OIE: continuare la lotta alle malattie animali anche durante la pandemia da COVID-19

L’OIE, Organizzazione mondiale per la sanità animale, richiama i paesi a mantenere in atto le misure di prevenzione e controllo delle malattie degli animali, anche durante la Pandemia da COVID-19. Il sostegno alle attività veterinarie è essenziale per evitare gli impatti dannosi delle malattie degli animali, che potrebbero aggravare le attuali crisi sanitarie e socioeconomiche.
L’OIE presenta le principali conclusioni del report sulla situazione globale della salute degli animali.

Nonostante gli impatti devastanti di COVID-19, che hanno comportato restrizioni globali agli spostamenti, le malattie degli animali continuano a diffondersi in tutto il mondo. Le malattie transfrontaliere degli animali incidono gravemente sulla salute e sul benessere degli animali, così come sui mezzi di sussistenza di migliaia di famiglie. Queste malattie rappresentano una grave minaccia per la sicurezza alimentare globale e, se ampiamente diffuse, e mettono a rischio i sistemi di produzione animale.

l’OIE ha pubblicato il 19 giugno il report annuale sulla situazione globale della salute degli animali, richiamando l’attenzione sulle malattie animali per le quali osservate nel 2019 e nel 2020, è su altre malattie sottoposte a strategie di controllo globale o con processi di eradicazione in atto. Anche durante la pandemia di COVID-19, i paesi sono chiamati a mantenere i loro sforzi per preservare la salute e il benessere degli animali. A questo proposito, nel rapporto vengono fornite raccomandazioni per aiutare i servizi veterinari nazionali ad attuare misure efficaci di monitoraggio sorveglianza, segnalazione e controllo.

Frenare l’impatto delle malattie animali epidemiche
Negli ultimi anni diversi fattori hanno contribuito alla diffusione di malattie animali transfrontaliere comportando situazioni epidemiche che ancora persistono.

Nell’ultimo anno è stato osservato un aumento mondiale della Peste Suina Africana. Una delle maggiori sfide per il controllo di questa malattia mortale per i suini è l’assenza di un vaccino efficace. La PSA è stata segnalata dal 28% dei paesi membri dell’OIE (42 sui 150 paesi e territori dichiaranti). In breve tempo, la malattia ha scatenato una grave crisi nell’industria della carne suina, causando enormi perdite suine, gravi impatti socioeconomici, rischiando di interrompere la catena di approvvigionamento mondiale di carne suina e sottoprodotti derivati.
In risposta a questa minaccia globale, l’OIE ha lavorato a fianco dei paesi membri e della Fao mettere in atto iniziative regionali e una risposta coordinata, nell’ambito del Quadro globale per il controllo progressivo delle malattie transfrontaliere degli animali ( GF-ADT). Questi sforzi hanno contribuito ad aumentare il numero di paesi che attuano misure di sorveglianza e controllo per la PSA, raggiungendo il 90% dei paesi dichiaranti nel periodo 2018-2019. I paesi sono chiamati a continuare ad attuare le misure necessarie e a segnalare tempestivamente i focolai di PSA attraverso il Sistema mondiale di informazione sulla salute degli animali dell’OIE (World Animal Health Information System – WAHIS).

Tenuto conto della sfida rappresentata dalla malattia, la risposta deve comportare azioni coordinate e cooperazione internazionale. A breve sarà lanciata un’iniziativa nell’ambito del GF-TAD per il controllo globale della PSA.

Un’altra sfida per la sanit veterinaria e i sistemi di salute pubblica è rappresentata dall’influenza aviaria ad alta patogenicità, una delle malattie più segnalate negli ultimi anni che ha gravi ripercussioni sia sui mezzi di sussistenza di molte persone che sul commercio internazionale. L’analisi della dinamica dell’epidemia di HPAI presentata nel rapporto dell’OIE mostra una maggiore attività del virus nei primi mesi del 2020. I ceppi di influenza aviaria hanno un potenziale impatto zoonotico e la capacità di mutare ed evolversi rapidamente
In questo contesto, la promozione della trasparenza e la comprensione della situazione globale continuano ad essere una priorità per proteggere la salute pubblica e garantire un commercio sicuro di animali e prodotti di origine animale.

Questi esempi dimostrano che le epidemie di malattie animali comportano impatti devastanti che potrebbero intensificare la crisi in corso. In tempi di COVID 19, i paesi sono incoraggiati a mantenere e rafforzare i loro sforzi per prevenirle e controllarle.

A cura della segreteria SIMeVeP




ISS: Indicazioni ad interim sull’igiene degli alimenti durante l’epidemia da virus SARS-CoV-2

Il virus SARS-CoV-2 si diffonde per contagio inter-umano, e non vi sono evidenze di trasmissione alimentare, associata agli operatori del settore alimentare o agli imballaggi per alimenti.

La sicurezza degli alimenti, nel quadro normativo europeo, è garantita tramite un approccio combinato di prevenzione e controllo che abbraccia le filiere agroalimentari “dal campo alla tavola”. Nel corso dell’epidemia di COVID-19, tuttavia, la tutela dell’igiene degli alimenti richiede azioni aggiuntive mirate a circoscrivere nei limiti del possibile il rischio introdotto dalla presenza di soggetti potenzialmente infetti in ambienti destinati alla produzione e commercializzazione degli alimenti.

Il Rapporto ISS COVID-19 n. 17/2020, elaborato dal Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, fornisce indicazioni e raccomandazioni specifiche per garantire l’igiene degli alimenti e degli imballaggi alimentari nelle fasi di produzione, commercializzazione e consumo domestico.

Fonte: ISS




ISS per COVID-19

issL’Istituto Superiore di Sanità ha dedicato un numero speciale del notiziario all’attività svolta dall’Ente nell’ambito dell’emergenza
legata alla pandemia del nuovo coronavirus COVID-19, dall’inizio dell’emergenza sino alla data di pubblicazione del numero stesso.

Il Presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, membro del Comitato Tecnico Scientifico (Decreto del Capo della Protezione Civile n. 371 del 5 febbraio 2020), ha istituito 22 Gruppi di lavoro sui rischi per la salute legati all’infezione da COVID-19 a cui partecipano sia esperti ISS che esperti di altre importanti istituzioni.

I risultati delle attività, che riguardano importanti aree di ricerca, sorveglianza, formazione, informazione e comunicazione, forniscono al Governo le informazioni e i dati tecnico-scientifici utili per intraprendere misure di sanità pubblica e aggiornare il personale sanitario e gli stakeholder

L’intento è di rendere disponibili in un unico contenitore le diverse e molteplici attività svolte dall’ISS per farle conoscere, valorizzarle e documentarle nel tempo, offrendo ai lettori le chiavi di accesso a preziose informazioni per il contenimento dell’epidemia.

Le attività descritte non esauriscono il notevole impegno dell’ISS su più fronti e in continua e costante evoluzione. Per i documenti
prodotti dall’ISS è fornito il link alle risorse online, liberamente accessibili.

Accedi allo speciale




Nanomateriali? Non causano danni gravi agli organismi

nanotecnologieUno studio coordinato dal Cnr, con l’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) di Napoli e l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) di Palermo, pubblicato su Small, ha indagato i rapporti tra nanoparticelle e sistema immunitario di diversi esseri viventi, scoprendo reazioni simili e assenza di effetti patologici irreversibili. Un riscontro che ne incoraggia l’uso in medicina. La ricerca è frutto di una collaborazione internazionale finanziata dal programma Marie Sk?odowska-Curie di Horizon 2020

 I nanomateriali sono sostanze di dimensione infinitamente piccola con caratteristiche peculiari tali da consentirne una vasta gamma di applicazioni nell’ambito della biomedicina, dell’energia, dell’ambiente e dell’alimentazione. Se il loro uso da un lato fa parte della nostra vita quotidiana, dall’altro potrebbe avere delle ripercussioni sulla salute umana e sull’ambiente. L’immunità innata è la prima linea di difesa condivisa dalla maggior parte degli organismi viventi, dalle piante all’uomo. Ma cosa succede se un organismo incontra un nanomateriale? Il suo sistema immunitario lo riconosce come una minaccia?

A questa domanda ha cercato di rispondere uno studio coordinato dal Cnr, con l’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) di Napoli e l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) di Palermo, pubblicato sulla rivista Small. “In generale, il sistema immunitario reagisce con una reazione che culmina con l’eliminazione del corpo estraneo e poi si spegne per permettere il riparo del tessuto eventualmente danneggiato e il ripristino della sua integrità fisica e funzionale. Una risposta immune indotta dalle nanoparticelle può essere quindi considerata la risposta fisiologica atta a preservare lo stato di salute di un organismo”, spiegano le coordinatrici della ricerca Diana Boraschi del Cnr-Ibbc e Annalisa Pinsino del Cnr-Irib.

“Questo lavoro ha affrontato per la prima volta il tema della sicurezza dei nanomateriali attraverso uno studio comparativo della risposta immune innata: dalle piante agli invertebrati marini e terrestri, fino all’uomo. Sono stati progettati dei test biologici capaci di consentire l’identificazione delle modalità di interazione fra nanomateriali e sistema immunitario, le conseguenze sulle funzioni immuni e l’impatto che questi effetti potrebbero avere nella diagnosi e nella cura delle patologie umane”, prosegue Boraschi.

“La scoperta che abbiamo fatto è che l’interazione dei nanomateriali con gli organismi viventi attiva reazioni immunitarie comuni a tutti gli organismi e che, in generale, i nanomateriali non causano danni irreversibili o reazioni immunitarie patologiche”, precisa Pinsino. “Sebbene si tratti di ricerca di base, le nostre scoperte rappresentano un buon punto di partenza per pensare a un impiego intelligente delle nanoparticelle per la diagnosi e la cura personalizzata di tumori e patologie immunitarie”.

“Molti nanomateriali possono essere considerati immunologicamente sicuri e questo rappresenta un punto a favore dello sviluppo delle nanotecnologie intelligenti applicate alla medicina. Un’altra fondamentale scoperta è che il rapporto nanoparticelle-sistema immunitario può variare nelle diverse cellule e tessuti e, negli individui, in base all’età e alle condizioni di salute. Ciò implica la possibilità di puntare, come obiettivo realistico, a un loro impiego in medicina a livello individuale, cioè alla nanosicurezza e nanomedicina personalizzata”, conclude Boraschi.

Lo studio è stato sviluppato con il supporto del programma Marie Sk?odowska-Curie di Horizon 2020 chiamato Pandora (Probing the safety of nano-objects by defining immune responses of environmental organisms), per un budget di oltre 2.5 milioni di euro e un consorzio di 10 membri europei ed extraeuropei.

Fonte: CNR




CoViD-19 e fase 2

Fase 2Sono un patologo veterinario e insegno da quasi 20 anni patologia generale e fisiopatologia veterinaria all’Universita’ di Teramo. Le “malattie infettive emergenti”, il 70% delle quali sostenute da agenti in grado di trasferirsi dall’animale all’uomo, sono da oltre 30 anni al centro dei miei interessi scientifici ed il coronavirus responsabile della CoViD-19 non rappresenta di certo “un’eccezione alla regola”, come peraltro testimoniato dai lavori che ho recentemente pubblicato su prestigiose riviste scientifiche quali Science e British Medical Journal (BMJ).

A tal proposito, il tanto agognato ed oramai imminente avvio della cosiddetta “fase 2” in data 4 Maggio mi spinge a fare le considerazioni che verranno esposte qui di seguito e che fondano le loro premesse sulle conoscenze scientifiche attualmente disponibili (e non) sulla CoViD-19 e su SARS-CoV-2, il betacoronavirus che ne e’ l’agente causale:

  1. L’effettivo numero dei casi d’infezione da SARS-CoV-2 in Italia potrebbe esser pari (secondo l’autorevole King’s Imperial College londinese) a 5 milioni, a fronte dei circa 200.000 finora accertati.
  2.  Gli individui SARS-CoV-2-infetti, seppur asintomatici o paucisintomatici, sarebbero in grado di trasmettere l’infezione ad altri individui.
  3. I tamponi naso-faringei e le relative indagini biomolecolari finalizzate a ricercare la presenza del virus sono stati/e finora effettuati/e in larghissima misura solo su pazienti sintomatici.
  4. La positivita’ ad un test sierologico (effettuato sul sangue ed opportunamente validato a cura dell’Istituto Superiore di Sanità) testimonia l’avvenuta esposizione a SARS-CoV-2, il che non equivale a dire che i soggetti sieropositivi abbiano acquisito un’immunita’ nei suoi confronti.
  5. L’immunita’ nei confronti del virus e’ comprovata dalla presenza degli “anticorpi neutralizzanti”, la cui “concentrazione minima” nel sangue in grado di rivelarci se quell’individuo abbia sviluppato (o meno) un’efficiente ed efficace risposta immunitaria anti-virale non e’ a tutt’oggi nota.
  6. Quand’anche un individuo venisse classificato come “immune” nei confronti del virus, non e’ dato ancora sapere per quanto tempo rimarrà tale.
  7. Uno studio appena pubblicato su BMJ riferisce che il 60% dei pazienti con CoViD-19 eliminerebbero il virus con le feci per un arco temporale mediamente pari a 22 giorni, a fronte dell’eliminazione di SARS-CoV-2 per via respiratoria, ad opera degli stessi, per un tempo mediamente pari a 18 giorni.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, che nella mia veste di rappresentante della comunità scientifica ho comunque inteso mantenere ben distinte e separate dalle pur fondamentali componenti e valutazioni di carattere economico-finanziario alle quali la drammatica “emergenza CoViD-19” risulta intimamente connessa, mi sento di esprimere una serie di perplessità su alcune delle misure appena adottate dal nostro Governo in vista della “ripartenza”, seppur parziale, scaglionata e graduale, che avverrà per le diverse attività lavorative a far tempo dal fatidico quanto agognato avvio della “fase 2”.

Nello specifico, come si può pensare di “ripartire” il 4 Maggio e di avviare, in pari data, lo “screening siero-epidemiologico” (mediante i “famosi” tests che ricercano la presenza degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 nel sangue), oltre che l’eventuale, auspicabile effettuazione dei tamponi naso-faringei (e/o salivari), sulle lavoratrici e sui lavoratori interessate/i in prima istanza dalle succitate disposizioni governative?

Logica e buon senso avrebbero richiesto che per il 4 Maggio fossero già disponibili i risultati delle indagini laboratoristiche di cui sopra, non gia’ che si decidesse di avviarle! Aggiungo, per amore di verità (scientifica) e per completezza d’informazione, che bisognerebbe fare esclusivo riferimento a test di comprovata affidabilità, ovverosia ufficialmente validati e certificati come tali a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, con l’ulteriore avvertenza che sarebbe “cosa buona e giusta” utilizzare test “unici ed univoci” sull’intero territorio nazionale, in maniera tale da poter consentire tutti i confronti “ex ante” e, soprattutto, “ex post” che si renderanno necessari via via necessari fra i diversi laboratori chiamati ad analizzare i numerosissimi campioni biologici prelevati e a refertarne i relativi esiti.

Così operando o, per dirla in maniera oltremodo prosaica, “confrontando mele con mele e pere con pere”, si potra’ fornire una risposta ben più rapida, affidabile e precisa a questi due fondamentali interrogativi:

  1. a quale titolo gli anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 presenti nel sangue risultano protettivi
  2. quanto dura l’immunità conferita dai succitati anticorpi nei confronti dell’agente virale?

Concludo esprimendo un’ulteriore perplessità, che racchiude al suo interno, per così dire, tutte quelle fin qui esplicitate: come mai, sic stantibus rebus e visto che questo temibilissimo virus lo conosciamo da soli 4 mesi, non e’ stato disposto dal nostro Governo, in una sana ottica di applicazione del salvifico “principio di precauzione”, l’obbligo incondizionato (unitamente al “social distancing“), per tutte e per tutti (indipendentemente dall’eta’), di indossare sempre e comunque (e non soltanto nei luoghi chiusi, sui mezzi di trasporto pubblico o durante le cerimonie funebri) l’oramai “famosa” mascherina chirurgica (che dovrebbe essere perfettamente “a norma”, peraltro)?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria

 




Differenze di genere in COVID-19: l’importanza dei dati disaggregati per sesso

La pandemia da COVID-19 sta colpendo tutta la popolazione, anche se in modo diverso, a causa di vari fattori, tra i quali anche il sesso e il genere che sembrano svolgere un ruolo molto importante. In particolare il genere (vale a dire l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile) determina importanti differenze su come questa pandemia influenzi la vita quotidiana delle persone. Un esempio è proprio quello recentemente riportato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che mette in luce il dato allarmante dei numerosi episodi di violenza domestica che tante donne sono costrette a subire, a causa della condivisione continuativa degli spazi con uomini maltrattanti, con conseguenti e reiterate situazioni di disagio fisico e psicologico.

Tuttavia, ancor più evidenti durante un’epidemia o una pandemia come questa, sono le differenze di sesso, ovvero quelle differenze dovute alle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce (per esempio i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali). Per poter capire davvero quale sia il peso del sesso e del genere in questa patologia abbiamo però bisogno di dati aggiornati e disaggregati.

Mancanza di dati disaggregati per sesso e genere

Prima di approfondire l’argomento delle differenze di sesso nel contesto della pandemia da COVID-19, vale la pena ricordare che l’immagine che si può dipingere è destinata ad essere incompleta, poiché non tutti i Paesi hanno raccolto e riportano i propri dati disaggregati per sesso e genere. L’articolo “Sex, gender and COVID-19: Disaggregated data and health disparities” pubblicato sul blog della rivista BMJ Global Health il 24 marzo 2020 ha esaminato i dati dei 20 Paesi che avevano il numero più alto di casi confermati di COVID-19, a quel momento. Di queste 20 nazioni, Belgio, Malesia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti non avevano fornito dati disaggregati o suddivisi per sesso. L’Italia, da sempre molto impegnata nello studio delle differenze di genere, ha invece rilasciato da subito dati disaggregati. In seguito alcuni Paesi hanno reso disponibili i propri dati ma ad oggi rimangono una minoranza i Paesi che forniscono dati completi differenziati per sesso.

Decessi: gli uomini muoiono di più delle donne

Global Health 50/50, un’organizzazione internazionale che promuove l’uguaglianza di genere nell’assistenza sanitaria, ha iniziato a raccogliere i dati disaggregati per sesso su COVID-19 riportati finora dai governi nazionali e disponibili pubblicamente. Dall’analisi, oltre al tema dell’under-reporting dei dati disaggregati per sesso, emerge chiaramente una più alta proporzione di decessi per COVID-19 negli uomini rispetto alle donne in quasi tutti i Paesi che forniscono dati completi. In Italia secondo i dati riportati nel bollettino della sorveglianza integrata (aggiornamento del 23 aprile 2020), la percentuale di letalità per gli uomini è circa il doppio di quella delle donne (17,1% e 9,3% rispettivamente). Differenze simili sono riportate in molti altri Paesi europei (fra cui Grecia, Olanda, Danimarca, Belgio e Spagna) ed extraeuropei (come Cina e Filippine). In alcuni Paesi, come Tailandia e Repubblica Domenicana, il rapporto maschi/femmine (M/F) risulta ancora più alto, superiore cioè a 3:1 (3,8 e 3,2 rispettivamente). Tra le nazioni che forniscono i dati differenziati per sesso, solo l’India e il Pakistan mostrano una proporzione lievemente più alta nelle donne decedute per COVID-19, con un rapporto M/F pari a 0,9.

Diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 in donne e uomini

Più incerta è la situazione sulle differenze di sesso e genere per quanto riguarda i casi diagnosticati. I dati disponibili non sono sufficienti per trarre una conclusione sui tassi di infezione suddivisi per sesso, almeno fino a quando non conosceremo la percentuale di persone di ciascun sesso che si sono sottoposte al tampone. In Italia, come in altri Paesi, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo e Danimarca è stata riportata una maggiore percentuale di casi tra le donne. In altri, come Singapore, Pakistan e India, l’infezione sembra essere molto più frequente nei maschi.

In Italia, come in altri Paesi, la maggior parte degli operatori sanitari infetti è donna

Un dato italiano molto importante è quello dei casi di infezione tra gli operatori sanitari, ad oggi infatti il 69% degli operatori infetti è donna. Altre nazioni, come Stati Uniti, Spagna e Gremania riportano dati simili (73%, 72% e 75% rispettivamente). Questo dato potrebbe essere giustificato dalla più alta percentuale di donne in questa categoria professionale ma saranno necessari ulteriori studi per poter giungere a delle conclusioni più certe.

Perché i dati disaggregati per sesso sono importanti

Conoscere le reali differenze di sesso e genere in termini di incidenza e letalità rappresenta il primo passo per investigare i meccanismi biologici e/o sociali alla base di queste differenze al fine di identificare strategie preventive e bersagli terapeutici specifici per uomini e donne. Politiche di intervento che prendano in considerazione le esigenze delle donne che lavorano in prima linea, per esempio come operatrici sanitarie, potrebbero aiutare a prevenire i più alti tassi di infezione che vediamo nel sesso femminile in questa fascia di popolazione. Inoltre, uomini e donne tendono a reagire in modo diverso ai potenziali vaccini e trattamenti, quindi avere accesso a dati disaggregati per sesso risulterebbe fondamentale per condurre studi clinici più appropriati. Tenere quindi in considerazione il sesso e il genere in relazione alla salute non deve essere considerata una componente aggiuntiva ed opzionale, ma un aspetto necessario a garantire efficacia ed equità ai sistemi sanitari di ogni Paese.

Risorse utili

Fonte: EPICENTRO aggiornamento al 25 aprile 2020




Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP




A proposito dell’intervista a Luc Montagnier

Giovanni Di GuardoDi recente è stata diffusa un’intervista al virologo francese Luc Montagnier (premio Nobel per la medicina nel 2008) sull’origine del VIRUS SARS-CoV-2 che ha destato molto stupore nell’opinione pubblica. Su tale intervento ci sono pervenuti alcuni commenti del prof. Giovanni Di Guardo, che volentieri ospitiamo:

Il professor Luc Montagnier è senza dubbio un Grande della Medicina, come dimostra il Premio Nobel di cui e’ stato insignito nel 2008 (che tuttavia, a onor del vero, avrebbe dovuto condividere con Robert Gallo, co-scopritore del virus dell’Aids, HIV), ma da qui a dire che le Sue “certezze” siano quelle della Comunità Scientifica, che di prove sull’origine naturale di SARS-CoV-2 ne ha gia’ fornite parecchie (si veda, in proposito, l’autorevole studio recentemente pubblicato su Nature Medicine), ce ne corre davvero tanto…..(e c’è chi, come il professor Clerici, ha gia’ preconizzato, sulle pagine dell’autorevole Journal of Virology, la comparsa di SARS-CoV-3, anch’esso di origine naturale!).

Quanto sopra anche alla luce delle pregresse, fondamentali evidenze scientifiche sulla cui scorta anche SARS-CoV e MERS-CoV, i due “illustri” predecessori di SARS-CoV-2, avrebbero avuto anch’essi un’origine naturale! La Storia della Medicina (Historia Magistra Vitae!) ci ha fornito nel tempo molti esempi di virus (e, più in generale, di agenti patogeni) capaci di effettuare il fatidico “salto di specie” uomo-animale, a tal punto che oltre il 70% degli agenti responsabili delle cd “malattie infettive emergenti” riconoscerebbero un comprovato o sospetto “serbatoio animale”……e, chissà quali e quante sorprese ci riserverà il futuro, andando avanti di questo passo (incremento demografico, deforestazione, riscaldamento globale, crescente contaminazione da composti chimici e plastiche a livello globale, etc. etc.).

Dobbiamo stare pronti (Estote Parati!), come professioni sanitarie e come professionisti sanitari, a tutti i livelli, incrementando (ed, in una serie di casi, pure attivando!) una quantomai ampia ed intensa collaborazione interdisciplinare (nel segno di “One Health”, che spesso appare ai miei occhi più uno “slogan” piuttosto che un sano e salvifico concetto e principio al quale ispirare e ricondurre costantemente i nostri comportamenti e le nostre azioni in ambito di sanità pubblica!).

Un’ultima considerazione in merito ai singolari contenuti dell’intervista rilasciata da Luc Montagnier (sul ruolo dell’inquinamento elettromagnetico preferirei sorvolare, visto che epidemie e pandemie esistono “dalla notte dei tempi”!): quale folle mente utilizzerebbe un “backbone coronavirale” per mettere a punto un eventuale vaccino nei confronti di HIV (virus notoriamente assai mutevole peraltro, anche nel corso di una singola infezione in un singolo individuo!) quando esistono vettori virali di espressione (vedi Adenovirus, per esempio) ben più innocui?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria




Di Guardo: Spagnola e Covid, un confronto sbagliato

Con una lettera al Direttore di quotidianosanità.it, il Prof. Giovanni Di Guardo – Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria,  Università di Teramo, Facoltà di Medicina Veterinaria – propone una riflessione sulla correttezza dei parallelismi e confronti che spesso vengono proposti fra COVID-19 e influenza Spagnola e le pandemie causate rispettivamente dalla circolazione dei virus  SARS-CoV-2 e IAV-H1N1, a partire dall’esistenza di terapie antibiotiche, del tutto assenti nel caso dell’influenza spagnola, disponibili per curare le complicanze dovute a batteri d’irruzione secondaria.

Sarebbe interessante, purtuttavia – afferma Di Guardo – acquisire dati affidabili in merito alla reale prevalenza delle complicanze settiche nei pazienti CoViD-19-affetti, al precipuo fine di poter stabilire quale sia stato l’effettivo ruolo svolto dai batteri d’irruzione secondaria negli oltre 880.000 casi di malattia ad esito letale ufficialmente accertati su scala globale.

Alle succitate opzioni terapeutiche oggigiorno disponibili per gli individui SARS-CoV-2-infetti colpiti da sindromi respiratorie complicate da germi d’irruzione secondaria fa da “contraltare”, infatti, l’allarmante escalation delle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, responsabili di almeno 10.000 decessi su base annua in Italia, fattispecie quest’ultima che “conferisce” al nostro Paese un triste primato per tale parametro nel Vecchio Continente”.




1° bollettino di aggiornamento bibliografico dell’ISS

issL’ISS ha dato il via lla pubblicazione di un bollettino di aggiornamento bibliografico a cura del Gruppo di lavoro ISS “Aggiornamento scientifico COVID-19”. Si tratta di uno strumento di documentazione indirizzato agli operatori sanitari, basato sulla breve recensione di articoli scientifici internazionali che aiutano a descrivere la complessità e gli aspetti trasversali che l’epidemia COVID19 (o Sars-CoV-2) sta ponendo alla sanità pubblica.

Il documento si compone di schede riassuntive che descrivono obiettivi, risultati, metodologia e rilevanza degli llo studio nonchè il link agli studi originali che vengono raggruppati per aree tematiche:

-Comunicazione e formazione
-Diagnosi di laboratorio
-Epidemiologia
-Infection control
-Patologia e clinica
-Preparedness
-Tecnologie a supporto
-Altro

A cura dell segreteria SIMeVeP