Trattamento ad alta pressione: sicurezza degli alimenti senza comprometterne la qualità

logo-efsaIl trattamento degli alimenti ad alta pressione (HPP) è efficace nel distruggere i microrganismi nocivi e non pone maggiori problemi di sicurezza alimentare rispetto ad altri trattamenti. Sono queste due delle conclusioni di un parere scientifico pubblicato dall’EFSA quest’oggi.

Gli esperti dell’EFSA hanno valutato la sicurezza e l’efficacia del processo HPP sugli alimenti e, più specificamente, se possa essere usato per limitare la proliferazione di Listeria monocytogenes negli alimenti pronti al consumo (RTE) e come alternativa alla pastorizzazione termica del latte crudo.

L’HPP è una tecnica di conservazione degli alimenti non termica che elimina i microorganismi responsabili di  malattie o che possono avariare i cibi. Utilizza una pressione intensa per un dato periodo di tempo senza alterare gusto, consistenza, aspetto e valori nutrizionali.

L’HPP può essere usato in diverse fasi della filiera di produzione degli alimenti, di solito su prodotti preconfezionati. Può venire applicato a materie prime come il latte, i succhi di frutta e i frappé, ma anche a prodotti che sono già stati lavorati come la carne cotta affettata e i prodotti alimentari RTE. In quest’ultimo caso riduce in essi la contaminazione proveniente dall’ambiente di produzione, per esempio durante l’affettatura e la manipolazione.

Questo metodo di trasformazione degli alimenti riduce i livelli di Listeria monocytogenes nei prodotti alimentati RTE a base di carne, a determinate combinazioni tempo-pressione specificate nel parere scientifico. In generale più lunga è la durata e l’intensità della pressione, maggior riduzione si ottiene. Si tratta di un risultato importante perché la contaminazione da L. monocytogenes degli alimenti RTE è motivo di preoccupazione per la salute pubblica nell’UE. L’HPP si è rivelato efficace anche nel diminuire i livelli di altri agenti patogeni come Salmonella ed E. coli.

Per il latte crudo gli esperti hanno individuato le combinazioni tempo-pressione che in termini di effetti possono essere considerate equivalenti  alla pastorizzazione termica. Queste variano a seconda dell’agente patogeno in questione.

A livello UE il processo HPP non è disciplinato in modo specifico e la consulenza dell’EFSA fungerà da base per future decisioni dei gestori del rischio in materia.

Fonte: EFSA




Residui di farmaci veterinari negli alimenti: da una decade altissimo il rispetto dei limiti di sicurezza

logo-efsaI residui di farmaci veterinari e di altre sostanze in  animali e alimenti di origine animale nell’Unione europea continuano a diminuire, secondo gli ultimi dati.

I dati di monitoraggio elaborati dall’EFSA per il 2020 sono tratti da 620 758  campioni raccolti dagli  Stati membri dell’UE, da Islanda e da Norvegia. La percentuale di campioni che ha scavalcato i tenori massimi di legge è stata dello 0,19%. Si tratta del dato più basso degli ultimi 11 anni (periodo in cui la non conformità rispetto ai limiti di legge si è attestata tra lo 0,25% e lo 0,37%). La percentuale per il 2019 è stata dello 0,30%.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019, nel 2020 i tassi di conformità sono aumentati per agenti antitiroidei, steroidi e lattoni dell’acido resorcilico.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019 è stato osservato un aumento della conformità anche per gli antielmintici, i composti organoclorurati, i composti organofosforici, i coloranti e “altre sostanze”.

È possibile consultare tali risultati in modo più particolareggiato e interattivo utilizzando la nostra nuova pagina di visualizzazione dei dati.

Tutti i dati, che racchiudono circa 13 milioni di risultanze, sono disponibili su Knowledge Junction, piattaforma online di libero accesso creata e curata dell’EFSA per migliorare la trasparenza, la riproducibilità e la riusabilità delle evidenze scientifiche nella valutazione dei rischi per la sicurezza di alimenti e mangimi.




L’analisi dell’intero genoma come strumento fondamentale nella lotta alle malattie a trasmissione alimentare causate da Listeria Monocytogenes

Listeria monocytogenesDue lavori scientifici mostrano come il sequenziamento completo del genoma batterico possa giocare un ruolo determinante nella prevenzione di questa patologia

Le più avanzate tecniche di indagine genomica costituiscono un’arma decisiva nelle strategie di controllo della listeriosi, un’infezione batterica che, sebbene più rara rispetto ad altre patologie infettive trasmesse dagli alimenti (come la salmonellosi, ad esempio), determina la più alta percentuale di ospedalizzazione e mortalità. È quanto emerge da due ricerche condotte dal Laboratorio Nazionale di Riferimento per Listeria monocytogenes dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise. Le prime autrici dei lavori, pubblicati sulle riviste scientifiche Frontiers in Microbiology e Foods, sono, rispettivamente, Alexandra Chiaverini e Gabriella Centorotola.

I ricercatori IZSAM hanno utilizzato il sequenziamento completo del genoma batterico (Whole-Genome Sequencing, WGS) con due obiettivi: da un lato tracciare con precisione l’origine dei focolai infettivi, dall’altro migliorare la sorveglianza a livello di produzione, distribuzione e conservazione dei prodotti alimentari.

“La tecnologia del WGS – dice Chiaverini – rappresenta un supporto molto importante in tutti questi casi. Il sequenziamento completo del genoma batterico, infatti, si affianca all’indagine epidemiologica classica permettendoci non solo di tracciare con precisione l’origine delle infezioni, ma anche di caratterizzare a fondo lo specifico ceppo responsabile. Questo significa conoscere il suo grado di virulenza e le resistenze che potrà presentare, sia per quanto riguarda la terapia nei casi umani, sia nelle procedure di pulizia e disinfezione impiegate dagli stabilimenti alimentari e dalla catena di distribuzione”.

Listeria monocytogenes – aggiunge Centorotola – è un batterio che presenta grandi capacità di adattamento. In uno stabilimento di produzione, ad esempio, potrebbe essere riscontrato un particolare ceppo resistente a determinati disinfettanti, e allora potremmo vederlo permanere vitale anche dopo ripetute esecuzioni di pulizia e disinfezione. L’analisi dell’intero genoma ci permette di aiutare le aziende nell’indirizzare con precisione i loro interventi, se necessario modificando il piano di autocontrollo HACCP”.

“Il Laboratorio Nazionale di Riferimento per L. monocytogenes – conclude il dottor Francesco Pomilio, Responsabile del Laboratorio – in collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale per Sequenze Genomiche di microrganismi patogeni: banca dati e analisi di bioinformatica, dispone delle apparecchiature più moderne per contribuire alla tutela della salute pubblica, lavorando per l’intera comunità, includendo gli attori pubblici e privati”.

Per saperne di più sulla listeriosi: https://lnr.izs.it/listeria/common/mostra_articolo.do?id=6

Fonte: IZS Teramo




Dal peschereccio alla tavola: gli elementi chiave per prevenire l’intossicazione da istamina

pesciUna ricerca condotta sui dati derivati da otto anni di controlli alimentari fotografa la situazione della sindrome sgombroide, un’intossicazione alimentare fortemente legata alla qualità del pesce e alla sua conservazione

Prurito su tutto il corpo, mal di testa, nausea, vomito e crampi addominali. Sintomi che, se compaiono dopo aver mangiato pesce, devono far sospettare la cosiddetta “sindrome sgombroide”, una intossicazione alimentare legata alla presenza di istamina nel cibo. Una ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, esaminando i dati raccolti in otto anni di controlli istituzionali eseguiti nella regione Abruzzo, evidenzia l’importanza delle corrette procedure di lavorazione e conservazione del pesce, dalla rete del peschereccio al punto vendita. Ma non solo: si può fare molto anche a casa.

Presente naturalmente nel nostro organismo, l’istamina svolge un ruolo importante nella mediazione dei processi immunitari e infiammatori. In alcuni casi, come sanno bene le persone che soffrono di allergia, può contribuire alla comparsa di reazioni come asma, orticaria o rinite, anche in forma grave. Ma questa molecola può essere presente anche in alcuni alimenti e, se la dose ingerita risulta eccessiva, è capace di provocare una sintomatologia molto simile a quella di una forte reazione allergica.

Anche se diversi cibi sottoposti a fermentazione microbica (come i formaggi fermentati, il vino o la birra) possono contenere istamina, i casi di intossicazione sono soprattutto legati al consumo di pesce. I pesci vivi non contengono questa sostanza ma, una volta pescati, alcune specie batteriche iniziano subito a degradare l’aminoacido istidina, di cui sono ricchi soprattutto tonno, sgombro, sarde, sardine e acciughe. Il risultato è la formazione di istamina, della quale, se la conservazione non è corretta, possono formarsi quantità notevoli, fino a rappresentare un pericolo per la salute.

“La nostra ricerca – dice la dottoressa Loredana Annunziata, dirigente chimico presso il reparto di Bromatologia e Residui dell’IZSAM, prima autrice del lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Food Control – ha preso in esame campioni raccolti nella regione Abruzzo dal 2013 al 2020. I campioni provenivano sia da normali controlli istituzionali condotti dalle ASL sul pesce in vendita, sia a seguito di segnalazioni dei cittadini, in alcuni casi per vere e proprie intossicazioni. Naturalmente, una volta individuati contenuti di istamina superiori ai limiti stabiliti dalla normativa europea, sono state rapidamente avviate tutte le procedure di controllo e tracciamento”.

Attività fondamentali, che rappresentano anche un aiuto importante per i produttori e per la catena di distribuzione e vendita. Infatti la qualità delle materie prime, il mantenimento della catena del freddo e il rispetto delle buone pratiche igieniche durante i processi di trasformazione sono fattori determinanti per il controllo della formazione di istamina. Senza dimenticare il ruolo che riveste l’attenzione dei consumatori, come sottolinea Annunziata: “La forte strategia di verifiche sui prodotti è uno strumento di prevenzione in cui l’Italia è tra i primi Paesi d’Europa. Oltre ai controlli istituzionali, questo rende possibile supportare le aziende nell’implementare procedure di sicurezza sempre aggiornate e rispondenti alle necessità. Allo stesso tempo la nostra ricerca evidenzia che anche il consumatore può fare molto per evitare che il pesce, una volta acquistato, possa andare incontro alla formazione di istamina. Le chiavi sono due: il tempo e il freddo. Nel caso del pesce congelato dobbiamo sottolineare che il processo di degradazione dell’istidina in istamina può riattivarsi molto rapidamente. Per questo motivo andrebbe scongelato immergendolo in acqua fredda, e non lasciandolo a temperatura ambiente. Non dimentichiamo poi che l’istamina è una molecola termostabile: una volta che si è formata non verrà distrutta dalla cottura”.

 Fonte: IZS Teramo



Escherichia coli resistenti agli antibiotici: un confronto genetico per comprendere la trasmissione della resistenza tra animali e uomo

antibioticoresistenzaI cloni di Escherichia coli che infettano o colonizzano l’uomo e gli animali allevati per la produzione di alimenti potrebbero circolare fra le diverse specie che li ospitano, scambiandosi geni che conferiscono meccanismi di resistenza agli antibiotici. Per questo è importante adottare un approccio One Health nella sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dei batteri patogeni, analizzando e confrontando con metodi armonizzati il genoma di batteri isolati da matrici umane e animali.

A suggerirlo sono anche i risultati di un progetto di ricerca finanziato nel 2015 dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e realizzato da 15 istituti italiani di sanità pubblica tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). Lo studio è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents.

Il problema sanitario degli E. coli resistenti agli antibiotici

Le beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di Escherichia coli in grado di produrre ESBL, isolati sia nell’uomo che in animali allevati per produrre alimenti. La ricerca scientifica sta quindi cercando di stabilire se i geni codificanti ESBL possono trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Le beta-lattamasi a spettro esteso (Extended-Spectrum Beta-Lactamases, ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. Questi antibiotici sono utilizzati per il trattamento di alcune importanti infezioni batteriche umane, tra cui quelle sostenute da Klebsiella pneumoniae e quelle extra-intestinali causate da E. coli.

A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di E. coli in grado di produrre ESBL, fra cui in particolare il clone denominato ST131, che hanno complicato considerevolmente la terapia di queste infezioni sia in comunità che in ambito ospedaliero.

Negli ultimi anni sono inoltre in aumento le segnalazioni di E. coli ESBL-produttori negli animali allevati per la produzione di alimenti.  Anche se il clone ST131 viene sporadicamente isolato in queste specie, i geni codificanti ESBL potrebbero trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Su questa ipotesi la letteratura scientifica ha fornito sinora evidenze contrastanti: alcuni studi hanno rilevato in E.coli isolati dagli animali e dall’uomo i medesimi geni codificanti ESBL, mentre altri hanno evidenziato differenze fra i geni codificanti questi enzimi in relazione alle specie animali da cui i batteri erano isolati.

E. coli può inoltre disporre di altri geni che producono ulteriori meccanismi di resistenza agli antibiotici. Tra questi i geni che codificano le carbapenemasi, enzimi che conferiscono resistenza a diversi principi attivi tra i quali i carbapenemi, utilizzati nell’ambito della clinica umana per il trattamento di E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, oppure i geni in grado di conferire resistenza alla colistina (mobile colistin resistancemcr), antibiotico salvavita somministrato per contrastare i batteri resistenti proprio ai carbapenemi, oltre che ad altri antibiotici.

Uno studio One Health sugli E.coli resistenti

Tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti. Sono stati analizzati 925 isolati di E. coli ESBL-produttori raccolti da 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici diversi, tra cui l’IZSVe. Gli isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL, quindi classificati con ulteriori metodi molecolari in gruppi filogenetici e cloni.

Per comprendere quindi se gli animali e gli alimenti da essi derivati possono contribuire alla trasmissione delle resistenze verso le cefalosporine di terza e quarta generazione in batteri patogeni per l’uomo, tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti.

Il progetto, che rappresenta uno dei primi esempi in Italia di approccio One Health nella ricerca sulle resistenze batteriche agli antimicrobici, ha coinvolto i laboratori di 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici sperimentali situati in 6 diverse regioni italiane: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Lazio e Sicilia.

I partner del progetto hanno contribuito alla raccolta di 925 isolati di E. coli ESBL-produttori individuati durante le loro attività diagnostiche di routine. Di questi, 480 provenivano da matrici umane (urine o sangue) e 445 da matrici animali (feci o intestino). In particolare, gli isolati di origine animale sono stati prelevati da bovini (29,4%), suini (27,0%) e specie avicole (43,6%).

Questi isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL e carbapenemasi; quindi sono stati tipizzati con ulteriori metodi molecolari per poterli classificare prima in gruppi filogenetici e successivamente, mediante Multilocus Sequence Typing (MSLT), in cloni. Negli isolati risultati resistenti alla colistina sono stati ricercati anche i geni da mcr-1 a mcr-5.

Screening molecolare

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. In particolare, CTX-M-15 è risultato il gene più frequente nell’uomo (75,0%) e nei bovini (51,1%), CTX-M-1 era più diffuso nei suini (58,3%), mentre nel pollame è stato individuato con maggiore frequenza il gene CTX-M-15 (36,6%), unitamente a geni di tipo diverso (SHV e CMY-2, 29,9%).

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. Gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). I dati emersi dallo studio indicano che i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL, per cui lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è un fenomeno probabile.

Tra gli isolati di E.coli ESBL-produttori analizzati 14 (di cui solo uno di origine animale) sono risultati resistenti anche ai carbapenemi, anche se in nessuno di essi sono stati rilevati geni codificanti carbapenemasi. I ricercatori spiegano questa apparente contraddizione con la possibilità che all’origine della resistenza ci fossero geni o meccanismi di resistenza diversi da quelli investigati nello studio.

Gruppi filogenetici e cloni

L’analisi filogenetica ha permesso di classificare gli isolati in 7 diversi gruppi filogenetici (A, B1, B2, C, D, E, F). Come già noto, gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). Gli isolati animali si distribuivano invece prevalentemente tra i gruppi A (35,7%), B1 (26,1%) e C (12,4%).

La tipizzazione effettuata con la tecnica MSLT ha rivelato poi che la maggior parte degli isolati di origine umana (83,4%) apparteneva al clone pandemico ST131, che era frequentemente portatore del gene CTX-M-15 (75,9%). Questo clone è stato rilevato solo raramente negli isolati di origine animale (solo 3 isolati, originati tutti da pollame).

Scambi genetici, un’ipotesi da approfondire

I dati emersi dallo studio indicano che gli isolati ESBL-produttori di E. coli responsabili di infezioni extra-intestinali nell’uomo e quelli che colonizzano gli animali allevati per la produzione di alimenti sono per lo più diversi, con il clone ST131 che si conferma poco diffuso negli animali.  Tuttavia, come già evidenziato in altri studi, i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL.

Lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è quindi un fenomeno probabile, soprattutto se sussistono fattori di rischio come l’impiego non prudente di antimicrobici; dovrà quindi essere indagato ulteriormente dalla comunità scientifica e monitorato dalle autorità sanitarie.

Infine 42 isolati analizzati nello studio sono risultati resistenti anche alla colistina; di questi 29 (3 provenienti da matrici umane e 26 da matrici animali) erano portatori del gene mcr-1, veicolato su elementi genetici mobili (i cosiddetti plasmidi) facilmente interscambiabili fra batteri diversi. Uno degli isolati da matrici umane apparteneva al clone ST131. Sulla base di queste evidenze, gli autori dello studio sottolineano l’importanza di mantenere una sorveglianza anche verso questo tipo di resistenza.

Fonte: IZS delle Venezie




Rapporto One Health dell’UE: calo nel 2020 dei casi di malattie zoonotiche riferite nell’uomo e delle infezioni veicolate da alimenti

Nel 2020 è stata la campilobatteriosi la zoonosi maggiormente segnalata nell’UE, con 120 946 casi contro gli oltre 220 000 dell’anno precedente, seguita poi dalla salmonellosi, che ha interessato 52 702 individui contro gli 88 000 dell’anno precedente. Il numero di infezioni veicolate da alimenti ha registrato un calo del 47%. Queste risultanze si basano sulle cifre contenute nell’annuale rapporto “One Health” (salute unica globale) dell’UE sulle zoonosi, curato dall’EFSA e dall’ECDC.

Per spiegare il notevole calo dei casi di malattie zoonotiche riferiti nell’uomo e di infezioni alimentari (tra il 7% e il 53% a seconda della malattia riferita), gli esperti hanno riconosciuto il ruolo determinante svolto in Europa dalla pandemia da COVID-19.

Tra i fattori che possono aver causato il calo nelle segnalazioni: i mutamenti avvenuti nel ricorso all’assistenza sanitaria, le limitazioni a viaggi ed eventi, le chiusure dei ristoranti, la quarantena e altre misure di contenimento come l’uso di mascherine, il distanziamento sociale e la frequente disinfezione delle mani.

Di seguito le malattie più segnalate sono state la yersiniosi (con 5 668 casi) e le infezioni causate da E.coli produttore di Shigatoxina (con 4 446 casi). La listeriosi è stata la quinta zoonosi più segnalata (con 1 876 casi) e ha colpito soprattutto persone di età superiore a 64 anni.

La listeriosi e le infezioni da virus del Nilo occidentale sono state le due malattie con i più alti tassi di mortalità e ricoveri ospedalieri. La maggior parte delle infezioni da virus del Nilo occidentale contratte in loco sono state riferite in Grecia, Spagna e Italia.

Il rapporto esamina anche le infezioni veicolate da alimenti, ovvero eventi durante i quali almeno due persone contraggono la stessa malattia consumando il medesimo cibo contaminato. Un totale di 3 086 focolai infettivi di origine alimentare sono stati segnalati nel 2020. Salmonella è rimasta l’agente infettivo più frequentemente rilevato, causa del 23% dei focolai. Le più comuni fonti di salmonellosi sono state uova, ovoprodotti e carne di maiale.

Si riportano anche dati su Mycobacterium bovis/caprae, Brucella, Yersinia, Trichinella, Echinococcus, Toxoplasma gondii, rabbia, febbre Q e tularemia.

L’EFSA pubblica quest’oggi anche due pagine web per comunicare in maniera interattiva sulle infezioni veicolate da alimenti: una story map e un dashboard. La story map fornisce informazioni generali sulle infezioni alimentari, i loro agenti causali e gli alimenti che fungono da loro veicolo. Il dashboard consente agli utenti di cercare e interrogare la gran mole di dati sulle infezioni alimentari collazionati dall’EFSA e trasmessi da Stati membri dell’UE e altri Paesi dichiaranti sin dal 2015.

Fonte: EFSA




Verso l’identificazione in silico del sierotipo di Salmonella

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (Whole Genome Sequencing, WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Il metodo è stato ottimizzato per identificare il pannello più ampio possibile di sierotipi.

La ricerca di metodi per sierotipizzare Salmonella enterica

Salmonella enterica rappresenta una delle principali cause di gastroenteriti in molti Paesi. Nella sola Unione Europea nel 2020, sono stati riportati un totale di 87.923 casi umani di salmonellosi. La tipizzazione di Salmonella si basa sull’identificazione del sierotipo, di cui ne sono stati censiti più di 2.600, che rappresenta uno strumento essenziale per la classificazione epidemiologica degli isolati.

Il metodo universalmente accettato per l’identificazione dei sierotipi di Salmonella è storicamente lo schema di Kauffmann-White, un test fenotipico che si basa sull’identificazione di antigeni presenti sulla parete batterica, la cui combinazione è specifica per ogni sierotipo. Nonostante l’utilità della sierotipizzazione tradizionale, questo metodo presenta molte limitazioni: richiede notevole esperienza da parte degli operatori, necessita di tempi di analisi variabili dipendenti dalle caratteristiche dell’isolato, e non sempre consente di ottenere un risultato soddisfacente in termini di completezza, dal momento che i batteri esprimono gli antigeni in risposta a specifiche situazioni ambientali, che non sempre possono essere controllate in condizioni di laboratorio.

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’IZSVe hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Lo studio rappresenta un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire i metodi tradizionali di tipizzazione con metodi basati sul sequenziamento del genoma.

A causa di queste evidenti criticità la comunità scientifica è impegnata da anni nella ricerca di metodi alternativi basati su caratteristiche batteriche meno soggette all’influenza dell’ambiente esterno. L’implementazione di metodiche basate sul sequenziamento dell’intero genoma batterico risponde pienamente a questa esigenza, dal momento che la composizione del DNA è geneticamente definita e non modificabile a seguito di esposizione a condizioni ambientali differenti, consentendo ai laboratori di eseguire in prima istanza la sub-tipizzazione e, contemporaneamente, di capitalizzare il dato prodotto per ulteriori  caratterizzazioni degli isolati (es. Multilocus Sequence Typing, identificazione di plasmidi e di geni di antibiotico resistenza, filogenesi).

Lo studio dell’IZSVe

Lo studio condotto dai ricercatori dell’IZSVe, finanziato dal Ministero della Salute (RC 13/17), ha evidenziato una ottima concordanza tra il metodo considerato gold standard (sierotipizzazione tradizionale) e la sierotipizzazione ottenibile in silico a partire da dati di WGS su 28 sierotipi diversi, che sono stati identificati con il 100% di accuratezza. Inoltre le caratteristiche di sensibilità e specificità, ovvero inclusività ed esclusività, del nuovo metodo sono risultate adatte ad essere applicate anche a campioni contaminati.

In una fase – come quella attuale- di transizione verso l’utilizzo sempre più diffuso di analisi molecolari e/o genotipiche per la caratterizzazione di ceppi rilevanti di Salmonella, lo studio condotto dal CRN per le salmonellosi costituisce un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire metodi tradizionali con metodi basati sul sequenziamento dell’intero genoma batterico, anche alla luce della possibilità di capitalizzare il dato prodotto per ottenere ulteriori caratterizzazione degli isolati in un’unica sessione sperimentale.

Inoltre l’uso di metodi di sierotipizzazione basati sul sequenziamento del genoma sembra essere una strada promettente al fine di garantire continuità e retrocompatibilità con la sierotipizzazione tradizionale, da anni pietra miliare nell’ambito della sicurezza alimentare e delle azioni di sanità pubblica volte a contenere e ridurre l’impatto della Salmonellosi.

Tuttavia, prima che il WGS possa essere utilizzato per la sierotipizzazione di Salmonella, è necessaria una rigorosa fase di validazione e una valutazione attenta dei piani di transizione metodologica, che assicurino che i dati a disposizione siano appropriati per sostituire la sierotipizzazione tradizionale senza interrompere gli attuali programmi di sorveglianza. Il presente studio costituisce un passo in tale direzione, avendo dimostrato la possibilità di mantenere la compatibilità con i dati storici di sierotipizzazione, con i sistemi di sorveglianza e le strutture di prevenzione.

 Fonte: IZS delle Venezie



FVE: ONE HEALTH ruolo dei veterinari e sostenibilità della produzione alimentare

FVE – Federazione dei veterinari europei è impegnata in una campagna di informazione sul ruolo e l’impegno dei medici veterinari per la sostenibilità dei sistemi alimentari attraverso attraverso la promozione della salute, del benessere e della salute pubblica degli animali nell’ottica dell’approccio One health.

• Documento di sintesi FVE https://bit.ly/3I2J1r6

• Il ruolo dei veterinari nella promozione di One Health – un bene pubblico globale – https://bit.ly/3riLMhX

• #Whylivestockmatter – Campagna ILRI – https://whylivestockmatter.org/livestock-pathways-2030-one-health

 




La scienza alla base della profilazione nutrizionale: al via consultazione pubblica

Nutrizionisti e altri esperti hanno la possibilità di aiutare l’EFSA a dare gli ultimi ritocchi a un parere scientifico. Questo costituirà la base sulla quale i politici svilupperanno il futuro sistema UE di etichettatura dei nutrienti da apporre sulla parte anteriore delle confezioni alimentari. Il parere preciserà inoltre le condizioni in base alle quali limitare le indicazioni nutrizionali e sulla salute apposte sui prodotti alimentari.

Nell’ambito della strategia “dal produttore al consumatore” la Commissione europea ha chiesto all’EFSA all’inizio del 2021 di fornire consulenza scientifica sulle sostanze nutritive e sui componenti non nutritivi negli alimenti di rilevanza per la salute pubblica degli europei, sui gruppi alimentari con incidenza rilevante nelle diete europee e sui criteri scientifici per orientare la scelta dei nutrienti a fini di profilazione nutrizionale. La Commissione ha in programma di proporre una nuova legislazione in materia alla fine del 2022.

Una base scientifica per assistere i decisori politici dell’UE

Valeriu Curtui, a capo dell’Unità di “Nutrizione umana ” dell’EFSA, ha così commentato: “Abbiamo indetto una consultazione pubblica per raccogliere contributi scientifici sulla versione provvisoria del parere da altri esperti, partner istituzionali e portatori di interesse.

“Ricordiamo a tutti gli interessati a tale argomento che la nostra consulenza mira a fornire il supporto scientifico per elaborare i modelli di profilazione dei nutrienti e limitare le pretese salutistiche sulle etichette da apporre sulla parte anteriore delle confezioni. Questa stesura preliminare del parere, tuttavia, non esprime una valutazione né propone un modello particolare di profilazione nutrizionale per l’etichettatura dei nutrienti sulla parte anteriore delle confezioni”.

Quali gli elementi di rilievo in questa bozza di parere?

Il dottor Alfonso Siani presiede il gruppo di lavoro di esperti EFSA che ha contribuito alla stesura del parere scientifico. “Nella bozza diamo indicazioni ai responsabili politici su quali nutrienti e componenti non nutritivi degli alimenti considerare ai fini di una loro inclusione in modelli di profilazione nutrizionali ove apporti eccessivi o inadeguati siano associati a rischi di malattia a lungo termine”.

La bozza di parere conclude, tra l’altro, che nei modelli di profilazione nutrizionale si potrebbe tener conto dei seguenti elementi:

  • considerata l’alta prevalenza di sovrappeso e obesità in Europa, è importante prevedere una diminuzione dell’assunzione di energia per la salute pubblica delle popolazioni europee;
  • nella maggior parte delle popolazioni europee l’assunzione di grassi saturi, sodio, zuccheri aggiunti/liberi supera i limiti raccomandati e un’assunzione eccessiva si  associa a effetti negativi sulla salute;
  • nella maggior parte delle popolazioni adulte europee l’assunzione di fibre e potassio tramite la dieta è inadeguata e assunzioni inadeguate si associano a effetti negativi sulla salute.

La bozza osserva anche che, in specifiche sotto-popolazioni, l’assunzione di ferro, calcio, vitamina D, folato e iodio è inadeguata ma affrontata solitamente da politiche nazionali e/o raccomandazioni individuali.

“Sebbene la scelta dei nutrienti e dei non-nutrienti in un modello di profilazione dei nutrienti dovrebbe essere guidata principalmente dalla loro rilevanza per la salute pubblica”, ha aggiunto il dottor Siani, “essi possono venire inclusi anche per altre motivazioni, ad esempio l’esigenza di dare priorità ad alcuni alimenti anche quando la scienza non abbia chiarito al 100% che è necessario un aumento del loro consumo per motivi di salute pubblica. Per esempio i gestori del rischio possono decidere di includere alcuni omega-3 nei modelli di profilazione dei nutrienti per incoraggiare il consumo di pesce grasso in linea con le loro raccomandazioni nutrizionali, anche se i dati sull’assunzione di tali acidi grassi sono insufficienti a concludere se il consumo sia  quantitativamente  adeguate o meno.”

Gruppi alimentari nelle diete degli europei e raccomandazioni a livello nazionale

“Il nostro parere include anche considerazioni scientifiche riguardo ai gruppi di alimenti che hanno un ruolo importante nelle diete degli europei”, ha affermato il dottor Siani.

Questi gruppi comprendono cibi amidacei (soprattutto cereali e patate), frutta e verdura, legumi e legumi, latte e latticini, carne e prodotti a base di carne, pesce e crostacei, noci e semi, e bevande non alcoliche, come riconosciuto dalle linee guida nutrizionali nazionali basate sugli alimenti negli Stati membri. Il loro ruolo nella dieta  e relativi contributi variano da un Paese all’altro a causa delle diverse abitudini e tradizioni alimentari.

Il dr Siani ha poi aggiunto: “Le linee guida nazionali incoraggiano il consumo di cereali integrali, frutta e verdura, noci e semi, latte e latticini a basso contenuto di grassi, pesce e acqua. Invece i prodotti alimentari che a causa di trasformazioni alimentari hanno un alto contenuto di grassi saturi, zuccheri e/o sodio vengono scoraggiati, anche all’interno di tali categorie alimentari.

“Le linee guida promuovono anche il regolare consumo di legumi e legumi al posto della carne (in particolare carni rosse e carni lavorate), e di oli vegetali ricchi di grassi monoinsaturi e polinsaturi invece di quelli ricchi di grassi saturi”.

Fonte: EFSA




Giornata Mondiale dell’Alimentazione

 In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione che si celebra ogni anno il 16 ottobre, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«La Giornata Mondiale dell’Alimentazione offre una preziosa opportunità di riflessione sulle drammatiche conseguenze della pandemia, segnate dall’aumento dei livelli di povertà e malnutrizione.

Lo stato della sicurezza alimentare nel mondo è sensibilmente peggiorato. La comunità internazionale dovrà saper dare adeguato seguito alle raccomandazioni del recente vertice sui sistemi alimentari, valorizzando le naturali sinergie del sistema ONU e le competenze delle agenzie delle Nazioni Unite insediate a Roma.

L’Italia, Presidente di turno del G20, ha assunto come temi quelli di People, Planet e Prosperity.

Si tratta di riprendere uno degli intenti più ambiziosi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: “sconfiggere la fame”.

La Dichiarazione di Matera sulla sicurezza alimentare e l’iniziativa tesa a mobilitare una nuova “coalizione per il cibo”, sono punti fermi da cui muovere, nel pieno rispetto delle culture alimentari di ciascuno, consapevoli che non esistono soluzioni preconfezionate per raggiungere l’obiettivo “fame zero”.

La sostenibilità ambientale è a sua volta cruciale a questo fine e interpella l’impatto climatico determinato dalla stessa produzione agricola e dall’allevamento.

La COP26 sul clima, che vede coinvolta l’Italia in partenariato con il Regno Unito, costituirà una tappa importante di un percorso di attenzione al rapporto tra nutrizione e cura dell’ambiente, tema essenziale se vogliamo consegnare alle giovani generazioni un futuro ricco di opportunità.»