Influenza aviaria. L’Ecdc propone test umani mirati nelle aree con epidemie in corso

influenza aviariaUn approccio di sperimentazione ad hoc nelle aree in cui sono in corso focolai di influenza aviaria nel pollame e rilevamenti negli uccelli selvatici e in altri animali, per puntare i riflettori su malattie respiratorie gravi o neurologiche inspiegabili.

È quanto propone l’Ecdc, in una relazione tecnica pubblicata oggi, ricordando in ogni modo che “le infezioni umane dovute all’influenza aviaria rimangono un evento raro”. Il rischio di infezione da virus dell’influenza aviaria H5 attualmente circolanti in Europa è infatti valutato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie come basso per la popolazione generale dell’Ue/See. Il rischio rimane inoltre da basso a moderato per le persone esposte professionalmente o in altro modo a uccelli o mammiferi infetti (selvatici o domestici); questa valutazione copre diverse situazioni che dipendono dal livello di esposizione

Durante i mesi invernali, spiega l’Ecdc, quando i virus dell’influenza stagionale circolano nella popolazione, gli approcci di test e sottotipizzazione del virus dell’influenza aviaria devono essere proporzionati alla situazione epidemiologica e alle capacità dei laboratori di riferimento.

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Fonte: quotidianosanita.it




Premio Nobel per la Medicina: Alcuni spunti di riflessione

Il premio Nobel per la Medicina, che è stato appena assegnato da una Commissione di Professori del prestigioso Karolinska Institute svedese alla biochimica ungherese Katalin Karikó e all’immunologo statunitense Drew Weissman per la tecnica dell’RNA messaggero (mRNA) messa a punto dagli stessi, mi spinge a fare alcune importanti riflessioni e considerazioni.

Di questa tecnologia, che senza tema di smentita si può definire rivoluzionaria, ha enormemente beneficiato, in primis, la produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19, che ha sinora mietuto oltre 7 milioni di vittime su scala globale. E sono stati proprio i vaccini a mRNA, fin qui somministrati in numero pari a 13 miliardi di dosi e resi disponibili su scala globale a soli 12 mesi di distanza dell’identificazione del virus nella megalopoli cinese di Wuhan – un risultato da iscrivere a pieno titolo nel “guiness dei primati” -, ad avere salvato milioni e milioni di vite umane, garantendo un’efficace protezione sul duplice fronte sia della malattia in forma grave sia dell’exitus da/per/con COVID. Particolarmente degna di nota e’ la grande “duttilità” insita nella tecnica dell’mRNA, che consente un’agevole “riprogrammazione” dei vaccini anzidetti nei confronti di tutte le varianti di SARS-CoV-2 e, soprattutto, di quelle più diffusive, trasmissibili ed immuno-evasive quali ad esempio le “ultimogenite” sottovarianti di “Omicron” rappresentate dalla “Eris” (alias EG.5) e dalla “Pirola” (alias BA.2.86). La manegevolezza di questa tecnologia parimenti offre una serie di promettenti quanto interessanti prospettive d’impiego nella profilassi immunizzante verso agenti patogeni particolarmente mutevoli – anche nel corso di una medesima infezione in un medesimo ospite -, quali ad esempio il plasmodio della malaria, il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e, soprattutto, i virus influenzali.

A fronte di quanto sopra, la tecnologia dell’mRNA e’ stata “partorita” ad opera di Katalin Karikó dopo una “gestazione” quantomai lunga, difficile e complessa, durata ben 30 anni! Migrata nel lontano 1985 dall’Ungheria in USA per frequentare un dottorato di ricerca, la Professoressa Karikó sperimento’ ben presto sulla propria pelle, per numerosi anni consecutivi, una forte “dose di ostracismo” nei confronti dei propri studi in tema di mRNA, che nessuno era disposto a finanziare, cosicché fu tentata più volte dalla volontà di sospendere le sue ricerche in quella direzione. Così fino a quel giorno del 1990 in cui conobbe Drew Weissman, anch’egli in fila alla fotocopiatrice dell’Università della Pennsylvania. Ne scaturi’ un  solido quanto proficuo sodalizio, grazie al quale i due scienziati, dopo anni ed anni d’intenso lavoro, riuscirono ad ottenere una molecola di mRNA in grado di penetrare all’interno delle cellule-ospiti senza suscitare una risposta immunitaria indesiderata. Questo brillante risultato – un assoluto prerequisito rispetto all’utilizzo della tecnologia dell’mRNA nella produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, così come per molte altre potenziali applicazioni della stessa – venne reso possibile grazie alla sostituzione dell’uridina con una molecola ad essa molto vicina, la pseudouridina.

Quella di Katalin Karikó, oltre ad essere la storia di una grande donna di scienza, insignita della più alta onorificenza che mai possa essere conseguita da qualsivoglia ricercatrice o ricercatore, e’ anche e soprattutto la commovente ed entusiasmante storia di chi, per dirla con la celeberrima frase di Vittorio Alfieri, “Volle, e volle sempre, e fortissimamente volle”, che fa il paio con l’altrettanto famosa espressione “Fortuna Audaces Iuvat”.

Rappresentato altrimenti, a questo fulgido e luminoso ritratto di vita fa da degna cornice una terza e quantomai celebre ed eloquente frase: “Per Aspera ad Astra”!

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 




Vespa Velutina, è allarme per il miele. Importante segnalare gli avvistamenti

Vespa VelutinaNera, un’ampia banda tra il giallo e l’aranciato sulla parte terminale dell’addome e una stretta linea gialla sul primo segmento addominale, zampe nere con la parte terminale gialla, capo giallo/arancio. La vespa velutina è la new entry delle specie aliene e costituisce una minaccia serissima per le api e – di conseguenza – per il miele, la cui produzione è al minimo storico da anni.

Da giorni si susseguono gli appelli di agronomi e associazioni, che invitano chiunque avvisti un esemplare a segnalarlo prontamente alle autorità. L’esperienza insegna: l’unica arma contro quelle che abbiamo imparato ben presto a conoscere come specie aliene è il contenimento, pena il dilagare della specie.

Fonte: ilsole24ore FOOD



Long Covid e cortisolo

Gentile Direttore,
sulla prestigiosa Rivista Nature è stato appena pubblicato un interessante articolo a firma di Jon Klein e collaboratori, i quali hanno caratterizzato – anche tramite l’impiego dell’intelligenza artificiale – i profili della risposta immunitaria in individui con “long Covid” rispetto a pazienti non affetti da tale condizione morbosa (1), che su scala globale affliggerebbe almeno il 10% di coloro che abbiano sviluppato una pregressa infezione da SARS-CoV-2 in forma asintomatica, lieve oppure grave (2). I medesimi Autori hanno altresì dimostrato che livelli più bassi di cortisolo sarebbero presenti nei soggetti affetti da “long Covid” (1).

Assolutamente degno di nota, a tal proposito, è il dato secondo cui il betacoronavirus Sars-CoV-2 mostrerebbe un’elevata affinità di legame nei confronti dell’acido linoleico, un acido grasso essenziale. A ciò farebbe seguito una diminuita interazione della proteina “spike” (S) del virus con il recettore ACE2, mentre un intrigante sinergismo di azione farmacologica è stato parimenti descritto fra l’acido linoleico da un lato, e l’antivirale remdesivir dall’altro, con conseguente soppressione della replicazione di Sars-CoV-2 (3).

Come già a suo tempo sottolineato da chi scrive a commento del succitato articolo, la comprovata e forte affinità di legame della proteina S di Sars-CoV-2 con l’acido linoleico (3) conferirebbe notevole plausibilità biologica ai risultati positivi frequentemente ottenuti grazie all’impiego di corticosteroidi (desametasone) nella terapia delle forme gravi di Covid-19 (4). I corticosteroidi – sia naturali sia sintetici – possiedono infatti la ben nota capacità di inibire selettivamente l’attività della fosfolipasi-A2, un enzima-chiave in grado di convertire l’acido linoleico in acido linolenico, reazione quest’ultima che costituisce una tappa di cruciale rilevanza nella sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni, importanti mediatori chimici della risposta infiammatoria derivati dall’acido arachidonico (5).

In considerazione di quanto sopra, appare pertanto verosimile che ai più bassi livelli di cortisolo descritti in pazienti affetti da “long Covid” (1) possa fare seguito una ridotta inibizione di attività della fosfolipasi-A2 in tali individui, con conseguente aumento dell’affinità di legame di Sars-CoV-2 con il recettore ACE2, esitante a sua volta in un’accresciuta replicazione e persistenza virale nei tessuti dell’ospite.

Giovanni Di Guardo,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Bibliografia di riferimento
1) Klein, J., Wood, J., Jaycox, J. et al. Distinguishing features of Long COVID identified through immune profiling. Nature (2023). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06651-y.
2) Altmann, D.M., Whettlock, E.M., Liu, S., Arachchillage, D.J., Boyton, R.J. The immunology of long COVID. Nature Reviews in Immunology (2023). DOI: 10.1038/s41577-023-00904-7.
3) Toelzer, C., Gupta, K., Yadav, S.K.N. et al. Freefatty acid binding pocket in the locked structure of SARS-CoV-2 spike protein.Science 370: 725-730(2020).DOI:10.1126/science.abd3255.
4) Di Guardo, G. SARS-CoV-2-linoleic acid interaction (e.Letter-Letter to the Editor). Science (2020). https://www.science.org/doi/10.1126/science.abd3255#elettersSection.
5) Robbins & Kumar Basic Pathology, 11th Edition. Inflammation Chapter. Elsevier – Health Sciences Division (2022).




Uccelli acquatici selvatici e influenza di tipo A

Ricercatori dell’Università di Bologna e dell’ISPRA collaborano alla redazione di un editoriale che commenta i risultati di recenti ricerche sull’ecologia e sui meccanismi di trasmissione interspecie dei virus influenzali di tipo A.

Tra i virus influenzali attualmente noti, quelli di tipo A circolano sia nell’uomo che in altre specie animali. Grazie alla plasticità del genoma i virus influenzali di tipo A possono acquisire rapidamente mutazioni alla base della trasmissione interspecie (spillover). In tale ambito sono gli uccelli acquatici selvatici a occupare un ruolo centrale in quanto serbatoio naturale del pool genetico virale.

 In particolare, l’influenza A causa nell’uomo epidemie stagionali ricorrenti e periodiche pandemie, come la cosiddetta “influenza suina” legata all’emergenza nel 2009 di un virus riassortante geni di origine animale e umana.
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Fonte: ISPRA



Salmonellosi bovina, manuale di gestione pubblicato sul sito IZSLER

La salmonellosi è una patologia rilevante negli animali, sia per le possibili ripercussioni sanitarie ed economiche, che per i risvolti sulla salute pubblica conseguenti al carattere zoonotico dell’infezione. La salmonellosi dei bovini è anche soggetta a segnalazione all’Autorità competente, la cui gestione era codificata dal Regolamento di Polizia Veterinaria (RPV), oggi abrogato dal DL 136/2022. Permane tuttavia l’obbligo di segnalazione come da Decreto Legislativo 191/2006 che recepisce la Direttiva Zoonosi 99/2003 e prevede per tutte le salmonelle una “sorveglianza” obbligatoria.

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Fonte: IZS LER




Malaria, Hiv e Tbc, si allontana l’obiettivo di eliminarle entro il 2030 a causa di cambiamenti climatici e guerre

Cambiamenti climaticiSi allontana l’obiettivo di eradicare malaria, Hiv e Tubercolosi (Tbc) entro il 2030. Complici lo stop dovuto alla pandemia di Covid-19 nel 2020 e i cambiamenti climatici, i conflitti in corso, le disuguaglianze sempre più profonde e la crescente minaccia ai diritti umani attuali. È quanto emerge dal Rapporto sui risultati 2023 del Global Fund appena pubblicato. “Lavorando fianco a fianco, negli ultimi 20 anni il partenariato del Global Fund ha salvato 59 milioni di vite e, nonostante i diversi risultati senza precedenti raggiunti nel 2022, non raggiungeremo gli obiettivi per il 2030, a meno che non adottiamo misure straordinarie”, ha dichiarato il direttore esecutivo del Global Fund, Peter Sands.

I numeri del 2022

Nel 2022 24,5 milioni di persone hanno ricevuto la terapia antiretrovirale, “un numero senza precedenti” come ricorda il Global Fund in una nota. Ancora, 6,7 milioni di persone sono state trattate per la Tbc e sono state distribuite 219,7 milioni di zanzariere per prevenire la malaria. Nel 2022, i servizi di prevenzione dell’HIV sono aumentati del 22% rispetto al 2021. Il numero di persone diagnosticate e trattate per la tubercolosi è aumentato del 26% e il numero di casi di malaria trattati è aumentato dell’11%.

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Fonte: aboutpharma.com




EFSA: Cani e gatti non devono essere tenuti continuativamente in box, gabbie e gabbiette

animali d'affezione

Il rapporto include anche raccomandazioni in fatto di stress termico, condizioni di alloggio, operazioni di chirurgia estetica o non terapeutiche nonché questioni sanitarie della riproduzione negli allevamenti commerciali.

Per la maggior parte dei gatti adulti una temperatura compresa tra i 15 e i 26°C previene gli stress termici, mentre per i cani adulti da riproduzione non sono disponibili evidenze scientifiche sufficienti a definire un tale tipo di intervallo di temperatura.

L’EFSA ha poi valutato alcune pratiche di chirurgia estetica o non terapeutiche (taglio delle unghie nei gatti e taglio nelle orecchie, taglio della coda e resezione delle corde vocali o “devocalizzazione” nei cani) concludendo che non dovrebbero essere eseguite se non necessarie per la salute degli animali.

Le femmine di cani e gatti non dovrebbero essere fatte accoppiare prima dello sviluppo completo, anche se hanno già raggiunto la maturità sessuale (pubertà). Andrebbe controllata la frequenza delle gravidanze, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire un periodo minimo tra un parto e l’altro. Le gatte di età superiore ai sei anni e le cagne di età superiore agli otto anni devono essere controllate da un veterinario per verificarne lo stato di salute generale e le condizioni fisiche.

Fonte: EFSA

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I cinghiali ungheresi potrebbero salvare i maiali europei dalla peste suina africana

cinghialiEsiste un vaccino già testato con successo sui cinghiali in cattività

Secondo un articolo pubblicato da Horizon: The EU Research & Innovation Magazine, «Il destino di milioni di maiali in Europa potrebbe essere deciso il prossimo inverno in una foresta ungherese. Lì, i ricercatori dell’Ue intendono testare un vaccino contro la peste suina africana sui cinghiali».

La peste suina africana (PSA), è una malattia virale che minaccia i suini selvatici e domestici in tutta Europa. Senza vaccini o cure per la PSA, le epidemie di solito uccidono i suini infetti e spesso provocano abbattimenti di interi allevamenti di maiali per impedire che la malattia si diffonda altrove. I ricercatori stanno individuando dei boschi ungheresi nei quali spargere bocconi-esca arricchiti con un vaccino sperimentale contro la PSA, con l’obiettivo di immunizzare circa 300 cinghiali.

José Manuel Sánchez-Vizcaíno, che insegna salute animale all’Universidad Complutense de Madrid, spiega che «In questo momento, il problema più grande in Europa sono i cinghiali infetti. Se riduciamo la malattia nei cinghiali, probabilmente non avremo bisogno di vaccinare i maiali domestici». Sánchez-Vizcaíno guida il progetto di ricerca VACDIVA che ha prodotto il vaccino sperimentale contro la PSA che rappresenta circa il 90% del costo totale del progetto, che verrà prolungato fino a luglio 2024 rispetto alla data finale originariamente prevista per questo mese.

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Fonte: greenreport.it




I cervi potrebbero rinfocolare la pandemia di COVID-19

Una specie diffusa in Nord America si è rivelata un importante serbatoio di SARS-CoV-2 e potrebbe anche agire come un acceleratore alla sua evoluzione. Monitorare questi animali, come anche altre specie che ospitano il coronavirus, potrebbe però rivelarsi un vantaggio per tenere sotto controllo la diffusione del patogeno

Dalla specie scelta da Walt Disney per rappresentare il piccolo Bambi vengono minacce e opportunità per la futura gestione della pandemia. Nei cervi dalla coda bianca che popolano il nord degli Stati Uniti, oltre che la fantasia dei bambini di tutto il mondo, infatti, il virus ormai circola in maniera estesa senza provocare particolari danni, ma mutando molto più rapidamente di quanto faccia tra gli umani. Teoricamente, quindi, ciò potrebbe far tornare un giorno a noi un virus tanto irriconoscibile da riaccendere il fuoco della pandemia. Ma monitorarne l’evoluzione negli animali potrebbe anche fornirci un certo vantaggio sulla sua inarrestabile corsa. Sempre che se ne voglia approfittare.
Fonte: lescienze.it