Leishmaniosi canina sui Colli Euganei: la prevenzione funziona

  • La leishmaniosi canina (CanL) è una malattia causata dal protozoo parassita Leishmania infantum e viene trasmessa ai cani dalla puntura di un insetto vettore, il flebotomo o pappatacio. La malattia è endemica in buona parte dell’Italia centrale e meridionale, mentre al Nord non sono stati segnalati casi fino alla metà degli anni Novanta. È una malattia grave, con andamento generalmente cronico, e se non curata causa spesso la morte del cane.

La diagnosi precoce e la sorveglianza attiva possono pertanto fare la differenza per tutelare i nostri animali. Promotori di questo approccio, i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno contribuito, in collaborazione con le locali autorità sanitarie e amministrative, a monitorare e ridurre sensibilmente la diffusione della malattia nei Colli Euganei. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Parasitology Research.

Dal 2005, sorveglianza attiva e coinvolgimento della popolazione

Nel 2005 si è verificato un focolaio autoctono di leishmaniosi canina nel comune di Baone, situato in provincia di Padova, nella parte meridionale dei Colli Euganei. Negli anni successivi il focolaio è stato monitorato attivamente dai servizi veterinari locali, con l’attiva collaborazione dell’Università di Padova – Dipartimento di Medicina animale, produzioni e salute, l’IZSVe, i veterinari libero professionisti e le amministrazioni locali.

Sono state implementate diverse attività, finalizzate al controllo sanitario della popolazione canina ma anche alla sensibilizzazione della popolazione locale nei confronti della malattia. Sono state organizzate campagne di prelievi di sangue per i controlli sierologici dei cani (LeishDay 2006, 2007 e 2010) e incontri ripetuti con i loro proprietari (2006, 2008 e 2011) per promuovere l’adozione di misure preventive specifiche, come l’utilizzo di presidi repellenti i flebotomi vettori. Inoltre, nel 2009, l’amministrazione comunale di Baone ha gratuitamente fornito ai proprietari dei collari con antiparassitario da utilizzare nella stagione estiva.

Dal 2013, valutazione degli interventi di monitoraggio e prevenzione

Negli anni successivi sono state organizzate campagne di prelievi di sangue per i controlli sierologici dei cani (LeishDay) e incontri ripetuti con i loro proprietari per promuovere l’adozione di misure preventive specifiche. In seguito, nel 2013 e 2017, sono state effettuate due nuove campagne  di test sierologici sui cani, che hanno dimostrato come la sieroprevalenze fosse diventata significativamente inferiore rispetto all’inizio dell’epidemia.

Per valutare l’efficacia degli interventi messi in atto per ridurre la diffusione della malattia, sono state successivamente effettuate due nuove campagne (2013 e 2017) di test sierologici sui cani; al momento del prelievo, i proprietari degli animali hanno compilato un questionario per indicare le pratiche adottate per proteggere il proprio animale dalle punture dei flebotomi. Sempre nell’estate del 2017 è stata condotta anche un’indagine entomologica per aggiornare i dati di diffusione del flebotomo.

La prevenzione funziona

I dati raccolti sono stati confrontati statisticamente con quelli degli anni precedenti. I risultati mostrano come la sieroprevalenza nei cani (ovvero la presenza di anticorpi specifici per leishmaniosi canina sviluppati in seguito alla puntura di flebotomi infetti) sia ora significativamente inferiore a quella registrata all’inizio dell’epidemia, passando dal 32,4% nel 2006/2007, al 23,6% nel 2013 e infine al 6,3% nel 2017, nonostante la densità dei flebotomi sia rimasta pressoché stabile. Si è notato anche che i cani positivi nel 2017 (solo 4 su 64) avevano più di 6 anni, mentre i cani giovani non erano venuti a contatto con flebotomi infetti nelle stagioni precedenti.

La maggior parte dei proprietari di cani intervistati ha dichiarato di utilizzare regolarmente gli insetticidi topici sui propri cani durante la stagione dei flebotomi. Questo studio rappresenta infatti la prima esperienza italiana di controllo efficace di un focolaio stabile di leishmaniosi canina di nuova introduzione grazie all’uso massivo di insetticidi topici, applicati volontariamente dai cittadini interessati in un contesto non controllabile sperimentalmente.

Non ultimo, questa esperienza dimostra soprattutto che l’approccio attivo e collaborativo tra ricercatori, veterinari libero professionisti, autorità locali e cittadini è la chiave vincente per ottenere risultati eccellenti nella gestione di un focolaio di leishmaniosi.

Fonte: IZS Venezie




ISS: il punto sulla pandemia

Il punto sulla pandemia, dalla prima fase ai possibili scenari futuri in vista anche del virus influenzale: tutti gli strumenti a disposizione della sanità pubblica in un rapporto congiunto ISS e Ministero della Salute

Le criticità riscontrate nella prima fase pandemica, l’elaborazione di possibili scenari futuri e lo sviluppo di nuovi strumenti per fronteggiarli rafforzando i servizi sanitari. E’ una vera e propria “cassetta degli attrezzi” la nuova pubblicazione dell’ISS e del Ministero della Salute pubblicata in vista anche della prossima stagione influenzale dove si prevede la co-circolazione del virus SARS-CoV-2 e di virus influenzali stagionali.

Entrambi i virus, infatti, presentano una sintomatologia simile e richiedono una conferma di laboratorio per accertare la diagnosi differenziale. Diventa quindi estremamente importante il monitoraggio concomitante di casi di infezione da SARS-CoV-2 e da virus influenzali e la realizzazione di test diagnostici molecolari multipli. Proprio con questo obiettivo l’ISS ha avviato l’integrazione nel sistema InfluNet della sorveglianza COVID-19, con richiesta ai laboratori della Rete InfluNet di testare sistematicamente i tamponi pervenuti oltre che per virus influenzali anche per il virus SARS-CoV-2.

Questo documento ha l’obiettivo di rafforzare il coordinamento dei sistemi sanitari regionali e la pianificazione nazionale per fronteggiare un eventuale aumento nel numero di nuove infezioni da SARS-CoV-2. Si prevedono 4 diversi scenari possibili nella stagione autunno-inverno 2020- 2021.

SCENARIO 1: Situazione di trasmissione localizzata (focolai) sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020, con Rt regionali sopra soglia per periodi limitati (inferiore a 1 mese) e bassa incidenza, nel caso in cui la trasmissibilità non aumenti sistematicamente all’inizio dell’autunno, le scuole abbiano un impatto modesto sulla trasmissibilità e i sistemi sanitari regionali riescano a tracciare e tenere sotto controllo i nuovi focolai, inclusi quelli scolastici.

SCENARIO 2: Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile dal sistema sanitario nel breve e medio periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1 e Rt=1,25. Un’epidemia con queste caratteristiche di trasmissibilità potrebbe essere caratterizzata da una costante crescita dell’incidenza di casi e corrispondente aumento dei tassi di ospedalizzazione e dei ricoveri in terapia intensiva. La crescita del numero di casi potrebbe però essere relativamente lenta, senza comportare un rilevante sovraccarico dei servizi assistenziali per almeno 2-4 mesi.

SCENARIO 3: Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1,25 e Rt=1,5. Un’epidemia con queste caratteristiche di trasmissibilità dovrebbe essere caratterizzata da una più rapida crescita dell’incidenza di casi rispetto allo scenario e potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 2-3 mesi. È però importante osservare che qualora l’epidemia dovesse diffondersi prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani), il margine di tempo entro cui intervenire potrebbe essere maggiore.

SCENARIO 4: Situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente maggiori di 1,5. Anche se una epidemia con queste caratteristiche porterebbe a misure di mitigazione e contenimento più aggressive nei territori interessati, uno scenario di questo tipo potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi. La crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi, a meno che l’epidemia non si diffonda prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani).

Fonte: ISS




Il virus della rosolia passato dagli animali all’uomo

Nuova ipotesi dopo la scoperta di virus simili in topi e pipistrelli
Potrebbe essersi originato negli animali per poi passare all’uomo. Lo suggerisce la scoperta di due suoi stretti ‘parenti’, trovati in un gruppo di pipistrelli ugandesi e in alcuni topi in Germania. Descritti su Nature da due gruppi di ricerca indipendenti, questi nuovi virus sembrano essere innocui per l’uomo, ma non è possibile escludere che in futuro possano fare il salto di specie causando nuove epidemie.

“Saremmo negligenti a non preoccuparci, visto cosa sta accadendo nel mondo oggi”, afferma Tony Goldberg, epidemiologo dell’Università del Wisconsin tra i coordinatori dello studio. Il Rubella virus, il virus della rosolia isolato per la prima volta nel 1962, era considerato finora l’unico esemplare della sua famiglia. La sua eradicazione a livello globale è considerata come un obiettivo raggiungibile dall’Organizzazione mondiale della sanità perché al momento non sono noti animali che possano essere contagiati diventando un pericoloso serbatoio di infezione. A cambiare le carte in tavola potrebbe essere proprio l’identificazione dei suoi nuovi ‘parenti’.

Il virus Ruhugu, trovato in Africa, e il virus Rustrela, individuato in Germania, sono infatti presenti in specie di mammiferi molto comuni: quasi la metà dei topi e dei pipistrelli testati dai ricercatori sono risultati positivi. Ciò fa pensare che questi animali possano fungere da riserva per i virus, in quanto portatori sani che possono trasmettere l’infezione. Lo studio suggerisce dunque che il virus della rosolia, come tanti altri virus che colpiscono l’uomo, potrebbe essersi originato negli animali, ma non è noto se possa passare nuovamente dall’uomo agli animali. Se questo accadesse, o se i due nuovi virus arrivassero a contagiare l’uomo, la lotta alla rosolia si troverebbe a un punto di svolta. Le analisi dei ricercatori suggeriscono comunque che i virus Ruhugu e Rustrela sarebbero così simili al Rubella virus da poter essere fermati grazie all’attuale vaccino per la rosolia.

Fonte: ANSA




Che fine fanno le zanzare d’inverno? Un’app può aiutare a scoprirlo

Si chiama Mosquito Alert ed è una app per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa e di contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori.

Dietro la app c’è un network di ricerca internazionale coordinato per l’Italia dall’Università La Sapienza di Roma, a cui partecipa anche il Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). I ricercatori dell’IZSVe faranno infatti parte del team di esperti internazionali che si occuperà del riconoscimento delle specie di zanzare, a partire dalle foto scattate dai cittadini e inviate con la app.

Zanzare esotiche ormai di casa

Mosquito Alert ed è una app gratuita  per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa attraverso segnalazioni e fotografie inviate dai cittadini. L’app permette inoltre di segnalare le punture ricevute e potenziali siti di riproduzione delle zanzare. Queste informazioni sono utili per contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori. I cittadini possono quindi contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo.

Le zanzare non sono più quelle “di una volta”. Negli ultimi decenni, la globalizzazione e i cambiamenti climatici hanno portato alla diffusione in Italia ed in Europa di specie di zanzare esotiche, un tempo confinate alle regione tropicali, prima di tutte la famosa zanzara tigre (Aedes albopictus), ma anche altre specie meno note, come la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e quella coreana (Aedes koreicus).

Queste specie non solo hanno cambiato la vita di tutti noi a causa del loro comportamento di puntura aggressivo e diurno, ma hanno creato le condizioni per la trasmissione di virus esotici capaci di causare gravi patologie all’uomo. Nel 2017 un’epidemia del virus chikungunya, sostenuta dalla zanzara tigre, ha causato centinaia di infezioni nel Lazio e in Calabria, e nelle scorse settimane si sono registrati nel Vicentino i primi 10 casi autoctoni del più temibile virus della dengue. La trasmissione di questi virus a partire da viaggiatori infetti provenienti da regioni tropicali endemiche è diventata ormai una regola in molto paesi europei.

Questi casi si sommano a quelli di un virus endemico nel nostro territorio – il virus del Nilo Occidentale – trasmesso dalla zanzara notturna nostrana (Culex pipiens), per il quale negli ultimi anni si è osservato un preoccupante aumento, probabilmente legato a un clima particolarmente favorevole al vettore. Secondo i dati del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC), nel 2020 ci sono stati 29 casi di virus del Nilo Occidentale in Italia e 1.688 casi in Europa, con 13 decessi.


Mosquito alert, un esempio di citizen science europea

Sebbene questi numeri non impressionino in questo periodo in cui ci siamo abituati a contare i casi ed i decessi da Covid-19 nell’ordine delle migliaia e delle decine al giorno, non va abbassata la guardia su altri pericolosi agenti patogeni. Per questo un gruppo di esperti internazionali nel campo della prevenzione e del controllo delle malattie trasmesse da vettore sta collaborando insieme per sviluppare ed implementare in Europa un sistema di monitoraggio delle zanzare attraverso Mosquito Alert, un’applicazione gratuita per telefoni cellulari, attraverso la quale ogni cittadino può inviare segnalazioni e fotografie di zanzare.

Mosquito Alert è attiva in Spagna dal 2014 dove ha permesso di rilevare rapidamente l’espansione della zanzara tigre a regioni settentrionali fino a poco fa ancora esenti e la presenza di nuove specie invasive, grazie ad oltre 18.000 avvistamenti inviati da un’ampia rete di volontari. Mosquito Alert ha da oggi una dimensione internazionale grazie a due progetti finanziati dalla Comunità Europea – la Aedes Invasive Mosquito COST ACTION (AIM-COST) e Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) – che riuniscono 46 paesi in Europa ed in regioni limitrofe. È stata già tradotta in 17 lingue, Italiano incluso, e aggiornata rispetto alla versione del 2014.

La nuova versione consente non solo l’invio di foto delle zanzare (aliene e non), ma anche segnalazioni delle punture ricevute. Attraverso una task force di oltre 50 esperti entomologi, le immagini inviate vengono identificate e archiviate per consentire e una valutazione su larga scala della diffusione e stagionalità delle diverse specie, impossibile da ottenere con strumenti entomologici convenzionali isolato per isolato in tutti i centri abitati dei paesi interessati.

I cittadini sono quindi chiamati a contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo. Mosquito Alert fornisce tutte le informazioni ed i trucchetti necessari per fotografare gli esemplari avvistati o catturati nella maniera migliore.

Fonte: IZS Venezie




Come condizioni meteorologiche e inquinamento possono influenzare la diffusione della pandemia

coronavirusUno studio pubblicato sulla rivista Nature Research – Scientific Report condotto da ricercatori dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Cnr-Imaa) ha evidenziato come le differenti condizioni meteorologiche e qualità dell’aria possono influenzare la diffusione della pandemia da Covid-19.

I risultati sottolineano che parametri quali temperatura e umidità risultano correlati negativamente con il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva, figura di merito usata nel lavoro per valutare la diffusione della pandemia sul territorio nazionale. Una ulteriore correlazione, debolmente positiva, è stata riscontrata con la presenza di polveri sottili in atmosfera. In sostanza, questo significa che il virus si propaga più facilmente in ambienti umidi e freschi, in particolare con un maggior livello di inquinamento dell’aria. Inoltre, vale la pena sottolineare che i risultati dello studio non implicano necessariamente una relazione diretta causa-effetto tra il virus e fattori quali temperatura e umidità, ma, per esempio, che le condizioni climatiche potrebbero influenzare il comportamento umano, favorendo l’aggregazione in spazi chiusi.

Onde evitare possibili correlazioni spurie, il risultato ottenuto è confermato attraverso un’analisi eseguita su due differenti aree metropolitane italiane quali Milano e Firenze e la provincia autonoma di Trento. Lo studio eseguito è particolarmente innovativo perché, rispetto ad altri studi simili, per la prima volta i parametri meteorologici e di qualità dell’aria sono stati correlati non con il numero di positivi giornalieri, variabile condizionata in modo non banale ad esempio dal numero di tamponi eseguiti, ma con il numero di malati ricoverati in terapia intensiva. In particolare, il modello epidemiologico è stato stimato a partire dalle evidenze statistiche a disposizione, e compensato in modo da epurare le correlazioni calcolate da effetti principali quali l’attuazione di misure di distanziamento sociale forzato atte alla riduzione della diffusione pandemica. L’approccio proposto rende, così, i risultati indipendenti dal numero di tamponi giornalieri eseguiti e, soprattutto, dal naturale decorso di un’epidemia.

 

Fonte: CNR




14ª Giornata mondiale della rabbia

workshop rabbiaIl 28 settembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale contro la rabbia, iniziativa lanciata da Global Alliance for Rabies Control fin dal 2006 con lo scopo di sensibilizzare e richiamare l’attenzione sull’impatto della rabbia sulla salute pubblica e di promuovere la prevenzione e le strategie di controllo della malattia, con il supporto attivo di OMS, OIE, FAO.

Nel 2015 le 4 organizzazioni hanno avviato il piano strategico globale “Zero by 30” per porre fine alle morti umane da rabbia trasmessa dai cani entro il 2030

La rabbia è  una encefalite virale zoonosica,  classificata fra le malattie tropicali neglette, presente in oltre 150 paesi e territori, di solito fatale quando appaiono i sintomi. La rabbia trasmessa dai cani rappresenta circa il 99% dei casi di rabbia umana e si stima che 59.000 persone ne muoiano ogni anno, colpendo soprattutto i bambini di età inferiore a 15 anni.

Tuttavia è prevenibile al 100% se si assicura l’accesso a trattamenti salva vita dopo il morso di un cane; e vaccinando i cani per ridurre i rischi e alla fine eliminare la malattia alla sua fonte animale. Porre fine alle morti umane da rabbia richiede il rafforzamento dei servizi sanitari per la salute umana e per quella animale, e un maggiore impegno a livello politico.

Per questi motivi lo slogan della 14ª giornata mondiale è “End Rabies: Collaborate, Vaccinate” per sottolineare i 3 temi chiave:

Porre fine alla rabbia: rafforzare gli impegni per portare a compimento gli obiettivi del piano “Zero by 30”

Collaborare: è necessario incentivare la collaborazione a livello internazionale, nazionale e locale per eliminare la rabbia, soprattutto tenendo presente che si tratta di una malattia che non conosce confini.  

Vaccinare: la vaccinazione dei cani è fondamentale per prevenire la rabbia alla sua fonte in modo da poter raggiungere l’eliminazione

 




Sistema nazionale di sorveglianza delle arbovirosi, i dati al 31 agosto 2020

artropodiSono stati pubblicati sul sito epicentro.iss.it i rapporti del Sistema di sorveglianza nazionale integrata delle arbovirosi relativi al periodo 1 gennaio-31 agosto 2020.

Le arbovirosi sono malattie causate da virus trasmessi da vettori artropodi (come per esempio zanzare, zecche e flebotomi) tramite morso/puntura. Interessano sia l’uomo che gli animali.

In Italia, sono soggette a sorveglianza speciale:

  • Chikungunya
  • Dengue
  • Zika
  • West Nile
  • Usutu
  • Encefalite da zecca (Tbe)
  • infezioni neuro-invasive da virus Toscana

Durante gli 8 in questione il sistema di sorveglianza ha segnalato:

Per West Nile e Usutu virus: per i dati sulle infezioni da West Nile e Usutu virus consulta la pagina dedicata




PSA in Sardegna: vicini all’eradicazione

Peste Suina AfricanaGrazie alle attività messe in campo a partire dal 2015 da parte dell”Unità di Progetto per l’eradicazione della Peste suina africana, e alle azioni dei Servizi veterinari e IZS, la Sardegna è un passo dal risultato: l’eradicazione della malattia, endemica nell’isola dal 1978 nei suini domestici, maiali bradi e cinghiali.

In questa fase cruciale vengono pubblicati due importanti studi che forniscono elementi utili alla conclusione del percorso.

I due studi, ad accesso libero sono pubblicati si Mdpi, Multidisciplinary Digital Publishing Institute.

Il primo “African Swine Fever Circulation among Free-Ranging Pigs in Sardinia: Data from the Eradication Program“, a cura dei ricercatori dell’IZS Sardegna, IZS Umbria e Marche e Università di Sassari, ha indagato la prevalenza e la distribuzione della PSA tra i suini liberi in Sardegna e la caratterizzazione dei ceppi di PSA che circolano tra i suini bradi nell’isola.

I dati dello studio suggeriscono fortemente l’assenza di varianti  non-HAD PSA o di altre varianti della PSA attenuate che circolano tra i suini liberi sardi, indicando così che altri fattori hanno contribuito alla tolleranza della PSA da parte dei suini illegali presenti in Sardegna.

Comprendere i fattori alla base della persistenza della malattia in ambienti endemici potrebbe contribuire a sviluppare contromisure efficaci, sostengono gli autori nelle conclusioni.

Tenuto conto che la persistenza della PSA cinghiali selvatici è maggiore rispetto agli allevamenti suini e le lacune di conoscenza nell’epidemiologia della malattia ostacolano l’eradicazione del virus, gli autori del secondo studio “Mathematical Approach to Estimating the Main Epidemiological Parameters of African Swine Fever in Wild Boar” –  cui hanno partecipato i ricercatori dell’IZS  Sardegna, IZS Umbria e Marche e ISPRA – hanno applicato diversi approcci matematici per stimare i principali parametri epidemiologici che sono in grado di descrivere l’evoluzione e l’attuale stato epidemico di PSA nel nord sardegna. Nelle ultime fasi di un’epidemia, queste stime sono strumenti cruciali per identificare l’intensità degli interventi necessari per eradicare definitivamente la malattia.

A cura della segreteria SIMeVeP




ISS – Domande e risposte sull’RT del Covid-19

L’Istituto Superiore di Sanità ha predisposto una serie di domande e risposte sul numero di riproduzione netto (Rt):

Perché l’Rt Nazionale non sempre cresce sopra 1 se i casi aumentano? Come interpretare l’Rt nella fase di transizione epidemica di Covid-19 in Italia

Nelle ultime 5 settimane in Italia si è assistito ad un aumento nell’incidenza dei casi di COVID-19 mentre l’indice di trasmissione nazionale (Rt) calcolato sui casi sintomatici non sempre ha superato il valore medio di 1 nello stesso periodo, tranne nell’ultima settimana.

Sebbene possa non essere intuitivo, i due dati non sono in contraddizione ma danno informazioni complementari.

Perché non sono in contraddizione?

I due indicatori sono calcolati su dati leggermente diversi. Infatti il conteggio dei casi si riferisce al numero complessivo delle persone con infezione confermata da SARS-CoV-2 diagnosticate ciascun giorno sul territorio italiano (per data di diagnosi), mentre l’Rt è calcolato sul sottogruppo dei casi con sintomi non importati e riferito ai tempi in cui questi sintomi si sono sviluppati (per data di inizio sintomi).  Quindi il calcolo dell’Rt è relativo ad una parte della curva e ad un periodo temporale “sfalsato” di circa 1 settimana.

R0, Rt: cosa sono, come si calcolano?

Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

R0 e Rt possono essere calcolati su base statistica a partire da una curva di incidenza di casi giornalieri (il numero di nuovi casi, giorno per giorno). Per calcolare R0 o Rt non è necessario conoscere il numero totale di nuove infezioni giornaliere.

Perché calcoliamo Rt solo sui soli casi sintomatici?

Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate.

Per questi motivi, le stime di R0 ed Rt non tengono conto delle infezioni asintomatiche. Si sottolinea a tal riguardo l’aumento continuo della capacità offerta diagnostica dei tamponi rino-naso faringei per la diagnosi molecolare e di altri test di screening quali test sierologici e test rapidi antigenici il cui utilizzo ha aumentato la probabilità di identificare le infezioni asintomatiche.

Quindi si è scelto di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio 2020 a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici (che in queste settimane costituiscono la maggior parte dei casi diagnosticati).

Come vengono considerati i casi importati nel calcolo di Rt?

Una considerazione a parte meritano le infezioni (sintomatiche) importate, cioè le infezioni contratte all’estero ed individuate al successivo ritorno in Italia. Queste infezioni possono essere considerate in due modi diversi: A) dal momento dell’ingresso in Italia queste persone (sia italiane che non) possono trasmettere esattamente come le persone che si sono infettate in Italia; B) oppure, queste persone sono rapidamente identificate (es. all’aeroporto) e isolate non contribuendo alla trasmissione in Italia. Essendo molto alta l’attenzione sugli ingressi/rientri dall’estero questo ci farebbe propendere per lo scenario B; tuttavia, sono già stati descritti diversi focolai autoctoni originatisi da persone infettatesi all’estero. Di conseguenza, è probabile che il loro contributo stia da qualche parte tra gli scenari A) e B). In assenza di dati di sufficiente qualità per comprendere meglio il ruolo delle infezioni importate dall’estero sull’epidemiologia di COVID-19 in Italia, si è al momento deciso di considerare lo scenario A). Va rimarcato che se fosse al contrario vero lo scenario B), questo comporterebbe una trasmissibilità di SARS-COV-2 in Italia maggiore di quanto riportato, anche perché le infezioni importate rappresentano una percentuale non trascurabile del totale in questo ultimo periodo.

Qual è l’informazione aggiuntiva che ci fornisce l’Rt calcolato in questo modo in aggiunta al dato sul numero di nuovi casi diagnosticati?

Rt ci dice che, nonostante sia osservato un aumento continuo dei casi totali da metà luglio, al netto dei casi asintomatici identificati attraverso attività di screening/tracciamento dei contatti e dei casi importati da stato estero (categorie non mutuamente esclusive), vi è stata stabilizzazione e solo recentemente un lieve aumento della trasmissibilità. Questo ci permette di affermare assieme ad altri dati che, sebbene il numero di casi riportato giornalmente sia numericamente simile a quanto riportato alla fine di febbraio 2020, la fase epidemiologica è completamente diversa con casi diagnosticati quasi esclusivamente in sintomatici ed un Rt stimato ad oltre 2.

Come va interpretato?

Questo dato, letto assieme a quello sul numero di nuovi casi diagnosticati ogni giorno, suggerisce che il grande lavoro svolto dai servizi territoriali ha per il momento contenuto la diffusione del virus sul nostro territorio. La maggior parte dei casi è identificato attraverso screening di popolazione e ricerca dei contatti con identificazione dei focolai e rapida realizzazione di misure di isolamento e quarantena. Il fatto che non vi sia sovraccarico dei servizi assistenziali è una conferma di questo. Allo stesso tempo però l’aumento dei casi diagnosticati conferma che ci sia una elevata circolazione del virus (sia autoctono che re-introdotto da altri Paesi) dà conto dell’aumento del lavoro richiesto agli stessi servizi territoriali le cui capacità di risposta rischiano di essere messe a dura prova.

Nota metodologica

La stima di R(t) viene effettuata con un metodo statistico consolidato [1], che stima la distribuzione a posteriori tramite un algoritmo Markov Chain Monte Carlo (MCMC) applicato alla seguente funzione di verosimiglianza

Dove, oltre a R(t):

  • P(k; λ) è la densità di una distribuzione Poisson, ovvero la probabilità di osservare k eventi se questi avvengono a una frequenza media λ.
  • C(t) è il numero di casi sintomatici con data di inizio sintomi al giorno t, con t=1,…,T
  • I(t) è il numero di casi sintomatici importati da un’altra regione o dall’estero aventi data inizio sintomi nel giorno t; essendo un sottoinsieme di C(t), si ha che C(t) ³ I(t) a ogni t.
  • p(T) è la distribuzione del tempo di generazione (una distribuzione gamma con parametri di shape = 1.87 e rate = 0.28, stimata su dati della regione Lombardia [2]).

 

Bibliografia essenziale

[1] Cori A, Ferguson NM, Fraser C, Cauchemez S. A new framework and software to estimate time-varying reproduction numbers during epidemics. Am J Epidemiol. 2013;178(9):1505-1512. doi:10.1093/aje/kwt133

[2] D Cereda, M Tirani, F Rovida, V Demicheli, M Ajelli, P Poletti, F Trentini, G Guzzetta, V Marziano, A Barone, M Magoni, S Deandrea, G Diurno, M Lombardo, M Faccini, A Pan, R Bruno, E Pariani, G Grasselli, A Piatti, M Gramegna, F Baldanti, A Melegaro, S Merler. The early phase of the COVID-19 outbreak in Lombardy, Italy. ArXiv:2003.09320v1, 2020.

Fonte: ISS




L’EFSA lancia la campagna “Stop alla peste suina africana” nell’Europa sud-orientale

L’EFSA ha avviato un’importante campagna di sensibilizzazione per contribuire ad arrestare la diffusione della peste suina africana nell’Europa sudorientale.

La campagna è rivolta ai Paesi individuati dall’EFSA nel 2019 collettivamente come “area di preoccupazione” per la loro vicinanza a quelli in cui è presente la malattia, ovvero: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Kosovo*, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Slovenia.

La campagna intende affiancare le misure in atto presso la Commissione europea e altre organizzazioni internazionali per eradicare la malattia dall’Europa.

Cos’è la peste suina africana?

La peste suina africana (PSA in breve) è una malattia virale che colpisce maiali e cinghiali selvatici. Il virus, innocuo per l’uomo, ha causato notevoli perdite economiche in diversi Paesi. Attualmente non esistono vaccini contro la PSA, quindi in caso di epidemia è necessario abbattere un gran numero di maiali d’allevamento nelle zone colpite.

Obiettivi e pubblico

La campagna mira ad accrescere la conoscenza e la comprensione della PSA in tutti i nove Paesi succitati. Si rivolge a gruppi di persone e individui che sono spesso a contatto con maiali domestici e cinghiali selvativi, come ad esempio allevatori di suini e cacciatori. Con la campagna l’EFSA vuole raggiungere anche le organizzazioni veterinarie, le associazioni venatorie, vari gruppi di allevatori, i funzionari doganali, la polizia di frontiera, i governi locali, gli operatori turistici e i viaggiatori.

Rilevare, prevenire, segnalare

Poiché un’epidemia di PSA può avere effetti devastanti, per poter contenere questa malattia sono essenziali l’individuazione, la prevenzione e la segnalazione, che sono le tre parole chiave della nostra campagna.

Pubblicheremo schede informative, infografiche, post sui social media da poter riutilizzare e tanto altro materiale. Per saperne di più vedere il sito web della campagna: www.efsa.europa.eu/StopASF

[*] Tale designazione non intende arrecare pregiudizio a posizioni di stato, ed è in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite UNSCR 1244 e con il parere della Corte internazionale di giustizia (ICJ) sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo.

Fonte: EFSA