Un raro focolaio causato da un patogeno emergente: cruciale la collaborazione interdisciplinare

Lo Streptococcus equi subsp. zooepidemicus, che causa raramente malattia negli esseri umani, è stato al centro di un focolaio che tra il 2021 e il 2022 ha colpito 37 pazienti. Metodiche analitiche avanzate e multidisciplinarietà sono state la chiave nell’individuare l’origine dell’infezione e nell’attuare misure preventive

Tra il novembre 2021 e il maggio 2022, l’Italia ha assistito a un focolaio di una infezione da Streptococcus equi subsp. zooepidemicus (SEZ), che ha coinvolto un totale di 37 casi clinici nella regione centrale del Paese, provocando la morte di cinque pazienti per meningite. Si tratta di un evento molto raro, causato da un batterio che colpisce principalmente cavalli e altri animali, come bovini, suini, capre, pecore e cani, ma che in alcuni casi può infettare anche gli esseri umani causando diverse patologie, tra cui meningite, sepsi e artrite.

Di fronte a questa emergenza, iniziata con 18 casi, le Autorità sanitarie avevano creato una task force interdisciplinare che ha visto in prima linea l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in una collaborazione che ha coinvolto medici, veterinari, epidemiologi e microbiologi. Come riportato in un lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, le ricerche coordinate hanno permesso di individuare altri 19 pazienti colpiti dal microrganismo e di identificare rapidamente la sorgente di infezione.

“SEZ – spiega Alexandra Chiaverini, Igiene e Tecnologie degli Alimenti, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, corresponding author del lavoro – è un batterio che può infettare animali domestici e animali da compagnia. L’infezione umana, rara, avviene generalmente attraverso il contatto diretto con animali infetti o mediante il consumo di latte crudo o prodotti caseari non pastorizzati derivati dagli stessi animali”.

L’identificazione del microrganismo nei pazienti e in alcuni prodotti lattiero-caseari non pastorizzati, unita all’analisi genetica, ha permesso di evidenziare la stretta correlazione tra i ceppi patogeni, e quindi di tracciare con precisione la sorgente dell’infezione. A quel punto le strutture sanitarie coinvolte hanno potuto intervenire rapidamente, bloccando i prodotti potenzialmente contaminati e prevenendo ulteriori casi.

“È stato – aggiunge Chiaverini – un caso molto positivo di stretta collaborazione tra strutture e discipline diverse. Il nostro Istituto è prontamente intervenuto a supporto della medicina umana in quello che definirei un esempio concreto di ‘One Health’, di approccio globale e interdisciplinare ad una patologia”.

Il lavoro scientifico pone l’accento, inoltre, sulla necessità di indagare più a fondo quale sia la situazione dello Streptococcus equi subsp. zooepidemicus a livello nazionale. “Il prossimo obiettivo – conclude la ricercatrice – sarà quello di capire quali sono i possibili rischi associati a SEZ, attraverso un programma di sorveglianza mirato, al fine di salvaguardare la salute pubblica”.

Fonte: IZS Teramo




Nuovo libro bianco dell’OHHLEP sulla prevenzione delle ricadute zoonotiche

La diffusione delle Zoonosi  è riconosciuta come  causa predominante delle malattie infettive emergenti e come responsabile  principale delle recenti pandemie. Il Gruppo multidisciplinare di esperti di alto livello One Health (OHHLEP) ha recentemente pubblicato un documento nel quale si sottolinea  la necessità di ridurre il rischio di insorgenza di malattie zoonotiche  attraverso migliori misure di prevenzione, promuovendo così un approccio più efficiente di contrasto alla diffusione di tali malattie.

Gli sforzi per arginare le epidemie vengono solitamente messi in campo per contenere focolai già in atto, diverso sarebbe se le risorse fossero dedicate alla riduzione dei rischi direttamente alla fonte.

Il Quadripartito, ( FAOOMSUNEP e WOAH)  accoglie con favore l’appello dell’OHHLEP nel sollecitare e promuovere la prevenzione, allineare le strategie, colmare le lacune esistenti a Sistema  al fine di evitare  lo spillover zoonotico.

Prevenire il passaggio di agenti patogeni dagli animali all’ uomo significherebbe spostare il paradigma da “ reattivo a proattivo”, in un approccio One Health, prendendo in considerazione così anche tutta una serie di fattori più  generali, che vanno dal cambiamento climatico alle  pratiche di base per la salute umana, animale e al benessere degli animali.

Tale approccio, non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali, tra i quali ad esempio quello della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




West Nile Virus, situazione e prevenzione

Quest’anno la stagione di trasmissione di malattie trasmesse da insetti ha avuto un inizio precoce in Italia. La circolazione del virus West Nile, infatti, è stata infatti confermata dalla presenza del virus in pool di zanzare e in avifauna nel paese già nel mese di maggio 2023. Sono state di conseguenza attivate precocemente le misure di prevenzione su trasfusioni e trapianti nelle aree interessate,

Sebbene ad oggi non siano stati notificati casi confermati di infezione nell’uomo da virus West Nile contratti nei mesi di aprile e maggio 2023, è possibile che la circolazione di questo o di altri patogeni trasmessi da insetti possa aumentare nelle prossime settimane.

Si sono inoltre verificate emergenze idro-geologiche per eventi climatici estremi in diverse Regioni Italiane. Dal 15 maggio 2023 una forte ondata di maltempo sta interessando in particolare numerose province della Regione Emilia-Romagna dove si sono registrate esondazioni e frane (Fonte: Dipartimento della Protezione Civile). Inondazioni, esondazioni ed alluvioni sono associate all’aumento del rischio di alcune malattie infettive, incluse le arbovirosi trasmesse da zanzare, come il virus West Nile, endemico in Italia, e i virus dengue e chikungunya, che hanno dato luogo a focolai sporadici nel nostro paese.

Prevenzione

Attualmente non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Malgrado siano allo studio dei vaccini, per il momento l’unico strumento preventivo contro la diffusione dell’infezione è soprattutto la riduzione  dell’esposizione a punture di zanzare, durante il periodo favorevole alla trasmissione.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:
– usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe, quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto
– usando delle zanzariere alle finestre e soggiornando in ambienti climatizzati
– svuotando di frequente i contenitori con acqua stagnante (per esempio, secchi, vasi per fiori e sottovasi, catini, bidoni, ecc.) e coprendo quelli inamovibili
– cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali
– svuotando le piscinette per i bambini quando non sono usate.

Informazioni generali

La febbre West Nile (West Nile Fever) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, WNV), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America.

I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. La febbre West Nile non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette. Il virus infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri.

Incubazione e sintomi
Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi come febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, manifestazioni cutanee. Questi sintomi possono durare pochi giorni, in rari casi qualche settimana, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, mentre nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave. I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150) e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.

Fonte: ISS




Diminuita nell’UE nel corso del 2022 la peste suina africana in maiali e cinghiali selvatici

Il numero di focolai di peste suina africana (PSA) nei maiali e di casi segnalati nei cinghiali selvatici nell’Unione europea (UE) è diminuito notevolmente nel 2022 rispetto all’anno precedente, si afferma in un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La malattia è stata notificata in otto Paesi dell’UE nei maiali e in undici nei cinghiali selvatici.

“Nell’ultimo decennio la peste suina africana ha avuto un impatto rilevante sul settore suinicolo dell’UE e continua a impattare pesantemente sulle economie locali e regionali. Sebbene il nostro ultimo rapporto evidenzi segnali incoraggianti che indicano che le misure per fermare la diffusione del virus stanno avendo effetto, il quadro nell’UE non è affatto completamente positivo e dobbiamo restare in guardia. Allevatori, cacciatori e veterinari hanno un ruolo particolarmente importante nel segnalare i casi sospetti”, ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA.

Nel 2022 i focolai di PSA tra i maiali domestici nell’UE sono diminuiti del 79% rispetto al 2021. Il calo è stato particolarmente marcato in Romania, Polonia e Bulgaria. La Lituania, invece, ha registrato un leggero aumento causato da un raggruppamento di focolai notificati in estate nella parte sud-occidentale del Paese.

Otto Paesi dell’UE (Bulgaria, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia) e quattro Paesi confinanti non appartenenti all’UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno segnalato focolai nei maiali domestici. La Romania è stato il Paese dell’UE più colpito con 327 focolai, pari all’87% dei focolai totali dell’UE. La Serbia è stato il Paese non UE maggiormente colpito, con 107 focolai. La FSA fu notificata per la prima volta nella Macedonia del Nord.

Per quanto riguarda i cinghiali selvatici nel 2022 sono stati segnalati nell’UE il 40% di casi in meno rispetto al 2021. Si tratta della prima diminuzione di casi di PSA nei cinghiali selvatici nell’area sin dall’insorgenza della malattia nel 2014. Undici Stati membri dell’UE (Cechia, Estonia e Ungheria oltre agli Stati membri con focolai tra i maiali domestici) e quattro Paesi non UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno notificato casi di PSA nei cinghiali selvatici.

Estesa la campagna StopASF dell’EFSA

Per coadiuvare le misure ancora in atto per controllare la diffusione del virus, l’EFSA ha deciso di prorogare la sua campagna StopASF al 2023. La campagna mira a sensibilizzare gli allevatori, i cacciatori e i veterinari dell’UE e dei Paesi limitrofi circa le modalità per  individuare, prevenire e segnalare correttamente la PSA.

Giunta alla sua quarta edizione, la campagna EFSA incoraggia gli allevatori commerciali e quelli privati, i veterinari e i cacciatori a “individuare, prevenire e segnalare” i casi di PSA. La campagna si avvale dell’assistenza di gruppi di allevatori locali ed è gestita in collaborazione con le autorità locali di diciotto Paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Kosovo[1], Lettonia, Lituania, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia.

Fonte: EFSA




La network analysis per spiegare la dinamica dell’epidemia di influenza aviaria

L’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia è stata una delle più gravi di sempre, con il coinvolgimento di 317 allevamenti avicoli e oltre 14 milioni di animali. La maggior parte degli allevamenti colpiti dall’epidemia è localizzata in un’area considerata ad alta densità, dove viene allevato circa il 70% del pollame italiano. La diffusione dell’epidemia è stata estremamente rapida, coinvolgendo inizialmente la provincia di Verona per poi espandersi alle province e alle Regioni circostanti, con picchi di oltre 50 nuovi focolai a settimana.

La grande velocità con cui l’epidemia si è diffusa sul territorio ha fatto emergere due ipotesi principali: 1) possibili fenomeni di contatto diretto tra allevamenti infetti e altre aziende avicole, oppure 2) la presenza di comuni fonti di infezione, che hanno determinato in breve tempo l’emergere di molteplici nuovi focolai.

Il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica ha analizzato la dinamica di diffusione dell’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia. Per farlo è stata adottata la network analysis,  una metodologia che permette di integrare efficacemente dati virologici (genomi di virus e cluster genetici virali) ed epidemiologici (caratteristiche degli allevamenti colpiti).

La sfida per il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica (SCS4) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) è stato di riuscire a spiegare la dinamica dell’epidemia valutando l’impatto di potenziali fattori di diffusione dell’infezione e utilizzando i dati raccolti durante i sopralluoghi negli allevamenti e le informazioni genetiche ottenute dalle analisi biomolecolari sui virus isolati da ciascun focolaio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Pathogens.

Network analysis ed epidemia di aviaria 2021-2022

Per condurre questo tipo di analisi è stato scelto di sfruttare la network analysis, una metodologia che trova applicazione in diversi ambiti, tra cui le scienze economiche, sociali, psicologiche, biologiche, ecc. Questo potente strumento di analisi permette di studiare le caratteristiche e le relazioni tra gli oggetti esistenti all’interno di un network: i nodi rappresentano delle entità, gli oggetti, mentre le connessioni rappresentano una relazione esistente tra queste entità.

Nel contesto dell’epidemia 2021-2022, le analisi filogenetiche condotte dal Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle hanno rivelato l’esistenza di diversi cluster genetici virali che rafforzano l’ipotesi di una diffusione del virus tra gli allevamenti domestici. Le successive analisi virologiche si sono quindi concentrate a valutare il grado di similarità genetica dei virus sequenziati appartenenti allo stesso cluster.

Nello specifico, i genomi completi di 214 virus sono stati utilizzati per costruire il network filogenetico. In questo network, ogni nodo corrisponde ad un virus identificato in un singolo focolaio, mentre i link mettono in relazione nodi caratterizzati dalla massima similarità genetica. Il network filogenetico rappresenta la base dati di partenza dello studio, su cui è stata applicata la metodica di network analysis denominata Exponential Random Graph Model (ERGM). L’ERGM è un modello statistico capace di spiegare il motivo per cui esiste un link tra due nodi, sulla base di una serie di variabili epidemiologiche. Applicato ad un network filogenetico, l’ERGM mette in relazione le caratteristiche epidemiologiche degli allevamenti colpiti con quelle più strettamente genetiche dei virus trovati. Questo approccio ha quindi consentito di valutare l’impatto di tali variabili sulla possibilità di diffusione dell’infezione tra gli allevamenti.

Le variabili dei network di diffusione virale

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende.

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende, che suggeriscono importanti implicazioni dal punto di possibili strategie di controllo, gestione e prevenzione di future epidemie di Influenza aviaria sul nostro territorio.

Lo studio dell’epidemia mediante l’applicazione della network analysis, normalmente utilizzata nelle scienze sociali, si è rivelato non solo innovativo ma anche valido per integrare efficacemente i dati virologici ed epidemiologici. Infatti, in molta letteratura scientifica spesso gli aspetti virologici ed epidemiologici di un’epidemia vengono presentati in maniera disgiunta, mentre in questo caso i dati epidemiologici sono stati utilizzati proprio per ‘spiegare’ la struttura dei dati virologici.

Ulteriori sviluppi di questo approccio sono già in cantiere. Per esempio, l’informazione relativa all’evoluzione di un’epidemia nel corso del tempo può essere integrata tramite la creazione di network ‘temporalizzati’, capaci di rappresentare con un quadro più dettagliato le dinamiche di diffusione spazio-temporale delle infezioni; oppure lo studio di malattie che coinvolgono diverse popolazioni (come, per esempio, le malattie trasmesse da vettori) potrebbe essere fatto tramite analisi dei cosiddetti multi-layer network, che integrano un maggior livello di complessità legato alla presenza di più ‘strati’ di entità che interagiscono tra loro all’interno dello stesso sistema.

Il potenziale applicativo della network analysis potrebbe in futuro aiutare gli epidemiologi a comprendere meglio la complessità delle malattie circolanti sul nostro territorio e fornire un efficace strumento di controllo e prevenzione delle epidemie.

Fonte: IZS Venezie




Aviaria. Meno focolai rispetto al 2022. In Europa rischio “basso” per la popolazione generale.

influenza aviariaTra il 2 marzo e il 28 aprile 2023, virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5Nx), clade 2.3.4.4b, sono stati segnalati focolai in uccelli domestici (106) e selvatici (610) in 24 paesi europei. A fare il punto sull’influenza aviaria è l’Ecdc in un nuovo rapporto.

I focolai si sono verificati meno frequentemente rispetto al periodo di riferimento precedente e rispetto alla primavera del 2022. La maggior parte di questi focolai sono stati classificati come focolai primari. Rispetto alla primavera del 2022, quando l’86% degli stabilimenti avicoli colpiti aveva segnalato la presenza di focolai secondari, quest’anno sono stati attribuiti alla diffusione secondaria un numero minore di focolai di pollame, il che potrebbe essere legato alla diminuzione della densità di pollame adottata in alcune aree e sistemi di produzione avicola considerati ad alto rischio; questo è stato il caso della Francia occidentale e sudoccidentale nel settore delle anatre domestiche e del foie gras e dell’Italia nordorientale nel settore dei tacchini e delle galline ovaiole.

Una presentazione atipica della malattia, caratterizzata da una bassa mortalità e dall’assenza di segni tipici dell’infezione da HPAI, è stata osservata in alcuni focolai di A(H5N1) causati dal genotipo BB (H5N1-A/Herring_gull/France/22P015977/2022-like) in tacchini e galline ovaiole in Italia. Questa presentazione atipica della malattia è stata ulteriormente valutata sperimentalmente. Rispetto agli isolati virali degli anni epidemici precedenti (2017-2021), il virus del genotipo BB ha richiesto una dose infettiva più elevata e anche il tempo mediano per l’insorgenza della malattia, dei segni clinici evidenti e della mortalità è stato più lungo.

l virus HPAI è generalmente poco rilevato e poco segnalato negli uccelli selvatici in Europa, poiché solo una parte dei volatili che muoiono di HPAI viene individuata e solo una parte di essi viene analizzata. Negli uccelli selvatici, i gabbiani dalla testa nera hanno continuato ad essere pesantemente colpiti, mentre anche altre specie di uccelli selvatici minacciati dal virus, come il falco pellegrino, hanno mostrato un aumento della mortalità.

Anche il virus HPAI A(H5N1) ha continuato ad espandersi nelle Americhe, anche nelle specie di mammiferi, e si prevede che raggiungerà l’Antartico nel prossimo futuro. Le infezioni da virus HPAI sono state rilevate in sei specie di mammiferi, in particolare nei mammiferi marini e nei mustelidi, per la prima volta, mentre i virus attualmente circolanti in Europa mantengono un legame preferenziale per i recettori aviari.

Dal 13 marzo 2022 e dal 10 maggio 2023, sono stati segnalati due rilevamenti di virus A(H5N1) 2.3.4.4b negli esseri umani provenienti dalla Cina (1) e dal Cile (1), nonché tre infezioni umane A(H9N2) e una A(H3N8) in Cina. Il rischio di infezione da virus dell’influenza aviaria H5 attualmente in circolazione del clade 2.3.4.4b in Europa rimane basso per la popolazione generale nell’UE/SEE e da basso a moderato per le persone esposte a livello professionale o in altro modo.

IL REPORT

Fonte: quotidianosanità.it




Sieropositività alla Leptospirosi a livello globale: una revisione sistematica e meta-analisi

La leptospirosi è una zoonosi di interesse di salute pubblica. Questo studio aggiorna lo stato attuale…

La leptospirosi è una grave minaccia per la salute pubblica in tutto il mondo; tuttavia, non esiste uno studio incentrato sulla sieropositività globale nei suini.

In questo studio, abbiamo raggruppato le pubblicazioni ed eseguito una revisione sistematica con meta-analisi per raccogliere dati relativi alla sieropositività della leptospirosi suina pubblicati a livello globale.

Il metodo di ricerca inizialmente utilizzato ha restituito un totale di 1183 risultati, di cui 20 soddisfacevano tutti i criteri predefiniti e sono stati quindi inclusi in questa revisione.

È stata eseguita una meta-analisi con dati generali ed è stata trovata una sieropositività combinata del 21,95%. La sieropositività è stata del 36,40% in Sud America, 34,05% in Nord America, 22,18% in Africa, 17,40% in Oceania, 13,30% in Europa e 13,36% in Asia.

I risultati suggeriscono che esiste un’elevata sieropositività per la leptospirosi nei suini di tutto il mondo. Le informazioni raccolte da questa ricerca sono rilevanti per comprendere la diffusione della leptospirosi a livello globale. Si prevede che questi indicatori contribuiranno a una migliore comprensione dell’epidemiologia della malattia con particolare attenzione al suo controllo e, di conseguenza, alla riduzione dei casi nella popolazione umana e animale…

Gomes de Araújo H, Limeira CH, Viviane Ferreira de Aquino V, et al. Global Seropositivity of Swine Leptospirosis: Systematic Review and Meta-Analysis. Trop Med Infect Dis. 2023;8(3):158. Published 2023 Mar 5. https://doi.org/10.3390/tropicalmed8030158

Fonte:3tre3.it




Zoonosi, il white paper della quadripartita

Della quadripartita (FAO, OMS, WOAH e UNEP) si parla spesso, specialmente in chiave One Health. L’impegno delle quattro organizzazioni, con il supporto del loro organo consultivo OHHLEP, ha di recente portato alla pubblicazione di un White Paper dedicato alle zoonosi e all’impegno che ogni Paese dovrebbe assumersi in forma condivisa, in nome di un benessere generale.

Il documento sostiene la necessità di ridurre il rischio di malattie zoonotiche partendo dalla fonte e adottando migliori misure di prevenzione e un approccio più efficiente. Non basta attivarsi, insomma, come si è fatto fino ad oggi, dopo che un patogeno ha già fatto il salto dagli animali all’uomo (descritto come un evento di spillover), consentendo il riemergere di una data malattia o l’emergere di nuove. Serve piuttosto distinguere le attività di contenimento dei focolai da quelle mirate alla prevenzione delle ricadute.

Per questo ‘OHHLEP propone la seguente definizione: “Prevenire la diffusione dei patogeni dagli animali agli esseri umani significa spostare il paradigma del controllo delle malattie infettive da reattivo a proattivo (prevenzione primaria). La prevenzione include l’affrontare i driver dell’emergenza della malattia, vale a dire i fattori e le attività ecologici, meteorologici e antropogenici che aumentano il rischio di spillover, al fine di ridurre il rischio di infezione umana. Tra le altre azioni, occorre puntare con forza sulla  biosorveglianza negli ospiti naturali, nelle persone e nell’ambiente, comprendendo le dinamiche di infezione dei patogeni e attuando attività di intervento”.

Un’impostazione proattiva richiede approcci diversi, che tengano conto dei cambiamenti  del suolo legati allo sviluppo delle infrastrutture, dell’industria o all’espansione agricola. E poi si devono prendere in considerazione anche fattori generali come il cambiamento climatico, la povertà e le disuguaglianze socioeconomiche e le pratiche di base per la salute animale e umana e il benessere degli animali.

E l’impatto economico di questo approccio?

Non può essere un deterrente. Anzi, il documento dimostra che la prevenzione intelligente costerebbe ben meno degli interventi ex post. I costi di prevenzione variano da circa 10 miliardi di dollari a 31 miliardi di dollari all’anno a livello globale, mentre la risposta alle recenti crisi di malattie infettive come le epidemie di Ebola e Mpox costa più tempo e denaro di quanto sarebbe necessario per avviare approcci di prevenzione. Basti pensare, per esempio, che le perdite economiche previste dalla pandemia di COVID-19 sono stimate in quasi 14 trilioni di dollari fino al 2024. L’OHHLEP sottolinea che l’approccio One Health non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali come la riduzione delle emissioni di gas serra.

Fonte: Vet33.it




Lyssavirus nei pipistrelli, la trasmissibilità del virus raddoppia dopo il parto

Lo studio dell’IZS delle Venezie su due colonie in Alto Adige, nessun rischio di rabbia per l’uomo.

Otto anni. Tanto è durato lo studio su due colonie altoatesine di due specie sorelle di pipistrelli vespertilionidi, per valutare le dinamiche di trasmissione dei lyssavirus. I ricercatori del Centro di referenza nazionale per la rabbia presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno osservato che le due colonie, localizzate in edifici frequentati dall’uomo, raggiungono un’elevata numerosità di qualche migliaio di individui, che raddoppia dopo il parto sincrono all’inizio dell’estate. Lo studio è stato condotto in collaborazione con Università del Sussex, Imperial College London, Università di Bologna e Cooperativa Sterna di Forlì, e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B.

Le colonie residenti nel territorio della provincia di Bolzano sono state monitorate in più momenti dell’anno durante la stagione riproduttiva, dal 2015 al 2022, per un totale di 27 osservazioni. Sono stati raccolti e generati dati sierologici, virologici, demografici ed ecologici che hanno quindi permesso di valutare i fattori alla base della trasmissione di European bat lyssavirus 1 (EBLV1) in questi animali e le differenze osservate all’interno di una stessa stagione riproduttiva, e di anno in anno.

I lyssavirus sono una famiglia che conta 17 specie di virus, tra cui anche il virus della rabbia, la maggior parte di essi presenti nei chirotteri. Tuttavia, il virus EBLV1 non è da confondere con il virus della rabbia, che invece non circola sul territorio italiano: infatti, l’Italia è indenne da rabbia dal 2013.

modelli elaborati indicano che le due colonie vanno incontro ad epidemie stagionali guidate da diversi fattori.

“La trasmissione del virus in queste colonie è favorita inizialmente dalla presenza di individui, con scarsa memoria immunitaria, in seguito all’ibernazione, che si ammassano assieme nei sottotetti degli edifici scelti dalla colonia”, spiega Paola De Benedictis, direttrice del CRN rabbia e coautore dell’articolo. “La trasmissione aumenta eccezionalmente dopo il parto sincrono poiché al raddoppiamento della densità della colonia (numero di individui nello stesso spazio) si unisce anche la presenza di neonati caratterizzati da un sistema immunitario immaturo.”

Finora i ricercatori non hanno mai trovato il virus EBLV1 in modo diretto ma soltanto tracce del suo passaggio:

“Al momento, a fronte di una evidenza di circolazione virale che osserviamo indirettamente grazie alla presenza di anticorpi, non abbiamo mai rinvenuto soggetti positivi – continua De Benedictis – L’ipotesi è dunque che il virus EBLV1 si trasmetta solo all’interno delle popolazioni di pipistrelli, senza che questo rappresenti peraltro un pericolo imminente per altri animali e per l’uomo”.

I risultati ottenuti evidenziano il notevole impegno profuso dal Centro di referenza nazionale per la rabbia per comprendere i fattori ecologici alla base della circolazione dei patogeni, al fine di elaborare valutazioni più solide sul rischio di spillover dagli ospiti serbatoio a quelli occasionali, incluso l’uomo. I Lyssavirus sono potenzialmente in grado di causare rabbia nei mammiferi, per questo motivo i pipistrelli sono sorvegliati speciali.

“Le attività di sorveglianza e di ricerca scientifica sono fondamentali per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive – afferma la Direttrice generale Antonia Ricci – L’IZSVe con la locale sezione di Bolzano ha avviato nel corso degli anni numerosi progetti di collaborazione con il Servizio veterinario della Provincia Autonoma di Bolzano e il Servizio veterinario dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, per la tutela e la salute delle specie d’allevamento delle zone alpine e la conservazione della fauna selvatica.”

I dati sono stati raccolti e prodotti grazie ai fondi erogati dal Ministero della Salute, mediante i bandi di Ricerca Finalizzata (WFR GR-2011-023505919) e di Ricerca Corrente (RC IZSVe 08/18 e RC IZSVe 06/19). La collaborazione con i ricercatori inglesi è stata resa possibile con fondi ERA-NET ICRAD nell’ambito del progetto ConVErgence (BBSRC concessione n. BB/V019945/1).

Fonte: IZS Venezie




Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo