Residui di farmaci veterinari negli alimenti: da una decade altissimo il rispetto dei limiti di sicurezza

logo-efsaI residui di farmaci veterinari e di altre sostanze in  animali e alimenti di origine animale nell’Unione europea continuano a diminuire, secondo gli ultimi dati.

I dati di monitoraggio elaborati dall’EFSA per il 2020 sono tratti da 620 758  campioni raccolti dagli  Stati membri dell’UE, da Islanda e da Norvegia. La percentuale di campioni che ha scavalcato i tenori massimi di legge è stata dello 0,19%. Si tratta del dato più basso degli ultimi 11 anni (periodo in cui la non conformità rispetto ai limiti di legge si è attestata tra lo 0,25% e lo 0,37%). La percentuale per il 2019 è stata dello 0,30%.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019, nel 2020 i tassi di conformità sono aumentati per agenti antitiroidei, steroidi e lattoni dell’acido resorcilico.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019 è stato osservato un aumento della conformità anche per gli antielmintici, i composti organoclorurati, i composti organofosforici, i coloranti e “altre sostanze”.

È possibile consultare tali risultati in modo più particolareggiato e interattivo utilizzando la nostra nuova pagina di visualizzazione dei dati.

Tutti i dati, che racchiudono circa 13 milioni di risultanze, sono disponibili su Knowledge Junction, piattaforma online di libero accesso creata e curata dell’EFSA per migliorare la trasparenza, la riproducibilità e la riusabilità delle evidenze scientifiche nella valutazione dei rischi per la sicurezza di alimenti e mangimi.




La scienza alla base della profilazione nutrizionale: al via consultazione pubblica

Nutrizionisti e altri esperti hanno la possibilità di aiutare l’EFSA a dare gli ultimi ritocchi a un parere scientifico. Questo costituirà la base sulla quale i politici svilupperanno il futuro sistema UE di etichettatura dei nutrienti da apporre sulla parte anteriore delle confezioni alimentari. Il parere preciserà inoltre le condizioni in base alle quali limitare le indicazioni nutrizionali e sulla salute apposte sui prodotti alimentari.

Nell’ambito della strategia “dal produttore al consumatore” la Commissione europea ha chiesto all’EFSA all’inizio del 2021 di fornire consulenza scientifica sulle sostanze nutritive e sui componenti non nutritivi negli alimenti di rilevanza per la salute pubblica degli europei, sui gruppi alimentari con incidenza rilevante nelle diete europee e sui criteri scientifici per orientare la scelta dei nutrienti a fini di profilazione nutrizionale. La Commissione ha in programma di proporre una nuova legislazione in materia alla fine del 2022.

Una base scientifica per assistere i decisori politici dell’UE

Valeriu Curtui, a capo dell’Unità di “Nutrizione umana ” dell’EFSA, ha così commentato: “Abbiamo indetto una consultazione pubblica per raccogliere contributi scientifici sulla versione provvisoria del parere da altri esperti, partner istituzionali e portatori di interesse.

“Ricordiamo a tutti gli interessati a tale argomento che la nostra consulenza mira a fornire il supporto scientifico per elaborare i modelli di profilazione dei nutrienti e limitare le pretese salutistiche sulle etichette da apporre sulla parte anteriore delle confezioni. Questa stesura preliminare del parere, tuttavia, non esprime una valutazione né propone un modello particolare di profilazione nutrizionale per l’etichettatura dei nutrienti sulla parte anteriore delle confezioni”.

Quali gli elementi di rilievo in questa bozza di parere?

Il dottor Alfonso Siani presiede il gruppo di lavoro di esperti EFSA che ha contribuito alla stesura del parere scientifico. “Nella bozza diamo indicazioni ai responsabili politici su quali nutrienti e componenti non nutritivi degli alimenti considerare ai fini di una loro inclusione in modelli di profilazione nutrizionali ove apporti eccessivi o inadeguati siano associati a rischi di malattia a lungo termine”.

La bozza di parere conclude, tra l’altro, che nei modelli di profilazione nutrizionale si potrebbe tener conto dei seguenti elementi:

  • considerata l’alta prevalenza di sovrappeso e obesità in Europa, è importante prevedere una diminuzione dell’assunzione di energia per la salute pubblica delle popolazioni europee;
  • nella maggior parte delle popolazioni europee l’assunzione di grassi saturi, sodio, zuccheri aggiunti/liberi supera i limiti raccomandati e un’assunzione eccessiva si  associa a effetti negativi sulla salute;
  • nella maggior parte delle popolazioni adulte europee l’assunzione di fibre e potassio tramite la dieta è inadeguata e assunzioni inadeguate si associano a effetti negativi sulla salute.

La bozza osserva anche che, in specifiche sotto-popolazioni, l’assunzione di ferro, calcio, vitamina D, folato e iodio è inadeguata ma affrontata solitamente da politiche nazionali e/o raccomandazioni individuali.

“Sebbene la scelta dei nutrienti e dei non-nutrienti in un modello di profilazione dei nutrienti dovrebbe essere guidata principalmente dalla loro rilevanza per la salute pubblica”, ha aggiunto il dottor Siani, “essi possono venire inclusi anche per altre motivazioni, ad esempio l’esigenza di dare priorità ad alcuni alimenti anche quando la scienza non abbia chiarito al 100% che è necessario un aumento del loro consumo per motivi di salute pubblica. Per esempio i gestori del rischio possono decidere di includere alcuni omega-3 nei modelli di profilazione dei nutrienti per incoraggiare il consumo di pesce grasso in linea con le loro raccomandazioni nutrizionali, anche se i dati sull’assunzione di tali acidi grassi sono insufficienti a concludere se il consumo sia  quantitativamente  adeguate o meno.”

Gruppi alimentari nelle diete degli europei e raccomandazioni a livello nazionale

“Il nostro parere include anche considerazioni scientifiche riguardo ai gruppi di alimenti che hanno un ruolo importante nelle diete degli europei”, ha affermato il dottor Siani.

Questi gruppi comprendono cibi amidacei (soprattutto cereali e patate), frutta e verdura, legumi e legumi, latte e latticini, carne e prodotti a base di carne, pesce e crostacei, noci e semi, e bevande non alcoliche, come riconosciuto dalle linee guida nutrizionali nazionali basate sugli alimenti negli Stati membri. Il loro ruolo nella dieta  e relativi contributi variano da un Paese all’altro a causa delle diverse abitudini e tradizioni alimentari.

Il dr Siani ha poi aggiunto: “Le linee guida nazionali incoraggiano il consumo di cereali integrali, frutta e verdura, noci e semi, latte e latticini a basso contenuto di grassi, pesce e acqua. Invece i prodotti alimentari che a causa di trasformazioni alimentari hanno un alto contenuto di grassi saturi, zuccheri e/o sodio vengono scoraggiati, anche all’interno di tali categorie alimentari.

“Le linee guida promuovono anche il regolare consumo di legumi e legumi al posto della carne (in particolare carni rosse e carni lavorate), e di oli vegetali ricchi di grassi monoinsaturi e polinsaturi invece di quelli ricchi di grassi saturi”.

Fonte: EFSA




L’analisi dell’intero genoma come strumento fondamentale nella lotta alle malattie a trasmissione alimentare causate da Listeria Monocytogenes

Listeria monocytogenesDue lavori scientifici mostrano come il sequenziamento completo del genoma batterico possa giocare un ruolo determinante nella prevenzione di questa patologia

Le più avanzate tecniche di indagine genomica costituiscono un’arma decisiva nelle strategie di controllo della listeriosi, un’infezione batterica che, sebbene più rara rispetto ad altre patologie infettive trasmesse dagli alimenti (come la salmonellosi, ad esempio), determina la più alta percentuale di ospedalizzazione e mortalità. È quanto emerge da due ricerche condotte dal Laboratorio Nazionale di Riferimento per Listeria monocytogenes dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise. Le prime autrici dei lavori, pubblicati sulle riviste scientifiche Frontiers in Microbiology e Foods, sono, rispettivamente, Alexandra Chiaverini e Gabriella Centorotola.

I ricercatori IZSAM hanno utilizzato il sequenziamento completo del genoma batterico (Whole-Genome Sequencing, WGS) con due obiettivi: da un lato tracciare con precisione l’origine dei focolai infettivi, dall’altro migliorare la sorveglianza a livello di produzione, distribuzione e conservazione dei prodotti alimentari.

“La tecnologia del WGS – dice Chiaverini – rappresenta un supporto molto importante in tutti questi casi. Il sequenziamento completo del genoma batterico, infatti, si affianca all’indagine epidemiologica classica permettendoci non solo di tracciare con precisione l’origine delle infezioni, ma anche di caratterizzare a fondo lo specifico ceppo responsabile. Questo significa conoscere il suo grado di virulenza e le resistenze che potrà presentare, sia per quanto riguarda la terapia nei casi umani, sia nelle procedure di pulizia e disinfezione impiegate dagli stabilimenti alimentari e dalla catena di distribuzione”.

Listeria monocytogenes – aggiunge Centorotola – è un batterio che presenta grandi capacità di adattamento. In uno stabilimento di produzione, ad esempio, potrebbe essere riscontrato un particolare ceppo resistente a determinati disinfettanti, e allora potremmo vederlo permanere vitale anche dopo ripetute esecuzioni di pulizia e disinfezione. L’analisi dell’intero genoma ci permette di aiutare le aziende nell’indirizzare con precisione i loro interventi, se necessario modificando il piano di autocontrollo HACCP”.

“Il Laboratorio Nazionale di Riferimento per L. monocytogenes – conclude il dottor Francesco Pomilio, Responsabile del Laboratorio – in collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale per Sequenze Genomiche di microrganismi patogeni: banca dati e analisi di bioinformatica, dispone delle apparecchiature più moderne per contribuire alla tutela della salute pubblica, lavorando per l’intera comunità, includendo gli attori pubblici e privati”.

Per saperne di più sulla listeriosi: https://lnr.izs.it/listeria/common/mostra_articolo.do?id=6

Fonte: IZS Teramo




Dal peschereccio alla tavola: gli elementi chiave per prevenire l’intossicazione da istamina

pesciUna ricerca condotta sui dati derivati da otto anni di controlli alimentari fotografa la situazione della sindrome sgombroide, un’intossicazione alimentare fortemente legata alla qualità del pesce e alla sua conservazione

Prurito su tutto il corpo, mal di testa, nausea, vomito e crampi addominali. Sintomi che, se compaiono dopo aver mangiato pesce, devono far sospettare la cosiddetta “sindrome sgombroide”, una intossicazione alimentare legata alla presenza di istamina nel cibo. Una ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, esaminando i dati raccolti in otto anni di controlli istituzionali eseguiti nella regione Abruzzo, evidenzia l’importanza delle corrette procedure di lavorazione e conservazione del pesce, dalla rete del peschereccio al punto vendita. Ma non solo: si può fare molto anche a casa.

Presente naturalmente nel nostro organismo, l’istamina svolge un ruolo importante nella mediazione dei processi immunitari e infiammatori. In alcuni casi, come sanno bene le persone che soffrono di allergia, può contribuire alla comparsa di reazioni come asma, orticaria o rinite, anche in forma grave. Ma questa molecola può essere presente anche in alcuni alimenti e, se la dose ingerita risulta eccessiva, è capace di provocare una sintomatologia molto simile a quella di una forte reazione allergica.

Anche se diversi cibi sottoposti a fermentazione microbica (come i formaggi fermentati, il vino o la birra) possono contenere istamina, i casi di intossicazione sono soprattutto legati al consumo di pesce. I pesci vivi non contengono questa sostanza ma, una volta pescati, alcune specie batteriche iniziano subito a degradare l’aminoacido istidina, di cui sono ricchi soprattutto tonno, sgombro, sarde, sardine e acciughe. Il risultato è la formazione di istamina, della quale, se la conservazione non è corretta, possono formarsi quantità notevoli, fino a rappresentare un pericolo per la salute.

“La nostra ricerca – dice la dottoressa Loredana Annunziata, dirigente chimico presso il reparto di Bromatologia e Residui dell’IZSAM, prima autrice del lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Food Control – ha preso in esame campioni raccolti nella regione Abruzzo dal 2013 al 2020. I campioni provenivano sia da normali controlli istituzionali condotti dalle ASL sul pesce in vendita, sia a seguito di segnalazioni dei cittadini, in alcuni casi per vere e proprie intossicazioni. Naturalmente, una volta individuati contenuti di istamina superiori ai limiti stabiliti dalla normativa europea, sono state rapidamente avviate tutte le procedure di controllo e tracciamento”.

Attività fondamentali, che rappresentano anche un aiuto importante per i produttori e per la catena di distribuzione e vendita. Infatti la qualità delle materie prime, il mantenimento della catena del freddo e il rispetto delle buone pratiche igieniche durante i processi di trasformazione sono fattori determinanti per il controllo della formazione di istamina. Senza dimenticare il ruolo che riveste l’attenzione dei consumatori, come sottolinea Annunziata: “La forte strategia di verifiche sui prodotti è uno strumento di prevenzione in cui l’Italia è tra i primi Paesi d’Europa. Oltre ai controlli istituzionali, questo rende possibile supportare le aziende nell’implementare procedure di sicurezza sempre aggiornate e rispondenti alle necessità. Allo stesso tempo la nostra ricerca evidenzia che anche il consumatore può fare molto per evitare che il pesce, una volta acquistato, possa andare incontro alla formazione di istamina. Le chiavi sono due: il tempo e il freddo. Nel caso del pesce congelato dobbiamo sottolineare che il processo di degradazione dell’istidina in istamina può riattivarsi molto rapidamente. Per questo motivo andrebbe scongelato immergendolo in acqua fredda, e non lasciandolo a temperatura ambiente. Non dimentichiamo poi che l’istamina è una molecola termostabile: una volta che si è formata non verrà distrutta dalla cottura”.

 Fonte: IZS Teramo



Escherichia coli resistenti agli antibiotici: un confronto genetico per comprendere la trasmissione della resistenza tra animali e uomo

antibioticoresistenzaI cloni di Escherichia coli che infettano o colonizzano l’uomo e gli animali allevati per la produzione di alimenti potrebbero circolare fra le diverse specie che li ospitano, scambiandosi geni che conferiscono meccanismi di resistenza agli antibiotici. Per questo è importante adottare un approccio One Health nella sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dei batteri patogeni, analizzando e confrontando con metodi armonizzati il genoma di batteri isolati da matrici umane e animali.

A suggerirlo sono anche i risultati di un progetto di ricerca finanziato nel 2015 dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e realizzato da 15 istituti italiani di sanità pubblica tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). Lo studio è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents.

Il problema sanitario degli E. coli resistenti agli antibiotici

Le beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di Escherichia coli in grado di produrre ESBL, isolati sia nell’uomo che in animali allevati per produrre alimenti. La ricerca scientifica sta quindi cercando di stabilire se i geni codificanti ESBL possono trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Le beta-lattamasi a spettro esteso (Extended-Spectrum Beta-Lactamases, ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. Questi antibiotici sono utilizzati per il trattamento di alcune importanti infezioni batteriche umane, tra cui quelle sostenute da Klebsiella pneumoniae e quelle extra-intestinali causate da E. coli.

A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di E. coli in grado di produrre ESBL, fra cui in particolare il clone denominato ST131, che hanno complicato considerevolmente la terapia di queste infezioni sia in comunità che in ambito ospedaliero.

Negli ultimi anni sono inoltre in aumento le segnalazioni di E. coli ESBL-produttori negli animali allevati per la produzione di alimenti.  Anche se il clone ST131 viene sporadicamente isolato in queste specie, i geni codificanti ESBL potrebbero trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Su questa ipotesi la letteratura scientifica ha fornito sinora evidenze contrastanti: alcuni studi hanno rilevato in E.coli isolati dagli animali e dall’uomo i medesimi geni codificanti ESBL, mentre altri hanno evidenziato differenze fra i geni codificanti questi enzimi in relazione alle specie animali da cui i batteri erano isolati.

E. coli può inoltre disporre di altri geni che producono ulteriori meccanismi di resistenza agli antibiotici. Tra questi i geni che codificano le carbapenemasi, enzimi che conferiscono resistenza a diversi principi attivi tra i quali i carbapenemi, utilizzati nell’ambito della clinica umana per il trattamento di E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, oppure i geni in grado di conferire resistenza alla colistina (mobile colistin resistancemcr), antibiotico salvavita somministrato per contrastare i batteri resistenti proprio ai carbapenemi, oltre che ad altri antibiotici.

Uno studio One Health sugli E.coli resistenti

Tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti. Sono stati analizzati 925 isolati di E. coli ESBL-produttori raccolti da 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici diversi, tra cui l’IZSVe. Gli isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL, quindi classificati con ulteriori metodi molecolari in gruppi filogenetici e cloni.

Per comprendere quindi se gli animali e gli alimenti da essi derivati possono contribuire alla trasmissione delle resistenze verso le cefalosporine di terza e quarta generazione in batteri patogeni per l’uomo, tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti.

Il progetto, che rappresenta uno dei primi esempi in Italia di approccio One Health nella ricerca sulle resistenze batteriche agli antimicrobici, ha coinvolto i laboratori di 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici sperimentali situati in 6 diverse regioni italiane: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Lazio e Sicilia.

I partner del progetto hanno contribuito alla raccolta di 925 isolati di E. coli ESBL-produttori individuati durante le loro attività diagnostiche di routine. Di questi, 480 provenivano da matrici umane (urine o sangue) e 445 da matrici animali (feci o intestino). In particolare, gli isolati di origine animale sono stati prelevati da bovini (29,4%), suini (27,0%) e specie avicole (43,6%).

Questi isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL e carbapenemasi; quindi sono stati tipizzati con ulteriori metodi molecolari per poterli classificare prima in gruppi filogenetici e successivamente, mediante Multilocus Sequence Typing (MSLT), in cloni. Negli isolati risultati resistenti alla colistina sono stati ricercati anche i geni da mcr-1 a mcr-5.

Screening molecolare

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. In particolare, CTX-M-15 è risultato il gene più frequente nell’uomo (75,0%) e nei bovini (51,1%), CTX-M-1 era più diffuso nei suini (58,3%), mentre nel pollame è stato individuato con maggiore frequenza il gene CTX-M-15 (36,6%), unitamente a geni di tipo diverso (SHV e CMY-2, 29,9%).

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. Gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). I dati emersi dallo studio indicano che i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL, per cui lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è un fenomeno probabile.

Tra gli isolati di E.coli ESBL-produttori analizzati 14 (di cui solo uno di origine animale) sono risultati resistenti anche ai carbapenemi, anche se in nessuno di essi sono stati rilevati geni codificanti carbapenemasi. I ricercatori spiegano questa apparente contraddizione con la possibilità che all’origine della resistenza ci fossero geni o meccanismi di resistenza diversi da quelli investigati nello studio.

Gruppi filogenetici e cloni

L’analisi filogenetica ha permesso di classificare gli isolati in 7 diversi gruppi filogenetici (A, B1, B2, C, D, E, F). Come già noto, gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). Gli isolati animali si distribuivano invece prevalentemente tra i gruppi A (35,7%), B1 (26,1%) e C (12,4%).

La tipizzazione effettuata con la tecnica MSLT ha rivelato poi che la maggior parte degli isolati di origine umana (83,4%) apparteneva al clone pandemico ST131, che era frequentemente portatore del gene CTX-M-15 (75,9%). Questo clone è stato rilevato solo raramente negli isolati di origine animale (solo 3 isolati, originati tutti da pollame).

Scambi genetici, un’ipotesi da approfondire

I dati emersi dallo studio indicano che gli isolati ESBL-produttori di E. coli responsabili di infezioni extra-intestinali nell’uomo e quelli che colonizzano gli animali allevati per la produzione di alimenti sono per lo più diversi, con il clone ST131 che si conferma poco diffuso negli animali.  Tuttavia, come già evidenziato in altri studi, i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL.

Lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è quindi un fenomeno probabile, soprattutto se sussistono fattori di rischio come l’impiego non prudente di antimicrobici; dovrà quindi essere indagato ulteriormente dalla comunità scientifica e monitorato dalle autorità sanitarie.

Infine 42 isolati analizzati nello studio sono risultati resistenti anche alla colistina; di questi 29 (3 provenienti da matrici umane e 26 da matrici animali) erano portatori del gene mcr-1, veicolato su elementi genetici mobili (i cosiddetti plasmidi) facilmente interscambiabili fra batteri diversi. Uno degli isolati da matrici umane apparteneva al clone ST131. Sulla base di queste evidenze, gli autori dello studio sottolineano l’importanza di mantenere una sorveglianza anche verso questo tipo di resistenza.

Fonte: IZS delle Venezie




Giornata Mondiale dell’Alimentazione

 In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione che si celebra ogni anno il 16 ottobre, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«La Giornata Mondiale dell’Alimentazione offre una preziosa opportunità di riflessione sulle drammatiche conseguenze della pandemia, segnate dall’aumento dei livelli di povertà e malnutrizione.

Lo stato della sicurezza alimentare nel mondo è sensibilmente peggiorato. La comunità internazionale dovrà saper dare adeguato seguito alle raccomandazioni del recente vertice sui sistemi alimentari, valorizzando le naturali sinergie del sistema ONU e le competenze delle agenzie delle Nazioni Unite insediate a Roma.

L’Italia, Presidente di turno del G20, ha assunto come temi quelli di People, Planet e Prosperity.

Si tratta di riprendere uno degli intenti più ambiziosi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: “sconfiggere la fame”.

La Dichiarazione di Matera sulla sicurezza alimentare e l’iniziativa tesa a mobilitare una nuova “coalizione per il cibo”, sono punti fermi da cui muovere, nel pieno rispetto delle culture alimentari di ciascuno, consapevoli che non esistono soluzioni preconfezionate per raggiungere l’obiettivo “fame zero”.

La sostenibilità ambientale è a sua volta cruciale a questo fine e interpella l’impatto climatico determinato dalla stessa produzione agricola e dall’allevamento.

La COP26 sul clima, che vede coinvolta l’Italia in partenariato con il Regno Unito, costituirà una tappa importante di un percorso di attenzione al rapporto tra nutrizione e cura dell’ambiente, tema essenziale se vogliamo consegnare alle giovani generazioni un futuro ricco di opportunità.»

 




Glifosato: EFSA ed ECHA avviano le consultazioni

L’EFSA e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) hanno avviato consultazioni parallele sulle valutazioni scientifiche iniziali del glifosato. Le consultazioni si protrarranno per 60 giorni e tutte le parti interessate sono invitate a contribuire. 

Durante le consultazioni parallele l’EFSA raccoglierà osservazioni sul “rapporto di valutazione sul rinnovo del glifosato”, mentre la consultazione indetta dall’ECHA verte sul dossier in tema di armonizzazione della classificazione ed etichettatura del glifosato.

Entrambe le valutazioni scientifiche iniziali sottoposte a consultazione quest’oggi sono state predisposte dal Gruppo di Valutazione sul Glifosato (AGG), che comprende enti nazionali competenti di Francia, Ungheria, Paesi Bassi e Svezia.

L’EFSA e l’ECHA, agenzie dell’UE, intendono essere trasparenti e rendere partecipi i cittadini e le parti interessate quanto più possibile al proprio lavoro. Tutte le parti interessate sono invitate a contribuire alle consultazioni presentando commenti pertinenti o informazioni e dati scientifici. Le consultazioni rimarranno aperte per 60 giorni e, una volta terminate, tutti i commenti pertinenti saranno pubblicati sui siti web delle due agenzie.

Al termine delle consultazioni ciascuna di esse collazionerà i commenti pertinenti ai rispettivi mandati. Per quanto concerne la procedura di classificazione armonizzata, il Gruppo di Valutazione sul Glifosato e il Comitato per la Valutazione dei Rischi (RAC) dell’ECHA vaglieranno i dati e i commenti ricevuti. Le considerazioni che ne deriveranno saranno messe a disposizione quando il RAC elaborerà il proprio parere sulla classificazione del glifosato ai sensi del Regolamento CLP dell’UE su classificazione, etichettatura e imballaggio.

La classificazione dei prodotti chimici è concepita esclusivamente in base alle proprietà pericolose di una sostanza, senza tenere conto del suo uso né della probabilità di esposizione alla sostanza stessa. L’esposizione viene invece valutata nell’ambito del processo di valutazione dei rischi connessi ai principi attivi nei pesticidi curato dall’EFSA.

Attualmente il glifosato è classificato in maniera armonizzata come sostanza che causa gravi danni agli occhi e tossica per la vita acquatica con effetti di lungo termine, sia prima che dopo la valutazione dell’ECHA del 2017. Non è stata invece ritenuta giustificata una classificazione in base a mutagenicità delle cellule germinali, carcinogenicità e tossicità riproduttiva. La valutazione scientifica iniziale condotta dall’AGG non prevede un cambiamento della classificazione in essere.

L’EFSA terrà conto delle risultanze del parere del RAC dell’ECHA sulla classificazione del glifosato nella propria revisione tra pari, la cui conclusione è prevista nella seconda metà del 2022. Al termine la Commissione europea, insieme ai gestori del rischio dei 27 Stati membri dell’UE, deciderà se rinnovare l’approvazione dell’impiego del glifosato nell’Unione.

Note informative

Il glifosato è una sostanza chimica ampiamente utilizzata nei prodotti fitosanitari (PPP). I PPP a base di glifosato (cioè i formulati contenenti glifosato, i coformulanti come gli agenti antischiuma e altre sostanze chimiche) sono utilizzati principalmente in agricoltura e orticoltura per controllare le erbe infestanti competitive rispetto alle colture.

Nel 2017 la Commissione europea ha concesso un’autorizzazione di cinque anni per il glifosato, il cui uso è attualmente ammesso nell’UE fino al 15 dicembre 2022. Ciò significa che esso può essere utilizzato come principio attivo nei PPP solo fino a tale data, purché ciascun prodotto sia stato autorizzato dai singoli enti nazionali a ciò preposti dopo una valutazione in termini di sicurezza.

Per partecipare alla consultazione pubblica cliccare sul link seguente:

Fonte: EFSA




Efsa, Seminario internazionale sulla valutazione del rischio all’esposizione combinata a più sostanze chimiche

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Il Focal point italiano di EFSA informa che sono aperte le iscrizioni al seminario internazionale sulla valutazione del rischio dovuto all’esposizione combinata a più sostanze chimiche. Il seminario si terrà online dal 18 al 20 ottobre 2021 in tre sessioni pomeridiane.

La scadenza per la registrazione è il 30 agosto 2021 e può essere effettuata online. L’interessato riceverà una email di conferma.

Poiché la partecipazione è limitata a 120 partecipanti, le iscrizioni potrebbero chiudersi al raggiungimento del numero massimo.

Per maggiori informazioni sull’evento, è possibile consultare la pagina dedicata sul sito web di EFSA o contattare il comitato organizzatore all’indirizzo email events@efsa.europa.eu.

Leggi il programma.




Locusta migratoria: il parere dell’Efsa per consumarla come ingrediente alimentare sotto forma di snack

InsettiA seguito di una richiesta della Commissione europea, è stato chiesto al gruppo di esperti scientifici dell’Aurità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sulla nutrizione, i nuovi alimenti e gli allergeni alimentari (NDA) di esprimere un parere sulla sicurezza delle formulazioni congelate ed essiccate della locusta migratoria (Locusta migratoria) come nuovo alimento ai sensi del regolamento (UE) 2015/2283.

Il termine locusta migratoria si riferisce all’adulto della specie di insetti Locusta migratoria.

Il Novel Food (NF) ​​è proposto in tre formulazioni

  1. surgelato senza zampe e senza ali;
  2. essiccato senza zampe e ali;
  3. terra con zampe e ali.

I componenti principali del NF sono proteine, grassi e fibre (chitina) nella forma essiccata del NF e acqua, proteine, grassi e fibre (chitina) nella forma congelata del NF.

Il gruppo di esperti scientifici ha affermato che la concentrazione di contaminanti nel NF dipende dai livelli di presenza di queste sostanze nel mangime per insetti e non vi sono problemi di sicurezza per quanto riguarda la stabilità del NF se il NF è conforme ai limiti delle specifiche proposte durante l’intera durata di conservazione.

Il NF ​​ha un alto contenuto proteico, sebbene i veri livelli proteici nel NF siano sovrastimati quando si utilizza il fattore di conversione azoto-proteina di 6,25, a causa della presenza di azoto non proteico dalla chitina. Il richiedente ha proposto di utilizzare l’NF come congelato, essiccato e macinato sotto forma di snack e come ingrediente alimentare in una serie di prodotti alimentari. Il target di riferimento del richiedente è la popolazione generale.

I gruppo di esperti osserva che, considerando la composizione del NF e le condizioni d’uso proposte, il consumo del NF non è svantaggioso dal punto di vista nutrizionale. La storia dell’uso e gli studi sulla tossicità presentati dalla letteratura non hanno sollevato problemi di sicurezza. Il gruppo di esperti scientifici ritiene che il consumo di NF potrebbe innescare una sensibilizzazione primaria alle proteine ​​di L. migratoria e causare reazioni allergiche in soggetti con allergia a crostacei, acari e molluschi. Inoltre, gli allergeni del mangime possono finire nel NF. Il gruppo di esperti conclude che l’NF è sicuro in base agli usi e ai livelli d’uso proposti.




Resistenza agli antimicrobici e ambienti di produzione degli alimenti: fonti e opzioni per il controllo

Antibioticoresistenza

La resistenza agli antimicrobici (AMR) negli alimenti di origine vegetale e/o nell’acquacoltura ha origine per lo più da fertilizzanti di origine fecale e acque (compresa quella usata per irrigare). Secondo l’EFSA in zootecnia le fonti potenziali di resistenza sono riconducibili a mangimi, esseri umani, acqua, aria o polvere, suolo, fauna selvatica, roditori, artropodi e attrezzature.

Per la prima volta gli esperti dell’EFSA hanno valutato il ruolo svolto dagli ambienti destinati alla produzione alimentare nell’insorgenza e diffusione dell’AMR, mappando le principali fonti dei relativi batteri e geni, anche se i dati attuali non consentono di quantificare il contributo specifico di ciascuna di esse a questo problema di portata mondiale.

L’EFSA ha individuato i batteri e i geni resistenti di massima priorità per la salute pubblica che possono essere trasmessi tramite la catena alimentare, vagliando la letteratura scientifica per documentarne la presenza nelle suddette fonti ambientali.

Tra le misure volte a limitare la comparsa e la diffusione di resistenza negli ambienti per la produzione alimentare vi sono la riduzione della contaminazione microbica di origine fecale nei fertilizzanti, nell’acqua e nei mangimi nonché l’adozione di buone pratiche igieniche in genere . Gli esperti hanno inoltre formulato raccomandazioni per proseguire la ricerca nei settori ritenuti prioritari onde contribuire a colmare le lacune nei dati, affiancando così i responsabili dell’UE in materia di gestione del rischio nell’attuare il piano d’azione europeo «One Health» contro la resistenza agli antimicrobici.

Per elaborare il parere, gli esperti hanno lavorato a stretto contatto con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) e l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA).

Fonte: EFSA