Cambiamento climatico e One Health, un solo Pianeta, un solo Oceano

Sebbene i mari e gli oceani coprano il 70% della superficie del nostro Pianeta, gli ecosistemi terrestri e gli organismi vertebrati ed invertebrati che li popolano hanno da tempo immemorabile goduto e continuano tuttora a godere di ben maggiore attenzione sul piano mediatico, narrativo e scientifico, in un contesto di riferimento sempre più “antropomorfico ed antropocentrico”.

Ben 8 miliardi di persone vivono attualmente sul nostro Pianeta e la popolazione terrestre potrebbe arrivare a sfiorare l’iperbolica cifra di 11 miliardi alla fine di questo secolo!

Un siffatto scenario si tradurrà, con ogni probabilità, in una potente “vis a tergo” rispetto alla comparsa di nuove pandemie, prime fra tutte quelle da virus influenzali ad elevata patogenicita’, nonché da agenti veicolati da artropodi e da batteri antibiotico-resistenti, successivamente alla presente pandemia da SARS-CoV-2 – il betacoronavirus responsabile della CoViD-19, verosimilmente emerso nel 2019 da un serbatoio animale primario (pipistrelli del genere Rinolophus) -, che avrebbe sin qui provocato la morte di quasi 7 milioni di individui.

La prima, fondamentale lezione che ci è stata insegnata dalla pandemia da SARS-CoV-2 e’ che tutti gli esseri viventi che popolano il nostro Pianeta sono reciprocamente interconnessi, così come la salute degli organismi terrestri risulta intimamente collegata a quella degli organismi marini e viceversa. Due illuminanti esempi potrebbero essere costituiti, a tal proposito, dalla crescente contaminazione chimica e da macro-meso-micro-nanoplastiche dei nostri mari, entrambe di chiara matrice antropogenica. Quella da materie plastiche, in particolare, sarebbe stata fortemente alimentata dalle innumerevoli mascherine e dagli altrettanto innumerevoli guanti che ci hanno validamente difeso e continuano tuttora a proteggerci dal coronavirus SARS-CoV-2, oltre che da una folta gamma di ulteriori agenti, virali e non, in grado di colonizzare le nostre vie respiratorie.

Quanto sopra esposto giustificherebbe ampiamente la definizione di “Antropocene” che e’ stata giustappunto coniata per la nostra era, vista e considerata l’abnorme quanto inedita “impronta ecologica” impressa dal genere umano su Madre Terra! Il cambiamento climatico, eloquentemente documentato dal riscaldamento globale (gli 8 anni appena trascorsi sono stati i più caldi degli ultimi 140 anni!), si sta traducendo in un progressivo scioglimento delle calotte glaciali artiche ed antartiche, con conseguente aumento del livello degli oceani e dei mari e con la contestuale migrazione verso latitudini via via più settentrionali di molte specie e popolazioni di mammiferi acquatici, secondariamente allo spostamento verso nord delle relative prede e fonti alimentari ittiche. E, di pari passo con la traslocazione di prede e predatori, si spostano pure gli agenti infettivi veicolati dagli stessi!

Al riguardo, numerosi agenti patogeni capaci d’infettare sia i Pinnipedi che i Cetacei – quali ad esempio Toxoplasma gondii, Listeria monocytogenes e Salmonella spp. – risultano caratterizzati da un “ciclo vitale” terrestre, vale a dire che a seguito di fenomeni meteo-climatici estremi quali alluvioni, frane, inondazioni essi possono trasferirsi agli ecosistemi marini ed essere in tal modo acquisiti dai mammiferi acquatici ed, in primis, da quelli che vivono in prossimità delle coste, quali ad esempio i tursiopi (Tursiops truncatus).

Ecco come la salute, le infezioni e le condizioni patologiche proprie degli organismi terrestri, ivi compreso Homo sapiens sapiens, risultano intimamente connesse a quelle delle creature popolanti gli ecosistemi marini!

Tutto ciò viene magistralmente riassunto, infine, dalla celeberrima frase riportata nella missiva scritta il 5 Giugno 2020 da Papa Francesco a Ivan Duque Marquez, il Presidente della Colombia, in occasione della Giornata Mondiale per l’Ambiente:

“Non possiamo pretendere di vivere sani in un mondo malato”.

Intelligenti Pauca!

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Salvaguardia dell’ambiente, della salute dell’uomo e degli animali: il resoconto Unep del 2022

Un anno di risultati. Grandi o piccoli sarà il futuro a decretarlo. Ma per il pianeta è importante provarci. Il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) ha fatto il resoconto delle pietre miliari ambientali del 2022.  

La risoluzione per porre fine all’inquinamento da plastica

Lo scorso 2 marzo, il ministro dell’Ambiente norvegese, Espen Barth Eide, ha suggellato una risoluzione globale con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento da plastica, a lungo considerato uno dei problemi ambientali più urgenti del pianeta. L’accordo è stato uno dei tanti importanti passi in avanti nella tutela dell’ambiente che sono stati fatti nel corso del 2022, definito anno storico per il pianeta.  

Plastica: un pericolo per l’ambiente

Ogni anno vengono generati quasi 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, una cifra destinata a raddoppiare entro il 2040. Solo una frazione di questi viene riciclata, il resto finisce nell’ambiente e soprattutto negli oceani, causando danni a esseri umani e alla fauna selvatica. La risoluzione adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente a Nairobi, in Kenya, impegna le nazioni a mettere in atto una bozza di accordo entro la fine del 2024. 

50 anni di Unep

Sempre a marzo scorso, i delegati di tutto il mondo si sono riuniti in Kenya per una sessione speciale dell’Unep per commemorare il suo 50esimo anniversario. L’evento ha visto i partecipanti fare il punto su tutto ciò che è stato raggiunto negli ultimi cinquant’anni, inclusi gli sforzi per riparare lo strato di ozono, eliminare gradualmente il carburante con piombo e proteggere le specie in via di estinzione.  

La nascita del movimento ambientalista

A giugno 2022, nella capitale della Svezia, si è tenuto l’incontro internazionale di Stoccolma per commemorare il 50esimo anniversario della Conference on the Human Environment del 1972, considerata la nascita del moderno movimento ambientalista. È stata anche l’occasione per discutere degli obiettivi di sviluppo sostenibile e per affrontare la tripla crisi planetaria del cambiamento climatico, della natura e della perdita di biodiversità, dell’inquinamento e dei rifiuti. 

Il diritto a un ambiente sano e pulito

A luglio 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che tutti gli abitanti del pianeta hanno diritto a un ambiente sano e pulito e ha invitato gli Stati a intensificare gli sforzi per proteggere la natura. La delibera non è giuridicamente vincolante. Ma i sostenitori sperano che spingerà i Paesi a sancire il diritto a un ambiente sano nelle loro costituzioni, consentendo agli attivisti di sfidare politiche e progetti distruttivi per l’ambiente. 

Attività di sensibilizzazione

Quest’anno, le campagne dell’Unep hanno sensibilizzato su una moltitudine di questioni ambientali. La Giornata mondiale dell’ambiente, la  Giornata internazionale dell’aria pulita per i cieli blu e la Giornata internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari hanno coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, contribuendo a mettere l’ambiente al centro dell’attenzione pubblica. Nel frattempo, due importanti studi dell’Unep, l’Emissions Gap Report e l’Adaptation Gap Report, hanno puntato i riflettori sulla portata della crisi climatica e su ciò che l’umanità deve fare per evitare il peggio del cambiamento climatico. 

Cop27

Lo scorso novembre, alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27 ) in Egitto, gli Stati membri hanno concordato di istituire un fondo che sosterrà i Paesi in via di sviluppo alle prese con le conseguenze della crisi climatica. In un accordo definito dagli osservatori storico, il cosiddetto fondo loss and damage mira ad aiutare le nazioni vulnerabili a far fronte a siccità, inondazioni e mare in aumento, che dovrebbero diventare più gravi man mano che il clima del pianeta cambia. 

Cop15

Nell’ultimo mese di quest’anno, si è conclusa la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop15), a Montreal in Canada, con un accordo storico per guidare l’azione globale sull’ambiente fino al 2030. Il quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal include misure concrete per arrestare e invertire la perdita della natura, tra le quali mettere sotto protezione il 30% del pianeta e il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. L’accordo è stato pensato per contrastare quella che gli esperti definiscono un’allarmante perdita di biodiversità. Secondo un rapporto Ipbes del 2019, infatti, ci sarebbe un milione di specie che va verso l’estinzione, molte minacciate dall’attività umana. 

Fonte: aboutpharma.com




Covid-19, ancora una volta la Cina insidia il mondo

coronavirusAlle misure draconiane finalizzate al contenimento della diffusione di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19 – ha fatto seguito l’adozione, da parte della Cina, di una politica diametralmente opposta.

Ciò si è tradotto in una drammatica escalation dei casi d’infezione, molti dei quali gravi e ad esito fatale soprattutto negli anziani, complice il ridotto tasso di immunizzazione della popolazione ottenuto mediante l’utilizzo di vaccini non particolarmente efficaci.

In questi tre anni di pandemia abbiamo acquisito molte conoscenze sul virus e sui suoi rapporti con noi umani e con gli animali. Sappiamo, infatti, che più il virus replica nelle nostre cellule, più è facile attendersi la comparsa di varianti altamente diffusive quali la omicron o patogene quali la delta. Almeno 30 sarebbero, altresì, le specie domestiche e selvatiche suscettibili all’infezione, alcune delle quali – visone e cervo a coda bianca – sarebbero parimenti capaci di “restituire” il virus all’uomo in forma mutata. Come accade per almeno il 70% degli  agenti responsabili delle malattie infettive emergenti, anche SARS-CoV-2 trarrebbe la propria origine dal mondo animale.

Se ne deduce pertanto che la corretta gestione di questa delicata fase della pandemia, ancora una volta di matrice cinese, richiederebbe un approccio olistico e multidisciplinare, ispirato al principio della One Health, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria 
presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo 




Malattie infettive emergenti. Nasce la Fondazione INF-ACT, progetto integrato per affrontare le emergenze infettive sostenuto dai fondi del PNRR

25 membri tra atenei, enti pubblici e privati, fra cui l’Associazione Istituti Zooprofilattici Sperimentali (AIZS). Università di Pavia capofila, in collaborazione con ISS e CNR.

L’Università di Pavia capofila di un progetto ambizioso e di ampio raggio, ma anche di reale impatto scientifico e con ricadute operative e organizzative, sul tema “malattie infettive emergenti”, che parte dall’individuazione di quelle che sono le principali minacce attuali e quelle che potrebbero emergere nel futuro.

Il progetto, sviluppato da una squadra proponente caratterizzata fin dall’inizio da una forte sinergia tra l’ateneo pavese, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), è stato selezionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e finanziato con 114,5 milioni di euro, nell’ambito della Missione 4, “Istruzione e Ricerca” – Componente 2, “Dalla ricerca all’impresa” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – Linea di investimento 1.3, “Partenariati Estesi”, finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU.

Grazie a questo importante finanziamento nasce la Fondazione INF-ACT, di cui fanno parte 25 tra atenei nazionali, enti pubblici e privati. Un consorzio che prevede forti competenze trasversali in grado di affrontare il problema delle possibili epidemie adottando un approccio “One Health” , ossia integrando aspetti di salute umana, salute animale e ambientale, dagli eventi epidemici ai fenomeni di spillover ai mutamenti climatici alla base delle modifiche della fauna selvatica e le interazioni con l’uomo.

La rete dei 10 Istituti Zooprofilattici Sperimentali, rappresentata dall’Associazione AIZS, ha dunque un ruolo di rilievo nel prestigioso network che svilupperà il progetto INF-ACT, garantendo proprio quell’approccio alla Salute Unica che viene declinato nei diversi filoni lungo i quali si svilupperanno le attività di ricerca.

La DG dell’IZSVe, Antonia Ricci, è stata candidata a rappresentare AIZS nell’ambito degli organi di governo della Fondazione INF-ACT.


Tematiche di ricerca

Sono state individuate cinque tematiche principali che saranno al centro della sinergia operativa messa in campo dalla Fondazione:

  • studio dei virus emergenti e riemergenti;
  • studio di insetti e altri vettori che veicolano agenti patogeni e delle malattie ad essi correlate;
  • studio degli agenti patogeni resistenti agli antimicrobici e dei meccanismi di generazione e scambio di marcatori di farmacoresistenza;
  • studio di nuovi sistemi di sorveglianza integrata epidemiologica e microbiologica (umana-animale-ambientale); identificazione di modelli per l’individuazione precoce di infezioni emergenti; messa a punto di meccanismi di alert e modelli matematici predittivi;
  • identificazione di nuovi bersagli per molecole ad attività antinfettiva; progettazione, sintesi e validazione di molecole con potenziale terapeutico con approcci in silico, in vitro, ex vivo e in modelli animali.

 

Fonte: IZS Venezie




Antibiotici veterinari, vendite in calo del 41% in Italia dal 2016

Meno antibiotici veterinari nel 2021, in calo del 41,1% rispetto al 2016. “Una riduzione ancor più significativa se si considera il calo del 58,8% rispetto ai dati del 2010” e che riguarda “tutte le classi di antimicrobici”. A dirlo sono i dati pubblicati dal ministero della Salute nella quarta “Relazione sulle vendite di medicinali veterinari contenenti antibiotici in Italia”, che permette di monitorare gli obiettivi previsti dal Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza 2017-2020 e segue la pubblicazione del dodicesimo rapporto annuale sulla sorveglianza europea delle vendite di medicinali veterinari contenenti agenti antimicrobici (The Twelfth ESVAC report ), predisposto dall’Ema.

Sorveglianza sul consumo di antibiotici

In accordo con l’approccio One health è stato dato forte impulso alla sorveglianza del consumo degli antibiotici, poiché un loro uso non appropriato o eccessivo può “accelerare la comparsa e la diffusione di microrganismi resistenti, compromettendone l’efficacia”. Nel 2021 sono state vendute 669 tonnellate di principio attivo, con un calo del 45,3% rispetto al 2016 e del 4% rispetto al 2020. La riduzione delle vendite totali è stata del 41,1% rispetto al 2016 e del 4,6% rispetto al 2020.

Le classi più monitorate

L’attenzione è alta soprattutto per quelle classi di antibiotici considerate di importanza critica e incluse nella categoria B, che sono da limitare per il possibile sviluppo di resistenza dovuto al loro utilizzo negli animali. La contrazione delle vendite è maggiore per la classe delle polimixine (95,7%) rispetto al 2016, in linea con la raccomandazione dell’Ema sulla limitazione nell’uso di colistina di almeno il 65% nell’arco di 3-4 anni. Altri cali significativi nel 2021 riguardano gli altri chinoloni (meno 71,5%), le cefalosporine di terza e quarta generazione (meno 66%) e i fuorochinoloni (meno 49,5%). Nel 2021 le principali classi vendute rimangono le penicilline (33,4%), le tetracicline (23,2%) e i sulfamidici (13,8%) che, insieme, rappresentano oltre il 70% del totale.

Fonte: AboutPharma




La tragedia di Ischia e le sue potenziali ricadute sulla salute umana e animale

Giovanni Di GuardoL’immane tragedia che ha colpito al cuore Ischia e la sua meravigliosa gente, a soli 5 e 13 anni di distanza, rispettivamente, dal sisma e da un analogo evento alluvionale che hanno interessato l’isola, ci richiama per l’ennesima volta alla fragilità del nostro territorio ed alle azioni, non più rinviabili, che la politica nazionale e locale deve attuare al fine di porre rimedio al grave dissesto idro-geologico che ne affligge numerose quanto vaste aree, complice il progressivo surriscaldamento globale ed i fenomeni meteo-climatici ad esso connessi.

Fra le potenziali conseguenze delle alluvioni, che come avvenuto ad Ischia possono causare la movimentazione di enormi masse di acqua, fango e detriti, rientra anche il trasferimento di una folta gamma di microorganismi patogeni dagli ecosistemi terrestri a quelli marini. Ciò riguarda, in special modo, virus, batteri, funghi e parassiti responsabili d’infezioni umane ed animali a trasmissione oro-fecale, quali ad esempio – solo per citarne alcuni – Salmonella, Escherichia coli, Vibrio cholarae, Toxoplasma gondii, virus dell’epatite A e, last but not least, anche SARS-CoV-2, il betacoronavirus causa della CoViD-19. Per quanto attiene a quest’ultimo, in particolare, gia’ un paio di anni fa uno studio di colleghi cinesi pubblicato sul BMJ aveva documentato l’eliminazione di SARS-CoV-2 attraverso le deiezioni in circa il 60% dei pazienti SARS-CoV-2-infetti, per un arco temporale pari in media a ben 22 giorni!

I germi a trasmissione oro-fecale, una volta veicolati in mare dalle succitate masse di acqua, fango e detriti, possono essere ingeriti, a loro volta, da molluschi eduli bivalvi lamellibranchi quali i mitili (ciascun esemplare dei quali e’ in grado di filtrare dai 5 ai 7 litri di acqua ogni ora!), che “concentrandoli” all’interno del proprio organismo si comporterebbero come vere e proprie “bombe biologiche” qualora venissero consumati senza sottostare ai preventivi protocolli di depurazione previsti “ope legis“. Vale la pena ricordare, a tal proposito, la drammatica epidemia insorta nell’estate del 1973 fra la popolazione di Napoli e di Bari in seguito al consumo di mitili crudi contaminati dal vibrione del colera.

Un’altra rilevante conseguenza legata al potenziale trasferimento di microorganismi patogeni dalla terraferma al mare in seguito alla comparsa di eventi alluvionali riguarda i Cetacei, il cui stato di salute e di conservazione risulta sempre più minacciato per mano dell’uomo. Non a caso, infatti, le indagini che stiamo svolgendo anche nel nostro Paese documentano un progressivo incremento nella frequenza delle infezioni sostenute da agenti a trasmissione oro-fecale (vedi Toxoplasma gondii) soprattutto fra le specie costiere, quali ad esempio il tursiope. Altri nostri recenti studi hanno parimenti dimostrato l’esistenza di una spiccata omologia di sequenza fra il recettore ACE-2 dell’uomo, utilizzato dal virus SARS-CoV-2 per entrare nelle nostre cellule, e quello di varie specie di Cetacei diffusamente popolanti il “Mare Nostrum”, quali giustappunto il tursiope e la stenella striata. E, sebbene l’infezione da SARS-CoV-2 non sia stata finora descritta in natura nei Cetacei – a dispetto del fatto che ben 30 diverse specie animali risulterebbero spontaneamente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti della stessa -, l’elevato grado di omologia del loro recettore ACE-2 rispetto a quello umano conferirebbe plausibilita’ biologica all’ipotesi che anche delfini e balene possano svilupparla, con tutte le potenziali ricadute negative che ciò potrebbe arrecare al loro sempre più precario stato di salute e di conservazione.

Concludo questa mia riflessione sottolineando che, per quanto i drammatici fatti coi quali ci si sta attualmente confrontando ad Ischia non consentano al momento di definire le fattispecie sin qui esposte come una “cogente priorità” – cosa peraltro facilmente comprensibile -, la gestione “a medio e a lungo termine” di tale emergenza e, più in generale, di tutte quelle il cui “minimo comune denominatore” si identifica nel grave dissesto idro-geologico che caratterizza intere aree del nostro Paese, necessita senza alcun dubbio ed improcrastinabilmente di un approccio “olistico, multidisciplinare ed evidence-based”, profondamente permeato dal salutare quanto salvifico principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Echinococcosi cistica: grazie all’Iss il primo studio quantitativo della malattia in Europa

A disegnare la prima mappa epidemiologica della malattia in Europa è stato uno studio generato nell’ambito del progetto europeo MEME (https://onehealthejp.eu/jrp-meme/) coordinato dall’Iss ed appena pubblicato dalla rivista The Lancet Infectious Diseases. Questa ricerca quantitativa ambisce a diminuire il limite di incertezza sull’impatto dell’echinococcosi cistica umana in Europa.

I dati sull’incidenza e sui trend sull’echinococcosi cistica sono stati estratti ed analizzati attraverso una revisione sistematica della letteratura scientifica pubblicata tra il 1997 e il 2021. L’incidenza media annuale è risultata di 0,64 casi per 100mila abitanti nel continente europeo, mentre nei soli paesi Ue è stata di 0,50 casi per 100mila. L’infezione è stata valutata ad alta endemica (da uno a cinque casi ogni 100mila, secondo la definizione Oms) in otto paesi fra cui l’Italia, dove l’incidenza è risultata di 1,21 per 100mila (circa 15mila casi umani riportati nel periodo considerato, con una diminuzione statisticamente significativa nel tempo dei casi), mentre la Bulgaria ha registrato i numeri più alti (5,32 per 100mila). Calano nei paesi del Mediterraneo i casi di echinococcosi cistica, una infezione zoonotica rara, mentre il trend è segnalato in aumento in alcuni paesi sia nella parte orientale del continente (penisola balcanica) dove la malattia è storicamente endemica, sia nel nord, dove invece la patologia non è endemica ed i casi sono importati e dovuti principalmente alle migrazioni e ai viaggi in paesi endemici. Per quanto riguarda i trend l’echinococcosi cistica, rimane endemica in molte nazioni d’Europa, ma in generale con un calo dell’incidenza. Questo studio ha identificato in Europa un totale di circa 64mila casi umani, evidenziando quanto questa malattia infettiva parassitaria sia negletta dai sistemi sanitari nazionali anche in Europa.

Che cos’è l’echinococcosi cistica

L’echinococcosi cistica umana è un’infezione parassitaria cosmopolita causata dallo stadio larvale di un cestode appartenente al complesso di specie Echinococcus granulosus s.l. L’echinococcosi appartiene all’attuale gruppo di 20 malattie tropicali trascurate (Neglected Tropical Diseases, NTDs) prioritizzate dall’OMS a causa del loro impatto sulla salute globale. Il verme adulto è una piccola tenia lunga pochi mm che parassita l’intestino tenue dei cani (ospiti definitivi) mentre lo stadio larvale, rappresentato da una o più cisti parassitarie, infetta gli organi interni (principalmente il fegato e i polmoni) degli animali da allevamento come gli ovini (ospiti intermedi). La malattia si trasmette all’uomo dagli ospiti definitivi tramite la contaminazione ambientale delle uova escrete dal verme adulto: può quindi avvenire per contatto mano-bocca con cani infetti o con superfici contaminate o per ingestione di alimenti o acque contaminate.

Nelle specie animali sensibili la malattia ha un decorso cronico ed asintomatico e la diagnosi è anatomopatologica in sede di ispezione post mortem al macello, con il ritrovamento delle cisti in uno o più organi.

Nell’uomo la malattia evolve generalmente in forma cronica senza sintomi specifici e nell’1-3% dei casi l’esito è fatale. Può quindi accadere che la malattia non sia diagnosticata per tutta od una parte della vita o, occasionalmente, a seguito di indagini strumentali (radiografie, ecografie, TAC) o per disfunzioni di organi interessati dalla presenza delle cisti che possono raggiungere anche i 20 cm di diametro.

Fonte: ISS




Di Guardo fra i migliori scienziati italiani segnalati dalla Stanford University

Giovanni Di GuardoLa Rivista scientifica internazionale “Pathogens” ha appena reso noto che 70 dei 450 Membri del proprio Comitato Editoriale sono stati inclusi nella classifica degli “World’s Top 2% Scientists”.

La classifica in oggetto, che di anno in anno viene elaborata – a far tempo dal 1960 – dalla prestigiosa Università statunitense di Stanford, si compone di due distinte sezioni, la prima dedicata al “prestigio ed al merito scientifico permanenti”, la seconda al “prestigio ed al merito scientifico nel solo anno di riferimento”.

Per quanto specificamente attiene a quest’ultima, sono ben 11 le Scienziate e gli Scienziati italiani che fanno parte dell’elenco anzidetto, fra cui il Prof. Giovanni Di Guardo – già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo.

Si tratta di un quantomai prestigioso riconoscimento che ancora una volta onora la Comunità Scientifica del nostro Paese, la quale come risulta ben noto si colloca all’ottavo posto nel mondo per la qualità della propria produzione scientifica.

E tanto più encomiabile, meritorio e rimarchevole appare tutto ciò allorquando si pensi che il nostro Paese continua insensatamente e pervicacemente ad investire una quota del PIL ben al di sotto di quella spesa dalla media dei Paesi dell’Unione Europea nel finanziamento pubblico della ricerca.




Covid. Un clamoroso errore la chiusura del Cts

Se è vero come è vero che almeno i due terzi delle cosiddette “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da uno o più serbatoi animali, al pari di quanto sarebbe con ogni probabilità accaduto anche per SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19, appare più che lecito domandarsi come mai sia stata adottata da “chi di dovere” l’infelice decisione di chiudere il “Comitato Tecnico-Scientifico“, popolarmente noto con l’acronimo CTS.

Nei suoi fugaci due soli anni di vita, il CTS ha infatti fornito al nostro Governo una serie di importanti raccomandazioni finalizzate alla complessa gestione della drammatica pandemia da SARS-CoV-2.

Nel frattempo, mentre il nostro mondo continuava pervicacemente a rimanere “Covid-centrico” e, nondimeno, “antropocentrico”, nuove ed ulteriori minacce sostenute da agenti infettivi a documentata capacità zoonosica si sono progressivamente affacciate all’orizzonte. Particolarmente degni di nota risultano, a tal proposito, il “cluster” di casi umani di encefalite/encefalomielite da “West Nile virus” (WNV) registratosi nei mesi scorsi in nord Italia con oltre 20 decessi, unitamente all’epidemia da “Monkeypox virus” segnalata in più di 100 Paesi, con oltre 60.000 casi osservati nell’uomo.

Di pari passo con l’allarmante incremento delle temperature medie segnalato in special modo nel corso degli ultimi 8 anni su scala planetaria, si sta osservando un contestuale aumento della frequenza delle infezioni umane ed animali veicolate da artropodi, come chiaramente testimoniato dal recente cluster di casi umani di encefalite/encefalomielite da WNV osservato in diverse Regioni settentrionali del nostro Paese.

In un siffatto contesto, ne consegue che non soltanto si sarebbe dovuta assicurare la necessaria continuità ed operatività al CTS, ma si sarebbe dovuta prevedere, al contrario, la cooptazione di almeno un Medico Veterinario al suo interno, cosa di fatto mai avvenuta.

Errare Humanum est, Perseverare autem Diabolicum!

Per buona pace, giustappunto, della “One Health”, la salute unica di uomo, animali e ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Sorveglianza delle zanzare in Italia

L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato, nell’ambito dei Rapporti ISTISAN, il rapporto “Sorveglianza delle zanzare in Italia” a cura di Marco Di Luca del Dipartimento Malattie Infettive del ISS.

Negli ultimi anni l’Italia è stata colpita da epidemie riconducibili alle Malattie Trasmesse da Vettori (MTV), quali febbre del West Nile, chikungunya e dengue. Le MTV, fortemente influenzate da clima e ambiente, possono presentare cicli di trasmissione complessi. Per migliorare la preparedness e le capacità di risposta, è necessario adottare un  approccio di intervento integrato (One Health), di cui la sorveglianza entomologica è parte essenziale. La raccolta del dato entomologico permette di valutare il rischio di diffusione di una MTV, ma risulta altrettanto cruciale per indirizzare  interventi di controllo e valutarne l’efficacia. Per questo motivo è nata l’idea di condividere conoscenze ed esperienze  relative alla sorveglianza entomologica, in particolare delle zanzare. Viene presentato lo stato dell’arte, sia di quei  sistemi di sorveglianza attualmente operativi sul territorio, sia di quelle esperienze, limitate nel tempo, frutto di specifici  progetti-pilota

Si legge nell’abstract.

Nella parte iniziale, viene descritto l’impianto dell’attuale PNA 2020-2025, ripercorrendo le  fasi della sua elaborazione, a cui hanno preso parte esperti e istituzioni diverse, per la prima volta
riuniti intorno ad un tavolo.

Il rapporto si articola poi in quattro sezioni, che rappresentano un compendio di esperienze sulla sorveglianza entomologica, realizzate sia nell’ambito di sistemi regionali più ampi, che di
iniziative progettuali specifiche e che riguardano:
– sorveglianza e risposta ai virus West Nile e Usutu;
– sorveglianza e risposta agli arbovirus trasmessi da Aedes;
– sorveglianza e risposta all’introduzione e diffusion.

Infine viene presentata una nuova frontiera della sorveglianza in ambito entomologico, che prevede la possibilità di implementare e gestire sistemi di riconoscimento degli artropodi, e in
particolare di quelli di interesse medico-veterinario, attraverso approcci di imaging, machine  learning e intelligenza artificiale.

Il documento non vuole essere una mera rassegna di attività entomologiche, svolte in maniera più o meno sistematica nelle varie Regioni, ma offrire modelli concreti, anche se non esaustivi, di buone pratiche per quelle autorità sanitarie incaricate di realizzare o rafforzare sul proprio territorio un idoneo sistema di sorveglianza e controllo delle MTV.

Leggi il documento sul sito ISS