I cervi potrebbero rinfocolare la pandemia di COVID-19

Una specie diffusa in Nord America si è rivelata un importante serbatoio di SARS-CoV-2 e potrebbe anche agire come un acceleratore alla sua evoluzione. Monitorare questi animali, come anche altre specie che ospitano il coronavirus, potrebbe però rivelarsi un vantaggio per tenere sotto controllo la diffusione del patogeno

Dalla specie scelta da Walt Disney per rappresentare il piccolo Bambi vengono minacce e opportunità per la futura gestione della pandemia. Nei cervi dalla coda bianca che popolano il nord degli Stati Uniti, oltre che la fantasia dei bambini di tutto il mondo, infatti, il virus ormai circola in maniera estesa senza provocare particolari danni, ma mutando molto più rapidamente di quanto faccia tra gli umani. Teoricamente, quindi, ciò potrebbe far tornare un giorno a noi un virus tanto irriconoscibile da riaccendere il fuoco della pandemia. Ma monitorarne l’evoluzione negli animali potrebbe anche fornirci un certo vantaggio sulla sua inarrestabile corsa. Sempre che se ne voglia approfittare.
Fonte: lescienze.it



La teoria del caos si applica anche al Covid: ricerca italiana pubblicata su Plos One

Sars-CoV-

Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa)

Un’iniziale crescita caotica influenza l’evoluzione e la diffusione dei virus, incluso il Sars-Cov-2.  Ad applicare la teoria del caos per spiegare l’evoluzione della pandemia Covid-19 è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Condotto da Giorgio Palù (nella foto), presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, insieme Pier Francesco Roggero e Arianna Calistri del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova.     In matematica, la teoria del caos afferma che nell’apparente casualità di sistemi naturali complessi ci sono dei precisi modelli sottostanti, in grado di spiegare le variazioni intervenute nei sistemi stessi quasi a ipotizzare un percorso evolutivo predeterminato. Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa) legata alle caratteristiche genetiche iniziali del virus.   Durante l’adattamento all’uomo, inoltre, un numero ridotto di mutazioni su un genoma di 30.000 basi, con molte mutazioni identiche per tutte le varianti, è in grado di modificare la contagiosità e la letalità del coronavirus. In pratica le mutazioni inizialmente più favorevoli diventano mutazioni “fisse” e sono specifiche per la maggiore adattabilità nonché sopravvivenza del coronavirus nell’essere umano. Se le mutazioni dipendessero dal caso allora non sarebbero più “fisse” e la probabilità che compaiono in tutte le varianti sarebbe praticamente zero. “La crescita caotica sia evidente solo nella fase iniziale di espansione pandemica di SARS-CoV-2 – evidenzia Giorgio Palù. Il fatto che altri virus altamente diffusivi e letali ma non pandemici quali i SARS-CoV-1 e MERS-CoV e Ebola non abbiano questo comportamento fa pensare che una crescita iniziale caotica sia il pre-requisito necessario che garantisca ad un virus emergente l’intrinseca capacità di diventare pandemico”.    La scoperta che la legge del caos si applica anche ai virus, conclude Palù,”ha ricadute di sanità pubblica per il controllo di future emergenze epidemico-pandemiche”.
Fonte: dottnet.it




COVID-19, ci stiamo avviando oltre Omicron?

coronavirusPer chi segue la continua evoluzione di SARS-CoV-2, è stato un Ferragosto di lavoro e scambio frenetico di informazioni. A provocare tanto scompiglio è stata la comparsa di una nuova variante molto mutata rispetto a quelle che coesistono da mesi. Dopo l’enorme ondata di Omicron che provocò un numero record di casi a cavallo tra il 2021 e il 2022, nessun altro virus mutante o ricombinante è finora riuscito a spazzare via tutti gli altri. Con alti e bassi, convivono decine di versioni diverse del coronavirus pandemico, in quella che è stata chiamata una “zuppa di varianti”. Ora però qualcuno sembra pronto a scommettere che siamo di fronte a una nuova svolta nella storia della pandemia.

Pochi casi hanno fatto scattare l’allerta
Tutto è cominciato con l’isolamento, in Israele, a fine luglio, di un coronavirus con una sequenza genetica molto diversa dalle altre, caricata il 13 agosto su una piattaforma accessibile agli esperti di tutto il mondo, senza che però nessuno ci facesse troppo caso. Ogni giorno, d’altra parte, se ne registrano migliaia. Poi ne sono arrivate altre due quasi uguali, provenienti da due pazienti danesi, in due località distanti tra loro. Sebbene si trattasse di pochissimi casi, molti esperti rizzarono le antenne: la mancanza di una chiara catena di contagio tra i tre riscontri presupponeva una significativa diffusione sotto traccia del virus, forse facilitata dal gran numero di mutazioni che la distinguono dalle varianti precedenti.

 Eppure si trattava inizialmente di soli tre infetti, seguiti dopo pochi giorni da un paziente ricoverato in ospedale a Londra, e poi ancora da altri due negli Stati Uniti, uno dei quali asintomatico, sottoposto a un controllo casuale al ritorno da Tokyo. La segnalazione di altri casi in Cina invece, non è stata confermata, mentre ulteriori sequenze provenienti dal Sudafrica portano a quattro, con Asia, Europa e America, il numero di continenti che ospitano il nuovo virus.

Nel frattempo anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), a pochi giorni dalla prima segnalazione, la dichiarava variant under monitoring (VuM), da monitorare, raccomandando ai governi di proseguire e potenziare le attività di isolamento e sequenziamento dei virus, per le quali, dopo la fine dell’emergenza, è calato quasi ovunque l’impegno economico, organizzativo e di personale.

Fonte: lescienze.it

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Influenza aviaria, maggiore sorveglianza negli uccelli e nei mammiferi

influenza aviariaIl virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) continua a circolare ampiamente tra gli uccelli selvatici in Europa causando un’elevata mortalità in diverse specie, mentre la situazione generale nel pollame dopo la stagione invernale è migliorata. Segnalati casi anche negli animali da compagnia, sono in corso indagini epidemiologiche su casi nei gatti in Polonia, e negli animali da pelliccia con casi in allevamenti di volpi artica e visoni in Finlandia.

Secondo l’ultimo rapporto sull’influenza aviaria dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria (EURL) presso l’IZS delle Venezie, dal 29 aprile al 23 giugno 2023, l’H5N1 ha colpito in Europa un’ampia gamma di specie di uccelli selvatici, dalle zone più settentrionali della Norvegia fino alle coste del Mediterraneo. Le autorità raccomandano di intensificare la sorveglianza attiva della malattia negli uccelli selvatici, soprattutto quelli acquatici, per meglio conoscere la circolazione dei diversi virus HPAI in natura.

Fonte: IZS Venezie

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Iss, a Parma primo caso nel 2023 di West Nile nell’uomo

Primo caso confermato di infezione da virus West Nile (WNV) nell’uomo dall’inizio della sorveglianza, segnalato in un donatore di sangue nella Provincia di Parma (Provincia già colpita dalla circolazione del virus negli animali vettori). Inoltre, salgono a 14 le Province con dimostrata circolazione di WNV in vettori e animali, appartenenti a 5 Regioni: Piemonte, Lombardia, EmiliaRomagna, Sicilia e Sardegna.

Quest’anno la stagione di trasmissione di malattie trasmesse da insetti ha avuto un inizio precoce in Italia. La circolazione del virus West Nile, infatti, è stata infatti confermata dalla presenza del virus in pool di zanzare e in avifauna nel paese già nel mese di maggio 2023. Sono state di conseguenza attivate precocemente le misure di prevenzione su trasfusioni e trapianti nelle aree interessate. Recentemente anche l’Ecdc ha lanciato un alert sulle zanzare invasive e i conseguenti rischi per la salute.

Sebbene ad oggi non siano stati notificati casi confermati di infezione nell’uomo da virus West Nile contratti nei mesi di aprile e maggio 2023, è possibile che la circolazione di questo o di altri patogeni trasmessi da insetti possa aumentare nelle prossime settimane.

Si sono inoltre verificate emergenze idro-geologiche per eventi climatici estremi in diverse Regioni Italiane. Dal 15 maggio 2023 una forte ondata di maltempo sta interessando in particolare numerose province della Regione Emilia-Romagna dove si sono registrate esondazioni e frane (Fonte: Dipartimento della Protezione Civile). Inondazioni, esondazioni ed alluvioni sono associate all’aumento del rischio di alcune malattie infettive, incluse le arbovirosi trasmesse da zanzare, come il virus West Nile, endemico in Italia, e i virus dengue e chikungunya, che hanno dato luogo a focolai sporadici nel nostro paese.

Fonte: ISS




Prima segnalazione europea di infezione da Leptospira interrogans – sierogruppo Australis ST24 in un gatto

La leptospirosi è una delle zoonosi più diffuse a livello mondiale e può infettare sia l’uomo sia molte specie animali, compresi il cane e, più raramente, il gatto. Tuttavia, il ruolo del gatto come ospite suscettibile e potenziale serbatoio ambientale di Leptospira non è stato ancora ben definito.

Ricercatori IZSVe hanno documentato per la prima volta in Europa un caso di infezione da Leptospira interrogans, sierogruppo Australis ST24, in un giovane gatto a vita libera. Nel soggetto è stata dimostrata una comorbidità da panleucopenia felina (FPV). Sebbene i gatti che vivono all’aperto siano potenzialmente esposti all’infezione da leptospira per via del possibile contatto con altri animali, essi manifestano la malattia clinica molto più raramente rispetto al cane.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Tropical Medicine and Infectious Disease porta nuovi contributi sperimentali utili alla comprensione di questa malattia. I ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno documentato per la prima volta in Europa un caso di infezione da Leptospira interrogans, sierogruppo Australis ST24, in un giovane gatto a vita libera. Nel soggetto è stata dimostrata una comorbidità da panleucopenia felina (FPV).

La leptospirosi nel gatto presenta aspetti oscuri; gli studi epidemiologici puntano a chiarire il quadro ecopatologico della malattia ed il ruolo di questa specie come possibile serbatoio di infezione. Per esempio, sebbene i gatti che vivono all’aperto siano potenzialmente esposti all’infezione per via del possibile contatto con l’ambiente e con la fauna selvatica e/o sinantropica, essi manifestano la malattia clinica molto più raramente rispetto al cane.

Il gatto sul quale è stata dimostrata l’infezione presentava un quadro severo, rivelatosi mortale, anche a causa della coinfezione da FPV. Il parvovirus felino è un virus che provoca, tra l’altro, immunodepressione, perciò potrebbe aver favorito la manifestazione clinica di leptospirosi, insieme ad altre condizioni come la giovane età e la vita all’aperto.

Pur non essendo ad oggi dimostrata una correlazione fra malattie infettive debilitanti/immunosoppressive e forme di leptospirosi gravi nel gatto, sono stati documentati alcuni casi clinici di sospetta leptospirosi in soggetti con malattie intercorrenti ad effetto immunosoppressivo e/o debilitante.

Sieroprevalenza della leptospirosi nei gatti liberi

Ulteriori informazioni provengono dai risultati di uno studio realizzato tra il 2014 e il 2016 sull’esposizione a Leptospira di gatti apparentemente sani ospitati in oasi e colonie feline nel Nordest Italia, e riportato nell’articolo scientifico. Lo studio è stato condotto dall’IZSVe, in collaborazione con il Centro di referenza nazionale per la leptospirosi dell’IZS Lombardia Emilia-Romagna e con la Clinica Veterinaria S. Marco (Veggiano, Padova), grazie a un finanziamento del Ministero della Salute (RC IZSVE 16/12).

Dalle indagini sierologiche e molecolari su 95 gatti a vita libera apparentemente sani è stata osservata una sieroprevalenza del 10,5%, ma con titoli borderline o poco significativi, verso i sierogruppi Grippotyphosa, Icterohaemorrhagiae, Bratislava, Canicola e Ballum. Le evidenze raccolte porterebbero alla conclusione secondo cui i gatti sani avrebbero una resistenza naturale alla leptospirosi clinica, forse sviluppata a causa dell’evoluzione in stretta relazione ecologica con piccoli roditori, le principali prede naturali dei nostri felini.

Dalle indagini sierologiche e molecolari su 95 gatti a vita libera apparentemente sani è stata osservata una sieroprevalenza del 10,5%, ma con titoli borderline o poco significativi, verso i sierogruppi Grippotyphosa, Icterohaemorrhagiae, Bratislava, Canicola e Ballum. Nessun soggetto è risultato escretore attivo.

Nei quattro casi selezionati di gatti sintomatici sospetti di leptospirosi e affetti da patologie intercorrenti (es. infezione da herpesvirus, FeLV, FIV, linfoma, ipertitoridismo), sono stati riscontrati titoli anticorpali decisamente più elevati nei confronti dei sierogruppi Grippotyphosa, Bratislava, Icterohaemorrhagiae e Copenagheni e un soggetto è risultato escretore attivo alla PCR sulle urine.

Le evidenze raccolte dagli studiosi:

porterebbero alla conclusione secondo cui i gatti sani avrebbero una resistenza naturale alla leptospirosi clinica, forse sviluppata a causa dell’evoluzione in stretta relazione ecologica con piccoli roditori, le principali prede naturali dei nostri felini. Ulteriori studi saranno necessari per definire meglio il ruolo epidemiologico che questi animali possono avere come serbatoi di Leptospire patogene, ruolo sospettato da alcuni ricercatori.

Fonte: IZS Venezie




Toxoplasma gondii negli ovini: prevalenza sierologica al mattatoio in Italia e fattori di rischio ambientale

La toxoplasmosi è un zoonosi causata da Toxoplasma gondii (T. gondii) un parassita che può infettare una grande varietà di vertebrati terrestri e marini (mammiferi, uccelli, rettili, molluschi…). I felini, tra cui il gatto domestico, sono tuttavia i soli ospiti definitivi ed eliminano nell’ambiente delle resistentissime oocisti contenenti il parassita; quando altri animali appartenenti alle citate specie suscettibili le ingeriscono diventano ospiti intermedi; T. gondii si distribuisce quindi nei tessuti di elezione (tra cui quello nervoso e muscolare) andando a formare delle cisti in cui è contenuta un’altra forma infettante del parassita (i bradizoiti) .

La trasmissione all’uomo, come anche per gli altri ospiti intermedi, può verificarsi attraverso il consumo di carni non adeguatamente cotte proveniente da animali infetti, o tramite l’ingestione accidentale di oocisti mediante il contatto con le feci di gatti escretori, vegetali o acqua contaminata.

Tra le specie animali sensibili, le pecore mostrano una notevole suscettibilità nei confronti di T. gondii; anche in questa indagine, la sieropositività per T. gondii degli ovini si conferma infatti in linea con la maggior parte degli studi condotti negli ultimi 20 anni in Italia che riportano percentuali comprese tra il 40 e il 65%. Il trend relativo ad altre specie domestiche particolarmente sensibili come il maiale, rileva una  sieroprevalenza in diminuzione nella maggior parte del mondo.

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Zanzare: le loro storie d’amore per combattere la malaria

artropodiDall’accoppiamento delle zanzare, nuove strategie per ridurre la diffusione della pericolosa infezione. Lo evidenzia uno studio di Cnr-Isc e Sapienza in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia, ora pubblicato su Scientific Reports

Osservare delle zanzare che si accoppiano può sembrare un’attività particolarmente bizzarra, ma che si sta rivelando essenziale nello sviluppo di nuove strategie di lotta contro la malaria. Le femmine di Anopheles gambiae sono vettori di trasmissione del plasmodio della malaria, che ogni anno è responsabile di centinaia di migliaia di decessi. Le tecniche sviluppate negli ultimi anni per contrastare questa malattia si basano su un principio molto semplice: meno zanzare, meno vettori di trasmissione, meno decessi. L’uso di zanzariere impregnate di insetticidi si è rivelato molto efficace negli ultimi 20 anni. Ma questo non basta. Le zanzare hanno sviluppato resistenze agli insetticidi, per cui, dopo una iniziale riduzione, il numero dei contagi annuali è ora in salita.

L’imperativo scientifico è quindi di identificare nuove strategie, da utilizzare in associazione con i metodi di controllo attualmente in uso. Attraverso un approccio ‘gene drive’, si cerca di sfruttare l’accoppiamento delle zanzare per diffondere modificazioni genetiche che rendano le zanzare sterili o incapaci di trasmettere il parassita della malaria. “Per valutare l’efficacia di queste tecniche innovative è necessario conoscere approfonditamente il meccanismo dell’accoppiamento”, spiega la Prof.ssa Roberta Spaccapelo, dell’Università degli Studi di Perugia, “sappiamo che questi insetti si accoppiano in volo e che i maschi si associano in gruppi, sciami di centinaia di individui, per essere più visibili e attrattivi alle femmine. Ma non ne sappiamo molto di più. Sono le femmine che entrano nello sciame a scegliere con quale maschio accoppiarsi? Come avviene la scelta? Ci sono delle caratteristiche che rendono alcuni maschi più attrattivi di altri?”

L’articolo ‘Characterization of lab-based swarms of Anopheles gambiae mosquitoes using 3D-video tracking’ appena pubblicato su Scientific Reports ( https://rdcu.be/ddj9E), nato da una collaborazione fortemente interdisciplinare tra il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Perugia, il gruppo CoBBS (Collective Behavior in Biological Systems – www.cobbs.it) del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR, muove i primi passi per cercare di rispondere a questi interrogativi.

“Riprodurre sciami di Anopheles nell’ambiente controllato del laboratorio è stato un compito molto complicato. Abbiamo scelto di studiare questi sciami in gabbie molto grandi, per poter analizzare la dinamica di volo delle zanzare evitando potenziali effetti sul comportamento dovuti allo spazio confinato di gabbie piccole”, dice la Prof.ssa Irene Giardina della Sapienza.

“Abbiamo ripreso sciami di centinaia di zanzare con un sistema stereometrico di telecamere, che ci permette di ricostruire nello spazio tridimensionale le traiettorie di ogni singola zanzara nel gruppo. L’analisi di questi dati ci ha permesso di verificare che gli sciami ricreati in laboratorio hanno caratteristiche compatibili con quelle di sciami osservati in ambiente naturale“, spiega Stefania Melillo, ricercatrice dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR. “La novità più importante presentata nell’articolo è che siamo riusciti a documentare vari eventi di accoppiamento: coppie di zanzare che volano insieme per un periodo di tempo che arriva anche a 15 secondi. Ma la cosa più stupefacente è sicuramente aver osservato e  documentato la competizione nell’accoppiamento. Più maschi che competono per accoppiarsi nello stesso momento con la stessa femmina.”

L’articolo rappresenta, quindi, il primo passo verso la comprensione della dinamica di accoppiamento nelle zanzare e costituisce un importante punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale, per valutare l’efficacia delle nuove tecnologie per ridurre la popolazione di insetti così pericolosi per l’uomo.

Ulteriori sviluppi di questo studio, sia dal punto di vista sperimentale che modellistico, sono tema del progetto dal titolo: Demystifying mosquito sex: unraveling MOsquito SWARMs  with lab-based 3D video tracking (acronimo: MoSwarm), presentato congiuntamente dall’Università di Perugia e il CNR, appena finanziato dal MUR nell’ambito dei progetti PRIN 2022.

Fonte: CNR




Nuovo focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino in Israele

Il 28 maggio 2023 è stato notificato alla WOAH un nuovo sospetto focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino in Israele. Il focolaio è stato confermato il 30/05/2023 con positività alla real-time PCR presso il laboratorio di virologia dell’Istituto Veterinario di Kimron.

L’azienda di bovine da latte colpita si trova a Nahal Oz, a 1,5 km dalla striscia di Gaza La mandria era composta da 350 capi in lattazione, 50 in asciutta e 300 manze; di queste ultime, 16 hanno manifestato sintomatologia clinica e una bovina è morta.

Le manze affette erano di un’età compresa tra i 10 e i 13 mesi e non erano state vaccinate, a differenza del resto della mandria, a giugno 2022 perché troppo giovani. Il 29/05/2023 tutte le bovine sopra i 3 mesi di età sono state prontamente vaccinate dopo la comparsa dei sintomi in allevamento.

Altre misure intraprese comprendono la sorveglianza e il controllo dei vettori, la restrizione dell’area infetta, controllo delle movimentazioni, quarantena e screening.

La malattia nodulare contagiosa del bovino, nota come Lumpy skin disease (LSD), è causata da un virus del genere Capripoxvirus, altamente ospite-specifica, determina la patologia solo nel bovino (Bos indicus B. taurus) e nel bufalo (Bubalus bubalis). La malattia nodulare contagiosa non è una zoonosi, ciò significa che le persone non contraggono il virus. Gli animali colpiti possono sviluppare febbre, emaciazione, linfoadenomegalia, edema cutaneo e noduli su cute, mucose e organi interni. Talvolta i capi colpiti possono andare incontro a morte.

L’origine dell’infezione segnalata per questo focolaio sono i vettori, infatti si pensa che gli artropodi rappresentino la principale via di trasmissione meccanica del virus. In condizioni sperimentali, tra i possibili artropodi, sono state identificate le zanzare del genere Aedes aegypti come agenti responsabili della trasmissione in campo del virus, ma probabilmente anche altre mosche ematofaghe, culicoidi e zecche possono rivestire un ruolo nel veicolare la malattia. La trasmissione mediante contatto diretto ha un ruolo minore.

L’ultimo focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino è stato segnalato in Israele nel 2019. Questa malattia è endemica in Africa e diversi focolai sono stati notificati in Medio Oriente, sud-est Europa, nei Balcani, Caucaso, Russia e Kazakistan.

Fonte: IZS Teramo




90a Sessione Generale WOAH a Parigi, l’influenza aviaria sotto la lente

Si è svolta a Parigi da domenica 21 a giovedì 25 maggio 2023 la 90ª Sessione generale annuale dell’Organismo mondiale per la salute animale(WOAH). L’evento ha riunito oltre 1.000 partecipanti, tra cui rappresentanti di 183 membri WOAH, nonché rappresentanti di organizzazioni internazionali e regionali, paesi e territori osservatori, parti interessate chiave e diversi ministri.

Durante cinque giorni, rappresentanti provenienti da tutto il mondo hanno partecipato alle discussioni della prima sessione generale interamente in presenza, dall’inizio della pandemia di COVID-19 nel 2020.

I delegati nazionali hanno adottato nuove risoluzioni e assunto impegni per rafforzare il controllo globale dell’influenza aviaria, una malattia animale che ha colpito tutte le regioni del mondo negli ultimi anni. Proprio per l’influenza aviaria e per la sua importanza a livello globale per la prima volta è stato organizzato un forum dedicato alla salute degli animali per esplorare le opzioni di gestione del rischio per questa malattia, fornendo al contempo uno spazio per discutere le strategie adattate alla sua attuale situazione in continua evoluzione.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna è stato rappresentato dal Dott. Giuseppe Merialdi, Direttore Sanitario e dal Dott. Antonio Lavazza, Direttore del Dipartimento Tutela e Salute Animale.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna