceutico, dei fattori di crescita e proteine ricombinanti. Per essere un’alternativa praticabile alla produzione di carne convenzionale e per lo scale up,  l’agricoltura cellulare richiede l’analisi costo-efficacia dei materiali, l’ottimizzazione delle formulazioni dei terreni di coltura per massimizzare la produzione e il consolidamento delle relative filiere di approvvigionamento.

Le tecniche tradizionali di produzione di carne coltivata si basano su terreni chimicamente indefiniti che utilizzano il siero fetale bovino (FBS), con i limiti economici ed etici, e terreni chimicamente definiti che utilizzano fattori di crescita specifici.   La voce di costo maggiore per lo scale-up della produzione è rappresentata dai terreni di coltura, che contengono nutrienti e fattori di crescita.  Tuttavia, è possibile ridurre i costi con un ventaglio di soluzioni che prevedono:

  • selezione di ingredienti a costo inferiore
  • utilizzo di quantità inferiori di terreni di coltura
  • nuove formulazioni di terreni di coltura che attraverso la modellazione delle vie metaboliche consentono una crescita cellulare efficiente
  • sostituzione dei componenti farmaceutici dei terreni a costo elevato con quelli di qualità alimentare o per mangimi
  • fonti proteiche alternative (es. nuove proteine ottenibili con l’uso della luce per (piattaforma fotomolecolare)
  • fattori di crescita alternativi e/o loro riciclo
  • ingegnerizzazione delle linee cellulari per ridurre i rapporti di conversione del mangime e sprechi (lattato e ammoniaca)
  • uso di cellule immortalizzate (es. fibroblasti di pollo) che si adattano a un terreno con poco siero o serum free.
  • riciclo dei terreni.

Microalghe come fonte di glucosio

La maggior parte del glucosio nei terreni di coltura tradizionali per la carne coltivata in laboratorio proviene dalla coltivazione di cereali come mais e grano, che incidono sull’ambiente a causa del consumo di acqua e dell’uso di fertilizzanti e pesticidi.  Ricerche recenti assegnano alle microalghe un ruolo fondamentale nel futuro della carne coltivata nel renderla meno dipendente dagli input di cereali ed animali e con molti altri benefici.  Uno studio condotto in Giappone ha dimostrato che diversi ceppi di microalghe (C. littorale, C. vulgaris) possono fornire alle colture cellulari glucosio, aminoacidi e altri nutrienti.  La coltivazione di microalghe,  che non richiede fertilizzanti e pesticidi e con ridotto consumo di acqua,  può anche avvenire su terreni non adatti all’agricoltura,  comprese le aree urbane ed alimentare un sistema circolare di coltura cellulare in cui i terreni di coltura residui a fine ciclo che contengono ammoniaca e lattati possono alimentare le microalghe in grado a loro volta di rimuovere fino all’80% dell’ammoniaca e 16% di fosforo. L’obiettivo immediato è di avere un sistema chiuso di 30 metri quadri in grado di produrre un chilogrammo di carne coltivata al giorno entro il 2030.

Fonte: https://www.nature.com/articles/d42473-024-00083-6.

Questo sistema circolare, che funziona senza l’aggiunta di nutrienti derivati ​​dai cereali e sieri animali,  potrà contribuire per la futura produzione di carne coltivata alla riduzione dell’impatto ambientale e del consumo di risorse/energia.  Un importante composto di scarto nelle cellule animali coltivate è l’L-Lattato, utilizzato naturalmente dalla maggior parte delle alghe.  Per rimuovere il lattato nei terreni di scarto e sviluppare un sistema di coltura di cellule animali sostenibile, ricercatori giapponesi hanno introdotto nel Synechococcus, cianobatterio unicellulare molto diffuso nell’ambiente marino, un gene da Escherichia coli che codifica per la L-lattato deidrogenasi che converte il lattato in piruvato, un metabolita che a sua volta può essere convertito in glucosio dalle cellule.  Numerosi laboratori di ricerca e aziende in Asia, Europa e Stati Uniti perseguono concetti simili.  Alcune aziende come Mewery stanno persino co-coltivando le cellule animali con le microalghe che simultaneamente consumano ammoniaca, forniscono ossigeno, esprimono fattori di crescita ricombinanti e diventano parte del prodotto finale.  Una strategia che potrebbe fornire una soluzione meno dispendiosa in termini di energia e terra per la produzione di terreni di coltura su larga scala.  Studi futuri dovranno confrontare i costi e l’impatto ambientale della produzione di carne coltivata integrata con le microalghe rispetto ai mezzi più convenzionali di produzione di input per i terreni.

Gli idrolizzati

Due nuovi studi di Life cycle assessment (LCA) sui terreni di coltura cellulare per la carne coltivata pubblicati da Tufts University Center for Cellular Agriculture (TUCCA) e University of Helsinki hanno confermato l’impatto ambientale dei terreni e mostrato come l’uso di proteine vegetali, come ad esempio gli isolati proteici di colza o idrolizzati agricoli di prodotti animali (es. da albumi d’uovo) possano sostituire le proteine ricombinanti ad alto impatto o il siero animale e dunque  ridurre in modo significativo l’impatto ambientale. L’orientamento degli studi futuri vede la modellazione dei processi di produzione alimentare di aminoacidi su larga scala,  di proteine ricombinanti e altri fattori di produzione  nonché processi per la preparazione e la spedizione di formule in polvere finite.  Nel primo studio americano la riduzione dell’utilizzo di FBS nei terreni di coltura dal 10 al 2% (v/v) ha consentito di ridurre tutte le voci di impatti ambientale studiati.  Ulteriori riduzioni sono state ottenute quando FBS viene completamente sostituita da terreni di base come  DMEM/F12, Essential 8™, idrolizzati proteici e fattori di crescita ricombinanti.  L’uso del suolo è stato il meno ridotto,  in quanto condizionato dall’estrazione dell’amido per produrre glucosio per il terreno  DMEM/F12.  Il terreno di coltura con idrolizzati proteici dall’albume d’uovo ha ottenuto le più alte riduzioni di impatto rispetto al mezzo contenente FBS.  Uno studio australiano ha dimostrato che gli idrolizzati di erba Kikuyu, erba medica e pellet per l’allevamento di bovini a certe condizioni promuovono la crescita delle cellule mioblastiche C2C12 in terreni contenenti lo 0,1% e lo 0% di siero.  Questi effetti in terreni privi di siero sono più pronunciati quando gli idrolizzati da pellet di mangime per bovini vengono combinati con i promotori della crescita come insulina, transferrina e selenio.  Uno studio simile della Texas A&M University ha dimostrato il potenziale dell’isolato proteico dell’erba medica (alfalfa protein) come componente promettente di terreni di coltura privi di siero per la proliferazione delle cellule satelliti bovine BSC. Questi risultati confermano che le materie prime esistenti e a basso costo possono fornire una fonte nutritiva adatta per le cellule in coltura e sottolineano la necessità di una ricerca continua sulle fonti proteiche alternative e nuove formulazioni di terreni di coltura per supportare la produzione sostenibile ed etica dei terreni per la crescita cellulare.  GFI, una organizzazione non profit che sostiene la ricerca, le politiche e gli investimenti necessari per le proteine alternative, ha dichiarato che entro la fine del 2024 finanzierà diversi progetti sull’ottimizzazione degli idrolizzati. L’impulso per gli studi futuri dovrà focalizzare sulla modellazione dei processi di produzione alimentare degli attuali fornitori su larga scala di aminoacidi, proteine ricombinanti e altri fattori di produzione che servono l’industria, nonché sui processi per la preparazione e la spedizione di formule in polvere finite come quelle perseguite in nuove strutture. Nutreco, che ha precedentemente collaborato con diverse startup nel settore per fornire input di terreni a basso costo, ha annunciato l’apertura del primo stabilimento commerciale che produrrà in quantità industriali  terreni di coltura cellulare in polvere di qualità alimentare.

Nuovi fattori di crescita e proteine ricombinanti

I fattori di crescita, contenuti anche nel FSB e le proteine ​​ricombinanti, necessari per aiutare le cellule muscolari a crescere,  per via del loro costo elevato costituiscono un’altra importante  voce di costo per la produzione di carne coltivata.  La ricerca è attualmente orientata sia alla  produzione di proteine ​​a partire da batteri,  funghi o piante come sistemi di espressione, sia alla loro sostituzione con alternative vegetali, in particolare per le proteine ​​utilizzate ad alte concentrazioni nei terreni come l’albumina e la transferrina.  Ricercatori giapponesi hanno ottenuto la riduzione di FBS, e dunque evitato l’uso del feto,  incubando il terreno di coltura cellulare con cellule provenienti da organi di animali da allevamento, come fegati o placente,  che secernono i fattori di crescita. In questo modo non sarà più necessario ricorrere al costoso processo di purificazione dei fattori di crescita derivati da altre fonti.

Dott. Maurizio Ferri e Dott.ssa Maria Grazia Cofelice – SIMeVeP




Veterinaria, Salute e Produzioni. Il contributo della Veterinaria alla sostenibilità globale

In occasione del G7 Salute, il Comune di Ancona ha programmato nel mese di ottobre un palinsesto di eventi che accompagnerà gli appuntamenti istituzionali.

Nel calendario “Extra Salute G7” è previsto un convegno promosso dall’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani in collaborazione con ENPAV, FNOVI, SIVeMP e Ordine dei Medici Veterinari di Ancona dal titolo “Veterinaria, Salute e Produzioni. Il sistema veterinario italiano per la sostenibilità globale” che si svolgerà martedì 8 ottobre dalle 9 alle 13.

Il Presidente della SIMeVeP, dott. Antonio Sorice, parteciperà alla prima sessione “Il Contesto nazionale”

L’ingresso è gratuito.

Scarica il programma




Intervista a Ferri: quanto devono preoccupare i Vibrio nei prodotti ittici?

Il 23 luglio 2024 l’EFSA ha pubblicato un parere scientifico sui rischi di sanità pubblica di Vibrio spp. correlati al consumo di prodotti ittici nell’UE.

Il parere del gruppo di esperti scientifici EFSA BIOHAZ sui pericoli biologici mette in “allerta” relativamente ad un potenziale crescente rischio di batteri del genere Vibrio (vibrioni) nei prodotti ittici europei ed extraeuropei, a causa dei cambiamenti climatici e soprattutto in acque a bassa salinità o salmastre.

L’EFSA invita il mondo della ricerca e le Autorità deputate a questo settore ad implementare la ricerca in merito a quanto emerso dal parere in oggetto e tenere alto il livello di attenzione in merito ai batteri del genere Vibrio nei prodotti ittici.

Ritengo dunque affrontare nel Blog il tema dei Vibrio con un breve ripasso delle loro caratteristiche e aggiornandovi più nel dettaglio sul parere EFSA grazie all’autorevole contributo del Dott. M. Ferri, Medico Veterinario, Responsabile Scientifico S.I.Me.Ve.P. 

Vibrio in sintesi: cause, effetti e sistemi di controllo

I vibrioni, in generale, sono batteri che vivono principalmente in acque marine costiere e zone salmastre (dove i fiumi si mescolano col mare) prosperando in acque temperate o calde a salinità moderata. Possono causare gastroenteriti o infezioni gravi nell’uomo  associati al consumo di  prodotti ittici o molluschi crudi o poco cotti come le ostriche. Il contatto con l’acqua contenente vibrioni può anche causare ferite e infezioni alle orecchie.

Leggi l’intervista completa

Fonte: infor-mare.it