EFSA raccomanda alternative alle gabbie per migliorare il benessere di polli da carne e galline

trasporto gallinePer migliorare il benessere dei polli da carne e delle galline ovaiole d’allevamento, gli scienziati dell’EFSA raccomandano di evitare la pratica della mutilazione, la restrizione alimentare e l’uso di gabbie. Due pareri scientifici, pubblicati oggi, esprimono consigli sullo spazio, la densità degli animali, l’illuminazione, la polvere, il rumore, i rifiuti e strutture come le piattaforme sopraelevate.

I nostri esperti hanno valutato i sistemi di allevamento utilizzati nell’Unione europea per i polli da carne e le galline ovaiole e hanno individuato i pericoli a cui sono esposti i volatili e le relative conseguenze per il loro benessere. Hanno descritto le varie modalità di valutare il benessere dei volatili in base alle risposte degli animali e hanno proposto modi per prevenire o attenuare le conseguenze nocive al benessere che hanno individuato. Le due valutazioni riguardano l’intero ciclo produttivo, dall’allevamento e dalla crescita dei giovani volatili all’allevamento di polli da carne e galline ovaiole. I nostri scienziati hanno anche affrontato questioni specifiche proposte dall’iniziativa dei cittadini europei Basta con le gabbie.

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Fonte: EFSA




Influenza aviaria: in aumento i casi negli uccelli selvatici, cresce l’attenzione anche verso i mammiferi

Dopo gli eventi di spillover in visoni allevati cresce l’attenzione delle autorità sanitarie verso mutazioni del virus H5N1 che potrebbero favorirne il passaggio ai mammiferi e all’uomo.

L’evoluzione della situazione dell’influenza aviaria a livello globale negli ultimi mesi ha sollevato una certa preoccupazione fra la comunità scientifica internazionale. Dopo i casi confermati di trasmissione del virus H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) dagli uccelli in alcune specie di mammiferi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) hanno invitato tutti i paesi ad innalzare il livello di allerta sull’arrivo di una nuova pandemia di influenza nella popolazione umana sostenuta da un virus di origine aviare.

Secondo i dati epidemiologici del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in Italia la circolazione del virus H5N1 fra gli uccelli selvatici è in aumento, con il rischio che questi possano trasmettere il virus agli allevamenti avicoli. Il ministero della Salute ha diramato pochi giorni fa una nota, indirizzata a tutti i Servizi veterinari regionali e agli Istituti Zooprofilattici italiani, in cui ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza dei volatili selvatici e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli.

“La diffusione del ceppo H5N1 HPAI fra gli uccelli selvatici è in aumento, in Italia come nel resto del mondo – dichiara Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro paese, i casi di H5N1 HPAI nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022.”

La situazione in Italia

Negli uccelli selvatici a partire da settembre 2022 sono stati ufficialmente confermati 79 casi di positività fra gabbiani (19), alzavole (13), germani (10) e in altri esemplari di rapaci e anatidi. Molti altri casi sospetti nei gabbiani sono in corso di conferma presso l’IZSVe. Il persistere di casi nei selvatici evidenzia la continua circolazione di H5N1 sul territorio italiano in linea con quanto sta avvenendo in altri paesi europei ed extra europei in cui si registra un aumento di casi anche nel pollame e nei mammiferi selvatici, e in cui sono stati segnalati anche sporadici casi in mammiferi domestici.

Negli uccelli domestici la situazione è più favorevole, dopo la drammatica ondata epidemica di H5N1 HPAI che ha investito prevalentemente il nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame risale infatti al 23 dicembre 2022, portando a 30 il numero dei casi confermati da settembre 2022. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

“La situazione negli allevamenti è migliorata rispetto a un anno fa – afferma il dott. Terregino – grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e le Asl coinvolte, il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e i rappresentanti del mondo produttivo. La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate, rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici e rendendo più efficaci le strategie di prevenzione e la gestione dei focolai negli allevamenti.”

Il rischio di trasmissione nei mammiferi

In Italia non sono stati registrati casi tra i mammiferi, tuttavia sono previste attività di monitoraggio anche in queste specie, in particolare nelle aree umide frequentate da uccelli selvatici potenzialmente infetti.

Il virus H5N1, come molti altri i virus respiratori, è molto plastico e il suo tasso di mutazione genetica è piuttosto elevato. Alcuni ceppi del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) attualmente circolanti fra gli uccelli hanno mostrato mutazioni considerate segni di adattamento ai mammiferi. Alcuni animali, come i visoni, potrebbero consentire il riassortimento genetico di diversi virus influenzali, da cui possono emergere varianti virali più pericolose per gli animali e l’uomo. Sono attualmente in corso presso i laboratori del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’IZSVe studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna.

La sorveglianza genetica consente non solo di identificare correttamente il virus ma anche di studiarne le mutazioni. Gli studi finora condotti dall’IZSVe indicano un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo. Una delle armi più efficaci per individuare tempestivamente questa eventualità è la condivisione delle sequenze genetiche fra i membri della comunità scientifica, in modo da seguire l’evoluzione del virus nel tempo e nello spazio e capire se si verificano mutazioni che favoriscono la replicazione nei mammiferi.

I rischi per l’uomo

Sebbene colpisca principalmente il pollame e gli uccelli selvatici, l’influenza aviaria può anche se solo occasionalmente essere trasmessa ai mammiferi, compreso l’uomo. Dalla sua comparsa nel 1996 in un allevamento di oche in Cina, il virus H5N1 ha provocato casi di infezione anche tra gli esseri umani in diversi Paesi del mondo, ma con una frequenza sporadica e in particolari condizioni. Ad oggi non sono stati rilevati casi di trasmissione inter-umana del virus H5N1.

I virus aviari non sono in grado di contagiare con facilità l’uomo, nella maggior parte dei casi le infezioni da H5N1 sono avvenute in persone a stretto contatto con volatili infetti in aree molto povere, in condizioni di forte pro­miscuità e scarsa igiene, senza un’opportuna consapevolezza della presenza del­la malattia e dei rischi ad essa associati. Esistono categorie professionali più esposte al rischio, come allevatori avicoli, veterinari, macellatori, trasportatori. Per questi soggetti, che potrebbero venire in contatto più frequentemente con uccelli infetti o morti di influenza aviaria, è previsto un monitoraggio sanitario in caso di epidemia ed è raccomandabile la vaccinazione contro l’influenza umana, come misura per prevenire fenomeni di ricombinazione genetica tra il virus stagionale umano e il virus dell’influenza aviaria.

Fonte: IZS Venezie




LRRC15, un nuovo determinante di suscettibilità/resistenza a SARS-CoV-2

Giovanni Di GuardoRisale a pochi giorni fa, ad opera di un team di ricercatori australiani dell’Università di Sydney, la notizia relativa all’identificazione di un ulteriore recettore nei confronti di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della drammatica pandemia da COVID-19 -, localizzato in ambito polmonare nonché a livello delle prime vie aeree e di altri distretti tissutali dell’ospite, ivi compresa la cute.

La molecola in questione, la cui esistenza e’ stata resa nota attraverso un articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista “PLoS Biology”, è denominata “leucine-rich repeat containing protein 15” (LRRC15) e farebbe il paio con il recettore ACE-2, la ben nota porta attraverso cui SARS-CoV-2 sarebbe in grado di penetrare alll’interno delle nostre cellule, così come di quelle delle numerose specie animali naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti dell’infezione.

Ciononostante, a dispetto di un’elevata affinita’ di legame del virus con entrambi i recettori sopra citati, la pregressa interazione di SARS-CoV-2 con la molecola LRRC15 inibirebbe il successivo legame dello stesso con ACE-2, sequestrando per così dire il virus ed impedendone di fatto l’ingresso nelle cellule ospiti. Inoltre, in concomitanza con la diffusione dell’infezione in ambito polmonare, si assisterebbe ad una contestuale, accresciuta espressione del recettore LRRC15, che ostacolerebbe pertanto l’ulteriore colonizzazione del parenchima e, di conseguenza, il progressivo sviluppo della reazione sclero-fibrotica che frequentemente accompagna l’evoluzione in senso cronico dell’infezione.

Ne deriva che LRRC15 costituirebbe un fondamentale determinante di suscettibilità/resistenza nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, caratterizzandosi in tal modo come una molecola attraverso i cui livelli di espressione in ambito sia polmonare sia delle prime vie aeree, oltre che dei vari distretti tissutali dell’ospite esprimenti la stessa, passerebbe la differente gravità dei quadri clinico-patologici associati alla COVID-19.

Ai livelli di espressione della molecola LRRC15, congiuntamente al grado di omologia del recettore virale ACE-2 (e, possibilmente, anche della “neuropilina-1”), potrebbe infine risultare correlata la maggiore o minore suscettibilità delle diverse specie animali nei confronti dell’infezione naturale e/o sperimentalmente indotta da SARS-CoV-2, nell’imprescindibile ottica della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Influenza aviaria H5N1/HPAI in un allevamento di visoni in Spagna

I ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con i colleghi del Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria spagnolo di Madrid (Spagna) e le autorità sanitarie spagnole, hanno identificato un virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord ovest della Spagna. I risultati delle indagini epidemiologiche, cliniche e genetiche sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eurosurveillance.

I ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria (presso l’IZSVe), in collaborazione con i colleghi del Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria spagnolo di Madrid (Spagna) e le autorità sanitarie spagnole, hanno identificato un virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord ovest della Spagna.

I fatti risalgono ad ottobre 2022 quando a seguito di un aumento improvviso della mortalità registrato in un allevamento di visoni, alcuni campioni prelevati da animali sintomatici sono stati inviati ai laboratori spagnoli per gli accertamenti analitici. Le analisi hanno permesso di rilevare la presenza del virus H5N1/HPAI.

Al momento è ignoto il meccanismo di introduzione e diffusione del virus in azienda. Tuttavia, considerate le mortalità riscontrate nei volatili selvatici marini nelle settimane precedenti nella stessa regione, causate dal virus H5N1/HPAI, i ricercatori ipotizzano che il virus sia stato introdotto dagli uccelli selvatici. Restano da approfondire i meccanismi di diffusione del virus in azienda e le modalità di trasmissione tra i visoni. Ulteriori studi sono in corso per caratterizzare la virulenza e la trasmissibilità del virus.

Le analisi genetiche hanno consentito di stabilire che il virus appartiene ad un gruppo virale ben conosciuto, responsabile della grave epidemia di influenza aviaria in atto da oltre due anni nei volatili domestici e selvatici in Europa e nel mondo. Sebbene il virus identificato nei visoni si distingua dai ceppi finora descritti nei volatili europei per alcune mutazioni presenti nel suo genoma, si sottolinea che nessuna delle mutazioni rilevate è fra quelle note per rendere un virus H5N1/HPAI trasmissibile efficacemente da uomo a uomo. Gli autori hanno inoltre evidenziato che nessun caso di infezione è stato riscontrato dalle indagini diagnostiche specifiche effettuate dalle autorità sanitarie spagnole negli operatori dell’azienda potenzialmente esposti.

La suscettibilità dei visoni all’infezione con i virus influenzali tipo A umani ed aviari è già stata documentata in diversi studi precedenti. Tuttavia, il caso descritto ricorda l’importanza di implementare adeguati piani di sorveglianza per i virus influenzali in questo settore produttivo e l’assoluta necessità di rafforzare le misure di biosicurezza per prevenire il contatto con i volatili selvatici ed evitare il verificarsi di eventi di trasmissione di virus influenzali dal visone all’uomo e viceversa.

“Questo evento ci ricorda che il virus influenzale aviario ad alta patogenicità H5N1 non è un problema solo dei volatili – sottolinea Isabella Monne, veterinario del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’IZSVe e coautrice dello studio – È in atto un’emergenza epidemica globale, senza precedenti, che non sconvolge solo la produzione avicola ma che sta colpendo gravemente molte specie di volatili selvatici e sporadicamente anche di mammiferi selvatici, minacciando gravemente la biodiversità del nostro pianeta. La continua circolazione del virus nella popolazione selvatica e le mortalità massive causate dal diffondersi dell’infezione in alcune specie rischia di sbilanciare ulteriormente gli ecosistemi con conseguenze ignote anche sulle dinamiche evolutive del virus. Anche questa emergenza va affrontata con un approccio One Health, globale e multidisciplinare, con la massima attenzione e prontezza, come abbiamo cominciato a capire grazie alla lezione della pandemia da Covid-19. Un virus influenzale capace di causare lo spillover nei mammiferi va fermato prima di diventare un problema per la sanità pubblica”.

Fonte: IZS Venezie




Testati con successo i vaccini a DNA contro le malattie virali della trota iridea

L’Italia è tra i primi produttori di trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Europa. La produzione è tuttavia fortemente limitata dall’impatto di due malattie virali, la Setticemia emorragica virale (SEV) e la Necrosi ematopoietica infettiva (NEI). Entrambe le malattie sono sostenute da virus appartenenti alla famiglia Rhabdoviridae e sono endemiche sul territorio nazionale. L’unica misura di controllo efficace per risolvere i focolai di SEV e NEI risulta essere l’eradicazione, che prevede lo svuotamento dell’intero stabilimento coinvolto, sia dagli animali che dall’acqua, e la pulizia e disinfezione delle attrezzature e delle vasche di stabulazione.

Ricercatori dell’IZSVe hanno valutato con una sperimentazione l’efficacia dei vaccini a DNA contro la Setticemia emorragica virale (SEV) e la Necrosi ematopoietica infettiva (NEI), due malattie virali che colpiscono la trota iridea e che limitano fortemente lo sviluppo dell’allevamento di questa specie. I vaccini hanno dimostrato per la prima volta di ridurre sensibilmente le mortalità indotte da SEV e NEI, e quindi di essere efficaci e sicuri.

Un recente progetto di ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (RC IZSVE 09/18), finanziato dal Ministero della Salute, ha valutato l’efficacia di vaccini a DNA contro queste due malattie virali della trota iridea, progettati a partire da sequenze della glicoproteina G (la proteina responsabile della produzione di anticorpi neutralizzanti) di ceppi italiani di virus della SEV e della NEI recentemente isolati nel territorio nazionale.

Dapprima è stata eseguita una prova in condizioni controllate presso l’acquario sperimentale dell’IZSVe, durante la quale due diverse dosi di vaccino per SEV e per NEI sono state testate singolarmente ed in combinazione per efficacia e sicurezza. Sulla base dei risultati ottenuti, la dose più alta è stata selezionata per l’esecuzione di una prova di campo.

La sperimentazione su campo, autorizzata dal Ministero della Salute, è stata condotta in uno stabilimento situato nella provincia autonoma di Trento tra ottobre 2020 e luglio 2021 e ha rappresentato la prima applicazione in campo dei vaccini a DNA per SEV e NEI in trota iridea. Gli animali sono stati suddivisi in tre gruppi sperimentali: un gruppo di controllo non vaccinato, un gruppo vaccinato con il vaccino per SEV e un gruppo vaccinato sia contro SEV che contro NEI. Al termine del periodo di osservazione, i vaccini utilizzati hanno dimostrato di ridurre sensibilmente le mortalità indotte da SEV e NEI, e quindi di essere efficaci e sicuri. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Vaccines, nella special issue dedicata ai vaccini in acquacoltura.

I vaccini rappresentano un valido aiuto per proteggere i pesci allevati dalle malattie e ridurre le perdite economiche, in aggiunta alle misure di biosicurezza messe in atto per prevenire l’introduzione di malattie in allevamento, la cui applicazione tuttavia non sempre è in grado di difendere in modo completo ed efficace gli animali dagli agenti patogeni.

Fonte: IZS Venezie




Nuovo virus dei suini sbarca in Europa

In data 11/01/2023, nel Regno Unito è stato confermato l’isolamento di Seneca Valley Virus (SVV) in 5 suini che presentavano lesioni vescicolari, identificate nel corso del 2022. L’introduzione di questo virus, segnalato per la prima volta in Europa, pone le basi per lo sviluppo di un’attività di monitoraggio e diagnosi. La sua rilevanza risiede nella possibilità di essere indagato nella diagnosi differenziale nei confronti di afta, malattia vescicolare del suino e stomatite vescicolare. Tale aspetto riveste un’importanza strategica per l’IZSLER nel controllo delle malattie vescicolari. SVV appartiene alla famiglia dei Picornaviridae ed è originario del Nord America. Il primo isolamento risale al 2002 come risultato di una contaminazione accidentale di una linea cellulare, ma studi retrospettivi hanno dimostrato la sua circolazione negli USA fin dagli anni ’80.

SSV infetta i suini provocando fenomeni di zoppia successivi alla formazione di vescicole contemporaneamente presenti anche in tutti gli arti. La rottura delle vescicole può portare alla formazione di ulcere con sanguinamento. Solitamente la malattia è di breve durata, non sembra avere gravi impatti sulla produzione e può decorrere anche in forma subclinica o asintomatica; tuttavia, negli allevamenti infetti sono stati registrati notevoli incrementi della morbilità e mortalità dei suinetti in età neonatale.

Il suino rappresenta l’ospite naturale di tale patogeno, ma è stato dimostrato che alcuni roditori e insetti potrebbero avere un ruolo nella diffusione del virus fungendo da serbatoio e/o da vettore dell’infezione. Non vi sono ad oggi evidenze di possibile coinvolgimento dell’uomo.

Si ipotizza che la contaminazione degli alimenti e dell’ambiente siano essenziali nella trasmissione del virus ma non sono chiari i meccanismi che determinano l’ingresso del virus in un’area indenne. Dal 2014 si è assistito a una notevole diffusione sia in Sud America (Colombia e Brasile) che nel continente asiatico (Cina, Thailandia e Vietnam). I casi riportati in UK rappresentano la prima segnalazione in Europa, ma non è chiaro quale sia stata la via di ingresso.

Il sequenziamento del genoma completo ha evidenziato l’appartenenza a due cluster distinti, che però deriverebbero da un ceppo ancestrale comune identificato negli USA nel 2020.

Alla luce di questo riscontro, data la costante attenzione verso malattie come afta, malattia vescicolare, stomatite vescicolare, Lumpy Skin Disease non presenti nel nostro Paese, è necessario includere tale infezione virale nella diagnostica differenziale. Considerando la difficoltà incontrata nell’indagine epidemiologica legata a questi casi e l’assenza di profilassi vaccinali, è inoltre raccomandabile applicare le corrette pratiche di biosicurezza in allevamento e durante tutte le fasi di produzione.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




L’impatto dell’antibiotico-resistenza in Europa e nel mondo

AntibioticoresistenzaLe malattie infettive sono da lungo tempo considerate una priorità di salute pubblica globale a causa del loro forte impatto in termini di salute sulla popolazione. Prima i vaccini e poi gli antibiotici ne hanno modificato la storia, riducendo notevolmente la circolazione dei patogeni e la mortalità per malattie infettive trasmissibili.

Ad oggi, quasi un secolo dopo la scoperta del primo antibiotico, l’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali minacce alla salute pubblica, e, secondo le stime, potrebbe causare la morte di 10 milioni di persone all’anno entro il 2050. Per questo la sua diffusione è un problema urgente che richiede un intervento globale e un piano d’azione coordinato.

Alcuni studi hanno evidenziato che le infezioni da patogeni resistenti agli antibiotici hanno un notevole impatto per la salute pubblica, espresso come decessi attribuibili e anni di vita aggiustati per la disabilità (Disability Adjusted Life Years -DALY). Questi studi sono utili perché una delle principali sfide per contrastare l’antibiotico-resistenza è comprendere il vero impatto del fenomeno, in particolare nelle regioni del mondo dove la sorveglianza è limitata e i dati sono scarsi.

Avere delle stime sul numero di decessi dovuti alle infezioni da patogeni resistenti agli antibiotici e sulle loro cause è importante perché permette di programmare interventi di prevenzione e controllo, di definire le priorità per vaccini e farmaci in fase di sviluppo, e conseguentemente di ridurre i decessi associati o attribuibili a queste infezioni.

Queste stime non sono sempre disponibili per tutti i patogeni, a volte sono incomplete (es. per S. pneumoniae le stime sono per lo più ristrette ai bambini di età inferiore a 5 anni e alle infezioni causa di polmonite o meningite) e non coprono tutti i paesi o tutte le combinazioni patogeno-antibiotico.

Ad oggi gli studi sulle cause di mortalità dovuta a patogeni batterici comuni sono limitati, mentre esistono studi che riportano stime per agenti patogeni come Mycobacterium tubercolosisPlasmodium spp e HIV.

Un recente studio pubblicato nel 2022 ha stimato la mortalità globale associata a 33 specie batteriche considerando 11 sindromi infettive. Questo studio stima che nel 2019 si sono verificati 13,7 milioni di decessi per infezioni a livello globale, dei quali 7,7 milioni associati alle33 specie batteriche sia sensibili che resistenti agli antibiotici. I risultati mostrano che più della metà dei decessi sono stati causati da cinque principali batteri patogeni quali Staphylococcus aureusEscherichia coliStreptococcus pneumoniaeKlebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa. Questi batteri erano associati al 13,6% di tutti i decessi a livello globale e al 56,2% di tutte le morti per sepsi nel 2019. In particolare, lo S. aureus è stato associato a più di 1 milione di morti.

Un altro studio, anch’esso pubblicato recentemente (gennaio 2022), descrive un’approfondita analisi dell’impatto sanitario dell’antibiotico-resistenza per 23 patogeni e 88 combinazioni patogeno-antibiotico in 204 paesi, utilizzando specifici modelli statistici anche per le regioni del mondo per le quali non ci sono dati disponibili. È stato stimato che nel 2019, 4,95 milioni di decessi sono stati associati all’AMR, di cui 1,27 milioni di decessi direttamente attribuibili alla resistenza, cioè all’incirca la mortalità per malaria e HIV messi insieme.

Considerando tutte le età, il tasso più elevato di mortalità attribuibile alla resistenza è stato riportato nell’Africa subsahariana occidentale (27,3 decessi per 100.000 abitanti) e il più basso in Australasia (6,5 decessi per 100.000 abitanti). Le infezioni delle vie respiratorie inferiori hanno causato 1,5 milioni di decessi associati alla resistenza nel 2019, rappresentando una delle sindromi infettive più gravi.

Secondo questo studio, sei principali batteri patogeni (E. coliS. aureusK. pneumoniaeS. pneumoniaeP. aeruginosa e A. baumannii) hanno provocato 929.000 decessi attribuibili alla resistenza agli antibiotici e 3,57 milioni di decessi associati alla resistenzavagli antibiotici. In particolare, la combinazione patogeno-antibiotico, S. aureus con resistenza alla meticillina, ha causato più di 100.000 decessi.

I risultati di questo studio indicano che la resistenza dei batteri agli antibiotici è un problema di salute pubblica la cui dimensione è importante almeno quanto le principali malattie infettive, come HIV e malaria, e potenzialmente maggiore.

A livello europeo anche l’ECDC ha pubblicato un rapporto con le stime del numero annuale di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, del numero di decessi attribuibili, del numero e del tasso di anni di vita aggiustati per disabilità (DALY) e i tassi DALY specifici per gruppo di età.

È stato stimato che tra il 2016 e il 2020, il numero annuo di casi di infezioni da batteri resistenti a determinate classi antibiotiche (dati EARS-Net) nei Paesi dell’UE/SEE variava da 685.433 nel 2016 a 865.767 nel 2019 e 801.517 nel 2020, con un numero annuo di decessi attribuibili che va da 30.730 nel 2016 a 38.710 nel 2019 e 35.813 nel 2020. Se analizzate come DALY, le infezioni hanno portato a un impatto sanitario annuale che va da 909.488 nel 2016 a 1.101.288 nel 2019 e 1.014.799 nel 2020. È stato stimato che il 70,9% dei casi di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici erano infezioni correlate all’assistenza.

Questo dimostra che dal 2016 al 2020 sono state osservate tendenze significativamente in aumento nel numero stimato di infezioni, decessi attribuibili e DALY per 100.000 abitanti a causa dell’antibiotico-resistenza, sebbene i numeri siano leggermente diminuiti dal 2019 al 2020. Il carico maggiore di malattia è stato causato da E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, seguito da S. aureus resistente alla meticillina e K. pneumoniae resistente alle cefalosporine di terza generazione. Il peso totale specifico per gruppo di età era più alto nei neonati e negli anziani (oltre 65 anni).

Aggiustato per la numerosità della popolazione, il carico complessivo di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici è stato stimato essere il più alto in Grecia, Italia e Romania, ognuna con in totale più di 2000 DALY, stimati per 100.000 abitanti, nel periodo 2016-2020.

I cambiamenti nelle stime annuali dell’impatto, riporta l’ECDC, possono essere stati influenzati da cambiamenti nella sorveglianza o da cambiamenti nelle pratiche sanitarie, come nel 2020, quando la pandemia di COVID-19 ha messo sotto pressione tutti i servizi sanitari nei Paesi dell’UE/SEE. Parte della diminuzione nel 2020 può anche essere spiegata dalle misure adottate per controllare la diffusione di COVID-19, compresi i cambiamenti nella prevenzione e nel controllo delle infezioni, e i cambiamenti nella gestione dei pazienti negli ospedali a causa delle diverse pratiche di ricovero durante la pandemia.

Fonte: ISS




2022, l’annus horribilis dei calabroni predatori

vespa velutinaIl 2022 per l’apicoltura italiana è stato l’annus horribilis dei calabroni predatori.

Vespa velutina ha espanso il suo areale in diverse regioni del Nord Italia; il focolaio che già interessava le provincie di La Spezia e Massa Carrara, è sceso lungo le coste della Toscana, raggiungendo le province di LuccaLivornoPisa e Firenze. Nella zona appenninica della Liguria è stata segnalata in Garfagnana e ha raggiunto anche due località dell’Emilia-Romagna, in provincia di Piacenza e di Parma. Inoltre una segnalazione è arrivata dalla provincia di Venezia, con diversi esemplari adulti trovati presso un apiario. Anche nelle zone dove è presente da diversi anni, il Ponente ligure e la provincia di Cuneo in Piemonte, sono aumentate le segnalazioni; nel Ponente ligure i danni agli alveari e le conseguenti perdite sono divenuti insostenibili e nelle provincie di La Spezia e Massa Carrara i nidi trovati e distrutti sono stati quasi un centinaio.

Vespa orientalis, specie autoctona nel Sud Italia, ha continuato la sua espansione nelle regioni del Nord. In Toscana, dove era già presente a Grosseto e Firenze nel 2021, è stata segnalata anche a Livorno; in Liguria è stata trovata a La Spezia. Nel 2021 la specie era stata segnalata in Sardegna, in provincia di Cagliari, dove nel 2022 la sua presenza è ulteriormente aumentata. Moltissime segnalazioni sono inoltre arrivate dalla città di Roma, soprattutto nel contesto urbano, mentre in Campania e Sicilia i danni agli alveari sono stati drammatici, con effetti devastanti sull’attività apistica e perdite elevatissime di alveari.

Qui puoi trovare una mappa aggiornata dei ritrovamenti.

Questo aumento di pericolosità è stato probabilmente originato da fattori climatici favorevoli alla presenza di vespe e calabroni che si sono verificati nel 2022; ma non è da trascurare il cambiamento climatico generale, soprattutto per l’ampliamento di areale di Vespa orientalis, che fa temere per un trend sempre più in aumento.

La ricerca e l’apicoltura italiana intendono unirsi per fronteggiare questa minaccia, che sta sempre più seriamente mettendo a rischio l’apicoltura italiana.

Fonte: stopvetulina.it



Al via bando Riprei per finanziare progetti di ricerca su SARS-CoV-2 e sulle sue varianti

issConoscere meglio Sars-CoV-2, a partire dalla caratterizzazione delle sue varianti e dei meccanismi di diffusione e patogenicità fino all’individuazione di strategie innovative per la diagnosi, la prevenzione e la cura. E’ questo lo spirito del bando per il finanziamento di progetti di ricerca biennali, del valore di 4 milioni di euro (finanziati dal Ministero della Salute attraverso ISS), appena pubblicato nell’ambito del progetto “Rete Italiana per la sorveglianza virologica, il monitoraggio immunologico, la formazione e la ricerca in Preparazione alla gestione delle Emergenze Infettive – R.I.Pr.E.I.”. Al bando possono partecipare ricercatori che operano presso Università, Enti di Ricerca, Enti del Ssn e Sanità militare. Sono previsti finanziamenti sia per progetti pilota, monocentrici, dedicati a idee innovative, che per ricerche più consolidate che riuniscono ricercatori di enti diversi.

Le aree di ricerca per cui si può chiedere il finanziamento sono la caratterizzazione fenotipica delle varianti di SARS-CoV-2, la messa a punto di modelli di infezione in vitro e in vivo, lo studio dell’interazione virus-ospite e meccanismi di patogenicità e nuovi approcci e strumenti diagnostici, preventivi e terapeutici.  “Questo bando di ricerca è associato al finanziamento che supporta la rete di sequenziamento genomico di SARS-CoV-2, già attiva in Italia da aprile 2021, e l’analisi della risposta immunologica alla vaccinazione con metodiche uniformi sul territorio nazionale – sottolinea Silvio Brusaferro, Presidente ISS – un elemento in più a sottolineare che ricerca e salute pubblica devono sempre viaggiare insieme”.

“L’obiettivo è di creare, in sinergia con altre iniziative come il progetto Inf-Act, Finanziato dal PNRR, una rete di ricerca su Sars-CoV-2 e, in prospettiva, sulle emergenze infettive – commenta Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss – , sul modello di quella nata all’epoca per lo studio del virus Hiv che ha sostenuto e fatto crescere tanti ottimi ricercatori in Italia”.

Le domande potranno essere presentate entro 45 giorni dalla pubblicazione del bando attraverso la piattaforma dedicata che sarà attiva nei prossimi giorni.

Fonte: ISS




Un nuovo test per individuare anche nei dromedari la malattia epizootica emorragica

La Malattia Emorragica Epizootica del Cervo (EHD), causata da un virus trasmesso dalla puntura di insetti del genere Culicoides, fu individuata per la prima volta nel 1955 durante un’epidemia che colpì gravemente una specie di cervi caratteristica del Nord America. In questi animali, dai quali ha preso il nome originario, la patologia può assumere caratteristiche molto gravi, fino a portare alla morte in una grande percentuale di casi. Ma gli anni successivi mostrarono come possano esserne colpite anche altre specie di ruminanti, sia selvatiche che domestiche come ovini e bovini. Mentre i primi, pur essendo portatori, non sviluppano segni clinici importanti, i bovini possono ammalarsi, con ripercussioni sulla produzione di latte e in generale sull’intero sistema di allevamento

Attualmente è endemica in Nord America e ha causato diverse epidemie nei ruminanti in Africa, Australia, Medio Oriente e Asia. Nel 2006 sono stati riscontrati focolai in Nord Africa (Tunisia, Algeria e Marocco).

L’elevata presenza della malattia nel bacino del Mediterraneo rende particolarmente urgenti e importanti le strategie di rilevamento del virus responsabile (EDHV). Un contributo in questo senso viene da una ricerca realizzata dal  Reparto Produzione Vaccini Virali e Presidi Diagnostici dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo (IZSAM)

Il lavoro scientifico, pubblicato sulla rivista Journal of Tropical Medicine, è stato anche premiato dalla Società Italiana di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria nel corso del suo ventesimo Congresso Nazionale.

I ricercatori hanno prima di tutto riprodotto in laboratorio, con tecniche ricombinanti, una proteina virale specifica del virus della Malattia Emorragica Epizootica, denominata VP7. Tale proteina ricombinate ha rappresentato la base per la realizzazione di un test ELISA (che individua la reazione antigene-anticorpo). “I dromedari – dice Simonetta Ulisse, del reparto Produzione Vaccini Virali e Presidi Diagnostici – non sembrano sviluppare segni clinici di malattia, ma possono infettarsi, e per questo motivo potrebbero giocare un ruolo nella diffusione della EHD. Si è formulata l’ipotesi che i dromedari possano rappresentare delle sentinelle ed essere quindi utili per il monitoraggio della presenza della malattia in un certo territorio”.

Con questi animali si punta l’attenzione sull’Africa, area che può rappresentare una vera e propria porta di ingresso verso l’Europa “Il nostro test – spiega Anna Serroni, del reparto Produzione Vaccini Virali e Presidi Diagnostici – si è dimostrato molto valido non solo nel rilevare la presenza di anticorpi specifici contro il virus dell’EHD nel siero di dromedari, ma anche nel discriminare questo virus rispetto ad altri molto simili, come quello della Bluetongue o quello della peste equina. Questo potrebbe permettere la rapida identificazione della malattia, in modo da aiutare gli interventi di sorveglianza e prevenzione anche in aree attualmente non interessate”.

Fonte: IZS Teramo