Per evitare future pandemie occorre tutelare il benessere animale e la natura

“Potremmo essere tentati di pensare che la pandemia di Covid-19 sia ormai storia. Ma la storia ci insegna che il Covid-19 non sarà l’ultima pandemia. La domanda che tutti dobbiamo affrontare è se saremo pronti quando arriverà il prossimo. In qualità di leader, abbiamo la responsabilità collettiva di assicurarci di essere pronti”. Con queste parole il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è intervenuto alla riunione di alto livello dell’Onu su prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie del 20 settembre, durante il quale è stata adottata una dichiarazione politica per affrontare le future crisi pandemiche.

Quando facciamo riferimento alla pandemia di Sars-Cov-2, virus responsabile della malattia Covid-19, dobbiamo ricordare che non si è trattato di un fenomeno del tutto inaspettato. La comunità scientifica ci aveva avvisato sullo stretto legame che esiste tra insorgenza di nuove malattie e la distruzione della natura, ma non le abbiamo dato e ascolto e, a di stanza di qualche anno, possiamo dire che l’atteggiamento nel post-pandemia non è poi così diverso da quello pre-pandemia.

L’attività antropica continua infatti a invadere gli ecosistemi e a distruggere i preziosi equilibri tra esseri umani e natura che si sono generati nel corso dei millenni, basti pensare che oggi i tre quarti delle terre emerse e i due terzi degli oceani sono stati modificati in modo significativo. Di questo passo, il futuro potrebbe essere segnato da nuove malattie infettive che, va ricordato, non solo minacciano la salute umana, ma contribuiscono ad accelerare il tasso di estinzione naturale delle specie e hanno pesanti ricadute sulla conservazione della biodiversità.

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Fonte: asvis.it – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile




Il Nobel per la medicina Katalin Karikó racconta come si è arrivati al vaccino contro COVID-19

I ricercatori spesso si affannano per anni in un laboratorio senza alcuna promessa che la loro ricerca si traduca in qualcosa di significativo per la società. Ma a volte questo lavoro porta a una scoperta con ramificazioni globali. È il caso di Katalin Karikó che, insieme al suo collega Drew Weissman, ha contribuito a sviluppare la tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA) utilizzata per produrre i vaccini COVID altamente efficaci prodotti da Pfizer e Moderna.

Karikó, che ora è vicepresidente senior e responsabile delle terapie sostitutive della proteina basate sull’RNA presso BioNTech (l’azienda che ha co-sviluppato il vaccino COVID con Pfizer), e Weissman, professore di ricerca sui vaccini presso la Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania, hanno appena ricevuto il premio Breakthrough Prize in Life Sciences del valore di tre milioni di dollari per il loro lavoro sulla modifica della molecola genetica RNA per evitare di innescare una risposta immunitaria dannosa. I premi Breakthrough, istituiti da Sergey Brin, Priscilla Chan, Mark Zuckerberg, Yuri e Julia Milner e Anne Wojcicki, premiano le scoperte rivoluzionarie nel campo della fisica fondamentale, delle scienze della vita e della matematica. (All’inizio del 2021 Karikó ha ricevuto il premio Vilcek per l’eccellenza nella biotecnologia, un premio di 100.000 dollari che riconosce gli straordinari contributi degli immigrati alla società e alla cultura) Karikó ha dedicato anni a questa ricerca nonostante lo scetticismo e la mancanza di fondi. Alla fine, però, i suoi sforzi sono stati ripagati: ha gettato le basi per i vaccini estremamente efficaci che sono probabilmente la via d’uscita più sicura al mondo dalla pandemia COVID.
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Fonte: lescienze.it



Influenza aviaria: le autorità sanitarie europee raccomandano maggiore protezione delle aziende avicole dagli uccelli selvatici

 Mentre la situazione nel pollame si è attenuata durante l’estate, il virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) ha continuato a colpire gli uccelli selvatici, in particolare gli uccelli acquatici marini in Europa, per lo più lungo le coste. Con l’inizio della stagione migratoria autunnale, si prevede un aumento dei casi anche in altre specie selvatiche come gli anatidi e le autorità sanitarie ritengono prioritario aumentare la protezione del pollame e di altri animali d’allevamento dagli uccelli selvatici; la biosicurezza dovrebbe essere rafforzata anche negli allevamenti di animali da pelliccia.

Secondo l’ultimo Rapporto sull’influenza aviaria dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e del Laboratorio di referenza europeo (EURL) presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), nel periodo tra il 24 giugno e il 1° settembre 2023 sono stati segnalati 507 focolai di HPAI nei volatili domestici (25) e selvatici (482) in 21 paesi europei.

I carnivori selvatici e domestici continuano ad essere le specie di mammiferi più colpite, con la Finlandia che ha registrato 26 focolai in allevamenti di visoni americani, volpi rosse e artiche, e cane procione. Le autorità locali ritengono che la fonte più probabile di introduzione virale sia da attribuire al contatto con i gabbiani selvatici, ma la trasmissione tra aziende agricole non può essere completamente esclusa. La trasmissione all’interno delle aziende si è verificata attraverso il contatto con alcuni animali che non presentavano segni clinici di infezione.

Nel report si raccomanda anche di evitare l’esposizione dei cani e dei gatti domestici, e in generale degli animali carnivori, ad animali morti o malati (mammiferi e uccelli), e di evitare di somministrare a gatti, cani e altri carnivori domestici frattaglie e carne cruda provenienti da allevamenti non controllati situati in zone in cui è segnalata la circolazione del virus HPAI.

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Fonte: IZS Venezie




Influenza aviaria. L’Ecdc propone test umani mirati nelle aree con epidemie in corso

influenza aviariaUn approccio di sperimentazione ad hoc nelle aree in cui sono in corso focolai di influenza aviaria nel pollame e rilevamenti negli uccelli selvatici e in altri animali, per puntare i riflettori su malattie respiratorie gravi o neurologiche inspiegabili.

È quanto propone l’Ecdc, in una relazione tecnica pubblicata oggi, ricordando in ogni modo che “le infezioni umane dovute all’influenza aviaria rimangono un evento raro”. Il rischio di infezione da virus dell’influenza aviaria H5 attualmente circolanti in Europa è infatti valutato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie come basso per la popolazione generale dell’Ue/See. Il rischio rimane inoltre da basso a moderato per le persone esposte professionalmente o in altro modo a uccelli o mammiferi infetti (selvatici o domestici); questa valutazione copre diverse situazioni che dipendono dal livello di esposizione

Durante i mesi invernali, spiega l’Ecdc, quando i virus dell’influenza stagionale circolano nella popolazione, gli approcci di test e sottotipizzazione del virus dell’influenza aviaria devono essere proporzionati alla situazione epidemiologica e alle capacità dei laboratori di riferimento.

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Fonte: quotidianosanita.it




Premio Nobel per la Medicina: Alcuni spunti di riflessione

Il premio Nobel per la Medicina, che è stato appena assegnato da una Commissione di Professori del prestigioso Karolinska Institute svedese alla biochimica ungherese Katalin Karikó e all’immunologo statunitense Drew Weissman per la tecnica dell’RNA messaggero (mRNA) messa a punto dagli stessi, mi spinge a fare alcune importanti riflessioni e considerazioni.

Di questa tecnologia, che senza tema di smentita si può definire rivoluzionaria, ha enormemente beneficiato, in primis, la produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19, che ha sinora mietuto oltre 7 milioni di vittime su scala globale. E sono stati proprio i vaccini a mRNA, fin qui somministrati in numero pari a 13 miliardi di dosi e resi disponibili su scala globale a soli 12 mesi di distanza dell’identificazione del virus nella megalopoli cinese di Wuhan – un risultato da iscrivere a pieno titolo nel “guiness dei primati” -, ad avere salvato milioni e milioni di vite umane, garantendo un’efficace protezione sul duplice fronte sia della malattia in forma grave sia dell’exitus da/per/con COVID. Particolarmente degna di nota e’ la grande “duttilità” insita nella tecnica dell’mRNA, che consente un’agevole “riprogrammazione” dei vaccini anzidetti nei confronti di tutte le varianti di SARS-CoV-2 e, soprattutto, di quelle più diffusive, trasmissibili ed immuno-evasive quali ad esempio le “ultimogenite” sottovarianti di “Omicron” rappresentate dalla “Eris” (alias EG.5) e dalla “Pirola” (alias BA.2.86). La manegevolezza di questa tecnologia parimenti offre una serie di promettenti quanto interessanti prospettive d’impiego nella profilassi immunizzante verso agenti patogeni particolarmente mutevoli – anche nel corso di una medesima infezione in un medesimo ospite -, quali ad esempio il plasmodio della malaria, il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e, soprattutto, i virus influenzali.

A fronte di quanto sopra, la tecnologia dell’mRNA e’ stata “partorita” ad opera di Katalin Karikó dopo una “gestazione” quantomai lunga, difficile e complessa, durata ben 30 anni! Migrata nel lontano 1985 dall’Ungheria in USA per frequentare un dottorato di ricerca, la Professoressa Karikó sperimento’ ben presto sulla propria pelle, per numerosi anni consecutivi, una forte “dose di ostracismo” nei confronti dei propri studi in tema di mRNA, che nessuno era disposto a finanziare, cosicché fu tentata più volte dalla volontà di sospendere le sue ricerche in quella direzione. Così fino a quel giorno del 1990 in cui conobbe Drew Weissman, anch’egli in fila alla fotocopiatrice dell’Università della Pennsylvania. Ne scaturi’ un  solido quanto proficuo sodalizio, grazie al quale i due scienziati, dopo anni ed anni d’intenso lavoro, riuscirono ad ottenere una molecola di mRNA in grado di penetrare all’interno delle cellule-ospiti senza suscitare una risposta immunitaria indesiderata. Questo brillante risultato – un assoluto prerequisito rispetto all’utilizzo della tecnologia dell’mRNA nella produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, così come per molte altre potenziali applicazioni della stessa – venne reso possibile grazie alla sostituzione dell’uridina con una molecola ad essa molto vicina, la pseudouridina.

Quella di Katalin Karikó, oltre ad essere la storia di una grande donna di scienza, insignita della più alta onorificenza che mai possa essere conseguita da qualsivoglia ricercatrice o ricercatore, e’ anche e soprattutto la commovente ed entusiasmante storia di chi, per dirla con la celeberrima frase di Vittorio Alfieri, “Volle, e volle sempre, e fortissimamente volle”, che fa il paio con l’altrettanto famosa espressione “Fortuna Audaces Iuvat”.

Rappresentato altrimenti, a questo fulgido e luminoso ritratto di vita fa da degna cornice una terza e quantomai celebre ed eloquente frase: “Per Aspera ad Astra”!

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 




Long Covid e cortisolo

Gentile Direttore,
sulla prestigiosa Rivista Nature è stato appena pubblicato un interessante articolo a firma di Jon Klein e collaboratori, i quali hanno caratterizzato – anche tramite l’impiego dell’intelligenza artificiale – i profili della risposta immunitaria in individui con “long Covid” rispetto a pazienti non affetti da tale condizione morbosa (1), che su scala globale affliggerebbe almeno il 10% di coloro che abbiano sviluppato una pregressa infezione da SARS-CoV-2 in forma asintomatica, lieve oppure grave (2). I medesimi Autori hanno altresì dimostrato che livelli più bassi di cortisolo sarebbero presenti nei soggetti affetti da “long Covid” (1).

Assolutamente degno di nota, a tal proposito, è il dato secondo cui il betacoronavirus Sars-CoV-2 mostrerebbe un’elevata affinità di legame nei confronti dell’acido linoleico, un acido grasso essenziale. A ciò farebbe seguito una diminuita interazione della proteina “spike” (S) del virus con il recettore ACE2, mentre un intrigante sinergismo di azione farmacologica è stato parimenti descritto fra l’acido linoleico da un lato, e l’antivirale remdesivir dall’altro, con conseguente soppressione della replicazione di Sars-CoV-2 (3).

Come già a suo tempo sottolineato da chi scrive a commento del succitato articolo, la comprovata e forte affinità di legame della proteina S di Sars-CoV-2 con l’acido linoleico (3) conferirebbe notevole plausibilità biologica ai risultati positivi frequentemente ottenuti grazie all’impiego di corticosteroidi (desametasone) nella terapia delle forme gravi di Covid-19 (4). I corticosteroidi – sia naturali sia sintetici – possiedono infatti la ben nota capacità di inibire selettivamente l’attività della fosfolipasi-A2, un enzima-chiave in grado di convertire l’acido linoleico in acido linolenico, reazione quest’ultima che costituisce una tappa di cruciale rilevanza nella sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni, importanti mediatori chimici della risposta infiammatoria derivati dall’acido arachidonico (5).

In considerazione di quanto sopra, appare pertanto verosimile che ai più bassi livelli di cortisolo descritti in pazienti affetti da “long Covid” (1) possa fare seguito una ridotta inibizione di attività della fosfolipasi-A2 in tali individui, con conseguente aumento dell’affinità di legame di Sars-CoV-2 con il recettore ACE2, esitante a sua volta in un’accresciuta replicazione e persistenza virale nei tessuti dell’ospite.

Giovanni Di Guardo,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Bibliografia di riferimento
1) Klein, J., Wood, J., Jaycox, J. et al. Distinguishing features of Long COVID identified through immune profiling. Nature (2023). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06651-y.
2) Altmann, D.M., Whettlock, E.M., Liu, S., Arachchillage, D.J., Boyton, R.J. The immunology of long COVID. Nature Reviews in Immunology (2023). DOI: 10.1038/s41577-023-00904-7.
3) Toelzer, C., Gupta, K., Yadav, S.K.N. et al. Freefatty acid binding pocket in the locked structure of SARS-CoV-2 spike protein.Science 370: 725-730(2020).DOI:10.1126/science.abd3255.
4) Di Guardo, G. SARS-CoV-2-linoleic acid interaction (e.Letter-Letter to the Editor). Science (2020). https://www.science.org/doi/10.1126/science.abd3255#elettersSection.
5) Robbins & Kumar Basic Pathology, 11th Edition. Inflammation Chapter. Elsevier – Health Sciences Division (2022).




Uccelli acquatici selvatici e influenza di tipo A

Ricercatori dell’Università di Bologna e dell’ISPRA collaborano alla redazione di un editoriale che commenta i risultati di recenti ricerche sull’ecologia e sui meccanismi di trasmissione interspecie dei virus influenzali di tipo A.

Tra i virus influenzali attualmente noti, quelli di tipo A circolano sia nell’uomo che in altre specie animali. Grazie alla plasticità del genoma i virus influenzali di tipo A possono acquisire rapidamente mutazioni alla base della trasmissione interspecie (spillover). In tale ambito sono gli uccelli acquatici selvatici a occupare un ruolo centrale in quanto serbatoio naturale del pool genetico virale.

 In particolare, l’influenza A causa nell’uomo epidemie stagionali ricorrenti e periodiche pandemie, come la cosiddetta “influenza suina” legata all’emergenza nel 2009 di un virus riassortante geni di origine animale e umana.
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Fonte: ISPRA



Salmonellosi bovina, manuale di gestione pubblicato sul sito IZSLER

La salmonellosi è una patologia rilevante negli animali, sia per le possibili ripercussioni sanitarie ed economiche, che per i risvolti sulla salute pubblica conseguenti al carattere zoonotico dell’infezione. La salmonellosi dei bovini è anche soggetta a segnalazione all’Autorità competente, la cui gestione era codificata dal Regolamento di Polizia Veterinaria (RPV), oggi abrogato dal DL 136/2022. Permane tuttavia l’obbligo di segnalazione come da Decreto Legislativo 191/2006 che recepisce la Direttiva Zoonosi 99/2003 e prevede per tutte le salmonelle una “sorveglianza” obbligatoria.

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Fonte: IZS LER




Malaria, Hiv e Tbc, si allontana l’obiettivo di eliminarle entro il 2030 a causa di cambiamenti climatici e guerre

Cambiamenti climaticiSi allontana l’obiettivo di eradicare malaria, Hiv e Tubercolosi (Tbc) entro il 2030. Complici lo stop dovuto alla pandemia di Covid-19 nel 2020 e i cambiamenti climatici, i conflitti in corso, le disuguaglianze sempre più profonde e la crescente minaccia ai diritti umani attuali. È quanto emerge dal Rapporto sui risultati 2023 del Global Fund appena pubblicato. “Lavorando fianco a fianco, negli ultimi 20 anni il partenariato del Global Fund ha salvato 59 milioni di vite e, nonostante i diversi risultati senza precedenti raggiunti nel 2022, non raggiungeremo gli obiettivi per il 2030, a meno che non adottiamo misure straordinarie”, ha dichiarato il direttore esecutivo del Global Fund, Peter Sands.

I numeri del 2022

Nel 2022 24,5 milioni di persone hanno ricevuto la terapia antiretrovirale, “un numero senza precedenti” come ricorda il Global Fund in una nota. Ancora, 6,7 milioni di persone sono state trattate per la Tbc e sono state distribuite 219,7 milioni di zanzariere per prevenire la malaria. Nel 2022, i servizi di prevenzione dell’HIV sono aumentati del 22% rispetto al 2021. Il numero di persone diagnosticate e trattate per la tubercolosi è aumentato del 26% e il numero di casi di malaria trattati è aumentato dell’11%.

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Fonte: aboutpharma.com




I cinghiali ungheresi potrebbero salvare i maiali europei dalla peste suina africana

cinghialiEsiste un vaccino già testato con successo sui cinghiali in cattività

Secondo un articolo pubblicato da Horizon: The EU Research & Innovation Magazine, «Il destino di milioni di maiali in Europa potrebbe essere deciso il prossimo inverno in una foresta ungherese. Lì, i ricercatori dell’Ue intendono testare un vaccino contro la peste suina africana sui cinghiali».

La peste suina africana (PSA), è una malattia virale che minaccia i suini selvatici e domestici in tutta Europa. Senza vaccini o cure per la PSA, le epidemie di solito uccidono i suini infetti e spesso provocano abbattimenti di interi allevamenti di maiali per impedire che la malattia si diffonda altrove. I ricercatori stanno individuando dei boschi ungheresi nei quali spargere bocconi-esca arricchiti con un vaccino sperimentale contro la PSA, con l’obiettivo di immunizzare circa 300 cinghiali.

José Manuel Sánchez-Vizcaíno, che insegna salute animale all’Universidad Complutense de Madrid, spiega che «In questo momento, il problema più grande in Europa sono i cinghiali infetti. Se riduciamo la malattia nei cinghiali, probabilmente non avremo bisogno di vaccinare i maiali domestici». Sánchez-Vizcaíno guida il progetto di ricerca VACDIVA che ha prodotto il vaccino sperimentale contro la PSA che rappresenta circa il 90% del costo totale del progetto, che verrà prolungato fino a luglio 2024 rispetto alla data finale originariamente prevista per questo mese.

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Fonte: greenreport.it