Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Microplastiche nei mari: il livello di contaminazione nelle carni di pesce spada e tonno rosso del Mediterraneo

microplastichePer la prima volta, microplastiche, polimeri e additivi sono stati rilevati nel tessuto muscolare dei pesci, proprio la parte che finisce nel piatto dei consumatori.

Le microplastiche sono un serio problema ambientale che sta colpendo gli ecosistemi marini in tutto il mondo. Particelle di dimensioni ridotte, comprese tra 0,1 e 5000 micron, che possono adsorbire sostanze tossiche presenti nell’ambiente circostante rappresentando un’ulteriore via di esposizione alle stesse per la fauna marina. Essendo oramai presenti nella catena alimentare acquatica, i consumatori possono rischiare la loro ingestione. E proprio nel Mediterraneo la contaminazione da plastiche, assieme agli additivi usati per i trattamenti a cui sono sottoposte, è una delle più elevate a livello globale.

Una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in collaborazione con il Croatian Veterinary Institute di Spalato e l’Università Politecnica delle Marche, pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Sea Research, ha permesso ora di rivelare il livello di contaminazione da microplastiche in due specie di pesce comuni nel Mediterraneo: il pesce spada (Xiphias gladius), pescato nel Mare Ionio, e il tonno rosso (Thunnus thynnus), proveniente dall’Adriatico. La particolarità dello studio è che i contaminanti sono stati rilevati anche mediante metodologie mai applicate prima nei muscoli dei pesci, quindi nella parte che effettivamente finisce nei nostri piatti.

“Molti studi precedenti – dice Federica Di Giacinto, ricercatrice del Centro per la Biologia delle acque dell’IZS Teramo – erano incentrati sul contenuto delle sole microplastiche esclusivamente nell’apparato digerente dei pesci. La nostra ricerca, invece, ha potuto evidenziare la contaminazione a livello muscolare non solo da microplastiche, ma anche da polimeri e additivi usati per la loro produzione. Le microplastiche che abbiamo rilevato nei muscoli molto probabilmente sono state ingerite dai pesci e poi sono traslocate dall’apparato gastro-intestinale ai tessuti circostanti”.

Mediante l’utilizzo della stereomicroscopia, della microspettroscopia Raman e della cromatografia liquida con spettrometria di massa, lo studio, condotto con il supporto finanziario dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane (UNCI), ha riguardato microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 micron e polimeri, come polietilentereftalato (PET) e policarbonato (PC), oltre a pigmenti e additivi come il bisfenolo A (BPA) e l’acido p-ftalico (PTA). Alcune di queste sostanze, ampiamente utilizzate per la produzione di beni di plastica di largo consumo, sono sotto osservazione per valutare se abbiano effetti sulla salute. È il caso del BPA, considerato capace di interferire con la funzionalità del sistema endocrino.

“Questo lavoro – continua Di Giacinto – punta a contribuire a una conoscenza più approfondita di queste particolari categorie di inquinanti, sia dal punto di vista dell’estensione del fenomeno, sia applicando nuove metodologie per la loro quantificazione. I prossimi passi del nostro laboratorio, ora, saranno di valutare quale sia il livello di contaminazione in ulteriori animali acquatici, arrivando ad una valutazione dell’effettiva esposizione alla quale sono esposti i consumatori”.

 Fonte: IZS Teramo



Le nitrosammine negli alimenti destano preoccupazioni per la salute

Sono queste le risultanze della valutazione EFSA sui rischi per la salute pubblica connessi alla presenza di nitrosammine negli alimenti: dieci nitrosammine presenti negli alimenti sono cancerogene (possono provocare il cancro) e genotossiche (possono danneggiare il DNA).

L’EFSA ha consultato i portatori di interesse esterni sul suo progetto di parere e le numerose osservazioni ricevute sono state prese in debita considerazione in fase di redazione conclusiva.

Potenziali rischi per la salute

L’EFSA ha condotto la propria valutazione stimando il danno potenziale causato dalle nitrosammine all’uomo e agli animali e valutando l’esposizione dei consumatori.

Il dr. Dieter Schrenk, presidente del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare, ha affermato: “La nostra valutazione ha concluso che per tutte le fasce d’età della popolazione dell’UE il livello di esposizione alle nitrosammine negli alimenti desta preoccupazioni per la salute”.

Il dr Schrenk ha poi aggiunto: “Sulla base di studi sugli animali, abbiamo riscontrato l’incidenza dei tumori epatici nei roditori come l’effetto più grave sulla salute”.

“Per garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, per la nostra valutazione dei rischi abbiamo prospettato l’ipotesi peggiore: abbiamo ipotizzato che tutte le nitrosammine presenti negli alimenti avessero lo stesso potenziale cancerogeno nell’uomo della più nociva delle nitrosammine, anche se ciò è improbabile”.

Quali sono gli alimenti che contengono nitrosammine?

Le nitrosammine sono state trovate in diversi tipi di prodotti alimentari: prodotti a base di carne, pesce lavorato, cacao, birra e altre bevande alcoliche. Il gruppo alimentare più importante che contribuisce all’esposizione alle nitrosammine è costituito dalla carne e dai prodotti a base di carne.

Le nitrosammine possono essere presenti anche in altri alimenti: le verdure trasformate, i cereali, il latte e i prodotti lattiero-caseari, o gli alimenti fermentati, sottaceto e speziati.

Attualmente ci sono alcune lacune nelle conoscenze circa la presenza di nitrosammine in specifiche categorie di alimenti. Una dieta bilanciata con la più ampia varietà possibile di alimenti potrebbe aiutare i consumatori a ridurre l’assunzione di nitrosammine.

Fonte: EFSA




Idrocarburi minerali negli alimenti: consultazione pubblica sulla bozza di parere

Gli esperti dell’EFSA hanno concluso in via provvisoria che gli idrocarburi saturi di oli minerali (MOSH) non costituiscono un problema per la salute dell’uomo, confermando però che alcune sostanze appartenenti a questo gruppo, note come idrocarburi aromatici di oli minerali (MOAH), possono dare adito a problemi.

Sono queste alcune delle conclusioni di un progetto di parere scientifico pubblicato oggi per pubblica consultazione e che aggiorna la precedente valutazione EFSA dei rischi da idrocarburi degli oli minerali negli alimenti.

Gli idrocarburi degli oli minerali (MOH) comprendono un’ampia varietà di composti chimici ottenuti principalmente dalla distillazione e raffinazione del petrolio. Vengono suddivisi in due gruppi principali: MOSH e MOAH.

“Per i MOSH sono stati osservati effetti avversi sul fegato in una specifica varietà di ratto, ma le evidenze suggeriscono che tali effetti non siano applicabili all’uomo. Abbiamo pertanto potuto escludere un rischio per la salute pubblica”, ha affermato James Kevin Chipman, presidente del gruppo di lavoro sugli idrocarburi minerali.

Gli esperti hanno poi esaminato due diversi tipi di MOAH concludendo che uno di essi può contenere sostanze genotossiche che potrebbero danneggiare il DNA delle cellule e causare cancro. Per genotossine come queste non è tuttavia possibile stabilire un livello di sicurezza.

Scarse le informazioni disponibili sulla presenza di MOAH negli alimenti, per cui gli esperti hanno lavorato su due diversi scenari predittivi avvalendosi dell’approccio del margine di esposizione (MoE): entrambi indicavano un possibile problema per la salute.

Idrocarburi degli oli minerali negli alimenti

I MOH possono contaminare gli alimenti in vari modi: per contaminazione dell’ambiente, con l’uso di lubrificanti nei macchinari da produzione alimentare, da agenti distaccanti, da coadiuvanti tecnologici, additivi alimentari o per mangimi, e per migrazione dai materiali a contatto con gli alimenti. Essi sono stati riscontrati in una varietà di alimenti, che solitamente contengono livelli più alti di MOSH che non di MOAH. I livelli più elevati di MOH sono stati riscontrati in alcuni oli vegetali e si stima che l’esposizione massima riguardi i giovani, soprattutto se nutriti da piccoli solo con alimenti per l’infanzia contenenti alti tassi di MOSH.

Raccomandazioni

Gli esperti raccomandano di condurre maggiori ricerche per quantificare la presenza di MOAH negli alimenti e di raccogliere dati di tossicità onde valutare meglio i rischi che essi comportano. Per i MOSH è importante continuare a studiarne i possibili effetti a lungo termine sulla salute umana.

Prossimi passi

È possibile trasmettere commenti qui fino al 30 aprile 2023. Una volta concluso, il parere fornirà  alla Commissione europea e agli Stati membri dell’Unione la base scientifica per eventuali misure di gestione del rischio.

Fonte: EFSA




Apicoltura. Il questionario Coloss 2022/2023 sulla perdita di colonie

apicolturaAnche quest’anno l’associazione COLOSS (Prevention of honey bee COlony LOSSes, www.coloss.org)  ha predisposto il questionario con cui raccogliere informazioni sulle perdite di colonie di api. Gli Stati europei e non solo che partecipano all’indagine somministrano annualmente agli apicoltori il questionario, standardizzato e uguale per tutti gli Stati, in modo da poter comparare a livello internazionale i dati raccolti e quindi comprendere meglio i fattori di rischio implicati nella perdita di colonie.

Si chiede la collaborazione degli apicoltori, delle loro associazioni, dei veterinari e delle istituzioni coinvolte nel settore dell’apicoltura per una diffusione capillare di questa iniziativa, affinché anche l’Italia contribuisca in modo significativo a questo studio.

Compilazione del questionario

Il questionario è compilabile online, in italiano e in tedesco, dal seguente link:

Questionario COLOSS – Versione italiana » Questionario COLOSS – Versione tedesca »Alcune domande, contrassegnate da un asterisco rosso, sono particolarmente importanti per il questionario ed è obbligatorio rispondere. Altre domande (senza asterisco) sono facoltative, ma vi chiediamo di rispondere anche a queste per poterle confrontare con le risposte dei questionari raccolti negli altri stati.

È possibile salvare le risposte inserite e riprendere la compilazione in un secondo momento seguendo le istruzioni riportate.
Istruzioni per il salvataggio del questionario (in italiano) >
Istruzioni per il salvataggio del questionario (in tedesco) >

Per supporto tecnico nella compilazione del questionario:
tel. 049 8084265


Scadenze

Affinché i dati raccolti siano analizzati ed inclusi nell’indagine europea 2022-2023, è necessario compilare il questionario entro e non oltre il 15 giugno 2023 e rispondere a tutte le domande contrassegnate con un asterisco rosso. I dati raccolti saranno trasmessi, in un’unica soluzione, ai coordinatori internazionali del monitoraggio per la successiva analisi ed elaborazione.

Controllo della coerenza dei dati

Al fine di verificare la coerenza e validità dei dati inseriti, si evidenziano alcuni punti:

  1. Il numero di colonie ad inizio inverno non deve mancare e deve essere maggiori di zero
  2. Il numero delle colonie perse non deve mancare e deve essere maggiore o uguale a zero
  3. Il numero delle colonie morte, più quello delle colonie perse a causa di problemi con la regina, più quello delle colonie perse a causa di calamità naturali non deve essere maggiore del numero delle colonie all’inizio dell’inverno
  4. Gli apicoltori con 1 apiario non possono avere le loro colonie a più di 15 km di distanza l’una dall’altra, ecc.
  5. Il numero di colonie svernate che hanno avuto una nuova regina [nell’anno precedente] non può essere maggiore del numero di colonie svernate!

Fonte: IZS Venezie




Aumentare la precisione e la sensibilità nel rilevamento degli inquinanti PFAS negli alimenti

uovaTestato sulle uova un nuovo metodo ad alta sensibilità per determinare la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). Un contributo alla salute pubblica attraverso la conoscenza del livello di esposizione della popolazione italiana.

Una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo ha permesso di definire un nuovo metodo per determinare la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti, in particolare nelle uova. I PFAS, appartengono alla classe dei contaminanti organici persistenti emergenti per cui la Commissione Europea ha valutato necessario un recentissimo intervento legislativo, in vigore proprio da quest’anno, per la tutela della salute dei consumatori introducendo dei limiti per alcuni alimenti. Dal momento che i PFAS sono composti chimici utilizzati in molti prodotti industriali, di consumo e di health care, possono entrare nell’ambiente e, di conseguenza, contaminare la catena alimentare. Il loro rilevamento nei cibi è di particolare importanza, considerando che queste sostanze possono avere effetti negativi sulla salute umana con alterazioni a livello di fegato, tiroide, disordini del sistema immunitario e riproduttivo fino a problemi nello sviluppo fetale.

“Proprio a causa dei potenziali effetti dannosi – dice Manuela Leva, ricercatrice del Laboratorio Nazionale di Riferimento per gli inquinanti organici persistenti alogenati nei mangimi e negli alimenti e corresponding author dello studio pubblicato sulla rivista scientifica Food Chemistry – l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) aveva già indicato la necessità di rilevare i PFAS con la più alta sensibilità possibile, prima che venisse emanata una specifica legge che ne regolasse i limiti. Con questo obiettivo, abbiamo sviluppato un metodo che ad oggi è già fruibile e che ci permette di determinare, attraverso la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa ad alta risoluzione, la presenza negli alimenti di 18 diverse molecole appartenenti a questa categoria, tra cui i quattro PFAS considerati i più dannosi. Abbiamo quindi validato e utilizzato questo metodo per analizzare 132 campioni di uova di gallina, provenienti da allevamenti sia biologici che convenzionali”.

I risultati dello studio mostrano che le uova in vendita in Italia hanno generalmente un basso livello di contaminazione da PFAS, con un dato interessante: non ci sono differenze significative tra le uova da allevamento biologico e quelle convenzionali. “E questo – sottolinea la ricercatrice – ci sembra un dato rilevante poiché dimostra che in Italia sia le uova da allevamento biologico che quelle convenzionali hanno generalmente bassi livelli di contaminazione da PFAS. Ciò fornisce una maggiore sicurezza al consumatore riguardo alla qualità delle uova che acquista”.

“Grazie a queste analisi innovative – continua Leva – abbiamo potuto anche estrapolare il contributo che le uova danno alla dieta rispetto all’esposizione di questi contaminanti. Come ci aspettavamo, i più esposti risultano i bambini, a causa del loro minore peso corporeo. I bambini, infatti, consumano una maggiore quantità di cibo in rapporto al loro peso corporeo per soddisfare le loro esigenze nutrizionali. Ciò significa che, proporzionalmente, assumono una quantità maggiore di PFAS rispetto agli adulti, il che può aumentare il loro rischio di esposizione.”

Sempre nell’ottica di studiare quanto i cittadini possano essere complessivamente esposti ai PFAS, è da sottolineare che il nuovo metodo potrebbe anche essere utilizzato per analizzare altri alimenti e altre molecole emergenti della stessa categoria. “Questa metodologia di analisi – conclude infatti la ricercatrice – potrebbe contribuire ad una più ampia valutazione dell’esposizione umana con la dieta in cui vengono inclusi anche altri alimenti o altri contaminanti. Un dato che ha già avuto un riscontro anche in termini di fruibilità per il controllo di questi inquinanti e di prevenzione dei loro effetti sulla salute”.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




Consultazione pubblica sulle nitrosammine negli alimenti: spiegazione del progetto di parere scientifico

logo-efsaLe nitrosammine (o più formalmente N-Nitrosammine) sono composti chimici che possono formarsi negli alimenti a seguito della preparazione e trasformazione di questi ultimi. Tali sostanze sono state rilevate in svariati tipi di prodotti alimentari, quali prodotti a base di carne ottenuti mediante salatura, pesce trasformato, cacao, birra e altre bevande alcoliche. Le nitrosammine possono anche essere presenti in diversi altri alimenti, come la carne cotta, gli ortaggi trasformati, i cereali, i prodotti lattiero-caseari oppure in alimenti fermentati, sottaceto e speziati. Alcune nitrosammine sono genotossiche (possono danneggiare il DNA) e cancerogene (possono causare il cancro). Il progetto di parere dell’EFSA valuta i rischi per la salute pubblica correlati alla presenza di nitrosammine negli alimenti.

La prof.ssa Bettina Grasl-Kraupp presiede il gruppo di lavoro costituito dagli esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) che ha redatto il parere sulle nitrosammine attualmente sottoposto a consultazione pubblica fino al 22 novembre 2022.

Potrebbe descrivere brevemente il lavoro svolto? Quali sono i risultati principali?

Abbiamo iniziato con la valutazione dei danni potenziali causati dalle nitrosammine negli esseri umani e negli animali. Abbiamo quindi valutato i rischi per la salute per la popolazione dell’UE. Stando alle conclusioni della valutazione è altamente probabile che per tutte le fasce di età l’esposizione alimentare alle nitrosammine sia superiore al livello a partire dal quale potrebbero sussistere preoccupazioni per la salute.

Come ha valutato il rischio derivante da queste sostanze genotossiche e cancerogene?

Nella valutazione delle sostanze genotossiche e cancerogene casualmente presenti nella catena alimentare, l’EFSA calcola un margine di esposizione per i consumatori, ossia un rapporto tra due fattori: la dose alla quale viene osservato un effetto avverso di piccola entità ma misurabile e il livello di esposizione a una sostanza per una data popolazione. In generale ottenendo un rapporto superiore a 10 000 non sussistono particolari preoccupazioni per i consumatori.

Nella nostra valutazione abbiamo considerato l’incidenza di tumori epatici nei roditori quale principale effetto nocivo attribuibile all’esposizione alle nitrosammine. Abbiamo applicato la cancerogenicità della nitrosammina più potente (N-nitrosodietilamilamina, NDEA) alle altre nitrosammine riscontrate negli alimenti al fine di creare lo scenario più sfavorevole.

Questa valutazione è collegata al parere dell’EFSA sui nitrati e nitriti pubblicato nel 2017?

È possibile che vi sia un nesso tra nitriti e formazione di nitrosammine. Nell’ambito della nuova valutazione della sicurezza di nitriti e nitrati condotta nel 2017, gli esperti dell’EFSA hanno riscontrato livelli elevati di nitrosammina nei prodotti a base di carne, ma le informazioni non erano sufficienti per stabilire un nesso tra questi livelli e i nitriti presenti negli alimenti come additivi.

Quali sono le attuali lacune in fatto di conoscenze? Quali altre informazioni vorrebbe ricevere nel corso della consultazione pubblica?

Ci interessa ricevere riscontri su tutti gli aspetti del nostro parere, in particolare sugli scenari di esposizione utilizzati nella valutazione, per ridurre l’incertezza nel calcolo dell’esposizione mediante gli alimenti. L’incertezza è dovuta all’elevata percentuale di risultati che si verificano al di sotto dei limiti di quantificazione e alla limitata disponibilità di dati per la valutazione dell’esposizione alimentare alle nitrosammine.

In che modo il mondo accademico e altre parti interessate contribuiscono al parere finale?

Fonte: EFSA




Stop all’import in Ue di alimenti con residui di pesticidi nocivi per api

apicolturaL’Ue va verso il divieto di importare alimenti con residui di pesticidi nocivi per le api. È la prima volta che l’Unione Europea – e più in generale un membro Wto – impone limitazioni all’import di alimenti sulla base di una questione ambientale e non per motivi di salute dei consumatori.

L’uso all’aperto dei due insetticidi, appartenenti alla classe dei neonicotinoidi, è vietato nell’Ue dal 2018. «Dato il loro impatto negativo sugli impollinatori di tutto il mondo, comprese le api, l’uso di questi due neonicotinoidi è già stato vietato nell’Ue – ha spiegato la commissaria competente Stella Kyriakides –. Oggi facciamo un ulteriore passo avanti, contribuendo alla transizione verso sistemi alimentari sostenibili anche a livello mondiale».

Secondo il regolamento proposto dalla Commissione europea e approvato oggi dagli Stati membri, per queste sostanze si applicheranno limiti massimi di residui al livello più basso misurabile, non solo sui prodotti alimentari made in Ue ma anche su quelli importati.
La Commissione aveva notificato la misura al Wto nei mesi scorsi e dieci grandi partner commerciali, dal Giappone agli Usa, dal Brasile al Sudafrica, hanno pubblicamente bocciato l’iniziativa.
Il regolamento sarà sottoposto al Consiglio e al Parlamento, che hanno due mesi di tempo per reagire. Se le due istituzioni non si opporranno, sarà adottato all’inizio del 2023.




Casi di Listeriosi alimentare segnalati in diverse regioni

Listeria monocytogenesResta alta l’attenzione del Ministero della salute a seguito dell’aumento di casi clinici di listeriosi alimentare registrati in diverse regioni italiane, dovuti alla contaminazione di alimenti da parte del batterio Listeria monocytogenes. Le verifiche, effettuate dal gruppo di lavoro istituito dal Ministero della Salute per fronteggiare la diffusione del batterio, hanno rilevato una correlazione tra alcuni dei casi clinici e la presenza del ceppo di Listeria ST 155 in wϋrstel a base di carni avicole prodotti dalla ditta Agricola Tre Valli – IT 04 M CE. La presenza è stata confermata anche da campionamenti effettuati presso lo stabilimento.

Ritiro dei prodotti alimentari da parte degli operatori

L’azienda ha avviato tutte le misure a tutela del consumatore con il ritiro dei lotti risultati positivi (1785417 e 01810919) e, in applicazione del principio di massima precauzione, di tutti quelli prodotti prima del 12 settembre 2022. Ha inoltre messo in atto una comunicazione rafforzativa di quanto già indicato sui prodotti direttamente nei punti vendita.

Al momento sono in atto ulteriori indagini anche su altre matrici e su altri tipi di prodotti che potrebbero essere correlati ai casi umani di listeriosi.

Che cos’è e dove si trova il batterio Listeria

Listeria monocytogenes, responsabile della listeriosi, è un batterio ubiquitario che può essere presente nel suolo, nell’acqua e nella vegetazione e può contaminare diversi alimenti come, latte, verdura, formaggi molli, carni poco cotte, insaccati poco stagionati. La principale via di trasmissione per l’uomo è quella alimentare. Bambini e adulti sani possono essere occasionalmente infettati, ma raramente sviluppano una malattia grave a differenza di soggetti debilitati, immunodepressi e nelle donne in gravidanza in cui la malattia è più grave.

La gravità della sintomatologia varia sensibilmente in funzione della dose infettante e dello stato di salute dell’individuo colpito. Si va da forme simil-influenzali o gastroenteriche, accompagnate a volte da febbre elevata fino, nei soggetti a rischio, a forme setticemiche, meningiti o aborto.

Listeria monocytogenes resiste molto bene alle basse temperature e all’essiccamento, in alimenti conservati a temperatura di refrigerazione (4°C). È invece molto sensibile alle usuali temperature di cottura domestica degli alimenti.

Cosa fare: igiene in cucina e cottura degli alimenti

Il Ministero della Salute invita i consumatori a prestare massima attenzione alle corrette modalità di conservazione, preparazione e consumo degli alimenti, nel caso specifico dei würstel, indicate in modo preciso nell’etichetta presente sulla confezione, che normalmente comportano la cottura prima del consumo.

L’adozione di semplici regole di igiene nella manipolazione degli alimenti, anche a livello domestico, riduce infatti il rischio di contrarre la malattia.

In particolare:

  • lavarsi spesso le mani, pulire frequentemente tutte le superfici e i materiali che vengono a contatto con gli alimenti (utensili, piccoli elettrodomestici, frigorifero, strofinacci e spugnette);
  • conservare in frigorifero gli alimenti crudi, cotti e pronti al consumo in modo separato e all’interno di contenitori chiusi;
  • cuocere bene gli alimenti seguendo le indicazioni del produttore riportate in etichetta;
  • non preparare con troppo anticipo gli alimenti da consumarsi previa cottura (in caso contrario conservarli in frigo e riscaldarli prima del consumo);
  • non lasciare i cibi deperibili a temperatura ambiente e rispettare la temperatura di conservazione riportata in etichetta.

Fonte: Ministero della Salute




Le nanoplastiche possono risalire la catena alimentare dalle piante ai pesci

microplasticheChe fine fanno le nanoplastiche, una volta che si sono formate e sono rilasciate nell’ambiente? La domanda è fondamentale, per capire se e in quale modo questi frammenti di plastica di dimensione inferiore al millesimo di millimetro, arrivino agli esseri umani attraverso la catena alimentare e per indagare i possibili effetti tossici che sono già stati dimostrati a carico delle piante e di diverse specie di animali invertebrati e vertebrati. Finora questa domanda non aveva molte risposte, date la difficoltà di condurre studi in un settore ancora in gran parte inesplorato e la carenza di metodologie efficaci. Per esempio, non si sapeva in che modo interagissero con il complesso ecosistema del suolo, anche se è noto che può essere contaminato attraverso le piogge, l’irrigazione con acque reflue, la dispersione di fanghi di depurazione e la pacciamatura con film di plastica. 

Ora però uno studio appena pubblicato su Nano Today dai ricercatori dell’Università della Finlandia Orientale traccia un primo itinerario possibile, che segue la catena alimentare e arriva fino agli esseri umani: le piante commestibili (in primo luogo quelle coltivate sul terreno, e che quindi potrebbero captare molte nanoplastiche proprio dal suolo e dalle acque che lo bagnano), poi da loro agli insetti e dagli insetti ai pesci.
I ricercatori hanno messo a punto un metodo per tracciare le nanoplastiche lungo la catena alimentare

Gli autori hanno infatti messo a punto un metodo che sfrutta il gadolinio, un tracciante comunemente impiegato in medicina nucleare, per marcare frammenti del diametro di 250 nanometri di due tra i polimeri più diffusi, il PVC e il polistirene. Il metodo è stato quindi applicato a un modello di catena alimentare costituito da tre livelli: lattuga, larve di mosche soldato nere e pesci insettivori. Nello specifico, le piante di lattuga sono state coltivate per 14 giorni in un terreno contaminato. Alla fine delle due settimane, le lattughe sono state utilizzate come cibo per le larve di mosca per cinque giorni, dopo i quali queste ultime sono state somministrate ai pesci per altri cinque giorni.

Le immagini al microscopio elettronico di sezioni di lattuga, larve e pesci hanno poi mostrato quanto le particelle di plastica entrino negli organismi. Per quanto riguarda la lattuga, esse passano dalle radici e si accumulano nelle foglie. Da lì si trasferiscono agli insetti, che infatti mostrano le stesse particelle, senza apparenti processi metabolici di degradazione, tanto nello stomaco quanto nell’intestino. E lì restano anche quando le larve sono tenute a digiuno per 24 ore e hanno quindi svuotato l’apparato digerente, una scoperta particolarmente preoccupante. Infine, anche i pesci nutriti con le larve contengono le stesse nanoplastiche, in particolare nelle branchie, nell’intestino e nel fegato, dove l’accumulo è più elevato rispetto a tutte le altre sedi, mentre non ve n’è traccia nel cervello. Con ogni probabilità dai pesci le nanoplastiche giungono poi, direttamente o indirettamente, agli altri anelli della catena alimentare, esseri umani compresi.
Le nanoplastiche sono state trovate all’interno delle foglie di lattuga, nell’intestino delle larve e nell’apparato digerente e nelle branchie dei pesci

Sia nella lattuga che nelle mosche e poi nei pesci sono presenti entrambi i polimeri, ma il polistirene in quantità minori, a dimostrazione di come ci siano differenze anche rilevanti tra le diverse tipologie di plastica. In generale sono comunque in grado di penetrare in profondità nelle catene alimentari senza risentirne e accumulandosi in alcuni organi più che in altri. 

Anche se è necessario confermare quanto scoperto, concludono gli autori, non ci sono motivi per pensare che fenomeni molto simili, se non identici, accadano con tutte le nanoplastiche e con tutte le piante, con gli insetti che se ne nutrono e con gli organismi superiori che, a loro volta, hanno una dieta a base di insetti. E dai pesci alle persone il passo è molto breve, spesso diretto.

Fonte: ilfattoalimentare.it