Salmonella in insetti ad uso alimentare: cosa dice la letteratura scientifica?

InsettiLa crescente domanda di proteine alimentari, dovuta alla continua crescita della popolazione mondiale, ha spinto la ricerca di fonti alimentari alternative per soddisfare requisiti di nutrizione, sostenibilità ed efficienza. Nel 2013 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha pubblicato un documento che evidenzia il potenziale degli insetti come mangimi e alimenti.

Anche se gli insetti hanno caratteristiche biologiche ed ecologiche molto diverse da quelle degli animali tradizionalmente allevati per il consumo umano, possono presentare rischi microbiologici, chimici e tossicologici. Come per gli altri animali allevati, i patogeni alimentari dovranno essere monitorati anche all’interno della filiera di produzione degli insetti. Salmonella, ad esempio, rappresenta un rischio importante negli alimenti di origine animale essendo la prima causa di focolai di malattie alimentari in Europa.

Fattori come la specie di insetti, il substrato di allevamento e i metodi di lavorazione possono influenzare la presenza di patogeni. L’allevamento di insetti può essere contaminato da Salmonella se le procedure di igiene non sono adeguate; pertanto, comprendere la persistenza di Salmonella negli insetti allevati è cruciale per la valutazione e la mitigazione del rischio. Ed è altrettanto importante raccogliere dati sulla presenza di Salmonella nelle specie di insetti autorizzati per il consumo umano, come Acheta domesticus (grillo domestico) e Tenebrio molitor (tarma della farina).

Nell’ambito di un progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della salute (RC IZSVe 03/21), l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha condotto due revisioni sistematiche della letteratura scientifica:

  • la prima con lo scopo di esaminare la letteratura scientifica sulla persistenza di Salmonella in differenti specie di insetti, al fine di fornire indicazioni sulle misure di sicurezza necessarie nella produzione alimentare a base di insetti;
  • la seconda, invece, con l’obiettivo di raccogliere le evidenze disponibili nella letteratura scientifica riguardanti la presenza di Salmonella negli insetti Acheta domesticus e Tenebrio molitor allevati e nei prodotti derivati.

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Ecdc. Aumentano nel 2022 le infezioni di origine alimentare segnalate nell’Ue/See

Sul banco degli imputati in primis listeriosi ed Escherichia coli Shiga tossine. Entrambe possono causare sintomi gravi, ma la prima può provocare meningite, sepsi o, nelle donne in gravidanza, aborto spontaneo, mentre lo Stec può causare spesso insufficienza renale, nei bambini colpiti.

Le infezioni di origine alimentare da listeriosi e da Escherichia coli Shiga tossine (Stec) nell’UE/SEE sono aumentate superando, nel 2022, i livelli pre pandemia. Malattie che possono causare sintomi gravi, la listeriosi può provocare meningite, sepsi o, nelle donne in gravidanza, aborto spontaneo, mentre lo Stec può causare spesso insufficienza renale, nei bambini colpiti. Nessun aumento invece per la salmonellosi e la campilobatteriosi che tipicamente causano ogni anno il maggior numero di casi di malattie di origine alimentare e idrica .

Questo il quadro tracciato dalle Relazioni epidemiologiche annuali 2022 pubblicate dall’Ecdc.

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Aviaria: anche l’Efsa raccomanda la vaccinazione per il pollame

La vaccinazione preventiva anti-aviaria dovrebbe essere condotta “nelle specie di pollame più sensibili e infettive nelle aree ad alto rischio di trasmissione”. Anche ricorrendo a “somministrazioni multiple”, cioè i richiami.

Dopo le indicazioni della Commissione, pure l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) raccomanda il ricorso alla vaccinazione protettiva nei confronti del virus H5N1 ad alta patogenicità”.

In Europa, attualmente, vi è un solo vaccino autorizzato all’uso contro l’influenza aviaria. Si tratta di Nobilis Influenza H5N2 (Msd Animal Health).

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Fonte: aboutpharma.it




Cluster di salmonella in 11 Paesi UE. L’alert dell’Ecdc

Sono stati individuati due sotto-cluster di Salmonella Enteritidis ST11 endemica con almeno 134 casi umani identificati in 11 Paesi dell’UE/SEE. La maggior parte dei casi è stata segnalata tra gennaio e agosto 2023. Le informazioni disponibili provenienti dalle interviste ai pazienti in Austria e Danimarca suggeriscono che la carne di pollo sia un possibile veicolo di infezione. In Germania sono iniziate le interviste ai pazienti.

Nel luglio 2023, la Danimarca ha riportato un cluster microbiologico di infezioni da Salmonella Enteritidis ST11 con date di campionamento a partire da maggio (REF). Al 25 agosto 2023, sono stati segnalati 97 casi con isolati recenti (2023) o storici, strettamente correlati dal punto di vista genetico, in Austria (6), Belgio (6), Danimarca (22), Finlandia (5), Francia (19), Germania (1), Irlanda (12), Paesi Bassi (12), Norvegia (9), Slovenia (3) e Svezia (2). In Danimarca, la maggior parte dei 19 casi intervistati ha riferito di aver consumato kebab o pizza che potevano avere il pollo come ingrediente, prima di sviluppare i sintomi. In Austria, due dei cinque casi intervistati hanno riferito di aver mangiato kebab di pollo nei sette giorni precedenti la comparsa dei sintomi e due casi hanno riferito di aver mangiato altri piatti a base di pollo (burrito di pollo e cotoletta di pollo).

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Fonte: quotidianosanità.it




Echinococcosi cistica: grazie all’Iss il primo studio quantitativo della malattia in Europa

A disegnare la prima mappa epidemiologica della malattia in Europa è stato uno studio generato nell’ambito del progetto europeo MEME (https://onehealthejp.eu/jrp-meme/) coordinato dall’Iss ed appena pubblicato dalla rivista The Lancet Infectious Diseases. Questa ricerca quantitativa ambisce a diminuire il limite di incertezza sull’impatto dell’echinococcosi cistica umana in Europa.

I dati sull’incidenza e sui trend sull’echinococcosi cistica sono stati estratti ed analizzati attraverso una revisione sistematica della letteratura scientifica pubblicata tra il 1997 e il 2021. L’incidenza media annuale è risultata di 0,64 casi per 100mila abitanti nel continente europeo, mentre nei soli paesi Ue è stata di 0,50 casi per 100mila. L’infezione è stata valutata ad alta endemica (da uno a cinque casi ogni 100mila, secondo la definizione Oms) in otto paesi fra cui l’Italia, dove l’incidenza è risultata di 1,21 per 100mila (circa 15mila casi umani riportati nel periodo considerato, con una diminuzione statisticamente significativa nel tempo dei casi), mentre la Bulgaria ha registrato i numeri più alti (5,32 per 100mila). Calano nei paesi del Mediterraneo i casi di echinococcosi cistica, una infezione zoonotica rara, mentre il trend è segnalato in aumento in alcuni paesi sia nella parte orientale del continente (penisola balcanica) dove la malattia è storicamente endemica, sia nel nord, dove invece la patologia non è endemica ed i casi sono importati e dovuti principalmente alle migrazioni e ai viaggi in paesi endemici. Per quanto riguarda i trend l’echinococcosi cistica, rimane endemica in molte nazioni d’Europa, ma in generale con un calo dell’incidenza. Questo studio ha identificato in Europa un totale di circa 64mila casi umani, evidenziando quanto questa malattia infettiva parassitaria sia negletta dai sistemi sanitari nazionali anche in Europa.

Che cos’è l’echinococcosi cistica

L’echinococcosi cistica umana è un’infezione parassitaria cosmopolita causata dallo stadio larvale di un cestode appartenente al complesso di specie Echinococcus granulosus s.l. L’echinococcosi appartiene all’attuale gruppo di 20 malattie tropicali trascurate (Neglected Tropical Diseases, NTDs) prioritizzate dall’OMS a causa del loro impatto sulla salute globale. Il verme adulto è una piccola tenia lunga pochi mm che parassita l’intestino tenue dei cani (ospiti definitivi) mentre lo stadio larvale, rappresentato da una o più cisti parassitarie, infetta gli organi interni (principalmente il fegato e i polmoni) degli animali da allevamento come gli ovini (ospiti intermedi). La malattia si trasmette all’uomo dagli ospiti definitivi tramite la contaminazione ambientale delle uova escrete dal verme adulto: può quindi avvenire per contatto mano-bocca con cani infetti o con superfici contaminate o per ingestione di alimenti o acque contaminate.

Nelle specie animali sensibili la malattia ha un decorso cronico ed asintomatico e la diagnosi è anatomopatologica in sede di ispezione post mortem al macello, con il ritrovamento delle cisti in uno o più organi.

Nell’uomo la malattia evolve generalmente in forma cronica senza sintomi specifici e nell’1-3% dei casi l’esito è fatale. Può quindi accadere che la malattia non sia diagnosticata per tutta od una parte della vita o, occasionalmente, a seguito di indagini strumentali (radiografie, ecografie, TAC) o per disfunzioni di organi interessati dalla presenza delle cisti che possono raggiungere anche i 20 cm di diametro.

Fonte: ISS




Combattere la Listeria Monocytogenes studiando le sue grandi capacità di adattamento

Listeria monocytogenesUna ricerca per capire come questo pericoloso batterio sia capace di sopravvivere, anche in condizioni molto difficili, mediante la produzione di determinate proteine, alcune delle quali attualmente prive di funzione nota

Listeria monocytogenes , uno dei più pericolosi microrganismi patogeni trasmessi attraverso gli alimenti, è un batterio decisamente resistente, capace di sopravvivere e persino riprodursi in condizioni ambientali particolarmente dure, dalla temperatura al sale, dall’acidità alla scarsità di acqua. Grazie a queste caratteristiche, non solo Listeria è largamente diffuso nell’ambiente, ma può contaminare gli ambienti delle industrie alimentari, dove la sua eliminazione può diventare particolarmente difficile.

La chiave è nell’adattabilità: di fronte agli stress ambientali il batterio attiva specifiche parti del suo codice genetico, che porta alla sintesi di proteine che lo rendono capace di fronteggiare situazioni avverse. Proprio la comprensione di come Listeria si adatti all’ambiente è alla base di un nuovo lavoro scientifico realizzato dal Laboratorio Nazionale di Riferimento per Listeria monocytogenes dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo (IZSAM) e pubblicato sulla rivista Proteomics.

Lo studio ha preso in esame un particolare ceppo di Listeria, denominato ST7, che negli anni passati è stato responsabile di una serie di focolai di listeriosi nell’Italia centrale, con casi anche molto gravi. I ricercatori hanno sottoposto i batteri a condizioni ambientali moderatamente stressanti variando la temperatura, il livello di acidità e la concentrazione di sale. “Le condizioni che abbiamo scelto – dice Federica D’Onofrio, dottoranda presso la Facoltà di Bioscienze e tecnologie agro-alimentari e ambientali dell’Università di Teramo, prima firmataria del lavoro – sono le stesse che possono verificarsi nelle fasi di produzione, distribuzione e vendita di prodotti alimentari. In altri termini, sono molto vicine alla realtà dei cibi che possiamo trovare in negozi o supermercati”.

Per ogni diversa situazione gli autori dello studio hanno quindi analizzato i batteri mediante tecniche di immunoproteomica e bioinformatica. Questo ha permesso di individuare quali geni si erano attivati in risposta agli stress, sintetizzando le proteine corrispondenti. “Abbiamo visto – continua D’Onofrio – che, rispetto ai batteri cresciuti in condizioni ottimali, quelli sottoposti a stress producevano specifiche proteine, alcune delle quali attualmente prive di funzione nota. I meccanismi biologici coinvolti in questa risposta sono quelli della motilità cellulare, del metabolismo dei carboidrati, dello stress ossidativo e della riparazione del DNA”.

In altre parole, come avviene per ogni organismo vivente,  Listeria cerca di adattarsi per sopravvivere. Solo che riesce a farlo in modo particolarmente efficiente. “La produzione di proteine determinata dall’attivazione di specifici geni in condizioni stressanti – dice Mirella Luciani, Reparto Immunologia e Sierologia IZSAM, tutor di Federica D’Onofrio per il dottorato – è  l’elemento alla base della capacità di questi batteri di diffondersi nell’ambiente e, in certi casi, di persistere anche negli impianti di produzione alimentare. Considerando quanto la listeriosi possa essere pericolosa per alcune categorie particolarmente vulnerabili come i bambini, gli anziani, gli immunodepressi e le donne in gravidanza, approfondire i meccanismi di difesa dei batteri ci potrà aiutare nello studio di nuove strategie per combatterli”.

Fonte: IZS Teramo




Salmonella e Campylobacter continuano a presentare elevati livelli di resistenza agli antibiotici

AntibioticoresistenzaLa resistenza agli antibiotici nei batteri Salmonella Campylobacter è ancora elevata, si afferma in un rapporto pubblicato oggi dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

Nel 2020 la campilobatteriosi è stata la zoonosi maggiormente segnalata nell’UE, oltre che la causa di malattia veicolata da alimenti riferita con maggior frequenza. I batteri Campylobacter isolati nell’uomo e nel pollame continuano a mostrare una resistenza molto alta alla ciprofloxacina, un antibiotico fluorochinolone comunemente usato per trattare alcuni tipi di infezioni batteriche nell’uomo.

Crescenti tendenze di resistenza alla classe di antibiotici fluorochinoloni sono state osservate nell’uomo e nei polli da carne riferiti a Campylobacter jejuni. In Salmonella Enteritidis, il tipo più comune di Salmonella nell’uomo, sono state osservate tendenze crescenti di resistenza alla classe di antibiotici chinoloni/fluorochinoloni. Negli animali la resistenza a tali antibiotici in Campylobacter jejuni e Salmonella Enteritidis è stata in genere compresa tra moderata ed elevata.

Tuttavia, nonostante le tendenze crescenti di resistenza ad alcuni antibiotici, la resistenza simultanea a due antibiotici di importanza primaria rimane bassa per E. coliSalmonella Campylobacter in batteri isolati in esseri umani e animali da produzione alimentare.

Un calo nella resistenza alle tetracicline e all’ampicillina in Salmonella isolata in esseri umani è stato osservato, rispettivamente, in nove e dieci Paesi nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020, in maniera particolarmente evidente in Salmonella Typhimurium. Nonostante il calo, la resistenza a tali antibiotici resta ancora alta nei batteri di provenienza sia umana che animale.

Inoltre in più della metà dei Paesi dell’Unione europea è stata osservata una tendenza statisticamente significativa al calo della prevalenza di E. coli produttore di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) negli animali da produzione alimentare. Si tratta di un dato importante poiché particolari ceppi di Escherichia coli produttore di ESBL sono causa di infezioni gravi nell’uomo.

Resta estremamente rara la resistenza ai carbapenemi in E. coli e Salmonella isolati in animali da produzione alimentare. I carbapenemi sono una classe di antibiotici di ultima istanza e qual-siasi dato che evidenzi resistenza ad essi nei batteri zoonotici è motivo di preoccupazione.

Anche se i risultati e le tendenze sono in linea con i dati riferiti in anni precedenti, la pandemia da COVID-19 ha avuto un impatto sulla quantità dei dati segnalati, in particolare in termini di salute pubblica.

Una pagina interattiva di visualizzazione dati sul sito EFSA mostra i livelli di resistenza nell’uomo, negli animali e negli alimenti, Paese per Paese, nel 2019 e nel 2020.

Dati sulla resistenza agli antibiotici contenuti in cibi e acqua destinati al consumo umano sono invece pubblicati in ECDC’s Surveillance Atlas of Infectious Diseases (alla voce, rispettivamente, campilobatteriosi, salmonellosi e shigellosi).

Fonte: EFSA




Trattamento ad alta pressione: sicurezza degli alimenti senza comprometterne la qualità

logo-efsaIl trattamento degli alimenti ad alta pressione (HPP) è efficace nel distruggere i microrganismi nocivi e non pone maggiori problemi di sicurezza alimentare rispetto ad altri trattamenti. Sono queste due delle conclusioni di un parere scientifico pubblicato dall’EFSA quest’oggi.

Gli esperti dell’EFSA hanno valutato la sicurezza e l’efficacia del processo HPP sugli alimenti e, più specificamente, se possa essere usato per limitare la proliferazione di Listeria monocytogenes negli alimenti pronti al consumo (RTE) e come alternativa alla pastorizzazione termica del latte crudo.

L’HPP è una tecnica di conservazione degli alimenti non termica che elimina i microorganismi responsabili di  malattie o che possono avariare i cibi. Utilizza una pressione intensa per un dato periodo di tempo senza alterare gusto, consistenza, aspetto e valori nutrizionali.

L’HPP può essere usato in diverse fasi della filiera di produzione degli alimenti, di solito su prodotti preconfezionati. Può venire applicato a materie prime come il latte, i succhi di frutta e i frappé, ma anche a prodotti che sono già stati lavorati come la carne cotta affettata e i prodotti alimentari RTE. In quest’ultimo caso riduce in essi la contaminazione proveniente dall’ambiente di produzione, per esempio durante l’affettatura e la manipolazione.

Questo metodo di trasformazione degli alimenti riduce i livelli di Listeria monocytogenes nei prodotti alimentati RTE a base di carne, a determinate combinazioni tempo-pressione specificate nel parere scientifico. In generale più lunga è la durata e l’intensità della pressione, maggior riduzione si ottiene. Si tratta di un risultato importante perché la contaminazione da L. monocytogenes degli alimenti RTE è motivo di preoccupazione per la salute pubblica nell’UE. L’HPP si è rivelato efficace anche nel diminuire i livelli di altri agenti patogeni come Salmonella ed E. coli.

Per il latte crudo gli esperti hanno individuato le combinazioni tempo-pressione che in termini di effetti possono essere considerate equivalenti  alla pastorizzazione termica. Queste variano a seconda dell’agente patogeno in questione.

A livello UE il processo HPP non è disciplinato in modo specifico e la consulenza dell’EFSA fungerà da base per future decisioni dei gestori del rischio in materia.

Fonte: EFSA




L’analisi dell’intero genoma come strumento fondamentale nella lotta alle malattie a trasmissione alimentare causate da Listeria Monocytogenes

Listeria monocytogenesDue lavori scientifici mostrano come il sequenziamento completo del genoma batterico possa giocare un ruolo determinante nella prevenzione di questa patologia

Le più avanzate tecniche di indagine genomica costituiscono un’arma decisiva nelle strategie di controllo della listeriosi, un’infezione batterica che, sebbene più rara rispetto ad altre patologie infettive trasmesse dagli alimenti (come la salmonellosi, ad esempio), determina la più alta percentuale di ospedalizzazione e mortalità. È quanto emerge da due ricerche condotte dal Laboratorio Nazionale di Riferimento per Listeria monocytogenes dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise. Le prime autrici dei lavori, pubblicati sulle riviste scientifiche Frontiers in Microbiology e Foods, sono, rispettivamente, Alexandra Chiaverini e Gabriella Centorotola.

I ricercatori IZSAM hanno utilizzato il sequenziamento completo del genoma batterico (Whole-Genome Sequencing, WGS) con due obiettivi: da un lato tracciare con precisione l’origine dei focolai infettivi, dall’altro migliorare la sorveglianza a livello di produzione, distribuzione e conservazione dei prodotti alimentari.

“La tecnologia del WGS – dice Chiaverini – rappresenta un supporto molto importante in tutti questi casi. Il sequenziamento completo del genoma batterico, infatti, si affianca all’indagine epidemiologica classica permettendoci non solo di tracciare con precisione l’origine delle infezioni, ma anche di caratterizzare a fondo lo specifico ceppo responsabile. Questo significa conoscere il suo grado di virulenza e le resistenze che potrà presentare, sia per quanto riguarda la terapia nei casi umani, sia nelle procedure di pulizia e disinfezione impiegate dagli stabilimenti alimentari e dalla catena di distribuzione”.

Listeria monocytogenes – aggiunge Centorotola – è un batterio che presenta grandi capacità di adattamento. In uno stabilimento di produzione, ad esempio, potrebbe essere riscontrato un particolare ceppo resistente a determinati disinfettanti, e allora potremmo vederlo permanere vitale anche dopo ripetute esecuzioni di pulizia e disinfezione. L’analisi dell’intero genoma ci permette di aiutare le aziende nell’indirizzare con precisione i loro interventi, se necessario modificando il piano di autocontrollo HACCP”.

“Il Laboratorio Nazionale di Riferimento per L. monocytogenes – conclude il dottor Francesco Pomilio, Responsabile del Laboratorio – in collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale per Sequenze Genomiche di microrganismi patogeni: banca dati e analisi di bioinformatica, dispone delle apparecchiature più moderne per contribuire alla tutela della salute pubblica, lavorando per l’intera comunità, includendo gli attori pubblici e privati”.

Per saperne di più sulla listeriosi: https://lnr.izs.it/listeria/common/mostra_articolo.do?id=6

Fonte: IZS Teramo




Rapporto One Health dell’UE: calo nel 2020 dei casi di malattie zoonotiche riferite nell’uomo e delle infezioni veicolate da alimenti

Nel 2020 è stata la campilobatteriosi la zoonosi maggiormente segnalata nell’UE, con 120 946 casi contro gli oltre 220 000 dell’anno precedente, seguita poi dalla salmonellosi, che ha interessato 52 702 individui contro gli 88 000 dell’anno precedente. Il numero di infezioni veicolate da alimenti ha registrato un calo del 47%. Queste risultanze si basano sulle cifre contenute nell’annuale rapporto “One Health” (salute unica globale) dell’UE sulle zoonosi, curato dall’EFSA e dall’ECDC.

Per spiegare il notevole calo dei casi di malattie zoonotiche riferiti nell’uomo e di infezioni alimentari (tra il 7% e il 53% a seconda della malattia riferita), gli esperti hanno riconosciuto il ruolo determinante svolto in Europa dalla pandemia da COVID-19.

Tra i fattori che possono aver causato il calo nelle segnalazioni: i mutamenti avvenuti nel ricorso all’assistenza sanitaria, le limitazioni a viaggi ed eventi, le chiusure dei ristoranti, la quarantena e altre misure di contenimento come l’uso di mascherine, il distanziamento sociale e la frequente disinfezione delle mani.

Di seguito le malattie più segnalate sono state la yersiniosi (con 5 668 casi) e le infezioni causate da E.coli produttore di Shigatoxina (con 4 446 casi). La listeriosi è stata la quinta zoonosi più segnalata (con 1 876 casi) e ha colpito soprattutto persone di età superiore a 64 anni.

La listeriosi e le infezioni da virus del Nilo occidentale sono state le due malattie con i più alti tassi di mortalità e ricoveri ospedalieri. La maggior parte delle infezioni da virus del Nilo occidentale contratte in loco sono state riferite in Grecia, Spagna e Italia.

Il rapporto esamina anche le infezioni veicolate da alimenti, ovvero eventi durante i quali almeno due persone contraggono la stessa malattia consumando il medesimo cibo contaminato. Un totale di 3 086 focolai infettivi di origine alimentare sono stati segnalati nel 2020. Salmonella è rimasta l’agente infettivo più frequentemente rilevato, causa del 23% dei focolai. Le più comuni fonti di salmonellosi sono state uova, ovoprodotti e carne di maiale.

Si riportano anche dati su Mycobacterium bovis/caprae, Brucella, Yersinia, Trichinella, Echinococcus, Toxoplasma gondii, rabbia, febbre Q e tularemia.

L’EFSA pubblica quest’oggi anche due pagine web per comunicare in maniera interattiva sulle infezioni veicolate da alimenti: una story map e un dashboard. La story map fornisce informazioni generali sulle infezioni alimentari, i loro agenti causali e gli alimenti che fungono da loro veicolo. Il dashboard consente agli utenti di cercare e interrogare la gran mole di dati sulle infezioni alimentari collazionati dall’EFSA e trasmessi da Stati membri dell’UE e altri Paesi dichiaranti sin dal 2015.

Fonte: EFSA