PSA: Intervista al Presidente Sorice

Il Presidente della SIMeVeP, dott. Antonio Sorice è stato intervistato in merito agli ultimi sviluppi relativi alla Peste Suina Africana.

Negli ultimi giorni le notizie sul tema corrono. L’arrivo del virus anche in Lombardia, in particolare nella zona del pavese, ha messo tutto il comparto di allevatori, addetti sanitari in stato di massima allerta: la situazione è grave se anche la Lombardia viene colpita, giacché come l’Emilia-Romagna e altre regioni limitrofe rappresenta lo zoccolo duro della produzione italiana di carne e prodotti trasformati (salami, prosciutto crudo, pancette, coppa, etc) esportati anche all’estero come eccellenze del Made in Italy.

Esistono misure di biosicurezza obbligatorie che vengono adottate da allevatori di suini domestici, la questione si fa più intrigata quando si tratta di cinghiali selvatici che escono fuori dall’area del controllo umano.

Cosa ne sarà, dunque, del comparto se la piaga della peste suina africana non si arginerà? Abbiamo parlato con Antonio Sorice, Presidente della SIMeVeP, Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, che ci ha chiarito le idee sulla questione spiegando cosa sta succedendo, quali sono le conseguenze.

Leggi l’intervista completa

Fonte : www.gamberorosso.it




Covid-19: origine naturale o di laboratorio?

Pubblichiamo il contributo del dott. Maurizio Ferri relativo sulla richiesta fatta da Biosafety Now alla rivista Nature Medicine di ritirare l’articolo The proximal origin of SARS-CoV-2 pubblicato nel 2020.

Biosafety, un’organizzazione non governativa, ha lanciato 6 febbraio 2023,una petizione per richiedere alla rivista Nature Medicine di ritirare l’articolo The proximal origin of SARS-CoV-2 pubblicato nel 2020. Nella petizione si stabilisce che l’articolo era, ed è, il prodotto di frodi scientifiche e cattiva condotta scientifica e se ne propone la rimozione dalla letteratura scientifica. Contestualmente, tra le diverse attività lancia un’altra petizione con la quale chiede di proibire la ricerca “gain-of-function’ che crea potenziali agenti patogeni pandemici, di ridurre il numero di laboratori di bio-contenimento di alto livello, il rafforzamento della biosicurezza e della gestione del rischio biologico per la ricerca sui patogeni. Lo scopo è dunque di prevenire le future pandemie causate da esperimenti di laboratorio e sensibilizzare la comunità scientifica e la società sui rischi legati alle accresciute potenzialità e costi in rapida diminuzione della biotecnologia avanzata. Gli esperimenti ‘gain of function’ che servono per aumentare la capacità patogena dei virus, possono rendere le pandemie generate dal laboratorio una minaccia per la sopravvivenza della specie umana e necessitano di una più stretto controllo regolatorio nazionale ed internazionale.

Leggi il contributo completo




ECM PSA a Bergamo – Iscrizioni aperte

cinghialiIl 2 settembre si terrà il corso ECM dal titolo “Peste Suina Africana: problema sanitario ed economico. Strategie di contenimento e di eradicazione” presso la Fiera di Bergamo.

Alla luce dell’attuale emergenza relativa alla Peste suina africana (PSA), il convegno ha l’obiettivo di migliorare le conoscenze degli operatori nell’ambito del monitoraggio e della sorveglianza della malattia nella fauna selvatica e favorire una più efficace gestione dell’allevamento, in linea con le indicazioni delle più recenti normative.

Il corso è organizzato per Medici Veterinari, è aperto a 50 partecipanti ed è gratuito.

Al corso sono stati assegnati 3 crediti ECM.

Programma scientifico

Scheda di iscrizione




Aviaria, Sieroconversione nei domestici. Sorice: l’attività di sorveglianza dei servizi veterinari funziona

Anticorpi al virus H5N1 in 5 cani e un gatto in un allevamento del Bresciano. Per gli esperti, più che una sorpresa è la conferma che il virus ad alta patogenicità, responsabile della grande epidemia di aviaria diffusa a livello globale, può essere trasmesso dai volatili ai mammiferi e, quindi, all’uomo.

La notizia ha iniziato a circolare soprattutto negli ambienti veterinari quando, il 4 luglio scorso, il Ministero della Salute ha trasmesso una nota a diversi enti (tra cui le Regioni) per informare che “è stata recentemente accertata la sieroconversione (ovvero gli animali in questione hanno sviluppato gli anticorpi, segno che sono entrati in contatto col virus, ndr) di cinque cani e un gatto presenti in un allevamento avicolo rurale in provincia di Brescia sede di un focolaio di H5N1″.

Le analisi genetiche del virus hanno identificato il genotipo “responsabile dei casi riportati in nord Italia nei gabbiani. Tale virus presenta anche una mutazione considerata un marker di adattamento dei virus ai mammiferi (T271A nella proteina PB2) con un possibile aumento del suo potenziale zoonotico (ovvero della sua capacità di creare una zoonosi, cioè di dar vita a una malattia che si trasferisce dall’animale all’uomondr)”.

Cosa significa? “Riscontrare la sieroconversione – spiega Antonio Sorice, presidente Società italiana di medicina veterinaria preventiva (SIMeVeP) – non significa che quegli animali si siano ammalati o contagiati, ma è la certezza che sono entrati in contatto col virus e hanno avuto una risposta anticorpale”.

Fonte: ilgiorno.it

Leggi l’articolo completo




Aviaria – Intervista al Presidente Sorice su cani e gatti contagiati a Brescia

Antonio SoriceChe l’influenza aviaria potesse infettare anche i mammiferi era già chiaro, dopo i casi accertati prima nel Regno Unito, poi in Galizia. Ora, un’ulteriore conferma arriva anche dal Ministero della Salute italiano che, nei giorni scorsi, ha accertato la “sieroconversione” del virus H5N1 in cinque cani e un gatto, contagiati all’interno di un allevamento avicolo rurale in provincia di Brescia. «Riscontrare una “sieroconversione” significa avere la certezza  che quegli animali (i cinque cani e il gatto, ndr) siano effettivamente entrati in contatto con il virus H5N1 e che, di conseguenza, abbiano avuto una reazione anticorpale. Un riscontro – spiega Antonio Sorice, presidente SIMeVeP (Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva), in un’intervista a Sanità Informazione – che non sorprende, vista la presenza di un focolaio di aviaria in quello stesso allevamento».

Un virus ad alta patogenicità

Questi ultimi casi confermano la necessità di mantenere alta l’attenzione: ««È ormai acclarato che l’H5N1 sia un virus ad alta patogenicità che dai volateli può essere trasmesso ai mammiferi e all’uomo. Per questo, i servizi veterinari, così come previsto dal piano di monitoraggio emanato dal Ministero della Salute nei mesi scorsi, sono impegnati in controlli costanti per intercettare la presenza di eventuali focolai, soprattutto causati dal passaggio di selvatici infetti». Anche se facilmente trasmissibile, negli esseri umani continua a manifestarsi attraverso sintomi piuttosto lievi, «come congiuntivite e piccoli problemi respiratori – dice Sorice – . Soprattutto, non sono stati finora mai accertati contagi inter-umani».

Allerta per le categorie a rischio

Massima attenzione anche tra le categorie a rischio, come allevatori e addetti alla macellazione. «A chiunque possa potenzialmente entrare in contatto con animali infetti – aggiunge il presidente della SIMeVeP – è consigliato sottoporsi alla vaccinazione stagionale che, pur non avendo efficacia contro l’avaria, facilita la diagnosi differenziale (tra influenza stagionale e aviaria in caso di comparsa di sintomi influenzali) ed evita che il soggetto possa debilitarsi in caso di duplice contagio (da aviaria e da influenza stagionale).  La mutazione attuale del virus, dunque, indica un adattamento ai mammiferi «che – sottolinea Sorice – non esclude la possibilità che, continuando a modificarsi, possa assumere quelle caratteristiche necessarie a renderlo trasmissibile da un uomo all’altro». Nonostante il livello di rischio generale, per il momento, sia considerato “basso”, il Ministero consiglia a tutti di evitare contatti con gli animali morti.

Fonte: Sanità informazione

 




Il rischio zoonotico dei sarbecovirus

Il rischio zoonotico dei coronavirus trasmessi dai pipistrelli, incluso SARS-CoV-2 agente della pandemia COVID19, è oggetto di programmi di sorveglianza epidemiologica in Cina e nel sud-est asiatico, dove i pipistrelli selvatici sono ritenuti serbatoi dei parenti più stretti noti di SARS-CoV-2.

In Europa, l‘attività di sorveglianza è limitata a pochi studi che hanno esaminato e caratterizzato il coronavirus nei pipistrelli. In un recente lavoro, ricercatori britannici hanno applicato il sequenziamento dell’RNA per lo screening dei coronavirus in 48 campioni fecali di 16 specie di pipistrelli ed in sei specie di pipistrelli hanno recuperato nove genomi completi di quattro sarbecovirus strettamente correlati. Per testare la capacità di quest’ultimi coronavirus circolanti bel Regno Unito di infettare le cellule umane che esprimono come recettore l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (hACE2), hanno incorporato le loro proteine S-spike in pseudovirus basati su lentivirus (versioni sicure di questi virus) e ne hanno trovato uno in grado di legarsi, anche se in modo non ottimale, ed utilizzare le cellule umane ma con livelli innaturalmente elevati di recettore ACE2.

Sebbene ciò renda improbabile che il virus possa fare un salto zoonotico, diffondersi ed evolversi senza adattamenti chiave, in particolare nelle loro proteine S, l’alta prevalenza di ricombinazione genetica tra i sarbecovirus potrebbe facilitare il superamento della barriera genetica. Cioè: altri sarbecovirus che circolano nei pipistrelli britannici potrebbero essere in grado di legare l’ACE2 umano in modo più efficiente.

Questi risultati evidenziano che il rischio zoonotico dei sarbecovirus può estendersi oltre i confini asiatici ed interessare l’Europa, dove la sorveglianza genomica nella fauna selvatica è ancora limitata. Per evitare di essere colti di sorpresa nel caso in cui un prossimo sarbecovirus si riversi sugli esseri umani da una posizione o un ramo senza precedenti dell’albero genealogico, è prioritario realizzare programmi di sorveglianza virale più estesi a livello globale per comprendere le dinamiche di condivisione virale negli ospiti dei mammiferi, compresi i pipistrelli e fornire informazioni chiave sui determinanti molecolari ed ecologici degli eventi zoonotici.

Maurizio Ferri

Leggi l’articolo: “Genomic screening of 16 UK native bat species through conservationist networks uncovers coronaviruses with zoonotic potential”

 




Seneca Valley Virus: un virus emergente?

allevamento suiniL’industria suinicola, che occupa oltre il 30% della domanda globale di carne, è costantemente sottoposta alla minaccia
sanitaria ed economica rappresentata da agenti patogeni virali emergenti e/o ri-emergenti.

Negli ultimi 15 anni, l’attenzione è stata rivolta al virus Seneca Valley (SVV) in grado di causare una malattia di tipo vescicolare associata a un aumento della mortalità nei suinetti neonati.

A fare chiarezza su questa malattia e su questo nuovo virus, è Maurizio Ferri, Coordinatore Scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva SIMeVeP, insieme alle dottoresse Serena D’Amato e Francesca Lombardo con un articolo pubblicato da La Settimana Veterinaria




Aviaria: «L’arrivo della primavera non aumenterà i contagi tra i selvatici». Intervista al Presidente Sorice

«L’arrivo della primavera non aumenterà il rischio di diffusione dell’aviaria e, soprattutto, non incrementerà i contagi tra i selvatici». Ad assicurarlo, in un’intervista a Sanità Informazione, è Antonio Sorice, presidente SIMeVeP, la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva. L’innalzamento generale delle temperature ed il cambiamento climatico in generale hanno mitigato la stagione invernale. «Il clima decisamente meno rigido ha cambiato e diminuito l’intensità dei flussi migratori – aggiunge il medico veterinario -. Motivo per cui, durante la primavera in corso, il numero di volatili selvatici migratori in circolazione in Italia non subirà un’impennata e, di conseguenza, anche il numero di casi di aviaria dovrebbe restare stabile».

L’andamento stagionale dell’aviaria

«Fino al 2021, l’arrivo della stagione estiva non era caratterizzato da un incremento della diffusione dell’influenza aviaria. Tuttavia – dice Sorice – nel 2022, da giugno a settembre, si è verificata la più grande diffusione della patologia in Europa, sia nei volatili in cattività, che in quelli selvatici. Inoltre, nell’autunno del 2021 il virus dell’influenza aviaria ha raggiunto per la prima volta il Nord America lungo le rotte migratorie, causando una grave epidemia nel pollame in diverse province canadesi e degli Stati Uniti, oltre ad un’alta mortalità tra gli uccelli selvatici».

Gli effetti del clima

Il cambiamento climatico degli ultimi decenni ha causato un innalzamento generale delle temperature e mitigato la stagione invernale. «Il clima decisamente meno rigido ha modificato l’intensità dei flussi migratori, soprattutto per le specie a migrazione continentale – aggiunge il medico veterinario -. Queste tendono ad anticipare maggiormente le loro attività proprio laddove le temperature sono aumentate con maggiore intensità. Per questo motivo rimane alta la sorveglianza dei Servizi Veterinari delle ASL per intercettare ed isolare tempestivamente animali selvatici positivi ed impedire la diffusione del virus agli animali d’allevamento».

Passeggiate di primavera: attenzione alle carcasse

Tra i fattori di rischio, che aumentano le possibilità che la contaminazione arrivi all’uomo, ci sono anche i nostri comportamenti. «Durante la primavera, con l’arrivo dei primi tepori, tendiamo a trascorrere molto più tempo all’aria aperta, anche fuori città. Per questo – sottolinea Sorice – invito chiunque, durante una passeggiata nel bosco o per le strade di campagna, nei pressi delle rive dei fiumi o dei laghi, a non avvicinarsi ad eventuali carcasse di animali rinvenute durante il percorso. L’unica cosa da fare, mantenendosi sempre ad un’adeguata distanza dall’animale morto, è allertare i servizi veterinari di competenza, che provvederanno a rimuovere ed sottoporre la carcassa a tutti gli accertamenti ed esami del caso».

Aviaria: nessun salto di specie

È solo con il contatto diretto con un animale infetto che l’essere umano può contrarre il virus dell’aviaria. Dopo gli ultimi casi rilevati tra i mammiferi, in diversi Paesi europei, è cresciuto il timore di un salto di specie, di un contagio interumano. Paura alimentata anche dagli ultimi casi umani di influenza aviaria: una bimba deceduta in Cambogia (anche il papà era stato contagiato, ma asintomatico), una donna nella provincia dello Jiangsu in Cina e il caso in Ecuador, in situazioni di particolare promiscuità uomo/animali in situazioni igieniche particolari.

Lo studio italiano

Fortunatamente, la possibilità di uno spillover è stata ulteriormente smentita da uno studio italiano in fase di pubblicazione su “Pathogen and Global Health”, condotto dai ricercatori delle Università di Sassari, del Campus Bio-Medico e della Sapienza di Roma. Gli studiosi hanno evidenziato che, almeno per ora, l’H5N1 non mostra nessuna delle caratteristiche necessarie al verificarsi di uno spillover. Naturalmente che il salto di specie non sia avvenuto non significa che non possa mai verificarsi. Per questo, l’attenzione resta alta e le attività di monitoraggio assidue. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), l’Ente sanitario di controllo, ricerca e servizi per la salute animale e la sicurezza alimentare, ha aggiornato il suo ultimo bollettino il primo giorno di primavera, lo scorso 21 marzo.

L’aviaria negli allevamenti

L’ultimo focolaio è stato confermato il 16 marzo a Forlì Cesena, in Emilia-Romagna, in un allevamento di tacchini da carne. Il caso precedente risale a 9 giorni prima, in Veneto, a Verona, ugualmente in un allevamento di tacchini. Erano quasi tre mesi che i servizi competenti non ne rilevavano tra gli animali allevati: l’ultimo caso risaliva al 23 dicembre del 2022 in Veneto, a Verona, in un allevamento di tacchini da carne. Dall’inizio delle attività di sorveglianza della stagione in corso, inaugurata il 22 settembre del 2022 e aggiornata al 21 marzo 2023, sono 32 i focolai accertati negli allevamenti italiani.

L’aviaria tra i selvatici

Tra selvatici gli ultimi casi sono stati individuati il 17 marzo: le carcasse infette, tra gabbiani e falchi pellegrini, sono state rinvenute a Brescia, in Lombardia. Il giorno prima 4 casi a Verona, in Veneto, e un altro a Padova. Durante i primi 21 giorni del mese di marzo sono stati quasi 230 i volatici selvatici risultati positivi al virus dell’aviaria. Il rilevamento più significativo risale al 10 marzo con 78 gabbiani a Brescia. «Guardando la mappa della penisola italiana i casi restano concentrati tra l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia, con qualche caso sporadico in altre Regioni – sottolinea Sorice – . Nella maggior parte dei casi si tratta di animali selvatici. I casi riscontrati negli allevamenti industriali sono nettamente minori e – conclude il presidente SIMeVeP – il riscontro negli allevamenti rurali risulta ancora più esiguo».




Trichinosi: 10 casi a Foggia, di cui 5 in corso di accertamento. Intervista al Vice Presidente Giunta

cinghialiGiunta (SIMeVeP): “Carne sicura. Basta cuocerla. I Medici Veterinari della Asl Foggia stanno controllando le macellerie locali: nessun caso di positività alla trichinosi tra i campioni esaminati”.

Stanno bene e si stanno curando a casa le persone risultate positive al parassita trichinella, in provincia di Foggia. Solo una donna è stata ricoverata, anche per altri motivi, all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. «I casi di trichinosi accertati finora sono 5, tra questi due fanno parte di uno stesso nucleo familiare, altri due appartengono ad un’altra famiglia, mentre il quinto caso non ha alcun legame di parentela con il resto dei contagiati – racconta a Sanità Informazione Renato Paolo Giunta, Medico Veterinario, vice presidente SIMeVeP – . La positività di altre 5 persone è tuttora in corso di accertamento».

Al setaccio le macellerie locali

Si ipotizza che gli individui risultati positivi al parassita trichinella, che si trasmette all’uomo esclusivamente per via  alimentare, abbiano mangiato carne di cinghiale. «L’Asl di competenza – continua Giunta – è a lavoro per verificare l’origine del parassita. I Medici Veterinari della Asl Foggia stanno controllando anche le macellerie locali, senza riscontrare ad oggi alcun caso di positività tra i campioni di carne prelevati».

Trichinosi, come si trasmette

I primi casi in Puglia sono stati accertati all’inizio del mese di febbraio, ma la situazione è pienamente sotto controllo. «Il contagio avviene esclusivamente per via alimentare – precisa il Medico Veterinario -. Corre maggiori rischi chi consuma carne di suidi, selvatici o domestici, o equina cruda o poco cotta. L’essicamento, la salamoia o l’affumicatura non rendono inattivo il parassita trichinella che, invece, può essere inattivato con congelamento delle carni ad una temperatura di -15° per almeno un mese o con la cottura a cuore delle carni a 70 gradi per almeno quattro minuti».

La carne italiana è sicura

Tuttavia, il pericolo di mangiare carne suina o equina infestata da trichinella, in Italia come nel resto d’Europa, è quasi   del tutto irrilevante. «Tutte le carcasse di suini ed equini al mattatoio e prima di essere messe in commercio, vengono sottoposte ad un esame sistematico “esame trichinoscopico”, teso ad accertare l’eventuale presenza del parassita trichinella – spiega il vice presidente SIMeVeP -. Per questo, le carni, provenienti dal territorio Italiano o dai Paesi europei, sono del tutto affidabili».

La trichinosi tra i selvatici

Anche per i selvatici esisteste una filiera di controllo, «tanto che – racconta Giunta -, lo scorso anno nel Lazio sono stati riscontrati due casi di presenza del parassita in due cinghiali prima ancora che arrivassero al consumatore. I medesimi  controlli possono essere effettuati, attraverso i Medici Veterinari dell’Asl locali, sulle carni di suini a seguito di macellazioni domestiche. Sono dunque proprio le specie selvatiche ad essere considerate più a   rischio – aggiunge l’esperto -. Ad aumentare il rischio della presenza del parassita trichinella sono alcuni animali carnivori, per il nostro territorio devono essere menzionati la volpe rossa e il lupo. Questi selvatici – conclude il Medico Veterinario – possono rappresentare dei veri e propri serbatoi, capaci, in determinati ambienti, di conservarne la presenza nel tempo».

Fonte: Sanitainformazione.it




Aviaria, allarme in Italia: intervista al Presidente Sorice

Sorice (SIMeVeP): «La vaccinazione destinata agli animali è già pronta all’uso. Non escluso che, presto, per evitare il diffondersi di altri focolai, le autorità competenti decideranno di mettere a disposizioni le dosi necessarie per vaccinare gli animali presenti nei nostri allevamenti»

Oltre sessanta volatili selvatici in 47 focolai: è questo il bilancio del monitoraggio dei casi di Aviaria in Italia relativo al mese di febbraio (ultimo aggiornamento 28 febbraio). Da settembre 2022, i casi confermati tra gli uccelli non domestici sono 79, di cui 19 gabbiani, 13 alzavole e 10 germani. Le altre infezioni sono state rilevate tra rapaci e anatidi. Ulteriori casi sospetti nei gabbiani sono in corso di conferma presso l’IZSVe.

I focolai di Aviaria sul Garda

«Più della metà di tutti i casi rilevati da settembre ad oggi si sono verificati nel solo mese di febbraio – commenta  Antonio Sorice, presidente della SIMeVeP, la Società Italiana di medicina veterinaria preventiva -. Quasi tutti i focolai, compresi quelle rilevati negli ultimi giorni, si concentrano nel aree limitrofe al lago di Garda, in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Non è escluso che nei prossimi giorni saranno rinvenute altre carcasse di volatili selvatici infetti dal virus dell’aviaria. Per questo – sottolinea il presidente Sorice – è doveroso ricordare a tutti i cittadini di non toccare animali morti e, in caso di ritrovamenti, di allertare immediatamente le autorità competenti».

L’intensificazione di prevenzione e monitoraggio

Osservando la mappa dei focolai emerge con chiarezza che anche quelli riscontrati negli allevamenti, sia di grandi che di piccole dimensioni, sono concentrati nella stessa zona, nelle aree limitrofe al lago di Garda. «Dopo l’ondata epidemica dell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti, i sistemi di prevenzione e monitoraggio sono stati intensificati – spiega il veterinario -. All’identificazione di un focolaio, gli animali infetti vengono immediatamente abbattuti, la vendita delle carni e dei prodotti derivati sospesa, la mobilità degli allevamenti interrotta e i controlli in tutte le zone circostanti rafforzati. Questo intenso lavoro ha portato ad ottimi risultati: l’ultimo focolaio nel pollame risale, infatti, al 23 dicembre 2022 e le infezioni confermate da settembre 2022 sono 30 in totale. I casi negli allevamenti, come quelli tra i selvatici, sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Questo perché sono proprio i volatili selvatici, soprattutto attraverso escrementi infetti, a contaminare gli allevamenti».

L’aviaria nel mondo

I casi nei selvatici riscontrati sul territorio italiano sono in linea con quanto sta avvenendo in altri Paesi: «Anche se, in Europa e nei Paesi extraeuropei  è stato riscontrato un aumento di casi di aviaria pure tra il pollame e tra i mammiferi selvatici, con sporadiche segnalazioni anche tra i mammiferi domestici», racconta Sorice. Nelle scorse settimane, proprio per un aumentato riscontro di casi tra i mammiferi, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, aveva esortato tutte le Nazioni alla massima allerta. «Anche in Italia è attivo il monitoraggio dei mammiferi selvatici rinvenuti sul territorio. Stando ai dati raccolti finora (aggiornati al 28/02/23) non sono stati rilevati casi di aviaria tra questa classe animali», assicura il veterinario

Un vaccino contro l’aviaria per gli animali

Tuttavia, il passaggio del virus dalle specie avicole ai mammiferi in diversi Paesi del mondo fa temere un salto di specie. «Finora non è mai stato rilevato un contagio inter-umano. In Italia i casi registrati tra gli uomini, tutti asintomatici o di lieve entità, hanno riguardato individui che vivono o lavorano a stretto contatto con le specie avicole», sottolinea il presidente SIMeVep. Intanto, mentre i servizi veterinari d’Italia, e di tutto il mondo, sono a lavoro per monitorare la situazione e per rilevare tempestivamente eventuali ulteriori variazioni del virus, gli scienziati si concentrano sulla messa a punto di un vaccino contro l’aviaria. «La vaccinazione destinata agli animali è già pronta all’uso. E non escluso – conclude Sorice – che, presto, per evitare il diffondersi di altri focolai, le autorità competenti decideranno di mettere a disposizioni le dosi necessarie per vaccinare gli animali presenti nei nostri allevamenti».

Fonte: Sanità Informazione