Acque reflue trattate: un veicolo per la diffusione di Klebsiella Pneumoniae

Gli impianti di depurazione potrebbero agire come centri nevralgici per la diffusione di batteri patogeni resistenti agli antibiotici. È quello che emerge da uno studio nato da una collaborazione tra l’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo (IZSAM) e il National Biodiversity Future Center (NBFC) di Palermo. I ricercatori hanno infatti rilevato la presenza del batterio Klebsiella pneumoniae in un depuratore urbano del Centro Italia.

Klebsiella pneumoniae è un batterio naturalmente presente nel microbioma umano. Alcuni ceppi causano gravi infezioni respiratorie, urinarie e del sangue, che colpiscono soprattutto individui fragili e spesso in ambienti sanitari, come gli ospedali. Klebsiella pneumoniae è uno dei microrganismi che destano maggiore preoccupazione a livello mondiale per la sua resistenza all’azione di numerosi antibiotici, compresi quelli cosiddetti di ultima istanza, come la colistina.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Environmental Pollution”, si è basato sull’analisi di campioni prelevati dalle acque in entrata, dalla vasca di sedimentazione e dalle acque in uscita di un impianto di depurazione urbano. I campioni, raccolti in quattro periodi distinti durante il 2018, hanno mostrato la presenza di 42 ceppi di Klebsiella pneumoniae, in seguito caratterizzati attraverso sequenziamento dell’intero genoma. Numerosi ceppi isolati (47 %) mostravano un fenotipo di multi-resistenza ad almeno tre classi di antibiotici, con alcuni di essi resistenti anche alla colistina. Sono stati inoltre isolati i cloni ST307, ST35, ST45 noti per essere ad alto rischio e in rapida espansione in Italia.

“La Klebsiella pneumoniae – dice Alessandra Cornacchia, ricercatrice IZSAM e prima autrice dello studio assieme al ricercatore IRSA Andrea Di Cesare – è tra le principali cause di infezioni in contesti sanitari. Se gli impianti di trattamento delle acque reflue non vengono adeguatamente monitorati possono contribuire alla diffusione di questo pericoloso batterio nell’ambiente e nelle comunità. I monitoraggi, oltre a individuare il problema, forniscono indicazioni fondamentali per guidare le azioni correttive necessarie, come la modifica degli impianti, al fine di ridurre la diffusione del fenomeno”.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Afta epizootica: una scommessa sulla zootecnia in Europa?

muccaL’afta epizootica (Food and Mouth Disease, FMD) è un’infezione virale altamente contagiosa che rappresenta una grave minaccia per la salute del bestiame e la biosicurezza agricola in Europa. I recenti focolai di infezione confermati in Germania, Ungheria e Slovacchia non hanno peraltro trovato, ad avviso di chi scrive, una risposta idonea a contenere il rischio di ulteriore diffusione della malattia.

Gli standard e le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (WOAH, World Animal Health Organisation) prevedono infatti rigorose restrizioni alla movimentazione di animali dalle regioni colpite. Tali restrizioni sono state invece limitate, in Unione Europea, alle sole ‘zone rosse’. Senza neppure prescrivere i test sierologici prima del trasporto degli animali vivi.

Afta epizootica: introduzione

L’afta epizootica (FMD) è causata da un apthovirus della famiglia Picornaviridae, con sette sierotipi immunologicamente distinti (A, O, C, SAT1, SAT2, SAT3 e Asia1) e molteplici sottotipi. Il virus presenta alti tassi di morbilità, potendo infettare il 100% delle popolazioni suscettibili non vaccinate.

Sebbene gli animali adulti raramente soccombano alla malattia, i tassi di mortalità nei giovani possono essere elevati a causa di infezioni secondarie o della mancanza di latte da madri infette (WOAH, World Animal Health Organisation).

Trasmissione della FMD tra animali

L’afta epizootica (FMD) è una delle malattie virali più contagiose che colpiscono gli animali ungulati, in grado di diffondersi rapidamente sia all’interno che tra gli allevamenti. L’agente patogeno viene eliminato in grandi quantità dagli animali infetti attraverso tutte le escrezioni e secrezioni — inclusi saliva, latte, seme, urina e feci — anche prima della comparsa dei segni clinici. La trasmissione avviene attraverso diverse vie:

  • contatto diretto. Esposizione nasale o orale a secrezioni infette, specialmente in aree di pascolo condivise o spazi confinati. La trasmissione materna può avvenire attraverso l’allattamento, dove i giovani animali sono esposti al virus nel latte o attraverso il contatto stretto con madri infette;
  • trasmissione indiretta. Il virus può sopravvivere per giorni o settimane su fomiti come mangimi, acqua, veicoli, attrezzature e indumenti contaminati, specialmente in condizioni fresche e umide (Alexandersen et al., 2003);
  • trasmissione aerea altrettanto significativa, soprattutto nei climi temperati. Il virus può viaggiare fino a 60 km su terra e fino a 300 km sull’acqua in condizioni meteorologiche ottimali (Gloster et al., 2005). I suini, in particolare, agiscono come ‘ospiti amplificatori’ emettendo fino a 1.000 volte più virus per via aerea rispetto ai bovini (Donaldson et al., 2001);
  • prodotti animali. Carne cruda o non lavorata correttamente, latte e midollo osseo possono ospitare virus vitale. Una delle pratiche a più alto rischio è l’alimentazione degli animali con scarti che contengano prodotti da animali infetti (WOAH);
  • vettori, sia meccanici che biologici, contribuiscono alla diffusione del virus. Uccelli, roditori e insetti possono trasferire passivamente il virus della FMD tra località. Nelle regioni endemiche, serbatoi selvatici come il bufalo africano (Syncerus caffer) mantengono il virus in modo asintomatico, complicando gli sforzi di controllo ed eradicazione (Vosloo et al., 2002).

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Fonte: foodtimes.eu




Influenza aviaria nei gatti

Il 17 gennaio 2025, in provincia di Bologna, è stato rilevato un caso di Influenza Aviaria (IA) da virus A(H5N1) ad alta patogenicità in un gatto domestico che viveva a stretto contatto con il pollame di un piccolo allevamento familiare, già interessato da un focolaio confermato di IA.

La letteratura scientifica riconosce i gatti come animali sensibili all’infezione da virus influenzali aviari. Sono infatti già stati segnalati diversi casi (circa una dozzina) di decessi felini correlati all’infezione in Stati Uniti, Canada e in diversi Paesi europei, tra cui Belgio, Francia, Islanda, Paesi Bassi e Polonia. La principale fonte di contagio per i gatti resta l’esposizione diretta a uccelli infetti ed i prodotti di questi non trattati, anche se recenti evidenze provenienti dagli Stati Uniti sulla possibilità di trasmissione da bovini infetti.

È importante sottolineare che il rischio di trasmissione del virus da gatto a gatto o da gatto a essere umano è considerato basso, e ad oggi non sono stati documentati casi di questo tipo.

Nei gatti, l’infezione può manifestarsi inizialmente con precisi sintomi clinici, perdita di appetito, letargia e febbre, seguiti da sintomi neurologici come incoordinazione, tremori, convulsioni, cecità e grave depressione. Possono inoltre comparire abbondanti secrezioni nasali e oculari, sintomi respiratori come respiro accelerato o difficoltoso, starnuti e tosse.

Cosa deve fare il proprietario del gatto in presenza di sintomi sospetti di Influenza Aviaria?

Nel caso in cui il gatto manifesti sintomi compatibili con l’infezione da virus A(H5N1), il proprietario deve:

  • contattare tempestivamente il medico veterinario, prima di recarsi in ambulatorio, descrivendo con precisione i sintomi che presenta il gatto;
  • limitare il contatto del gatto con persone del nucleo familiare vulnerabili, in particolare soggetti immunocompromessi;
  • adottare misure di protezione personale, incluso l’uso di dispositivi di protezione individuale (DPI), per ridurre il rischio di esposizione;
  • monitorare lo stato di salute degli altri membri della famiglia e degli eventuali animali conviventi; in presenza di sintomi compatibili con l’influenza aviaria, segnalarli prontamente o al medico competente o ai Servizi Veterinari dell’ASL.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Accordo nazionale sulla trasparenza nella ricerca con l’impiego di animali

Il Ministero della Salute, su iniziativa del Comitato nazionale per la protezione degli animali usati a fini scientifici, promuove la sottoscrizione, da parte dei soggetti che svolgono ricerca mediante l’utilizzo di animali a fini scientifici, del Concordato di Trasparenza per l’impiego degli animali nella ricerca scientifica in Italia.

L’accordo, indirizzato ai legali rappresentanti delle istituzioni aderenti, nasce con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza, informazione e consapevolezza pubblica riguardo all’uso degli animali nella ricerca scientifica. La sperimentazione animale, sebbene oggetto di continuo miglioramento attraverso lo sviluppo di metodi alternativi, rimane un elemento fondamentale per il progresso della biomedicina e per il miglioramento della salute umana e animale, nel rispetto del principio One Health.

Le organizzazioni aderenti al concordato si impegnano a:

  • Comunicare chiaramente quando, come e perché vengono utilizzati gli animali nella ricerca, pubblicando informazioni accessibili sui propri siti web.
  • Fornire al pubblico e ai media dati aggiornati e trasparenti sui risultati della ricerca che coinvolge animali, nel rispetto della normativa vigente.
  • Promuovere il dialogo con la società per favorire una maggiore comprensione del valore scientifico e delle implicazioni etiche della sperimentazione animale.
  • Monitorare i progressi e condividere le esperienze, pubblicando annualmente un report sulle azioni intraprese per rispettare gli impegni del concordato.

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Fonte: Ministero della Salute




Afta epizootica: 11 i focolai, rafforzate le misure di controllo

muccaConsiderato che allo stato attuale sono consentite movimentazioni verso il territorio nazionale solo se provenienti da territori al di fuori della zona di ulteriore restrizione, tenuto conto dell’aumentato rischio di introduzione della malattia sul territorio nazionale nonché delle misure di prevenzione e controllo previste dalla vigente normativa unionale e nazionale, la Direzione Generale della Salute Animale dispone le seguenti misure:

1) Per tutti gli automezzi che trasportano animali aftoso sensibili in ingresso nel territorio nazionale attraverso la regione Friuli Venezia Giulia e provenienti da Ungheria e Slovacchia, è necessario procedere, con l’ausilio del personale dell’esercito, alla disinfezione delle ruote bloccando gli automezzi in luoghi idonei all’esecuzione di tale attività.
2) Tali automezzi potranno essere successivamente movimentati unicamente con canalizzazione diretta ad un singolo stabilimento (allevamento) o impianto di macellazione.
3) Gli UVAC a cui sono affidate sulla base delle precedenti note la predisposizione dei controlli a destino su tutte le partite provenienti da Ungheria e Slovacchia, nonché dalle due regioni dell’Austria più volte indicate, verificheranno l’effettivo arrivo delle partite, tramite le ASL competenti sull’allevamento o macello di destinazione.
4) Qualora, invece, tali automezzi dovessero passare attraverso un Centro di raccolta, gli animali ivi spediti saranno sottoposti al loro arrivo al prelievo di campioni per gli esami di laboratorio per l’afta epizootica e dovranno rimanere in tale Centro per almeno 14 giorni al termine dei quali, dopo aver eseguito un ulteriore prelievo di campioni per gli esami di laboratorio per l’afta epizootica, ad esito favorevole degli stessi potranno essere inviati nella struttura di destinazione finale. Durante lo stesso periodo è vietata anche la movimentazione di tutti gli animali aftoso-sensibili nazionali e/o di altri Paesi dell’UE presenti nel Centro di Raccolta.

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Influenza aviaria da virus A(H5N1): fatti reali e potenziali scenari evolutivi

Mentre la pandemia da CoViD-19 non può ritenersi ancora del tutto estinta, complice la reiterata comparsa di nuove varianti e sottovarianti virali sempre più abili ad eludere l’immunità di popolazione conferita dalle pregresse vaccinazioni e/o infezioni da SARS-CoV-2, il virus dell’influenza aviaria A(H5N1) ad elevata patogenicita’ (highly pathogenic avian influenza/HPAI virus) sembra vieppiu’ rappresentare una minaccia globale.

Tale agente patogeno, affacciatosi per la prima volta sulla scena epidemiologica mondiale nel lontano 1959 in allevamenti di pollame in Scozia (1), sarebbe stato successivamente identificato nel 1996 in allevamenti intensivi di volatili in Cina (2), per essere infine isolato per la prima volta dall’uomo nel 1997. A tutt’oggi ammonterebbero a circa un migliaio gli episodi umani di malattia da HPAI virus A(H5N1), che sono stati segnalati in 23 Paesi e che sarebbero altresì caratterizzati, nel 50% dei casi, da una grave polmonite associata talvolta ad encefalite, nonché da esito fatale (3).

La recente comparsa sulla scena epidemiologica del clade 2.3.4.4b del virus A(H5N1), che si sarebbe diffuso in Eurasia, nelle Americhe e financo all’Artide e all’Antartide grazie alle rotte migratorie seguite dagli uccelli selvatici (4), rappresenterebbe in questo momento secondo il parere della Comunità Scientifica, congiuntamente alle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, una delle più serie minacce pandemiche a livello globale. Ciò risulterebbe ascrivibile alla consistente diffusione geografica, alla notevole virulenza dell’agente patogeno e all’elevato indice di letalita’ dell’infezione, da un lato, nonché all’ampio e progressivamente crescente spettro d’ospite del clade virale 2.3.4.4b, complici le continue e reiterate mutazioni genetiche dello stesso (5).

In particolare, per quanto specificamente attiene al genoma di A(H5N1), sarebbero state sin qui identificate almeno 30 distinte mutazioni a carattere “non silente” – in corrispondenza, soprattutto, dell’emoagglutinina e delle polimerasi virali -, che avrebbero consentito il passaggio dell’infezione a numerose specie di volatili e di mammiferi domestici e selvatici, anche filogeneticamente (e geograficamente) distanti le une dalle altre, l’ultima delle quali sarebbe rappresentata dalla specie ovina, con un caso d’infezione riportato nei giorni scorsi in una pecora dello Yorkshire, nel Regno Unito (6). Sempre fra gli animali domestici si segnalano in special modo i bovini, nel cui latte non pastorizzato e’ stato identificato il virus e la cui ghiandola mammaria albergherebbe al proprio interno recettori in grado di riconoscere i ceppi virali di origine sia aviaria sia umana. Dai bovini allevati in Texas, Michigan ed in altre regioni statunitensi l’infezione si sarebbe quindi diffusa ai gatti attraverso il consumo di latte crudo (7) nonché all’uomo (allevatori in primis), con frequente sviluppo di congiuntivite e, occasionalmente, di sindromi febbrili e di blandi disturbi respiratori (8). Nonostante la documentata assenza di evidenza sin qui ottenuta a supporto della trasmissione di HPAI virus A(H5N1) da uomo a uomo (8), desta tuttavia preoccupazione la dimostrata suscettibilità di topi e furetti nei confronti dell’infezione sperimentalmente indotta con un ceppo virale isolato dalla congiuntiva di un allevatore texano (9). Negli animali esposti, infatti, il virus si sarebbe propagato in maniera sistemica agli organi respiratori, così come a numerosi distretti extra-respiratori (compreso il sistema nervoso centrale) dei medesimi, producendo una malattia ad esito fatale (9).

In un siffatto contesto, lo spiccato neurotropismo e la marcata neuropatogenicita’ del virus A(H5N1) nell’uomo, nel gatto ed in altri animali (10), costituirebbero ulteriori elementi di giustificato allarme per tutte quelle specie suscettibili all’infezione il cui stato di conservazione risulti gia’ più o meno seriamente minacciato. Oltremodo degni di segnalazione appaiono, al riguardo, gli episodi di mortalità collettiva segnalati nella popolazione di leoni marini (Otaria flavescens) lungo le coste di Peru’, Cile e Argentina, oltre che in alcuni esemplari di focena (Phocoena phocoena) e di tursiope (Tursiops truncatus) in Svezia ed in Florida, nonché in un orso polare in Alaska (11).

Cosa ci richiama alla mente e c’insegna al contempo tutto ciò?

La prima riflessione che viene avanti attiene alla necessità, assolutamente inderogabile ed improcrastinabile, di un approccio multidisciplinare, ispirato al concetto-principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – nella gestione del “rischio pandemico” e, più in generale, di qualsivoglia “rischio epidemico”, tanto piu’ in presenza di infezioni/malattie sostenute da agenti a documentata capacità zoonosica, come nello specifico caso del virus dell’influenza aviaria A(H5N1).

Nel fare e nel predisporre tutte le azioni “ad hoc” finalizzate a fronteggiare in maniera adeguata i rischi anzidetti, la collaborazione intersettoriale fra servizi medici e servizi veterinari assumerebbe inoltre una rilevanza strategica, che verrebbe ulteriormente avvalorata e potenziata dalla condivisione dei medesimi “tavoli di lavoro” da parte degli uni e degli altri. Fattispecie quest’ultima, mi preme sottolinearlo, che non ha neppure lontanamente riguardato il “Comitato Tecnico-Scientifico per la Pandemia da CoViD-19” (alias “CTS”), che non soltanto si è guardato bene dall’accogliere al proprio interno figure e competenze professionali veterinarie, ma che e’ stato invece incomprensibilmente disciolto due anni dopo la sua istituzione!

Quanto sarebbe stato utile, di contro, poter continuare a disporre di un siffatto organismo governativo, opportunamente rivisitato nella propria composizione, anche e soprattutto quando si pensi che i due terzi delle “malattie infettive emergenti” avrebbero la propria culla d’origine in uno o più serbatoi animali.

Tutto ciò mentre le mutazioni genetiche cui progressivamente ed inarrestabilmente soggiace il clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria A(H5N1) lo starebbero rendendo sempre più in grado, con ogni probabilità, di attuare una quantomai temibile diffusione da Sapiens a Sapiens!

 

Bibliografia

1) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). 1880-1959 Highlights in the History of Avian Influenza (Bird Flu) Timeline.

DOI: https://www.cdc.gov/bird-flu/avian-timeline/1880-1959.html.

2) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Emergence and Evolution of H5N1 Bird Flu. (2024).

DOI: https://www.cdc.gov/flu/avianflu/communication-resources/bird-flu-origin-infographic.html.

3) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). About Bird Flu. (2024).

DOI: https://www.cdc.gov/flu/avianflu/communication-resources/bird-flu-origin-infographic.html.

4) Huang P., Sun L., Li J., Wu Q., Rezaei N., Jiang S., Pan C. (2023). Potential cross-species transmission of highly pathogenic avian influenza H5 subtype (HPAI H5) viruses to humans calls for the development of H5-specific and universal influenza vaccines. Cell Discov. 9(1):58.

DOI: 10.1038/s41421-023-00571-x.

5) McKie R. (2024). Next pandemic likely to be caused by flu virus, scientists warn.

The Observer.

DOI: https://www.theguardian.com/world/2024/apr/20/next-pandemic-likely-to-be-caused-by-flu-virus-scientists-warn.

6) Mahase E. (2025). H5N1: UK reports world’s first case in a sheep. BMJ 388: r591.

DOI : https://doi.org/10.1136/bmj.r591.

7) Burrough E.R., Magstadt D.R., Petersen B., Timmermans S.J., Gauger P.C., Zhang J., Siepker C., Mainenti M., Li G., Thompson A.C., Gorden P.J., Plummer P.J., Main R. (2024). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus Infection in Domestic Dairy Cattle and Cats, United States, 2024. Emerg. Infect. Dis. 30(7):1335-1343.

DOI: 10.3201/eid3007.240508.

8) Garg S., et al. (2025). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Infections in Humans. N. Engl. J. Med. 392(9):843-854.

DOI: 10.1056/NEJMoa2414610.

9) Gu C., Maemura T., Guan L., et al. (2024). A human isolate of bovine H5N1 is transmissible and lethal in animal models. Nature 636:711-718. DOI: https://doi.org/10.1038/s41586-024-08254-7.

10) Bauer L., Benavides F.F.W., Veldhuis Kroeze E.J.B., de Wit E., van Riel D. (2023). The neuropathogenesis of highly pathogenic avian influenza H5Nx viruses in mammalian species including humans. Trends Neurosci. 46(11):953-970.

DOI: 10.1016/j.tins.2023.08.002.

11) Di Guardo G. (2024). Central Nervous System Disorders of Marine Mammals: Models for Human Disease? Pathogens 13(8):684.

DOI: 10.3390/pathogens13080684.

 

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria: a che punto è la diffusione e perché bisogna agire ora

Che cos’è l’influenza aviaria?

L’influenza aviaria o “bird flu”, è una malattia virale causata dai virus influenzali di tipo A della famiglia Orthomyxoviridae, sono endemici negli uccelli acquatici selvatici, ma possono infettare anche altri volatili e, in alcuni casi, i mammiferi, compresi gli esseri umani. I virus dell’influenza aviaria sono classificati in base alla loro patogenicità negli uccelli in due categorie principali: influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) e influenza aviaria altamente patogena (HPAI).

I virus LPAI generalmente causano una malattia lieve o possono persino non manifestare sintomi negli uccelli. Al contrario, i virus HPAI, in particolare i sottotipi H5 e H7, sono responsabili di malattie gravi che si diffondono rapidamente tra il pollame, portando a tassi di mortalità elevati in diverse specie di uccelli. È importante notare che alcuni ceppi LPAI possono mutare e diventare altamente patogeni nel pollame, sottolineando la necessità di un monitoraggio continuo.

La distinzione tra LPAI e HPAI è fondamentale per valutare il livello di minaccia per il pollame e le potenziali conseguenze economiche. La capacità di alcuni ceppi LPAI di trasformarsi in HPAI evidenzia l’importanza di una sorveglianza costante per prevenire focolai più gravi. I virus influenzali di tipo A sono ulteriormente suddivisi in sottotipi in base a due proteine presenti sulla superficie del virus: l’emagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA). Sono noti 18 sottotipi di HA (H1-H18) e 11 sottotipi di NA (N1-N11), che possono combinarsi in numerose varianti virali. Alcuni sottotipi specifici hanno dimostrato di poter infettare l’uomo, tra cui H5N1, H7N9, H5N6, H5N8, H3N8, H7N4, H9N2 e H10N3.

La diffusione dell’influenza aviaria tra uccelli e esseri umani

La trasmissione dell’influenza aviaria tra gli uccelli avviene principalmente tramite il contatto diretto tra uccelli infetti e sani. Gli uccelli infetti rilasciano il virus attraverso la saliva, le secrezioni nasali e le feci. Gli uccelli migratori, in particolare quelli acquatici, sono serbatoi naturali del virus e giocano un ruolo fondamentale nella sua diffusione su vaste aree geografiche. La loro capacità di migrare senza mostrare segni di malattia complica il controllo della diffusione del virus, rendendo necessaria una sorveglianza e monitoraggio internazionali.

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Fonte: ilsole24ore.com




Stop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve!

pesciStop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve! – Si è conclusa la serie di workshop del progetto “Stop Lattococcosi? Insieme si può!”, che ha visto il contributo di 21 relatori e la partecipazione di oltre 90 operatori del settore. Questo percorso, promosso dal Centro di referenza nazionale per lo studio e la diagnosi delle malattie dei pesci, molluschi e crostacei, dall’Associazione Piscicoltori Italiani e da Skretting, ha rappresentato un’importante occasione di dialogo e collaborazione tra allevatori, veterinari, autorità sanitarie e amministrazioni pubbliche, ricercatori, mangimisti, aziende farmaceutiche e altri attori della filiera, tutti uniti dall’obiettivo comune di contrastare la diffusione della Lattococcosi in acquacoltura.

Dai workshop è emersa con chiarezza la necessità di un approccio integrato per affrontare la Lattococcosi, che ha recentemente colpito specie ittiche di grande rilievo come spigola e orata. Nessun singolo intervento è sufficiente da solo: solo attraverso strategie sinergiche, che combinano vaccinazione, terapia, biosicurezza, nutrizione e selezione genetica, è possibile gestire efficacemente la patologia.

Un aspetto fondamentale degli incontri è stata la formazione di gruppi di lavoro, che hanno favorito un confronto attivo e costruttivo tra i partecipanti. Questo percorso collaborativo ha portato alla realizzazione di un Manuale di Buone Pratiche, che raccoglie le conoscenze acquisite proponendo linee guida operative e supportando le iniziative già in atto per la prevenzione e il contenimento della Lattococcosi.

Per permettere un accesso diretto alle informazioni emerse dal progetto, il Manuale di Buone Pratiche è stato reso disponibile in formato digitale, insieme alle registrazioni dei workshop. Questi materiali consentono di approfondire i temi trattati e di ascoltare direttamente gli interventi dei relatori. Per consultarli, visita il seguente link: Lattococcosi nelle specie marine – Skretting

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Fonte: pesceinrete.it




Il virus dell’influenza aviaria H5N1 causa della prossima pandemia? Dalla Cina agli Stati Uniti, dai polli ai bovini, alle persone

Lectio magistralis di Maria Paola Landini già docente di Microbiologia e preside della Facoltà medico-chirurgica nell’Università di Bologna.

Ne discutono: Enrica Martini direttrice di U.O.C. di Veterinaria, sanità animale e igiene di allevamenti e produzioni zootecniche della AUSL di Bologna; Paolo Pandolfi direttore del Dipartimento di Sanità pubblica dell’AUSL di Bologna

A/H5N1: Orthomyxovirus a trasmissione respiratoria, identificato in uccelli selvatici in Cina nel 1996 che, da allora, ha causato epidemie in allevamenti di volatili in vari paesi, terminate con l’abbattimento di tutti i capi. Durante le epidemie si sono avuti casi umani in persone addette agli allevamenti ma assenza di trasmissione interumana certa.

Negli ultimi anni la frequenza di infezioni da H5N1  è aumentata e il virus ha fatto vari “salti di specie” anche in mammiferi. Di particolare preoccupazione è la situazione statunitense perché il virus sta dilagando nei polli (abbattimento record 150 milioni di polli)  e nei bovini che  funzionano come “mixing vessel” consentendo un “rimescolamento genetico” fra virus di origine aviaria ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo svolto in tal senso dai suini.

La situazione statunitense non sembra essere sotto controllo e il recente divieto alle istituzioni sanitarie (CDC, NIH etc..) di fornire dati senza che prima non siano stati visionati a livello governativo, non conforta. Un’ altra pandemia sembra inevitabile. Da quale patogeno sarà causata, da dove partirà, e quando inizierà, è impossibile da prevedere, certamente il virus A/H5N1 è vicino alla meta mancando solo una mutazione aminoacidica nell’ emoagglutinina per renderlo in grado di riconoscere il recettore umano e di trasmettersi a livello interumano.

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Fonte: trucioli.it




Aviaria: studio, antivirali meno efficaci con virus latte mucche

Due antivirali antinfluenzali approvati dalla FDA in genere non hanno trattato con successo le gravi infezioni da H5N1 trovato nel latte delle mucche. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che la via di infezione, che sia attraverso l’occhio, il naso o la bocca, ha un impatto significativo sull’efficacia di un trattamento.
Sono queste le conclusioni di uno studio pubblicato su Nature Microbiology e condotto da scienziati dello St. Jude Children’s Research Hospital. “Le nostre prove suggeriscono che sarà probabilmente difficile curare le persone gravemente infette da questo ceppo di influenza aviaria bovina H5N1”, ha affermato l’autore corrispondente Richard Webby , PhD, Dipartimento di interazioni ospite-microbo di St. Jude . “Invece, ridurre il rischio di infezione non bevendo latte crudo e riducendo l’esposizione dei lavoratori degli allevamenti di bovini da latte, ad esempio, potrebbe essere l’intervento più efficace”.
Sebbene le infezioni da H5N1 nelle persone siano rare, ci sono più di 60 persone che sono state infettate dall’esposizione ai latticini fino ad oggi nell’attuale epidemia. Alcuni sono stati infettati tramite l’esposizione a latte crudo vaccino contaminato, come i lavoratori delle latterie che sono stati infettati tramite schizzi o particelle aerosolizzate che hanno raggiunto il naso o gli occhi. Dati i rischi per la salute umana, gli scienziati hanno utilizzato un modello di topo per testare come ogni farmaco antivirale funzionava contro il virus quando veniva ottenuto attraverso tre diverse vie di esposizione.

“In generale, il baloxavir [Xofluza] ha causato una maggiore riduzione dei livelli virali rispetto all’oseltamivir [Tamiflu], ma nessuno dei due è stato sempre efficace”, ha affermato il primo autore Jeremy Jones , PhD, Dipartimento di interazioni ospite-microbo di St. Jude. I ricercatori hanno studiato le vie di esposizione che includevano occhi, bocca e naso, che sono i modi più comuni per contrarre il virus. La via orale, che imita il consumo di latte vaccino crudo infetto, ha causato le infezioni peggiori, che sono state le più difficili da curare. “Il virus si è diffuso per via orale ben oltre la sua normale infezione dei polmoni”, ha detto Webby. “Si è espanso al cervello e al flusso sanguigno, e gli antivirali non sono riusciti a fermarlo o a migliorare i risultati di sopravvivenza”.
Al contrario, i risultati hanno mostrato che il baloxavir controllava abbastanza bene le infezioni attraverso l’occhio. Questi risultati sono particolarmente rilevanti in quanto la via oculare sembra essere la via di infezione comune per le persone che lavorano direttamente con le mucche da latte. “Baloxavir ha portato al 100% di sopravvivenza rispetto al 25% di oseltamivir”, ha affermato Jones. “Quindi, stiamo assistendo a maggiori benefici da baloxavir per la via di infezione oculare”.
I risultati sono stati contrastanti per la via nasale. Baloxavir ha ridotto i livelli virali meglio di oseltamivir, ma il virus ha comunque raggiunto il cervello. Entrambi gli antivirali hanno aumentato la sopravvivenza, con baloxavir e oseltamivir che hanno raggiunto rispettivamente un tasso di sopravvivenza del 75% e del 50%. “Abbiamo dimostrato che l’efficacia dei nostri attuali antivirali contro l’influenza aviaria H5N1 dipende dalla via di somministrazione e dal farmaco, in alcuni casi non facendo quasi nulla”, ha affermato Webby. “Pertanto, mentre esploriamo diverse combinazioni e dosi di farmaci, dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre il rischio di infezione, poiché è il modo migliore per proteggere le persone da questo virus in questo momento”.

Fonte: AGI