Covid e varianti: i pericoli per l’uomo e gli animali

Nell’ottica dell’approccio “One Health” sarebbe molto importante, in tema di varianti di SARS-CoV-2, analizzare non solo le “variants of concern” (VOC) di SARS-CoV-2 capaci di infettare l’uomo, ma anche le dinamiche d’interazione di ciascuna di esse con le diverse specie animali domestiche e selvatiche.

Ciò al fine di caratterizzarne i rispettivi gradi di suscettibilità (o di resistenza) nei confronti del virus e, cosa ancor più rilevante, l’eventuale capacità da parte delle varianti di consentire lo sviluppo e la conseguente propagazione di ulteriori nuove “VOC” di SARS-CoV-2, come  accaduto negli allevamenti di visoni olandesi e danesi dove questi animali avrebbero acquisito l’infezione dall’uomo (leggasi allevatori di visoni), dando luogo a una serie di eventi mutazionali a seguito dei quali si sarebbe selezionata la variante denominata “cluster 5” e contraddistinta dalla mutazione Y453F, che il visone avrebbe di lì a breve “restituito” all’uomo: un chiaro esempio di “spillover” versus “spillback”, cioè di “zoonosi inversa” o “antropozoonosi” versus “zoonosi”.

Ne ha scritto il Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, in un articolo per saperescienza.it

 

 




Studiare gli effetti di propagazione dei patogeni dagli animali agli esseri umani

zoonosiGli scienziati di tutto il mondo stanno facendo a gara per chiarire gli effetti di propagazione, ovvero quando la diffusione delle malattie si verifica tra comunità animali ed esseri umani. Questa ricerca potrebbe contribuire a una migliore protezione contro malattie future.

Come ha mostrato la pandemia di COVID-19, le malattie infettive hanno il potere di alterare il nostro stile di vita. Uno dei principali meccanismi di fondo che gli scienziati stanno tentando di comprendere è l’effetto di propagazione, vale a dire quando e come avviene la trasmissione di patogeni tra specie, passando dagli animali agli esseri umani. Questo fenomeno si verifica molto in natura, ma la sua velocità si è drasticamente impennata negli ultimi decenni. Gran parte di tale incremento è attribuibile all’invasione e al danneggiamento degli habitat animali a livello mondiale da parte degli esseri umani, ad esempio, tramite l’ampliamento delle aree agricole in regioni densamente boscose e remote. Il più recente e drammatico esempio è rappresentato dal salto di specie del virus SARS-CoV-2 da un serbatoio animale agli esseri umani, comportando l’affermarsi della devastante pandemia di COVID-19. Ulteriori esempi riguardano il virus dell’HIV e dell’Ebola. «È evidente che esiste un rischio costante di nuove malattie infettive emergenti nel prossimo futuro. Per cercare di arginare il salto di specie dei patogeni, si dimostra determinante comprendere i meccanismi biologici che trainano la propagazione», spiega Benny Borremans, ecologista delle malattie presso l’Università della California di Los Angeles, partner del progetto. Questo era l’obiettivo del progetto SpiL, finanziato dall’UE. Il progetto SpiL ha esaminato una serie di dati formidabile relativa alla diffusione della Leptospira, un patogeno batterico che provoca la leptospirosi tra popolazioni di leoni marini della California e di volpi delle Channel Islands. «Il progetto ha effettuato una sintesi di concetti e casi di studio provenienti dalla letteratura in materia per l’elaborazione di una nuova teoria sulla propagazione dei patogeni tra ecosistemi», afferma Borremans, responsabile della ricerca del progetto SpiL nonché borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie.

Progressi scientifici

Il primo importante risultato affronta un problema diffuso quando si tratta di studiare la diffusione di una malattia in una popolazione, per cui è difficile conoscere il momento esatto in cui una persona si è contagiata, in particolare nelle popolazioni animali. Un nuovo e promettente approccio misura il decadimento nei biomarcatori di infezione, tra cui gli anticorpi o la presenza di materiale genetico del patogeno. Ciò permette ai ricercatori di calcolare in maniera retrospettiva il verificarsi dell’infezione. «Questo tipo di analisi è stato tradizionalmente condotto solo tramite dati di infezione sperimentali. Un grande passo in avanti compiuto dal nostro operato è stato permettere l’esclusivo utilizzo di dati sul campo», spiega Niel Hens, professore di biostatistica presso l’Università di Hasselt, in Belgio, e coordinatore del progetto SpiL. Una nuova analisi statistica creata dal gruppo del progetto ha consentito l’integrazione di biomarcatori differenti, migliorando il calcolo retrospettivo del momento in cui avviene l’infezione. «Questo metodo costituisce un importante passo in avanti in questo ambito», aggiunge Hens. Questa attività ha fornito un vantaggio immediato per la comprensione della risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della COVID-19. Uno studio di risposta rapida, condotto da Borremans, è stato pubblicato sulla rivista eLife. Un secondo fondamentale risultato è stato lo sviluppo di una nuova teoria sulla propagazione. Il concetto che l’incontro di diversi ecosistemi si traduca nella propagazione è in circolazione da un po’ di tempo, ma i progressi teorici in merito si rivelano carenti. «Tramite la sintesi della letteratura in materia, abbiamo promosso nuovi concetti sulla propagazione dei patogeni in prossimità dei confini tra ecosistemi», afferma Jamie Lloyd-Smith, professore di ecologia e coordinatore delle attività del progetto svolte presso l’Università della California. I risultati potrebbero trovare un impiego immediato nella prevenzione degli effetti da propagazione. «Riteniamo che, sebbene siano molti i motivi per aspettarsi effettivamente velocità di propagazione più elevate ai confini tra ecosistemi, esistono anche meccanismi che riducono le velocità di propagazione», spiega Lloyd-Smith.

Ricerca futura

Al fine di evitare l’insorgenza di pandemie future e di comprendere davvero la propagazione, gli scienziati dovranno istituire una rete globale di indagine volta al monitoraggio continuo dei campioni presenti nella fauna selvatica e negli esseri umani. «Al centro di molti di questi tentativi si pongono i metodi di modellizzazione quantitativa, come quelli elaborati durante il progetto SpiL», afferma Borremans.

Fonte: Commissione Europea




CoViD-19 e BSE. God save the Queen

Giovanni Di Guardo, già Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso l’Università di Teramo, torna sulle analogie tra CoViD-19 e BSE indagate recentemente insieme a Cristina Casalone dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte
Liguria e Valle d’Aosta nel contributo CoViD-19 e mucca pazza, cosi’ diversi eppure cosi’ uguali, pubblicato anche su questo sito.

A fronte delle colossali differenze esistenti fra le due malattie (a cominciare dagli agenti patogeni che ne sono responsabili) si aggiungono, fra le similitudini, “le “varianti” descritte nei nostri consimili britannici, mentre svettano su tutte le altre il “principio di precauzione” ed il concetto di “Salute Unica” (alias “One Health”), che hanno rispettivamente caratterizzato la gestione (principio di precauzione) ed alla cui luce sarebbe “cosa buona e giusta” leggere sia l’origine che l’evoluzione della BSE, così come della CoViD-19 e di tutte le altre “malattie infettive emergenti” (One Health).

La genesi di queste ultime riconoscerebbe infatti, in almeno il 70% dei casi, l’intervento di uno o più “serbatoi animali”, dai quali l’agente infettivo in questione sarebbe in grado di attuare il cosiddetto “salto di specie” (alias “spillover”), accasandosi quindi nella nostra specie, al pari di quanto già avvenuto per i due coronavirus responsabili della SARS e della MERS e, con ogni probabilità, anche per SARS-CoV-2, il famigerato coronavirus responsabile della CoViD-19.

Ennesima testimonianza del legame che indissolubilmente unisce fra loro salute umana, animale ed ambientale, in ossequio all’intramontabile ed olistico concetto di “Salute Unica”, alias “One Health”!

Leggi il contributo integrale pubblicato su quotidianosanita.it




Il Festival della canzone e il CoViD-19

Proponiamo la lettura dell’articolo “Il Festival della canzone e il CoViD-19” pubblicato su La Città del 27 febbraio 2021, di Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo.

Il professore si interroga in particolare sul ruolo dell’edizione 2020 del festival quale possibile “evento di super-diffusione” del virus, in un momento in cui  – pur non essendo stato ancora individuato il “cosidetto paziente 1”, ma essendo già stata riscontrata la positività al Covid-19 in due turisti cinesi presi in cura all’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma- il virus circolava nel nostro paese.

Leggi l’articolo




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




SARS-CoV-2: trovati virus correlati in pipistrelli e pangolini nel sud est asiatico

covid-19Si chiama RacCS203, è un coronavirus correlato a SARS-CoV-2 ed è stato rilevato in alcuni pipistrelli e pangolini nella Thailandia orientale e apre nuove possibili interpretazioni in merito alle origini della pandemia in corso.

Pubblicata sulla rivista Nature Communications, questa scoperta è il frutto di una ricerca condotta dagli esperti della Duke NUS Graduate Medical School, a Singapore, che hanno analizzato esemplari di pipistrelli e pangolini in Thailandia.

Le origini di SARS-CoV-2 e il ruolo degli ospiti animali intermedi non sono stati ancora completamente determinati – afferma Lin-Fa Wang della Duke NUS Graduate Medical School – studi precedenti avevano identificato una corrispondenza del 96 e del 93,6 per cento nelle sequenze genomiche tra due coronavirus trovati in pipistrelli cinesi e SARS-CoV-2, il che aveva contribuito ad alimentare le ipotesi sull’origine animale dell’agente patogeno”.

Il team ha isolato dalla specie di pipistrelli Rhinolophus acuminatus, situati in una grotta artificiale in Thailandia, il virus RacCS203, che mostra una somiglianza genomica del 91,5 per cento con SARS-CoV-2.

Coronavirus correlati all’agente patogeno umano sono stati segnalati anche in campioni di pipistrelli in Giappone e pangolini in Cina – precisa l’esperto – ma l’epidemiologia e la storia del salto inter-specie del nuovo coronavirus non è stata ancora del tutto stabilita”.

L’analisi della sequenza del dominio di legame del recettore della proteina Spike – aggiunge il ricercatore – suggerisce che RacCS203 non è in grado di utilizzare il recettore ACE-2 umano per entrare nelle cellule ospiti. Nella popolazione di pipistrelli della grotta thailandese e in un pangolino del sud della regione sono stati inoltre rilevati anticorpi neutralizzanti per SARS CoV-2, il che fornisce prove della circolazione nel sud-est asiatico dei coronavirus correlati all’agente patogeno responsabile della pandemia attuale”.

Gli autori ipotizzano che i coronavirus correlati a SARS-CoV-2 possano essere presenti nei pipistrelli in molte nazioni e regioni dell’Asia.

Sebbene questo studio non contribuisca all’individuazione delle origini del nuovo coronavirus – conclude Wang – la nostra ricerca estende l’area di rilevazione di coronavirus associati a SARS-CoV-2 a una distanza di circa 4.800 km”.




COVID-19: studi e riflessioni dell’epidemiologia italiana nel primo semestre della pandemia

Sul sito di Epidemiologia & Prevenzione è disponibile in formato open access il secondo blocco di articoli della monografia fortemente voluta dagli epidemiologi italiani per documentare i lavori prodotti durante la fase iniziale della pandemia di COVID-19.

Dopo gli editoriali e i lavori dei Gruppi AIE, e dopo gli articoli della sezione SORVEGLIANZA, è ora la volta della sezione METODI e della sezione AMBIENTE, in quest’ultima segnaliamo due articoli di grande interesse per chi studia la relazione tra inquinamento atmosferico e COVID-19.

A distanza di pochi giorni, e con cadenza costante, seguirà la pubblicazione di tutti gli articoli che ora vedete elencati nell’indice, dedicati agli studi di mortalità, ai test sierologici, alle condizioni di lavoro, alla salute materno-infantile, ai fattori di rischio, all’epidemiologia clinica, alle conseguenze sul nostro SSN, alle diseguaglianze e alle differenze di genere, senza tralasciare uno sforzo per capire cosa  avviene in altri continenti.

 




Cambiamenti climatici, trasmessa a Bruxelles la strategia nazionale di lungo periodo

Bandiera Unione EuropeaIl documento individua le azioni per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Costa: “Italia in prima linea per raggiungere i target di Parigi”

Riduzione della domanda di energia, grazie soprattutto al calo della mobilità privata e dei consumi in ambito civile. Decisa accelerazione delle rinnovabili e della produzione di idrogeno. Potenziamento e miglioramento delle superfici verdi, per aumentare la capacità di assorbimento di CO2. Sono le tre direttrici fondamentali della Strategia Nazionale di lungo periodo, che il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla Commissione Europea.

La strategia è stata elaborata nell’ambito degli impegni dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che invita i Paesi firmatari a comunicare entro il 2020 le proprie “Strategie di sviluppo a basse emissioni di gas serra di lungo periodo” al 2050.

“L’Italia – ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – con l’elaborazione di questa Strategia si conferma fra i paesi più attivi e motivati per il raggiungimento del target della Cop 21, che è quello di mantenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5/2 gradi. Siamo consapevoli che per raggiungere la cosiddetta neutralità climatica entro 30 anni saranno necessarie scelte coraggiose e profondi cambiamenti nel tessuto socio-economico come nei nostri stili di vita. Ma la sfida climatica è la sfida strategica per il futuro dell’umanità e non possiamo permetterci di perderla”.

La Strategia nazionale di lungo termine individua i possibili percorsi per raggiungere, nel nostro Paese, al 2050, una condizione di “neutralità climatica”, nella quale le residue emissioni di gas a effetto serra sono compensate dagli assorbimenti di CO2. Un obiettivo in linea con quello indicato dalla Presidente della Commissione UE Commissione Ursula Von der Leyen, nella sua Comunicazione sul Green Deal europeo, ha tracciato una strategia di crescita verso “un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra”.

La strategia prende le mosse dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che indica il percorso fino al 2030, “trascinando” fino al 2050 le conseguenti tendenze energetico-ambientali virtuose. Vengono quindi individuate le tipologie di leve attivabili per raggiungere al 2050 la neutralità climatica: una riduzione spinta della domanda di energia, legata in particolare ad un calo dei consumi per la mobilità privata e dei consumi del settore civile; un cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili (FER), coniugato ad una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento degli assorbimenti garantiti dalle superfici forestali (compresi i suoli forestali) ottenuti attraverso la gestione sostenibile, il ripristino delle superfici degradate e interventi di rimboschimento.

L’intervento, incisivo, su queste tre leve si renderà necessario perché il mero “trascinamento” delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target fissato per il 2050.

È necessario, perciò, prevedere un sostanziale cambio del “paradigma energetico italiano” che, inevitabilmente, passa per investimenti e scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini. E’ una trasformazione importante e radicale come quella prospettata dalla Strategia di lungo periodo che dovrà permeare tutte le politiche pubbliche, in un percorso di ampia condivisione. Primi passi in tal senso sono stati effettuati con la trasformazione del CIPE, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, in CIPESS, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile e con l’avvio del Green Deal.

Per chiudere il gap emissivo e arrivare alla neutralità climatica saranno necessarie scelte politiche a elevato impatto sociale ed economico, tecnologie ancora non pronte in parte perseguibili solo su base europea, nonché una condivisione a livello internazionale del processo di decarbonizzazione. Per tenere conto degli sviluppi su tutti questi fronti, ferme restando le tendenze di fondo individuate, la Strategia, elaborata in linea con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) deve essere considerata uno strumento “dinamico”, che avremo modo di aggiornare e integrare, anche per tenere pienamente conto dei processi di revisione degli obbiettivi energetico-ambientali nazionali attualmente in corso a livello europeo, e delle scelte conseguenti che si faranno per un rilancio economico in chiave sostenibile con il Piano per la Ripresa e la Resilienza.

La Strategia Nazionale di lungo periodo è consultabile al seguente link. Sono inoltre consultabili i seguenti allegati: Allegato 1 – Dettagli della Consultazione PubblicaAllegato 2 – Dettagli sulle tecnologie di decarbonizzazione.

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare




Conclusa indagine OMS a Wuhan: i dati conducono a origine animale di SARS-CoV-2

Tutti i dati che abbiamo raccolto sin qui ci portano a concludere che l’origine del coronavirus è animale”. Lo ha detto il capo della missione dell’Oms a Wuhan, Peter Ben Embarek, in una conferenza stampa nella città cinese, primo focolaio del coronavirus.

Il lavoro sul campo su quello che è successo all’inizio della pandemia di coronavirus non ha stravolto le convinzioni che avevamo prima di cominciare”, ha detto ancora il ricercatore.

Della stessa opinione anche il professor Lian Wannian, a capo della delegazione di 17 esperti cinesi che ha affiancato la missione dell’Oms.

Le ricerche effettuate sul coronavirus sin qui suggeriscono che abbia un’origine “animale” ma non è chiaro quale sia l’esemplare “ospite” ha detto sottolineando che “pipistrelli e pangolini sono i più probabili candidati alla trasmissione, ma i campioni di coronavirus trovati in quelle specie non sono identici al Sars-CoV-2”.

Non ci sono tracce sostanziali della diffusione del coronavirus in Cina prima della fine del 2019. E non ci sono prove che circolasse a Wuhan prima del dicembre del 2019”, ha detto il professor Lian Wannian.

Molti casi di contagio sono «stati rilevati nella seconda metà di dicembre. Dal punto di vista epidemiologico il virus è stato trovato al mercato del pesce Huanan, ma altri casi in altri mercati. Non è possibile concludere che il virus sia arrivato per primo al mercato Huanan».

«L’ipotesi della fuga dal laboratorio del coronavirus è estremamente improbabile». lo ha detto il capo missione dell’Oms a Wuhan, Peter Ben Embarek. Il capo missione dell’Oms ha anche sottolineato che raccomandazione per il futuro è di non continuare «le ricerche» nella direzione di una fuga del Codi dal laboratorio di Wuhan.

Sappiamo che il virus può sopravvivere nei cibi surgelati, ma non sappiamo ancora se da questi si può trasmettere all’uomo. Su questo servono più ricerche”. Ha detto Peter Ben Embarek. “L’ipotesi che il Covid attraverso il commercio di prodotti surgelati è possibile ma molto lavoro deve essere ancora fatto in questo ambito”, ha aggiunto.

Il lavoro congiunto in Cina del team di esperti dell’Oms e di Pechino “è terminato” e ora il lavoro di tracciamento dell’origine del Covid-19 procederà nel resto del mondo e “non sarà vincolato ad alcuna località”, ha affermato Lian Wannian che ha anche aggiunto che la Cina sosteniene “il lavoro e l’azione dell’Oms”.

La notizia sul sito dell’Onu (in inglese)

Il video della conferenza stampa (in inglese)




CoViD-19, influenza e morbillo, una salvifica alleanza fra vaccini

A pochi giorni dall’avvio della campagna vaccinale in Italia, che dovrebbe auspicabilmente portare all’immunità di gregge nei confronti di  SARS-CoV-2 entro al fine del 2021, il Prof. Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, con  una lettera al Direttore pubblicata su Quotidiano Sanità, invita a riflettere sulla contestuale importanza della vaccinazione anti-influenzale “di massa” e dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo.

Recentemente sulle pagine della prestigiosa Rivista Science, è stato descritto il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace d’indurre una singolare condizione di “amnesia immunitaria” nei pazienti infetti. Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo “si dimenticherà”, per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere “incontrato” in precedenza a seguito di un’infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.

Conclude Di Guardo

“Proviamo ad immaginare, per un solo istante, quale “catastrofe” potrebbe avere origine dal “ritorno” del morbillo in un contesto d’immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale nei confronti della CoViD-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!”