Vaiolo delle scimmie, non proprio tutto ci viene raccontato dai media!

La recente segnalazione, in Svezia, del primo caso d’infezione registrato al di fuori del Continente Africano e sostenuto dal clade Ib del virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox virus, MPXV) ha destato notevole clamore mediatico, che e’ risultato ulteriormente accresciuto a seguito dell’accertamento di un secondo caso di malattia (anch’esso d’importazione) in Thailandia.

In effetti il succitato ceppo virale, imparentato con il clade I (Ia) di MPXV, dal quale potrebbe essersi evoluto centinaia di anni fa (Kupferschmidt, 2024), sarebbe emerso nella Repubblica Democratica del Congo – ove sarebbero stati gia’ segnalati almeno 18.000 casi con oltre 600 decessi, soprattutto fra i bambini (Reardon, 2024) -, per poi diffondersi rapidamente ai Paesi limitrofi, rappresentati da Kenya, Uganda, Ruanda e Burundi. Si tratta, nello specifico, di un ceppo virale ben più patogeno e virulento rispetto al clade II di MPXV, precedentemente emerso in Africa occidentale e responsabile di un’epidemia già dichiarata nel Luglio 2022 dall’OMS “emergenza internazionale di sanita’ pubblica”, epidemia che “illo tempore” aveva coinvolto quasi 100.000 individui in 116 Paesi, con circa 200 casi di malattia ad esito fatale.

A differenza di quest’ultimo, il clade Ia di MPXV colpirebbe in misura rilevante la popolazione in età pediatrica, al cui interno si registrerebbe un indice di letalita’ pari al 10% (a fronte di una mortalita’ pari a non più dell’1% nelle infezioni sostenute dal clade II, comunque più diffusivo e contagioso rispetto al clade Ib), caratterizzandosi altresì per una modalità di trasmissione sia omo- ed etero-sessuale sia per contatto diretto con la cute e/o le mucose di individui infetti (Reardon, 2024).

Se è vero come è vero che tutte queste informazioni – sulla cui fondamentale rilevanza non vi è alcunché da eccepire – sono divenute di dominio pubblico grazie alle incessanti campagne di comunicazione poste in essere dai mass media nazionali ed internazionali, non altrettanto si può affermare a proposito della straordinaria resistenza ambientale di MPXV, che in ciò risulterebbe accomunato a tutti gli altri membri della Famiglia Poxviridae, di cui lo stesso fa parte.

Infatti, come ho già avuto modo di richiamare in una mia lettera all’Editore recentemente pubblicata sulla prestigiosa Rivista internazionale “Veterinary Record” (Di Guardo, 2024), l’elevata resistenza di tali DNA-virus nei confronti dell’inattivazione chimico-fisica li renderebbe pienamente capaci di persistere al di fuori dei propri ospiti e per lunghi periodi di tempo nell’ambiente esterno.

Ciò potrebbe giustificare il trasferimento, anche a notevole distanza rispetto al sito in cui ne sarebbe avvenuta l’eliminazione ad opera di uno o più individui infetti, di MPXV – cosi’ come di altri Poxvirus ed, in generale, di tutti gli agenti biologici, virali e non, dotati di un’elevata resistenza ambientale -, complici gli aerosol originatisi dalla terraferma (al pari di quelli provenienti dagli ambienti marini, c.d. “sea spray aerosols“) a seguito di eventi/fenomeni meteo-climatici estremi quali trombe d’aria, uragani e tempeste, di sempre piu’ frequente riscontro negli oggettivi contesti di “crisi climatica” e di “riscaldamento globale” che contraddistinguono la presente era dell’Antropocene (Di Guardo, 2024).

A tal proposito, andrebbe adeguatamente sottolineato che gli ultimi nove anni (2015-2023) sono stati quelli più caldi vissuti da nostra Madre Terra nel corso degli ultimi duemila anni, uno scenario drammatico rispetto al quale il 2023 si è caratterizzato come l’anno decisamente più caldo (Esper et al., 2024).

E, mentre il 2024 avrebbe a sua volta tutte le carte in regola per infrangere un siffatto record (Witze, 2024), assai poco invidiabile per la verità, sovviene in mente il “grido di dolore” di Papa Francesco, che già in una Sua eloquente missiva del 2020, indirizzata al Presidente della Colombia in occasione della “Giornata Mondiale dell’Ambiente” ed in piena pandemia da CoViD-19, scriveva testualmente: “Come possiamo immaginare di vivere sani in un mondo malato?“.

Sarebbe “cosa buona e giusta” che anche alle succitate (e mediaticamente ignorate) caratteristiche eco-epidemiologiche del virus MPXV e dell’infezione dallo stesso sostenuta nell’uomo, così come negli animali – tenendone bene a mente, in proposito, il duplice comportamento “zoonosico” ed “antroponosico” -, si facesse riferimento nel decifrare l’origine dei vari focolai di malattia, soprattutto in quei casi in cui dovesse risultare particolarmente difficile individuare le vie/modalità di acquisizione/trasmissione dell’infezione e, più in generale, in quella che in gergo epidemiologico si è soliti definire “analisi del rischio”.

E, poiché anche il virus MPXV fa parte del lunghissimo elenco degli agenti patogeni, virali e non, dotati di comprovata capacità zoonosica, viene avanti ancora una volta, in maniera quantomai forte e prioritaria, la necessità di porre in essere un approccio ispirato al principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – al precipuo fine di gestire, prevenire e contrastare efficacemente la comparsa di nuovi focolai di malattia nell’uomo e negli animali, facendo tesoro delle memorabili lezioni che la pandemia da CoViD-19 ci ha consegnato.

Repetita iuvant, mai come in questo caso!

 

 

Bibliografia

Di Guardo G. (2024). Consideration of environmental aerosols. Veterinary Record 194(3):119. doi: 10.1002/vetr.3930.
Esper J., Torbenson M., Büntgen U. (2024). 2023 summer warmth unparalleled over the past 2,000 years. Nature 631, 94–97 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-024-07512-y
Kupferschmidt K. (2024). Confused about the mpox outbreaks? Here’s what’s spreading, where, and why. Science DOI: 10.1126/science.zbye5pv.
Reardon S. (2024). Mpox is spreading rapidly. Here are the questions researchers are racing to answer. Nature DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-02793-9.
Witze A. (2024). Earth boiled in 2023. Will it happen again in 2024? Nature 625: 637-639. DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-00074-z.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Le nuove, intriganti traiettorie di SARS-CoV-2 nel mondo animale

E’ di poche settimane fa la notizia relativa ad un ulteriore ampliamento del già ampio spettro d’ospite posseduto dal betacoronavirus SARS-CoV-2, il famigerato agente responsabile della pandemia da CoViD-19.

Nello specifico, ben 6 nuove specie di mammiferi selvatici (opossum, procione, marmotta, topo cervo, silvilago orientale e pipistrello rosso) si sono aggiunte all’elenco di quelle, sia domestiche sia selvatiche, già dichiarate suscettibili nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, mentre una sin qui inedita mutazione sarebbe stata descritta a carico del gene codificante per la “Spike (S) protein” – grazie alla quale si realizza l’interazione del virus con il recettore ACE2 posto sulla superficie delle cellule-ospiti – nell’opossum, analogamente a quanto avvenuto verso la fine del 2020 nei visoni degli allevamenti danesi e olandesi per il ceppo virale denominato “Cluster 5”.

E come non citare, in proposito, il ben noto caso dei cervi a coda bianca (Odocoileus virginianus) statunitensi nella cui popolazione il virus, previamente acquisito da Homo sapiens sapiens (c.d. “spillover“), si sarebbe diffuso in lungo e in largo per “ritornare” successivamente all’uomo (c.d. “spillback” o “zoonosi inversa”) in forma mutata, come già accaduto nei visoni d’allevamento in Danimarca e nei Paesi Bassi?

A fronte dell’elevato e progressivamente crescente numero di specie suscettibili nei confronti dell’infezione dal SARS-CoV-2, che a tutt’oggi supererebbe le 50 unità, ciò che maggiormente preoccupa (o, per meglio dire, ci dovrebbe preoccupare) è la distanza filogenetica esistente fra le stesse, che in una normale dinamica d’interazione ospite-parassita (ospite-virus, nella fattispecie) costituisce un fondamentale determinante biologico e prerequisito rispetto alla cosiddetta “barriera di specie”.

Quest’ultima, nel caso del betacoronavirus responsabile della CoViD-19, sarebbe definita dal livello di omologia esistente fra il recettore ACE2 umano e quello della specie animale di volta in volta considerata, con particolare riferimento alla regione/sequenza del succitato recettore direttamente interagente con il “receptor-binding domain” (RBD) situato all’interno della (glico)proteina S del virus.

Evidentemente, nello specifico caso di SARS-CoV-2, questa barriera di specie risulterebbe oltremodo “permeabile”, così da consentire il trasferimento dell’agente virale a numerose specie animali (anche) filogeneticamente distanti fra loro, una situazione quest’ultima che risulterebbe esacerbata dal progressivo quanto persistente emergere di nuove varianti e sottovarianti virali sempre più diffusive e contagiose (vedi, a puro titolo esemplificativo, quelle più recenti denominate “FLiRT” quali JN.1, KP.2, KP.3 e LB.1).

In un siffatto contesto, va da sè che il rischio relativo all’emergere di nuove varianti possa risultare sensibilmente accresciuto dal passaggio del virus a nuove specie animali, soprattutto in ambito selvatico – ove le dinamiche evolutive del rapporto ospite-parassita risulterebbero oggettivamente più difficili da controllare -, parallelamente a quanto sta avvenendo anche nel caso del virus dell’influenza aviaria A(H5N1), che in virtù dei recenti quanto numerosi “salti di specie” dallo stesso operati potrebbe acquisire la capacità (sin qui non ancora dimostrata, per nostra fortuna) di diffondersi in maniera efficace da uomo a uomo.

A tal proposito, come ben si sa, più un agente virale replica all’interno delle cellule di una determinata specie sensibile nei confronti dello stesso, maggiore diviene la probabilità che si realizzino, di pari passo, eventi mutazionali a carico del proprio genoma, con la conseguente comparsa di varianti più diffusive e contagiose di quelle precedenti.

Ciò descrive con esattezza quel che è accaduto, sta tuttora accadendo e, con ogni probabilità, continuerà ad accadere nel caso di SARS-CoV-2, un betacoronavirus il cui genoma consta di circa 30.000 nucleotidi, con una frequenza di mutazioni (sia “silenti” o “sinonime” che “non silenti” o “non sinonime”) pari all’incirca ad una ogni 10.000 basi azotate coinvolte in ciascun ciclo replicativo virale.

In ultima analisi, la notevole “plasticità’ di SARS-CoV-2, che ha già consentito e continua a permettere al virus di trasferirsi ad un così elevato e crescente numero di specie animali domestiche e selvatiche, anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, costituirebbe a mio avviso un ulteriore elemento a favore dell’origine naturale di SARS-CoV-2, visto e considerato che un siffatto comportamento mal si concilierebbe in termini di plausibilita’ biologica con quello di un agente creato artificialmente in laboratorio.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto, ancora una volta (e mai abbastanza, comunque!), la fondamentale rilevanza del concetto/principio della One Health – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – non soltanto nella complessa ed articolata gestione eco-epidemiologica dell’infezione da SARS-CoV-2 – così come di quella da virus dell’influenza aviaria A(H5N1) -, ma in generale di tutte le c.d. “malattie infettive emergenti”, il 70% delle quali, è bene ricordarlo, riconoscono la loro origine, comprovata o sospetta che sia, in uno o più serbatoi animali.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria da virus A(H5N1): Siamo pronti a fronteggiare una nuova pandemia?

Fra le varie motivazioni che sono alla base del fondato allarme suscitato dal virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza, HPAI) A(H5N1), con particolare riferimento al clade 2.3.4.4b, possiamo annoverare lo spiccato neurotropismo e l’elevata neuropatogenicità dello stesso nei confronti di numerose specie di uccelli e di mammiferi domestici e selvatici, anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, ivi compresi i Pinnipedi e i Cetacei, nonché la già pluriminacciata popolazione di orsi polari (Ursus maritimus), con un caso accertato lo scorso Gennaio in Alaska (https://www.nytimes.com/2024/01/03/science/bird-flu-polar-bears.html). Ciò appare ulteriormente giustificato dalla comprovata suscettibilità dei bovini nei confronti di tale infezione, come in maniera oltremodo eloquente testimoniano i numerosi casi recentemente insorti nella popolazione bovina statunitense di ben nove Stati, primo fra tutti il Texas (7), ove un allevatore ha sviluppato una congiuntivite bilaterale insorta dopo il contatto con un capo infetto (8), cui ha fatto seguito un analogo episodio di malattia oculare riscontrato in un allevatore del Michigan (https://www.nytimes.com/2024/05/22/health/h5n1-bird-flu-dairy.html). Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, anche il parallelo riscontro del virus A(H5N1) nelle acque reflue di più città texane (9) – come già segnalato in precedenza sia per il poliovirus sia per il betacoronavirus SARS-CoV-2 (10) -, a fronte di una presunta origine del medesimo da una matrice avicola o bovina, se non addirittura umana (9).

Per quanto specificamente attiene alla sorveglianza epidemiologica dell’infezione da virus A(H5N1) nella popolazione bovina statunitense e, più in generale, in quella di tutti gli altri Paesi, un serio ostacolo è rappresentato dalle manifestazioni cliniche paucisintomatiche con cui la stessa generalmente evolve nella specie in esame, con il conseguente rischio di una più o meno marcata sottostima dei casi d’infezione effettivamente presenti (11). Ciononostante, mentre si assisterebbe da un lato ad una consistente eliminazione del virus attraverso il latte – fattispecie quest’ultima che richiama ad un caloroso invito a consumare esclusivamente latte pastorizzato (il processo di pastorizzazione, è bene ricordarlo, sarebbe in grado di inattivare sia questo che molti altri agenti microbici, virali e non) -, l’epitelio tubulo-alveolare della ghiandola mammaria bovina albergherebbe al proprio interno, dall’altro lato, un’elevata densità di recettori nei confronti del virus A(H5N1) (11,12). A tal proposito, la coesistenza a livello dell’epitelio ghiandolare mammario dei bovini di un’elevata concentrazione di recettori specifici sia per i virus influenzali aviari (sialic acid, SA-alfa 2-3) sia per quelli umani (SA-alfa 2-6) – a differenza di quanto osservato in ambito respiratorio e cerebrale, ove tali recettori sarebbero presenti in numero decisamente inferiore, se non addirittura assenti – qualificherebbe la specie bovina, secondo alcuni studiosi, quale ulteriore “mixing vessel” in grado di consentire un “rimescolamento genetico” fra virus di origine aviare ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo notoriamente svolto in tal senso dai suini (12). Ciò potrebbe contribuire, unitamente alle succitate dinamiche evolutive progressivamente assunte dall’infezione da virus A(H5N1), ad un ulteriore affinamento della “fitness” virale, con conseguente acquisizione ad opera dello stesso della capacità di trasmettersi facilmente da uomo a uomo. Per quanto sia attualmente ben lungi dall’essere comprovata, una siffatta evenienza appare tuttavia oltremodo plausibile, vista e considerata l’elevata propensione dei virus influenzali di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico attraverso i ben noti fenomeni di riassortimento/ricombinazione genomica che li contraddistinguono (6).

La possibilità di una trasmissione interumana efficiente risulta ulteriormente supportata dalla comprovata diffusione dell’agente vireale in numerose specie  di uccelli e di mammiferi, domestici e selvatici, terrestri ed acquatici, fra cui si annoverano più specie di Pinnipedi e di Cetacei.

In epoca recente, infatti, un ceppo di HPAI virus A(H5N1) ha causato una significativa mortalità fra gli uccelli selvatici e i mammiferi marini lungo le coste di numerosi Paesi del Sud America, ove si calcola che almeno  30.000 esemplari di leoni marini (Otaria byronia) sarebbero deceduti. Nonostante i casi umani di malattia  siano stati numericamente  limitati, seppur variabili nelle manifestazioni cliniche,  il rischio zoonosico associato  a tutti i ceppi di virus A(H5N1) e ad altri sottotipi non può essere sottovalutato, come peraltro testimonierebbe anche il recente caso d’infezione ad esito fatale da HPAI virus A(H5N2) recentemente segnalato in un paziente messicano che non avrebbe tuttavia riferito una pregressa esposizione a volatili infetti (https://www.who.int/emergencies/disease-outbreak-news/item/2024-DON520).

Risulta cruciale,  pertanto, diagnosticare tempestivamente e  notificare  in modo rapido tutti i casi sospetti, insieme all’adozione di rigorose misure di biosicurezza, al fine di sviluppare strategie efficaci di contenimento e prevenzione, proteggendo il  benessere degli animali e degli esseri umani e tutelando la  biodiversità.

Le linee guida attuali, riassunte nel documento “Practical Guide for Authorized Field Responders to HPAI Outbreaks in Marine Mammals, with a Focus on Biosecurity, Sample Collection for A(H5N1) Virus Detection and Carcass Disposal” (World Organization for Animal Health, WOAH),   sono state formulate da un panel di esperti internazionali con il Centro di Collaborazione per la Salute dei Mammiferi Marini (WOAH), in risposta agli ultimi episodi di malattia che hanno coinvolto le popolazioni di mammiferi marini lungo le coste del Sud America, e forniscono indicazioni importanti per la progettazione di strategie preventive e di gestione di eventuali focolai.

Per quanto riguarda l’Europa,  fra  Dicembre 2022 e Marzo 2023 si è registrata  un’ulteriore diffusione dell’agente patogeno ai mammiferi marini, con un caso di  meningoencefalite da virus A(H5N1) in una focena (Phocoena phocoena) rinvenuta spiaggiata lungo le coste svedesi (4), in stretta connessione epidemiologica  con una serie di casi accertati nei volatili selvatici. Il rischio per la popolazione generale in Europa è considerato basso, ma si presume che lo stesso possa essere di grado più elevato in categorie di individui professionalmente esposte al virus.

In considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene opportuno sottolineare  che adeguati sforzi andrebbero profusi, anche  sulla scia delle lezioni apprese dalla drammatica pandemia da CoViD-19, al precipuo fine di giungere adeguatamente “preparati e pronti “preparedness and readiness“, queste le parole-chiave, giustappunto) ad un’eventuale emergenza pandemica da virus dell’influenza aviaria A(H5N1), in una salutare ottica di collaborazione multidisciplinare ed intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, diffusamente permeata dal concetto/principio della “One Health“, la salute unica di uomo, animali ed ambiente!

 

Bibliografia citata

1) Ariyama, N., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus in Wild Birds, Chile. Emerg. Infect. Dis. 29:1842-1845. doi: 10.3201/eid2909.230067.

2) Puryear, W., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Outbreak in New England Seals, United States. Emerg. Infect. Dis. 29:786-791. doi: 10.3201/eid2904.221538.

3) Gamarra-Toledo, V., et al. (2023). Mass Mortality of Sea Lions Caused by Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus. Emerg. Infect. Dis. 29:2553-2556. doi: 10.3201/eid2912.230192.

4) Thorsson, E., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus in a Harbor Porpoise, Sweden. Emerg. Infect. Dis. 29:852-855. doi: 10.3201/eid2904.221426.

5) Murawski, A., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus in a common bottlenose dolphin (Tursiops truncatus) in Florida. Commun. Biol. 7:476. doi: 10.1038/s42003-024-06.

6) Di Guardo, G., Roperto S. (2024). AH5N1 avian influenza, a new pandemic behind the corner? (Rapid Response). BMJ https://www.bmj.com/content/380/bmj.p510/rr.

7) Reardon, S. (2024). Bird flu in US cows: Where will it end? Nature

https://www.nature.com/articles/d41586-024-01333-9.

8) Uyeki, T.M., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus infection in a dairy farm worker. N. Engl. J. Med.

doi:10.1056/NEJMc2405371.

9) Tisza, M.J., et al. (2024). Virome sequencing identifies H5N1 avian influenza in wastewater from nine cities. MedRxiv preprint 2024.05.10. doi:https://doi.org/10.1101/2024.05.10.24307179.

10) Clark, J.R., et al. (2023). Wastewater pandemic preparedness: Toward an end-to-end pathogen monitoring program. Front. Public Health 11:1137881. doi:10.3389/fpubh.2023.1137881.

11) Gerhard, D. (2024). Deciphering the unusual pattern of bird flu symptoms in cows. The Scientist Magazine

https://www.the-scientist.com/deciphering-the-unusual-pattern-of-bird-flu-symptoms-in-cows-71850.

12) Kristensen, C., et al. (2024). The avian and human influenza A virus receptors sialic acid (SA)-α2,3 and SA-α2,6 are widely expressed in the bovine mammary gland. BioRxiv preprint 2024.05.03.592326.

 

Cristina Casalone (1), Giovanni Di Guardo (2)

1) DVM, Dirigente Veterinario presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino

2) DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




EUPAHW: l’IZS Lazio e Toscana parte dell’European Partnership for Animal Health and Welfare.

L’IZSLT è entrato a far parte della Partnership Europea per la Salute e il Benessere Animale (European Partnership for Animal Health and Welfare – EUPAHW), una delle iniziative di ricerca e innovazione più ambiziose che la Commissione Europea (CE) abbia mai finanziato per controllare le malattie infettive degli animali e per promuovere il benessere animale.

La Partnership, una iniziativa partita nel 2024, prevede un investimento di 360 milioni di euro nei prossimi sette anni per incentivare la ricerca e facilitare la cooperazione tra tutti i partecipanti.

L’ambito di azione va oltre gli attori della salute e del benessere animale per migliorare la collaborazione intersettoriale e fornire un impatto sociale attraverso un approccio One Health e One Welfare. Gli obiettivi della EUPAHW sono in linea con l’European Green Deal e il suo associato Farm to Fork strategy per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente.

Gli obiettivi ambiziosi della EUPAHW hanno attirato un insieme eterogeneo di partners che comprende 56 organizzazioni leader nella ricerca e 30 organizzazioni finanziatrici in Europa. Il budget è finanziato al 50% dal Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione Horizon Europe e al 50% dalle istituzioni/organizzazioni partner della EUPAHW. La Partnership ha fatto incontrare finora 90 entità (istituti di ricerca, organizzazioni finanziatrici e ministeri), compresi EFSA e EMA, provenienti da 24 paesi (19 stati membri EU e 5 paesi associati a Horizon Europe).

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Influenza aviaria, Usa: secondo caso umano rilevato nel settore lattiero-caseario

Un secondo caso umano di influenza aviaria H5N1 è stato confermato in Michigan (Stati Uniti). Il soggetto è un lavoratore di un’azienda lattiero-casearia dove il virus è stato identificato anche nei bovini. Come nel precedente caso in Texas, il paziente ha mostrato solo sintomi oculari, con un tampone oculare risultato positivo al virus H5. I Centers for Desease Control and Prevention (Cdc) confermano un basso rischio per il pubblico generale, ma sottolineano l’importanza delle misure di prevenzione per chi lavora a stretto contatto con animali infetti.

Il contagio
Un caso umano di infezione da virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5) è stato identificato nello Stato del Michigan. Si tratta del secondo caso umano, associato ad un’epidemia multistato in corso di virus A(H5N1) nelle mucche da latte.
Come nel precedente caso del Texas, l’individuo è un lavoratore in un’azienda lattiero-casearia dove il virus H5N1 è stato identificato nelle mucche. Mentre un tampone nasale è risultato negativo per l’influenza, un tampone oculare del paziente è stato spedito ai Cdc ed è risultato positivo per il virus dell’influenza A (H5). Similmente al primo caso del Texas, il paziente ha riportato solo sintomi oculari.
Sulla base delle informazioni disponibili, non cambia l’attuale valutazione del rischio per la salute umana dell’influenza aviaria H5N1 che i Cdc continuano a considerare “bassa”. Tuttavia, questo sviluppo sottolinea l’importanza delle precauzioni raccomandate nelle persone esposte ad animali infetti o potenzialmente infetti. Le persone con esposizioni ravvicinate o prolungate e non protette ad uccelli o altri animali infetti (incluso il bestiame) o ad ambienti contaminati da uccelli o altri animali infetti corrono un rischio maggiore di infezione.

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Fonte: Vet33




One Health: l’Istituto zooprofilattico di Teramo candidato a Agenzia nazionale

Si è tenuto presso l’Auditorium Cosimo Piccinno del Ministero della Salute a Roma l’evento dedicato al paradigma One Health, ovvero un approccio multidisciplinare che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema. Questa filosofia parte dal presupposto che le malattie e le condizioni di salute non esistono in isolamento e che la salute di ogni componente è interdipendente con quella degli altri. Intitolato “Il cammino del Sistema Sanitario Nazionale verso la salute unica”, l’incontro ha visto la presentazione del 3° volume 2024 del “One Health Journal” e la 3ª edizione del “One Health Award”.

Orazio Schillaci, ministro della Salute, e Marco Marsilio, presidente della Regione Abruzzo sono intervenuti all’evento, sottolineando l’importanza di un approccio integrato per affrontare le sfide sanitarie globali, evidenziando come la cooperazione tra settori diversi sia essenziale per garantire la salute pubblica.

“È prezioso il lavoro dei nostri Istituti Zooprofilattici Sperimentali, – ha affermato il ministro della Salute, Orazio Schillaci – i quali costituiscono una rete d’eccellenza unica in Europa per capillarità e per le competenze che hanno al proprio interno. Di questo siamo fieri e ci affiancano con attività di ricerca scientifica, di diagnostica e di sorveglianza sulla diffusione delle malattie, ma anche nella formazione.”

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Fonte: sanita24.ilsole24ore.com




One Health. Quadro d’azione congiunto pubblicato da cinque agenzie dell’UE, al via task force

zoonosi viraleIl Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) hanno pubblicato un quadro d’azione congiunta per rafforzare la cooperazione a sostegno dell’attuazione dell’agenda One Health nell’Unione europea (UE).

One Health è un concetto che riconosce la complessa interazione tra salute umana, animale e vegetale, sicurezza alimentare, crisi climatica e sostenibilità ambientale. L’attuazione di questo approccio in diversi settori sarà fondamentale per rendere l’UE e i suoi Stati membri più attrezzati per prevenire, prevedere, individuare e rispondere alle minacce sanitarie, si legge in una nota comune delle cinque authorities,. Mitigherà l’impatto e il costo sociale di tali minacce, o addirittura ne impedirà l’emergere, contribuendo al tempo stesso a ridurre le pressioni umane sull’ambiente e salvaguardando le principali esigenze sociali come la sicurezza alimentare e l’accesso all’aria e all’acqua pulite.

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Fonte: quotidianosanita.it




L’IZS Abruzzo e Molise Centro di Referenza FAO per One Health

A seguito della nostra attenta valutazione del mandato, delle principali attività e delle competenze, il raggiungimento del prestigio scientifico, tecnico e politico e l’impegno profuso per rafforzare lo sviluppo delle capacità nelle aree rilevanti per la FAO, nonché per l’esperienza di collaborazione pregressa con la FAO, ho il piacere di comunicarvi che l’IZS di Teramo è stato designato FAO Reference Center for One Health”. Inizia con queste righe firmate dal Deputy Director-General della FAO, Maria Helena Semedo, il documento di nomina inviato al Direttore Generale dell’IZS dell’Abruzzo e del Molise Nicola D’Alterio.

Questa prestigiosa designazione premia ancora una volta l’expertise scientifica del nostro Istituto, mi preme innanzitutto ringraziare i ricercatori e tutto il personale dell’Ente” – commenta il DG D’Alterio  “Dopo i Centri di Referenza per l’Epidemiologia Veterinaria, i Coronavirus Zoonotici e l’expertise nei settori della sanità animale e dei sistemi informativi, la FAO ci riconosce anche come polo di eccellenza internazionale per la ricerca e la tutela della salute in termini olistici Da sempre lavoriamo seguendo l’approccio One Health con l’obiettivo di raggiungere la salute globale e una attenzione particolare alle popolazioni più vulnerabili che vivono nei Paesi in via di sviluppo dove è strettissima la relazione tra la salute delle persone, la salute dei loro animali e l’ambiente in cui vivono, con tutto ciò che ne consegue”.

Sono diversi i compiti del nuovo Centro di Referenza che, in primo luogo, è chiamato a fornire “consulenza tecnico-scientifica, specifica e indipendente” alla FAO nelle attività di sostegno allo sviluppo dei Paesi membri dell’Organizzazione. L’IZS di Teramo dovrà fornire servizi diagnostici su focolai sospetti e confermati di agenti patogeni di zoonosi emergenti; formazione e consulenza per lo sviluppo delle capacità dei laboratori nazionali veterinari dei Paesi membri della FAO; sviluppare e rafforzare il sistema di sorveglianza per monitorare l’antimicrobico resistenza in relazione all’interfaccia umana, animale e ambientale; eseguire la caratterizzazione molecolare dei patogeni nelle acque reflue; rafforzare l’individuazione precoce e la caratterizzazione dei patogeni emergenti, utilizzando tecnologie come la Next Generation Sequencing. E ancora, sostenere la FAO promuovendo la ricerca per lo sviluppo di vaccini veterinari di nuova generazione e la produzione di kit diagnostici e reagenti biologici; fornire supporto tecnico per lo sviluppo di modelli epidemiologici predittivi per il controllo di malattie come Rift Valley Fever, West Nile Disease, Dengue, Zika, ecc.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Il legame tra scimmie e pipistrelli che fa temere lo spillover di un virus

 Sono 27 i virus precedentemente sconosciuti, incluso un nuovo tipo di coronavirus, trovati nelle feci di pipistrello di cui da qualche anno a questa parte alcune scimmie della foresta di Budongo (Uganda) hanno iniziato a cibarsi. Li hanno identificati gli autori di uno studio appena pubblicato su Communications Biology. La nuova abitudine alimentare, ipotizzano i ricercatori, potrebbe essere legata alla quasi scomparsa della palma Raphia farinifera, un’importante fonte di nutrimento per molti animali selvatici che vivono in questa foresta. La massiccia estirpazione della pianta sarebbe legata alla sua utilità per la realizzazione di corde su cui essiccare le foglie di tabacco. Il rischio è che il nuovo comportamento delle scimmie, indotto da attività antropiche, possa dare origine a eventi di spillover.

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Fonte: wired.it




Aviaria in Usa, tracce virus nel latte pastorizzato delle mucche

latteTracce di virus A H5N1 dell’influenza aviaria rilevate in alcuni campioni di latte pastorizzato di mucche provenienti da allevamenti negli Stati Uniti interessati dall’epidemia.

 La comunicazione è arrivata dalla Food and Drug Administration (Fda), che ha sottolineato come non ci siano elementi al momento per considerare il latte non sicuro e che ulteriori studi e analisi verranno effettuati nei prossimi giorni. Tuttavia, secondo virologi ed infettivologi, si tratta di un fatto da non sottovalutare e che indica come il virus si stia comunque muovendo tra specie diverse.

Al momento, precisa la Fda, non è possibile dire se si tratti di frammenti di materiale genetico inattivo o di virus vivo: “Ad oggi, non abbiamo visto nulla che possa cambiare la nostra valutazione che l’approvvigionamento commerciale di latte è sicuro”, afferma l’Agenzia. Alcuni dei campioni raccolti hanno indicato la presenza di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità utilizzando il test quantitativo della reazione a catena della polimerasi (qPCR). Tuttavia, precisa ancora l’Fda, un risultato positivo a questo esame “significa che nel campione è stato rilevato il materiale genetico dell’agente patogeno, ma ciò non significa che il campione contenga un agente patogeno intatto e infettivo. Questo perché i test qPCR rilevano anche il materiale genetico residuo di agenti patogeni uccisi dal calore, come la pastorizzazione o altri trattamenti per la sicurezza alimentare”.

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Fonte: ansa.it