I cinghiali ungheresi potrebbero salvare i maiali europei dalla peste suina africana

cinghialiEsiste un vaccino già testato con successo sui cinghiali in cattività

Secondo un articolo pubblicato da Horizon: The EU Research & Innovation Magazine, «Il destino di milioni di maiali in Europa potrebbe essere deciso il prossimo inverno in una foresta ungherese. Lì, i ricercatori dell’Ue intendono testare un vaccino contro la peste suina africana sui cinghiali».

La peste suina africana (PSA), è una malattia virale che minaccia i suini selvatici e domestici in tutta Europa. Senza vaccini o cure per la PSA, le epidemie di solito uccidono i suini infetti e spesso provocano abbattimenti di interi allevamenti di maiali per impedire che la malattia si diffonda altrove. I ricercatori stanno individuando dei boschi ungheresi nei quali spargere bocconi-esca arricchiti con un vaccino sperimentale contro la PSA, con l’obiettivo di immunizzare circa 300 cinghiali.

José Manuel Sánchez-Vizcaíno, che insegna salute animale all’Universidad Complutense de Madrid, spiega che «In questo momento, il problema più grande in Europa sono i cinghiali infetti. Se riduciamo la malattia nei cinghiali, probabilmente non avremo bisogno di vaccinare i maiali domestici». Sánchez-Vizcaíno guida il progetto di ricerca VACDIVA che ha prodotto il vaccino sperimentale contro la PSA che rappresenta circa il 90% del costo totale del progetto, che verrà prolungato fino a luglio 2024 rispetto alla data finale originariamente prevista per questo mese.

Continua a leggere

Fonte: greenreport.it




I cervi potrebbero rinfocolare la pandemia di COVID-19

Una specie diffusa in Nord America si è rivelata un importante serbatoio di SARS-CoV-2 e potrebbe anche agire come un acceleratore alla sua evoluzione. Monitorare questi animali, come anche altre specie che ospitano il coronavirus, potrebbe però rivelarsi un vantaggio per tenere sotto controllo la diffusione del patogeno

Dalla specie scelta da Walt Disney per rappresentare il piccolo Bambi vengono minacce e opportunità per la futura gestione della pandemia. Nei cervi dalla coda bianca che popolano il nord degli Stati Uniti, oltre che la fantasia dei bambini di tutto il mondo, infatti, il virus ormai circola in maniera estesa senza provocare particolari danni, ma mutando molto più rapidamente di quanto faccia tra gli umani. Teoricamente, quindi, ciò potrebbe far tornare un giorno a noi un virus tanto irriconoscibile da riaccendere il fuoco della pandemia. Ma monitorarne l’evoluzione negli animali potrebbe anche fornirci un certo vantaggio sulla sua inarrestabile corsa. Sempre che se ne voglia approfittare.
Fonte: lescienze.it



La teoria del caos si applica anche al Covid: ricerca italiana pubblicata su Plos One

Sars-CoV-

Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa)

Un’iniziale crescita caotica influenza l’evoluzione e la diffusione dei virus, incluso il Sars-Cov-2.  Ad applicare la teoria del caos per spiegare l’evoluzione della pandemia Covid-19 è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Condotto da Giorgio Palù (nella foto), presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, insieme Pier Francesco Roggero e Arianna Calistri del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova.     In matematica, la teoria del caos afferma che nell’apparente casualità di sistemi naturali complessi ci sono dei precisi modelli sottostanti, in grado di spiegare le variazioni intervenute nei sistemi stessi quasi a ipotizzare un percorso evolutivo predeterminato. Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa) legata alle caratteristiche genetiche iniziali del virus.   Durante l’adattamento all’uomo, inoltre, un numero ridotto di mutazioni su un genoma di 30.000 basi, con molte mutazioni identiche per tutte le varianti, è in grado di modificare la contagiosità e la letalità del coronavirus. In pratica le mutazioni inizialmente più favorevoli diventano mutazioni “fisse” e sono specifiche per la maggiore adattabilità nonché sopravvivenza del coronavirus nell’essere umano. Se le mutazioni dipendessero dal caso allora non sarebbero più “fisse” e la probabilità che compaiono in tutte le varianti sarebbe praticamente zero. “La crescita caotica sia evidente solo nella fase iniziale di espansione pandemica di SARS-CoV-2 – evidenzia Giorgio Palù. Il fatto che altri virus altamente diffusivi e letali ma non pandemici quali i SARS-CoV-1 e MERS-CoV e Ebola non abbiano questo comportamento fa pensare che una crescita iniziale caotica sia il pre-requisito necessario che garantisca ad un virus emergente l’intrinseca capacità di diventare pandemico”.    La scoperta che la legge del caos si applica anche ai virus, conclude Palù,”ha ricadute di sanità pubblica per il controllo di future emergenze epidemico-pandemiche”.
Fonte: dottnet.it




COVID-19, ci stiamo avviando oltre Omicron?

coronavirusPer chi segue la continua evoluzione di SARS-CoV-2, è stato un Ferragosto di lavoro e scambio frenetico di informazioni. A provocare tanto scompiglio è stata la comparsa di una nuova variante molto mutata rispetto a quelle che coesistono da mesi. Dopo l’enorme ondata di Omicron che provocò un numero record di casi a cavallo tra il 2021 e il 2022, nessun altro virus mutante o ricombinante è finora riuscito a spazzare via tutti gli altri. Con alti e bassi, convivono decine di versioni diverse del coronavirus pandemico, in quella che è stata chiamata una “zuppa di varianti”. Ora però qualcuno sembra pronto a scommettere che siamo di fronte a una nuova svolta nella storia della pandemia.

Pochi casi hanno fatto scattare l’allerta
Tutto è cominciato con l’isolamento, in Israele, a fine luglio, di un coronavirus con una sequenza genetica molto diversa dalle altre, caricata il 13 agosto su una piattaforma accessibile agli esperti di tutto il mondo, senza che però nessuno ci facesse troppo caso. Ogni giorno, d’altra parte, se ne registrano migliaia. Poi ne sono arrivate altre due quasi uguali, provenienti da due pazienti danesi, in due località distanti tra loro. Sebbene si trattasse di pochissimi casi, molti esperti rizzarono le antenne: la mancanza di una chiara catena di contagio tra i tre riscontri presupponeva una significativa diffusione sotto traccia del virus, forse facilitata dal gran numero di mutazioni che la distinguono dalle varianti precedenti.

 Eppure si trattava inizialmente di soli tre infetti, seguiti dopo pochi giorni da un paziente ricoverato in ospedale a Londra, e poi ancora da altri due negli Stati Uniti, uno dei quali asintomatico, sottoposto a un controllo casuale al ritorno da Tokyo. La segnalazione di altri casi in Cina invece, non è stata confermata, mentre ulteriori sequenze provenienti dal Sudafrica portano a quattro, con Asia, Europa e America, il numero di continenti che ospitano il nuovo virus.

Nel frattempo anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), a pochi giorni dalla prima segnalazione, la dichiarava variant under monitoring (VuM), da monitorare, raccomandando ai governi di proseguire e potenziare le attività di isolamento e sequenziamento dei virus, per le quali, dopo la fine dell’emergenza, è calato quasi ovunque l’impegno economico, organizzativo e di personale.

Fonte: lescienze.it

Continua a leggere




Linee guida “Uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento bovino da latte”

n attuazione della politica nazionale sull’impiego prudente degli antimicrobici, la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari – ufficio 4 Medicinali veterinari – pubblica le linee guida in materia di uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento bovino da latte.

Le presenti Linee guida, alla loro 3ª revisione, sono state predisposte da un gruppo multidisciplinare, tenendo in debito conto gli aggiornamenti scientifici e le nuove disposizioni normative europee. Il documento è stato oggetto di consultazione telematica della sub-area sanità animale del coordinamento interregionale prevenzione, senza ricevere ulteriori osservazioni.

Esse si propongono come strumento non cogente, utile per condividere le problematiche poste dalla resistenza antimicrobica fra medici veterinari che operano nel settore della produzione primaria e quelli impiegati in istituzioni pubbliche (Regioni, Aziende Sanitarie, Istituti Zooprofilattici Sperimentali, Università, etc.), per una migliore tutela della salute pubblica e della salute animale, con la finalità di attuare un confronto costante tra autorità competenti, operatori e i medici veterinari, circa le scelte ragionate di trattamento dell’animale.

Fonte: Ministero della Salute




Intossicazione acuta in bovini in Veneto, la causa è il sorgo selvatico

In relazione al caso di intossicazione acuta in un gruppo di bovini e la conseguente moria di 13 animali avvenute nel comune di Gambugliano (Vicenza), e a seguito degli accertamenti diagnostici, i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e dell’Ulss 8 Berica ritengono che la causa sia da imputare all’ingestione di sorgo selvatico.

L’episodio risale allo scorso 3 luglio, quando un gruppo di 55 bovine da latte appartenenti a un’azienda agricola, dopo circa un’ora di pascolo in un prato di proprietà dell’azienda, ha mostrato sintomi neurologici acuti caratterizzati da barcollamento e tremori, decubito permanente e irrigidimento degli arti.

Il giorno stesso, a titolo precauzionale il Servizio veterinario di sanità animale dell’Ulss 8 Berica ha fatto prontamente spostare dal pascolo gli animali in grado di muoversi autonomamente e ha disposto la sospensione della consegna del latte prodotto nell’azienda agricola. I veterinari del Laboratorio di diagnostica dell’IZSVe e i colleghi dell’Ulss 8 Berica, intervenuti sul posto il giorno successivo per un sopralluogo congiunto, hanno constatato il decesso dei 13 bovini.

A seguito dell’esito negativo degli esami tossicologici effettuati su campioni biologici presso i laboratori di chimica dell’IZSVe, il sospetto diagnostico si è orientato sull’ingestione di piante tossiche, tenuto conto della sintomatologia iperacuta manifestata dai bovini.

La verifica effettuata successivamente dai veterinari nell’area del pascolo ha evidenziato la presenza di un gran numero di piante di sorgo selvatico, noto anche come sorghetta. In specifiche situazioni, questa pianta, se ingerita da bovini, pecore o altri ruminanti, può dar luogo alla liberazione di cianuri. In presenza di siccità, eccesso di nitrati nel terreno, presenza di insetti o altre situazioni che ritardano la crescita e lo sviluppo della pianta, il sorgo può accumulare una sostanza detta durrina, che può liberare acido cianidrico, direttamente nella pianta o qualora venga ingerita dagli animali. I bovini sono più sensibili all’azione della durrina poiché l’ambiente ruminale favorisce la liberazione dell’acido cianidrico da parte di questa sostanza.

Dalle analisi chimiche effettuate dall’Arpav sulle piante di sorgo selvatico prelevate dal pascolo è emersa la presenza di una bassa quantità di cianuri, inferiore alla dose prevista per le materie prime vegetali dal Piano Nazionale Alimentazione Animale 2022-2023.

Gli altri bovini coinvolti nell’episodio si sono completamente ristabiliti, senza mostrare alcuna sintomatologia clinica. Secondo i veterinari, i giorni trascorsi dall’evento sono un tempo adeguato per lo smaltimento di eventuali residui di sostanze tossiche da parte dell’organismo, considerato che la patologia si è manifestata in forma iperacuta e non cronica, il che porta ad escludere un processo di accumulo di un’eventuale sostanza tossica. Le autorità sanitarie hanno così potuto riammettere il latte prodotto dall’azienda agricola alla trasformazione casearia, e hanno stabilito un periodo di monitoraggio per consentire agli animali un ritorno al pascolo in sicurezza.

Fonte: IZS Venezie




Influenza aviaria, maggiore sorveglianza negli uccelli e nei mammiferi

influenza aviariaIl virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) continua a circolare ampiamente tra gli uccelli selvatici in Europa causando un’elevata mortalità in diverse specie, mentre la situazione generale nel pollame dopo la stagione invernale è migliorata. Segnalati casi anche negli animali da compagnia, sono in corso indagini epidemiologiche su casi nei gatti in Polonia, e negli animali da pelliccia con casi in allevamenti di volpi artica e visoni in Finlandia.

Secondo l’ultimo rapporto sull’influenza aviaria dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria (EURL) presso l’IZS delle Venezie, dal 29 aprile al 23 giugno 2023, l’H5N1 ha colpito in Europa un’ampia gamma di specie di uccelli selvatici, dalle zone più settentrionali della Norvegia fino alle coste del Mediterraneo. Le autorità raccomandano di intensificare la sorveglianza attiva della malattia negli uccelli selvatici, soprattutto quelli acquatici, per meglio conoscere la circolazione dei diversi virus HPAI in natura.

Fonte: IZS Venezie

Leggi l’articolo completo




Iss, a Parma primo caso nel 2023 di West Nile nell’uomo

Primo caso confermato di infezione da virus West Nile (WNV) nell’uomo dall’inizio della sorveglianza, segnalato in un donatore di sangue nella Provincia di Parma (Provincia già colpita dalla circolazione del virus negli animali vettori). Inoltre, salgono a 14 le Province con dimostrata circolazione di WNV in vettori e animali, appartenenti a 5 Regioni: Piemonte, Lombardia, EmiliaRomagna, Sicilia e Sardegna.

Quest’anno la stagione di trasmissione di malattie trasmesse da insetti ha avuto un inizio precoce in Italia. La circolazione del virus West Nile, infatti, è stata infatti confermata dalla presenza del virus in pool di zanzare e in avifauna nel paese già nel mese di maggio 2023. Sono state di conseguenza attivate precocemente le misure di prevenzione su trasfusioni e trapianti nelle aree interessate. Recentemente anche l’Ecdc ha lanciato un alert sulle zanzare invasive e i conseguenti rischi per la salute.

Sebbene ad oggi non siano stati notificati casi confermati di infezione nell’uomo da virus West Nile contratti nei mesi di aprile e maggio 2023, è possibile che la circolazione di questo o di altri patogeni trasmessi da insetti possa aumentare nelle prossime settimane.

Si sono inoltre verificate emergenze idro-geologiche per eventi climatici estremi in diverse Regioni Italiane. Dal 15 maggio 2023 una forte ondata di maltempo sta interessando in particolare numerose province della Regione Emilia-Romagna dove si sono registrate esondazioni e frane (Fonte: Dipartimento della Protezione Civile). Inondazioni, esondazioni ed alluvioni sono associate all’aumento del rischio di alcune malattie infettive, incluse le arbovirosi trasmesse da zanzare, come il virus West Nile, endemico in Italia, e i virus dengue e chikungunya, che hanno dato luogo a focolai sporadici nel nostro paese.

Fonte: ISS




Prima segnalazione europea di infezione da Leptospira interrogans – sierogruppo Australis ST24 in un gatto

La leptospirosi è una delle zoonosi più diffuse a livello mondiale e può infettare sia l’uomo sia molte specie animali, compresi il cane e, più raramente, il gatto. Tuttavia, il ruolo del gatto come ospite suscettibile e potenziale serbatoio ambientale di Leptospira non è stato ancora ben definito.

Ricercatori IZSVe hanno documentato per la prima volta in Europa un caso di infezione da Leptospira interrogans, sierogruppo Australis ST24, in un giovane gatto a vita libera. Nel soggetto è stata dimostrata una comorbidità da panleucopenia felina (FPV). Sebbene i gatti che vivono all’aperto siano potenzialmente esposti all’infezione da leptospira per via del possibile contatto con altri animali, essi manifestano la malattia clinica molto più raramente rispetto al cane.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Tropical Medicine and Infectious Disease porta nuovi contributi sperimentali utili alla comprensione di questa malattia. I ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno documentato per la prima volta in Europa un caso di infezione da Leptospira interrogans, sierogruppo Australis ST24, in un giovane gatto a vita libera. Nel soggetto è stata dimostrata una comorbidità da panleucopenia felina (FPV).

La leptospirosi nel gatto presenta aspetti oscuri; gli studi epidemiologici puntano a chiarire il quadro ecopatologico della malattia ed il ruolo di questa specie come possibile serbatoio di infezione. Per esempio, sebbene i gatti che vivono all’aperto siano potenzialmente esposti all’infezione per via del possibile contatto con l’ambiente e con la fauna selvatica e/o sinantropica, essi manifestano la malattia clinica molto più raramente rispetto al cane.

Il gatto sul quale è stata dimostrata l’infezione presentava un quadro severo, rivelatosi mortale, anche a causa della coinfezione da FPV. Il parvovirus felino è un virus che provoca, tra l’altro, immunodepressione, perciò potrebbe aver favorito la manifestazione clinica di leptospirosi, insieme ad altre condizioni come la giovane età e la vita all’aperto.

Pur non essendo ad oggi dimostrata una correlazione fra malattie infettive debilitanti/immunosoppressive e forme di leptospirosi gravi nel gatto, sono stati documentati alcuni casi clinici di sospetta leptospirosi in soggetti con malattie intercorrenti ad effetto immunosoppressivo e/o debilitante.

Sieroprevalenza della leptospirosi nei gatti liberi

Ulteriori informazioni provengono dai risultati di uno studio realizzato tra il 2014 e il 2016 sull’esposizione a Leptospira di gatti apparentemente sani ospitati in oasi e colonie feline nel Nordest Italia, e riportato nell’articolo scientifico. Lo studio è stato condotto dall’IZSVe, in collaborazione con il Centro di referenza nazionale per la leptospirosi dell’IZS Lombardia Emilia-Romagna e con la Clinica Veterinaria S. Marco (Veggiano, Padova), grazie a un finanziamento del Ministero della Salute (RC IZSVE 16/12).

Dalle indagini sierologiche e molecolari su 95 gatti a vita libera apparentemente sani è stata osservata una sieroprevalenza del 10,5%, ma con titoli borderline o poco significativi, verso i sierogruppi Grippotyphosa, Icterohaemorrhagiae, Bratislava, Canicola e Ballum. Le evidenze raccolte porterebbero alla conclusione secondo cui i gatti sani avrebbero una resistenza naturale alla leptospirosi clinica, forse sviluppata a causa dell’evoluzione in stretta relazione ecologica con piccoli roditori, le principali prede naturali dei nostri felini.

Dalle indagini sierologiche e molecolari su 95 gatti a vita libera apparentemente sani è stata osservata una sieroprevalenza del 10,5%, ma con titoli borderline o poco significativi, verso i sierogruppi Grippotyphosa, Icterohaemorrhagiae, Bratislava, Canicola e Ballum. Nessun soggetto è risultato escretore attivo.

Nei quattro casi selezionati di gatti sintomatici sospetti di leptospirosi e affetti da patologie intercorrenti (es. infezione da herpesvirus, FeLV, FIV, linfoma, ipertitoridismo), sono stati riscontrati titoli anticorpali decisamente più elevati nei confronti dei sierogruppi Grippotyphosa, Bratislava, Icterohaemorrhagiae e Copenagheni e un soggetto è risultato escretore attivo alla PCR sulle urine.

Le evidenze raccolte dagli studiosi:

porterebbero alla conclusione secondo cui i gatti sani avrebbero una resistenza naturale alla leptospirosi clinica, forse sviluppata a causa dell’evoluzione in stretta relazione ecologica con piccoli roditori, le principali prede naturali dei nostri felini. Ulteriori studi saranno necessari per definire meglio il ruolo epidemiologico che questi animali possono avere come serbatoi di Leptospire patogene, ruolo sospettato da alcuni ricercatori.

Fonte: IZS Venezie




Il Professor Antonio Fernández, un esempio per noi tutti!

CapodoglioIl Professor Antonio Fernández, Ordinario di Anatomia Patologica Comparata presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Las Palmas di Gran Canaria e patologo veterinario di fama mondiale, il cui nome e’ legato all’identificazione, nei cetacei, di una condizione simile alla “malattia da decompressione” dei sommozzatori (1), non credeva ai suoi occhi quando lo scorso Giugno, dopo più di 1.000 necroscopie eseguite insieme al suo eccellente team su mammiferi acquatici nel corso della sua brillante carriera, si e’ imbattuto in un reperto assolutamente fuori dal comune, osservato in un esemplare di capodoglio (Physeter macrocephalus). Il cetaceo in questione, spiaggiatosi sulla costa di La Palma, l’isola dell’Arcipelago delle Canarie maggiormente distante dal continente africano, albergava infatti al proprio interno un “calcolo” di ambra grigia straordinariamente voluminoso, del diametro di 50-60 cm e di peso pari a 9,5 Kg che, dopo aver provocato la rottura dell’intestino, ne aveva causato il decesso (2).

Si stima, a tal proposito, che solo in uno su 100 esemplari di capodoglio si realizzi una produzione “endogena” di ambra grigia, a seguito della digestione delle prede (calamari e totani) di cui si nutrono questi animali, la maggior parte delle quali verrebbero invece “vomitate” all’esterno indigerite.

L’ambra grigia, la cui essenza e’ molto ricercata nella fabbricazione dei profumi, ha un valore economico e commerciale particolarmente elevato, che nel caso del capodoglio rinvenuto spiaggiato sull’isola di La Palma ammonterebbe a ben 500.000 Euro!

Questa e’ infatti la ragione più saliente per la quale ho ritenuto opportuno, per non dire doveroso, portare all’attenzione il gesto quantomai nobile e generoso del Professor Fernández, il quale ha altresi’ annunciato la propria intenzione di donare l’intera somma di cui sopra alla popolazione di La Palma, che 64 anni orsono gli diede i natali (2). Due anni fa questa meravigliosa isola fu colpita, come i lettori ricorderanno, dalla drammatica eruzione del vulcano Cumbre Vieja, che provocò ingentissime devastazioni e danni per circa 800 milioni di Euro (3).

Nella presente era dell’Antropocene, ove l’intelligenza artificiale ogni giorno di piu’ pervade le nostre vite e, nondimeno, il mondo della  comunicazione scientifica, ritengo che quello appena narrato costituisca un esempio particolarmente edificante e significativo al contempo, visto e considerato che solo dell’intelligenza “naturale”, non già da quella “artificiale”, può scaturire la generosita’ umana!

Bibliografia e fonti citate

1) Jepson PD, Arbelo M, Deaville R, Patterson IA, Castro P, Baker JR, Degollada E, Ross HM, Herráez P, Pocknell AM, Rodríguez F, Howie FE, Espinosa A, Reid RJ, Jaber JR, Martin V, Cunningham AA, Fernández A. (2003). Gas-bubble lesions in stranded cetaceans. Nature 425:575-576.

doi: 10.1038/425575a.

2) Burgen S. (2023). Pathologist finds € 500,000 “floating gold” in dead whale in Canary Islands. The Guardian, July 04, 2023

https://www.google.it/amp/s/amp.theguardian.com/environment/2023/jul/04/las-palmas-pathologist-ambergris-block-dead-sperm-whale

3) Wei-Haas M. (2022). Lava built this island then entombed towns in stone. National Geographic, October 14, 2022

https://www.nationalgeographic.com/magazine/article/lava-built-this-island-then-entombed-towns-in-stone-feature

 

Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo