Influenza Aviaria – EFSA: 25 paesi UE/SEE interessati

Circa 1 000 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono stati segnalati in 25 Paesi UE/SEE e nel Regno Unito tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, si segnala in un recente rapporto sull’HPAI in Europa.

La maggior parte dei 1 022 rilevamenti – 592 – sono stati segnalati negli allevamenti di pollame, il resto in uccelli selvatici e uccelli in cattività. La maggior parte dei rilevamenti sono stati segnalati dalla Francia tra le anatre.

A causa della continua presenza di virus HPAI negli uccelli selvatici e nell’ambiente, c’è tuttora rischio di ulteriore diffusione, principalmente nelle aree ad alta densità di pollame.

In Russia sono stati segnalati nell’uomo sette casi di infezione da virus A(H5N8) HPAI, con sintomi lievi o nulli, tra addetti del settore pollame.

Il rischio di infezione legato al virus dell’influenza aviaria A(H5N8) rimane molto basso per la popolazione dell’UE/SEE in genere e basso per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Rimane la possibilità che emergano nuovi ceppi con un maggiore potenziale di infettare gli esseri umani, ma a oggi non c’è evidenza di alcuna mutazione nota per il suo potenziale zoonotico.

Maggiori informazioni sulla situazione in Russia si possono reperire nel rapporto pubblicato questa settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Fonte: EFSA




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




COVID-19: studi e riflessioni dell’epidemiologia italiana nel primo semestre della pandemia

Sul sito di Epidemiologia & Prevenzione è disponibile in formato open access il secondo blocco di articoli della monografia fortemente voluta dagli epidemiologi italiani per documentare i lavori prodotti durante la fase iniziale della pandemia di COVID-19.

Dopo gli editoriali e i lavori dei Gruppi AIE, e dopo gli articoli della sezione SORVEGLIANZA, è ora la volta della sezione METODI e della sezione AMBIENTE, in quest’ultima segnaliamo due articoli di grande interesse per chi studia la relazione tra inquinamento atmosferico e COVID-19.

A distanza di pochi giorni, e con cadenza costante, seguirà la pubblicazione di tutti gli articoli che ora vedete elencati nell’indice, dedicati agli studi di mortalità, ai test sierologici, alle condizioni di lavoro, alla salute materno-infantile, ai fattori di rischio, all’epidemiologia clinica, alle conseguenze sul nostro SSN, alle diseguaglianze e alle differenze di genere, senza tralasciare uno sforzo per capire cosa  avviene in altri continenti.

 




Peste suina africana: rischi da allevamenti suini all’aperto

L’EFSA ha valutato il rischio di diffusione della peste suina africana (PSA) negli allevamenti suini all’aperto e ha proposto misure di biosicurezza e controllo per gli allevamenti all’aperto nelle zone dell’UE colpite dalla PSA. 

L’allevamento all’aperto di maiali è comune nell’UE. Non esiste tuttavia una legislazione a livello europeo che categorizzi tale tipo di allevamenti, per cui le informazioni sono limitate, non armonizzate tra loro e da interpretare con attenzione.

Il gruppo di esperti scientifici EFSA sulla salute e il benessere degli animali ha concluso che gli allevamenti di suini all’aperto comportano un rischio notevole di introdurre e diffondere la PSA, ritenendo però che l’installazione di robuste recinzioni singole o di recinzioni doppie in tutti gli allevamenti di suini all’aperto nelle zone dell’UE in cui è presente la PSA potrebbe ridurre tale rischio almeno del 50%.

Inoltre l’attuazione di valutazioni in termini di biosicurezza complete e obiettive in allevamento e l’approvazione di allevamenti suini all’aperto sulla base del rispettivo rischio di biosicurezza ridurrebbero ulteriormente il rischio di introduzione e diffusione della malattia. Le valutazioni effettuate sul sito dell’allevamento sono uno strumento efficace non solo per migliorare la biosicurezza, ma anche per affrontare questioni zootecniche più ampie.

L’EFSA è dell’avviso che le deroghe alle attuali restrizioni sull’allevamento di suini all’aperto nelle zone interessate da PSA possano essere prese in considerazione caso per caso, una volta attuate tali misure e altre misure specifiche di biosicurezza.

Il parere scientifico si basa su evidenze raccolte da enti veterinari nazionali, associazioni di agricoltori e letteratura scientifica. E’ stata effettuata un’elicitazione della conoscenza di esperti (EKE) per classificare gli allevamenti di suini all’aperto in base al loro rischio di introdurre e diffondere la PSA, onde classificare le misure di biosicurezza in base alla loro efficacia, e proporre migliorie in termini di biosicurezza.

Scientific opinion on African swine fever and outdoor farming of pigs

Fonte: EFSA




Covid-19: in Italia la ‘variante inglese’ all’86,7% Il 4,0% dei casi con quella ‘brasiliana’

In Italia al 18 marzo scorso la prevalenza della cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 era del 86,7%, con valori oscillanti tra le singole regioni tra il 63,3% e il 100%. Per quella ‘brasiliana’ la prevalenza era del 4,0% (0%-32,0%), mentre le altre monitorate sono sotto lo 0,5%. La stima viene dalla nuova indagine rapida condotta dall’Iss e dal Ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler, che fa seguito a quelle diffuse nelle scorse settimane da cui era emersa una maggior trasmissibilità per la variante ‘inglese’ del 37%.

Per l’indagine è stato chiesto ai laboratori delle Regioni e Province autonome di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus, secondo le modalità descritte nella circolare del Ministero della Salute dello scorso 17 marzo. Il campione richiesto è stato scelto dalle Regioni/PPAA in maniera casuale fra i campioni positivi garantendo una certa rappresentatività geografica e se possibile per fasce di età diverse. In totale, hanno partecipato all’indagine le 21 Regioni/PPAA e complessivamente 126 laboratori.

Queste le principali riflessioni emerse dalla survey

  • La rilevazione della variante lineage B.1.1.7 (la cosiddetta ‘inglese’) nella totalità delle Regioni/PPAA partecipanti è indicativa di una sua ampia diffusione sul territorio nazionale. La prevalenza nazionale della variante lineage B.1.1.7 stimata nella indagine rapida precedente del 18 febbraio pari a 54% è ora pari a 86.7%.
  • La variante lineage P.1 (la cosiddetta ‘brasiliana’) ha mantenuto una prevalenza pari al 4% (nella precedente era pari a 4.3%); ma nell’indagine precedente era stata segnalata in Umbria, Toscana e Lazio, nell’indagine del 18 marzo anche in Emilia-Romagna e in diminuzione nel numero totale in Umbria e in aumento, invece, nel Lazio.
  • Al fine di contenerne ed attenuarne l’impatto sulla circolazione e sui servizi sanitari è essenziale, mantenendo le misure di mitigazione in tutto il Paese nel contenere e ridurre la diffusione del virus SARS-CoV-2 mantenendo o riportando rapidamente i valori di Rt a valori <1 e l’incidenza a valori in grado di garantire la possibilità del sistematico tracciamento di tutti i casi.
  • Fonte: ISS



Etica e trial dei vaccini anti-COVID, online il Rapporto ISS

vaccinoÈ stato pubblicato il Rapporto ISS COVID-19 “Aspetti di etica nella sperimentazione di vaccini anti-COVID-19”, elaborato del Gruppo di Lavoro “Bioetica COVID-19” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Nel testo si presentano, analizzano e discutono i principali di aspetti di etica riguardanti la sperimentazione clinica di vaccini anti-COVID-19.

La risposta alla pressante richiesta di disponibilità di vaccini su larga scala ha determinato una contrazione dei tempi della sperimentazione di vaccini anti-COVID-19, mantenendo il rispetto dei requisiti previsti per gli studi convenzionali. Ciò è stato possibile grazie all’applicazione di strategie di salvaguardia della sicurezza, che hanno consentito di superare gran parte dei limiti intrinseci dell’accelerazione e supportare l’evidenza scientifica sulla sicurezza. Nel contesto della pandemia occorre evitare ritardi nelle procedure autorizzative, ma è doveroso anche non cedere sul rigore nella metodologia scientifica: è importante arrivare presto, ma è ancor più importante arrivare bene.

Il testo si apre con una panoramica sugli aspetti tecnico-scientifici delle sperimentazioni dei candidati vaccini anti-COVID-19.

Sono poi descritti e analizzati gli aspetti giuridici e regolatori, sia a livello internazionale, sia specifici della nostra nazione, per la sperimentazione di vaccini anti-COVID-19.

Nell’approfondimento sugli aspetti di etica si sottolinea che le sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19 devono essere conformi ai criteri di etica che si applicano a qualsiasi sperimentazione clinica. Tuttavia, nelle emergenze pandemiche l’applicazione di alcuni di tali criteri può essere difficoltosa. Occorre particolare attenzione nel bilanciare la necessità di rigore sia nella metodologia scientifica, sia di rispetto dei criteri di etica: non sono ammesse deroghe né nella scientificità, né nell’eticità. Particolarmente critico è l’uso del placebo. Vale la regola generale che non dovrebbe essere ammesso l’uso del placebo quando è disponibile un prodotto efficace. Deroghe a tale regola sono ammissibili solo entro i limiti stabiliti nei documenti di riferimento, tra cui la Dichiarazione di Helsinki. L’analisi include anche il tema di cosiddetti “challenge studies”, in cui vi è deliberata infezione dei volontari sani partecipanti. Sebbene in alcuni casi eccezionali studi di tale tipo potrebbero essere ammissibili, l’impianto stesso della metodologia suscita perplessità e pare, sotto il profilo etico, non accettabile per la sperimentazione di vaccini anti-COVID-19.

Il Gruppo di Lavoro è coordinato da Carlo Petrini (Direttore dell’Unità di Bioetica e Presidente del Comitato Etico dell’ISS) e include esperti, interni e esterni all’ISS, che coprono molteplici aree disciplinari, oltre la bioetica: sanità pubblica, epidemiologia, medicina clinica, giurisprudenza, biodiritto, scienze infermieristiche, filosofia, pediatria, cure palliative, e altre. Grazie alla molteplicità di competenze, il Gruppo di Lavoro “Bioetica COVID-19” ha prodotto documenti su varie tematiche con implicazioni di etica poste dalla pandemia.

Per la redazione del Rapporto il Gruppo di Lavoro si è avvalso della collaborazione di esperti di varie strutture dell’ISS: il Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci, il Dipartimento di Malattie Infettive, il Servizio di Coordinamento e Supporto alla Ricerca.

L’auspicio è che il Rapporto sia di aiuto a chi programma, valuta, esegue o partecipa a sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19.

Si è, però, adottato uno stile semi-divulgativo, con lo scopo di offrire anche ai cittadini non esperti un testo accessibile per approfondire la tematica.

Il Rapporto è pubblicato mentre si affaccia la disponibilità dei primi vaccini sperimentati a partire dai mesi immediatamente successivi all’inizio della pandemia. Ciò, tuttavia, non rende il Rapporto intempestivo: numerose sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19 proseguiranno e ne verranno avviate nuove, con lo scopo non solo di rendere disponibili un maggior numero di vaccini, ma anche di affrontare le nuove varianti che nel tempo compaiono e si diffondono.

Fonte: ISS




ISS: Come raccogliere e gettare mascherine e guanti monouso

Al lavoro e a casa: tre infografiche a cura dell’Istituto Superiore di Sanità su come smaltire questi rifiuti, anche in caso di positività al virus.

A casa se non sei positivo

A casa se sei positivo

Al lavoro




Parere CNSA – Virus SARS-COV-2 e alimenti

Parere CNSA – Virus SARS-COV-2 e alimenti

A cura di Ministero della Salute, CNSA

Anno 2021

Abstract

In considerazione dell’importanza e attualità dell’argomento e di specifiche richieste di chiarimento avanzate dalla Sezione consultiva delle Associazioni dei consumatori e dei produttori e da altri portatori di interesse, la Sezione Sicurezza Alimentare ha ritenuto opportuno procedere ad un’analisi delle conoscenze attuali in merito al rapporto tra virus e alimenti.

Sulla base degli studi attualmente presenti a livello internazionale, in attesa di possibili modifiche e/o precisazioni successive, si può concludere che non sono presenti evidenze scientifiche che permettano di affermare che il virus SARS-CoV-2 si trasmetta per via alimentare, attraverso gli alimenti crudi o cotti. In condizioni normali, non ci sono ancora prove che gli imballaggi contaminati trasmettano l’infezione e il rischio di contagio del virus SARS-CoV-2 attraverso i materiali, il packaging e le superfici a contatto con gli alimenti appare trascurabile.

Le più importanti misure di prevenzione che i lavoratori dedicati alla distribuzione e vendita degli alimenti devono applicare sono il distanziamento fisico, la buona igiene personale con frequente lavaggio delle mani e l’applicazione delle generali regole per l’igiene degli alimenti.

Ai consumatori si ricorda che nel corso della spesa è bene mantenere la distanza di almeno 1 metro e mezzo tra le persone, sanitizzare il carrello o il cestino, sanitizzare le mani prima e dopo l’utilizzo del carrello o del cestino e/o proteggere le mani con guanti da eliminare in appositi contenitori finita la spesa, oltre che usare la mascherina correttamente indossata tutto il tempo di permanenza al supermercato. A casa, non è necessario disinfettare gli involucri che contengono gli alimenti, ma lavare le mani dopo aver manipolato le confezioni. Mentre le temperature utilizzate per la cottura sono sufficienti per inattivare il coronavirus, le temperature di refrigerazione e congelamento non sembrano causare una riduzione della vitalità del virus. Il lavaggio con solo acqua potabile sembra essere sufficiente per sanificare la frutta e la verdura.

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Fonte: Ministero della Salute




ConVErgence, un progetto europeo per valutare i suini come ospiti potenziali di Coronavirus emergenti

Gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione, in particolare da parte di coronavirus.

In tempi recenti si è registrato un aumento delle malattie infettive emergenti, anche a causa del confine sempre più labile nell’interfaccia tra esseri umani, animali domestici e fauna selvatica. In particolare, gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. Gli animali d’allevamento potrebbero essere infettati sia dalla fauna selvatica che dagli esseri umani e potrebbero fungere da ponte tra questi ospiti, portando all’infezione in modo reciproco.

In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione. Il mantenimento dei virus nelle popolazioni di suini in seguito allo spillover iniziale potrebbe complicare il controllo del patogeno nell’ospite naturale ed alimentare la ricomparsa del virus una volta eliminato. Qualora poi virus simili circolassero naturalmente nelle popolazioni suine, è possibile che lo spillover in questa specie porti alla comparsa di varianti ricombinanti pericolose per gli animali o l’uomo.

L’attuale pandemia di COVID-19 ha confermato che i coronavirus hanno un’alta probabilità di spillover, possono facilmente adattarsi a nuovi ospiti e possono provocare gravi danni nelle popolazioni naïve. In effetti, i coronavirus emergenti sono considerati una delle principali minacce per la salute umana e per la produzione suina in tutto il mondo.

ConVergence, una collaborazione Italia, Paesi Bassi e Regno Unito

Nell’ambito del bando Era-Net ICRAD cofinanziato da Unione Europea  e Stati Membri, è stato finanziato il progetto ConVErgence – Assessing swine as potential hosts for emerging Coronaviruses, allo scopo di indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Il consorzio di ricerca comprende l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe, capofila), l’Erasmus Medical Center di Rotterdam (Paesi Bassi) e l’Università del Sussex (Regno Unito), ognuno finanziato dei rispettivi enti nazionali, il Ministero della Salute Italiano, il Consiglio Inglese per la Ricerca e l’Innovazione (BBRSC) e il Ministero dell’Agricoltura Olandese.

Il progetto europeo ConVErgenze, che vede l’IZSVe come capofila, vuole indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Gli obiettivi del progetto sono: (1) studiare la relazione tra i suini, i pipistrelli e gli esseri umani in diversi sistemi di allevamento; (2) determinare il livello di esposizione dei suini ai CoV noti di pipistrelli e umani misurando la loro risposta anticorpale; (3) individuare l’eventuale circolazione di CoV di pipistrello/uomo nelle popolazioni suine dell’Italia nord-orientale.

Attualmente si conoscono sette specie di Coronavirus (CoV) che infettano gli esseri umani, di cui tre sono endemiche e causano infezioni stagionali simil-influenzali e una è responsabile dell’attuale pandemia. D’altra parte, i coronavirus sono estremamente diversificati e frequenti nei pipistrelli, al punto che la maggior parte delle specie virali presenti nei mammiferi sembra derivare dal pool di CoV dei pipistrelli, eccezione fatta per un grande cluster di virus che raggruppa specie comuni nell’uomo e nel bestiame, compresi i maiali, ma che non è mai stato descritto nei pipistrelli.

Anche se ad oggi non si sa se i coronavirus umani e dei pipistrelli possano infettare i suini, è ipotizzabile che gli animali che hanno un contatto più stretto con i pipistrelli e gli esseri umani abbiano maggiori probabilità di essere esposti ai loro virus e che l’esposizione nel lungo periodo aumenti le possibilità di trasmissione da una specie all’altra.

Comprendere i legami fra suini, pipistrelli e uomo

Gli obiettivi di ConVErgence sono:

  • studiare la relazione tra i suini, i pipistrelli e gli esseri umani in diversi sistemi di allevamento;
  • determinare il livello di esposizione dei suini ai CoV noti di pipistrelli e umani misurando la loro risposta anticorpale;
  • individuare l’eventuale circolazione di CoV di pipistrello/uomo nelle popolazioni suine dell’Italia nord-orientale.

Inoltre, anche sulla base del fatto che la diffusione dei coronavirus è altamente stagionale sia nei pipistrelli che negli esseri umani, i dati di campo raccolti sia dai suini che da popolazioni di chirotteri saranno utilizzati per costruire un modello matematico dello spillover che possa essere utile nell’individuare le situazioni a rischio più elevato. Infine, nel caso in cui lo studio abbia successo nell’identificazione di nuovi CoV, di nuove varianti o di virus associati a nuovi ospiti, si procederà alla caratterizzazione del loro genoma e alla valutazione dell’adattamento nel suino e nell’uomo, della loro capacità di causare danni al nuovo ospite e del potenziale di infettare altre specie.

ConVErgence utilizzerà tecnologie all’avanguardia e professionalità provenienti da diversi campi, tra cui medicina veterinaria, ecologia, virologia, epidemiologia e modelli matematici, sfruttando l’esperienza dei diversi partner inclusi nel consorzio.

Fonte: IZS Venezie




Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI