Dal monitoraggio costante la scoperta del nuovo virus del pipistrello in Lombardia

Dal monitoraggio costante la scoperta del nuovo virus del pipistrello in Lombardia

 La Regione Lombardia, dal 2012 si è dotata di un piano di Monitoraggio Sanitario della Fauna selvatica che si pone lo scopo di monitorare non solo un gruppo determinato di patologie e relative specie nelle quali ne è nota la possibile presenza, ma più in generale anche eventuali fenomeni di spillover (passaggio di virus) nella fauna selvatica.

Nell’ultimo ventennio infatti in Lombardia come in tutta Italia, si è assistito a un continuo ed esponenziale aumento delle popolazioni di animali selvatici, sia per consistenza numerica sia per distribuzione geografica, raggiungendo livelli tali da rappresentare un’entità non più trascurabile in termini di potenziali fattori di rischio sanitario per gli animali domestici e per l’uomo.

La diffusione degli animali selvatici e i conseguenti aumentati contatti con l’uomo esitano in un continuum epidemiologico tra animali selvatici, domestici e specie umana favorendo, tra le altre cose, la possibile diffusione e reciproca trasmissione di malattie comuni, nuove, emergenti o re-emergenti.

È infatti un dato da tempo assodato che le malattie trasmissibili all’uomo di origine animale (c.d. zoonosi) originate dalla fauna selvatica, possono rappresentare una minaccia per la salute umana e individuare tempestivamente la comparsa e contrastarne efficacemente la diffusione rappresenta una priorità per la salute pubblica.

Grazie alla preziosa rete di collaborazione garantita dal Piano di monitoraggio, sviluppato dalla UO Veterinaria della DG Welfare e che vede come attori anche l’IZSLER e i Centri di Recupero degli Animali Selvatici, è stato possibile identificare per la prima volta in Italia il virus Issyk-Kul (ISKV).

Allo stato attuale si sa ancora poco su questo virus, anche se è descritto come causa di possibili focolai di malattia nell’uomo caratterizzati da febbre, mal di testa, mialgia, e nausea con tempi di convalescenza anche di alcune settimane (Vedi Scheda Tecnico-Scientifica).

Il virus è stato isolato da un pipistrello appartenente ad una specie (Hypsugo savii) sedentaria e molto diffusa nelle aree urbane, che utilizza gli edifici come siti di rifugio suggerendo possibili implicazioni per la salute pubblica. L’isolamento è stato eseguito su un esemplare deceduto spontaneamente presso il CRAS WWF della Valpredina e analizzato presso l’IZSLER all’interno delle indagini di sorveglianza passiva sui pipistrelli previste dal Piano Fauna Selvatica di Regione Lombardia.

Ad oggi l’IZSLER ha registrato una sola positività e sono in coso ulteriori indagini volte a definire la diffusione, distribuzione ed ecologia di questo virus, che permetterà anche di acquisire informazioni utili a definire la prevalenza/incidenza di ISKV per meglio capire se esiste un eventuale rischio di trasmissione e diffusione agli animali e all’uomo.

Questa importante scoperta, resa possibile grazie al lavoro di coordinamento della DG Welfare dei diversi attori coinvolti nel Piano di monitoraggio sanitario della fauna selvatica, ivi inclusi l’IZSLER e i CRSA regionali, sottolinea come le attività di sorveglianza sanitaria degli animali selvatici siano un importante momento di conoscenza e di prevenzione di possibili comparsa di fenomeni di spillover anche nel territorio di Regione Lombardia.

L’attività di monitoraggio rientra nel quadro delle numerose attività dell’IZSLER nella cosiddetta One Health (Una Sola Salute).

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




Utilizzo di insetti nell’alimentazione dei ruminanti: caratteristiche delle fermentazioni ruminali

Farina di insettiL’alimentazione dei ruminanti è sempre al centro dell’attenzione e degli studi da parte degli organi di Ricerca, e la necessità di trovare fonti proteiche alternative è quanto più importante dato il particolare momento storico che tutti viviamo. Come già discusso, il consumo di risorse e l’impatto ambientale della loro produzione restano un problema quotidiano, soprattutto quando si parla di alimentazione dei ruminanti e degli animali da pascolo. Ecco quindi una nuova ricerca che mostra come l’utilizzo di fonti proteiche alternative possa rivelarsi una soluzione efficace al problema. Vediamolo nel dettaglio.

 Recenti studi hanno dimostrato come le fonti proteiche maggiormente utilizzate nell’alimentazione dei ruminanti possano avere un impatto negativo sull’ambiente e causare un incremento della competizione per la gestione delle terre coltivabili e l’acqua altrimenti destinate all’alimentazione umana.

L’Università degli Studi di Torino, in collaborazione con l’INRAE (Institut National de Recherche pour l’Agriculture, l’Alimentation et l’Environnement, Saint-Genès-Champanelle – France), ha sperimentato l’utilizzo di otto differenti farine di insetto (alcune delle quali mai state testate prima nell’alimentazione dei ruminanti o dei monogastrici), come potenziali fonti proteiche e lipidiche per la nutrizione di ruminanti.

Al fine di valutare al meglio la loro efficacia e idoneità da un punto di vista nutrizionale, queste farine sono state confrontate con tre farine di origine vegetale (farina di soia, di girasole e di colza, le più utilizzate nel settore) e con la farina di pesce, utilizzata come fonte proteica di origine animale di riferimento. Le otto specie di insetto testate sono state: Acheta domesticus L.; Alphitobius diaperinus Panzer; Blatta lateralis Walker; Grylloides sigillatus Walker; Gryllus bimaculatus De Geer; Hermetia illucens L.; Musca domestica L. e Tenebrio molitor L.

L’analisi chimico-bromatologica delle farine di insetto ha evidenziato un contenuto di proteina grezza paragonabile a quello delle farine vegetali, mentre il contenuto di estratto etereo è risultato di gran lunga superiore. Per tale motivo, le farine di insetto intere possono rappresentare anche un’ottima fonte lipidica o energetica, alternativa agli oli vegetali spesso utilizzati per aumentare la densità energetica delle diete o per migliorare il profilo acidico dei prodotti di origine animale, quali latte o carne.

Quest’ultimo risulta un aspetto particolarmente interessante, in quanto la maggior parte delle specie di insetto analizzate ha mantenuto, a seguito dei processi di bioidrogenazione, elevate concentrazioni di acidi grassi insaturi a livello ruminale, soprattutto acido linoleico (noto per avere effetti positivi sulla salute umana).

Con l’utilizzo delle farine di insetto si è osservata una produzione di gas (soprattutto metano) e acidi grassi volatili notevolmente inferiore rispetto a quanto verificatosi con gli altri alimenti convenzionali testati. Questo risultato è stato spiegato dagli autori dello studio come possibile conseguenza dell’elevato contenuto di proteina grezza ed estratto etereo delle farine di insetto, in quanto le proteine sono note per esercitare un effetto tampone (abbassano il livello di acidità), mentre un alto contenuto di lipidi può portare alla parziale inibizione della microflora metanigena ruminale e alla diminuzione della digeribilità dei carboidrati.

Infatti, anche la digeribilità totale dell’alimento è risultata inferiore per le farine di insetto rispetto alle farine vegetali e alla farina di pesce. Per tale esito, è necessario considerare anche la possibile influenza della chitina, un polisaccaride naturalmente presente nell’esoscheletro degli insetti e dei crostacei che non viene degradato dai microorganismi ruminali. Infine, le farine di insetto (ad eccezione di Blatta lateralis) risultano determinare una produzione inferiore di ammoniaca all’interno del rumine, rispetto agli altri alimenti convenzionali testati.

Ciò indicherebbe una minore degradazione delle proteine a livello ruminale, consentendo potenzialmente un loro maggior utilizzo a livello intestinale e rendendole di conseguenza più facilmente utilizzabili dall’animale. Alla luce di quanto riportato, gli autori di questo studio concludono che, da un punto di vista nutrizionale, le farine di insetto potrebbero essere potenzialmente impiegate come sostituti di fonti proteiche ed energetiche tradizionalmente utilizzate nelle diete dei ruminanti.

 Fonte: ASPA
 



Attività antimicrobica di nanoparticelle di carbonio caricate con ioni rame contro Listeria monocytogenes: la Ricerca dell’IZS Lazio e Toscana

Listeria monocytogenesI nanomateriali sono materiali naturali, derivati o fabbricati contenenti particelle allo stato libero, aggregato o agglomerato, con almeno una delle dimensioni compresa tra 1 e 100 nanometri.

Alla luce delle loro diverse proprietà fisiche, chimiche, meccaniche peculiari, i nanomateriali e le nanoparticelle trovano quindi applicazione in molteplici campi, tra cui quello alimentare, settore ancora in sviluppo soprattutto per quanto concerne la realizzazione di imballaggi a contatto con alimenti.

La loro applicazione in campo alimentare sembrerebbe infatti offrire importanti notevoli vantaggi tra cui il mantenimento dei valori nutrizionali, la riduzione dell’uso di componenti per la conservazione (es. zuccheri, sali, ecc.)e l’incremento della shelf life dell’alimento.

Le nanoparticelle di carbonio sono sempre più studiate per le loro proprietà di inibizione verso agenti patogeni mentre il rame, noto antimicrobico, legato a nanoparticelle di carbonio sembrerebbe formare un sistema promettente per limitare la crescita di specifici patogeni.

Lo Studio

Nel lavoro scientifico dal titolo “ Inhibitory effect against Listeria monocytogenes of carbon nanoparticles loaded with cooper as precursors of food active packaging”, pubblicato sul periodico “ Foods” , ricercatori dell’ Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana in collaborazione con l’ Università di Torino hanno valutato l’attività antimicrobica di nanoparticelle di carbonio caricate con ioni rame (CNP-Cu) contro Listeria monocytogenes, uno dei più importanti microrganismi patogeni di origine alimentare.

La Listeria monocytogenes rappresenta uno dei principali pericoli biologici di interesse alimentare, per la sua capacità di persistenza nell’ambiente.

La listeriosi, malattia di interesse in tutta Europa, rappresenta un grave rischio soprattutto per talune fasce di popolazione, tra cui gli individui immunocompromessi; ciò ha portato allo sviluppo di nuove strategie per limitarne la crescita nel tempo e, tra queste, lo sviluppo di materiali micrometrici ed in particolare a quelli a base di carbonio.

Nel presente studio, sono state sintetizzate due serie di nanoparticelle di carbonio (CNP) di diverse dimensioni, caricate successivamente con il rame (CNP-Cu), a differenti concentrazioni.

L’ attività antimicrobica è stata poi valutata in condizioni sperimentali nei confronti di Listeria monocytogenes.

I risultati ottenuti hanno dimostrato una elevata attività antimicrobica (85%) nei confronti di Listeria monocytogenes confermando le CNP-Cu come agenti promettenti per lo sviluppo di imballaggi attivi nei confronti del microorganismo target.

In ogni caso, in vista della possibile applicazione di questi materiali nell’ industria alimentare, si rende necessario valutare il rilascio di rame negli alimenti, in linea con i limiti stabiliti nel Regolamento della Commissione UE n 10/2011.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




Nuovi anticorpi monoclonali per l’identificazione della malattia emorragica epizootica del cervo

Anticorpi monoclonali, sviluppati in IZS, permetteranno una più efficiente diagnosi di una malattia virale che colpisce prevalentemente i cervi, ma che può attaccare anche i bovini danneggiando la produzione di latte

La Malattia Emorragica Epizootica (EHD acronimo della malattia in lingua inglese), è una patologia virale identificata originariamente in alcune specie di cervi nel Nord America. Negli ultimi anni la malattia è stata registrata nei paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo. Una sua introduzione in Europa rappresenta pertanto un pericolo che richiede metodi di identificazione e sorveglianza rapidi ed efficienti. Ad oggi non sono stati ancora registrati casi nelle nazioni europee e quindi la malattia può dirsi esotica.

Per assolvere ad uno dei compiti istituzionali in qualità di Centro di Referenza per le Malattie Esotiche (CESME), i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo hanno avviato una ricerca per lo sviluppo di un metodo diagnostico, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati sulla rivista Monoclonal antibodies in Immunodiagnosis and Immunotherapy. I ricercatori hanno infatti prodotto anticorpi monoclonali capaci di riconoscere una proteina specifica del virus responsabile della patologia (EDHV). In questo modo sarà possibile realizzare test di laboratorio affidabili, capaci di portare ad una rapida identificazione della sua eventuale presenza in animali selvatici o da allevamento.

“La Malattia Emorragica Epizootica – spiega Mirella Luciani, del reparto di Immunologia e sierologia, co-autore della pubblicazione scientifica – non costituisce alcun pericolo per l’uomo. Colpisce soprattutto alcune specie di cervi, nei quali può essere particolarmente grave, con tassi di mortalità che possono arrivare fino al 90% per i cervi dalla coda bianca. Occasionalmente, però, può rappresentare un problema anche per i bovini, nei quali la sintomatologia è molto più lieve e la mortalità molto rara, ma in questi casi ci può essere un rilevante calo della produzione di latte con conseguenti danni economici”.

Il virus EDHV viene trasmesso attraverso la puntura di insetti del genere Culicoides, gli stessi che possono trasmettere altri due virus: la bluetongue, che colpisce prevalentemente gli ovini, e la peste equina, che colpisce prevalentemente gli equini. “Questi insetti – continua Luciani – sono presenti in Europa. A loro si devono, ad esempio, i focolai di bluetongue che in anni passati hanno colpito gli allevamenti di pecore in Italia, soprattutto in Sardegna. Quindi ci troviamo di fronte allo stesso ciclo infettivo e alla stessa nicchia ecologica. Significa che l’introduzione in Europa del virus della Malattia Emorragica Epizootica del Cervo è una possibilità concreta. Per questo motivo abbiamo sviluppato un pannello di anticorpi monoclonali che potranno rappresentare un valido supporto per la diagnosi precoce della malattia”.

Fonte: IZS Teramo




Sorveglianza delle zanzare in Italia

L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato, nell’ambito dei Rapporti ISTISAN, il rapporto “Sorveglianza delle zanzare in Italia” a cura di Marco Di Luca del Dipartimento Malattie Infettive del ISS.

Negli ultimi anni l’Italia è stata colpita da epidemie riconducibili alle Malattie Trasmesse da Vettori (MTV), quali febbre del West Nile, chikungunya e dengue. Le MTV, fortemente influenzate da clima e ambiente, possono presentare cicli di trasmissione complessi. Per migliorare la preparedness e le capacità di risposta, è necessario adottare un  approccio di intervento integrato (One Health), di cui la sorveglianza entomologica è parte essenziale. La raccolta del dato entomologico permette di valutare il rischio di diffusione di una MTV, ma risulta altrettanto cruciale per indirizzare  interventi di controllo e valutarne l’efficacia. Per questo motivo è nata l’idea di condividere conoscenze ed esperienze  relative alla sorveglianza entomologica, in particolare delle zanzare. Viene presentato lo stato dell’arte, sia di quei  sistemi di sorveglianza attualmente operativi sul territorio, sia di quelle esperienze, limitate nel tempo, frutto di specifici  progetti-pilota

Si legge nell’abstract.

Nella parte iniziale, viene descritto l’impianto dell’attuale PNA 2020-2025, ripercorrendo le  fasi della sua elaborazione, a cui hanno preso parte esperti e istituzioni diverse, per la prima volta
riuniti intorno ad un tavolo.

Il rapporto si articola poi in quattro sezioni, che rappresentano un compendio di esperienze sulla sorveglianza entomologica, realizzate sia nell’ambito di sistemi regionali più ampi, che di
iniziative progettuali specifiche e che riguardano:
– sorveglianza e risposta ai virus West Nile e Usutu;
– sorveglianza e risposta agli arbovirus trasmessi da Aedes;
– sorveglianza e risposta all’introduzione e diffusion.

Infine viene presentata una nuova frontiera della sorveglianza in ambito entomologico, che prevede la possibilità di implementare e gestire sistemi di riconoscimento degli artropodi, e in
particolare di quelli di interesse medico-veterinario, attraverso approcci di imaging, machine  learning e intelligenza artificiale.

Il documento non vuole essere una mera rassegna di attività entomologiche, svolte in maniera più o meno sistematica nelle varie Regioni, ma offrire modelli concreti, anche se non esaustivi, di buone pratiche per quelle autorità sanitarie incaricate di realizzare o rafforzare sul proprio territorio un idoneo sistema di sorveglianza e controllo delle MTV.

Leggi il documento sul sito ISS




Patogeni trasmessi da zecche, fino al 30% di zecche positive nella fauna selvatica del nord-est dell’Italia

Gli animali selvatici e domestici occupano un ruolo importante nei cicli vitali di molti patogeni trasmessi dalle zeccheLupo, sciacallo e capriolo sembrano fungere da ospite principale per le zecche e da serbatoio per i patogeni nel nord-est dell’Italia, ma non mancano anche altri animali come bovini, camosci, cervi, cinghiali, volpi, tassi, ricci e poiane.

La situazione nel nord-est, fino al 30% di positività per Ixodes ricinus

Uno studio dell’IZSVe, presentato 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10), ha evidenziato la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche nel nord-est dell’Italia. In particolare è stato osservato un elevato tasso di infezione nella zecca Ixodes ricinus: il 30,2% dei campioni analizzati per questa specie è risultato positivo per almeno un patogeno.

Ma qual è il ruolo ecologico di queste specie animali? A questa domanda hanno cercato di rispondere i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) con uno studio sulla presenza e la prevalenza dei patogeni nelle zecche prelevate da diversi animali. I risultati sono stati presentati alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10) sulle zecche e patogeni trasmessi dalle zecche, organizzata dal Dipartimento di Parassitologia e Malattie Parassitarie dell’Università di Scienze Agrarie e Medicina Veterinaria di Cluj-Napoca (Romania), in collaborazione con l’Istituto di ricerca sul delta del Danubio.

Nello studio i ricercatori hanno prelevato le zecche durante il periodo 2019-2021, sia adulti che stadi giovanili (larve e ninfe), in animali provenienti da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Sono state raccolte in totale 367 zecche (suddivise in 321 pool per la ricerca di patogeni) poi classificate in tre generi e quattro specieIxodes ricinus (215), I. hexagonus (146), Dermacentor marginatus (1), Rhipicephalus sanguineus (1), Ixodes spp. (2) e Dermacentor spp. (2). Le zecche sono state raccolte da 71 ospiti appartenenti ad 11 specie. Ixodes ricinus è stata raccolta da tutte le specie ospiti; I. hexagonus da tasso, riccio e volpe; D. marginatus e Dermacentor spp. da cinghiale e R. sanguineus da riccio. Da segnalare che il 30,2% di I. ricinus è risultato positivo per almeno un patogeno.

Inoltre, per ogni patogeno è stato calcolato il tasso di infezione (infection rate, IR) ossia il numero degli esemplari positivi sul totale degli esemplari analizzati. Nei pool di zecche sono stati identificati undici patogeni differenti, di cui i principali sono: Anaplasma phagocitophylum (IR=19,1) Rickettsia helvetica; (IR=9,8) e R. monacensis (IR=4,7). Sono stati ritrovati anche: Borrelia miyamotoiB. burgdorferi sensu stricto, B. azfeliiBabesia venatorum e Ba. capreoli. Un esemplare di Dermacentor spp. è stato trovato positivo a R. slovaca e cinque I. hexagonus a Rickettsia spp. Un totale di 15 zecche (4,1%) rimosse da camosci e caprioli sono state trovate co-infette da più di un patogeno.

Questo studio evidenzia la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche in quest’area. In particolare, è stata osservata un elevato tasso di infezione nella zecca I. ricinus e la possibilità di trasmissione multipla di patogeni da parte di zecche co-infette.

Il contributo degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali alla ricerca internazionale

Gli esponenti degli IIZZSS italiani alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10). Da sinistra: Ilaria Pascucci (dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche); Michela Bertola (ricercatrice veterinaria, IZS Venezie); Aitor Garcia-Vozmediano (borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).

La Conferenza TTP rappresenta il maggior evento scientifico del settore e ha visto la partecipazione di circa 200 esperti del settore tra ricercatori, epidemiologi, medici, immunologi, veterinari, biologi ed ecologi provenienti da tutto il mondo.

Una menzione particolare spetta ai tre Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) che hanno presentato i loro studi sperimentali, dimostrando un’importante presenza degli IIZZSS italiani a livello internazionale e un’elevata qualità delle ricerche condotte:

  • Michela Bertola, ricercatrice veterinaria, IZS Venezie. Tick-borne pathogens detected in ticks removed from animal hosts in northeastern Italy
  • Aitor Garcia-Vozmediano, borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. A One Health approach to tackle tick-borne diseases – analysis of surveillance initiatives in selected EU countries: The Netherlands, Spain and Italy
  • Ilaria Pascucci, dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche. Ticks and tick-borne pathogens in Umbria and Marche in a one health perspective; a five years monitoring with a description of clinical case of SENLAT

Fonte: IZS Venezie




Una nuova ricerca indica gli strumenti per il controllo delle principali malattie a garanzia della salute animale e della salute pubblica

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista ‘The Lancet Planetary Health’, fra gli autori anche due ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), per gli ambiti di rabbia e malattie delle api.

Una ricerca pubblicata su The Lancet Planetary Health ha indicato gli strumenti adeguati per il controllo delle malattie infettive degli animali, che possono avere un impatto significativo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra gli autori figurano anche due ricercatori dell’IZSVe: Paola De Benedictis, direttore del Centro di referenza nazionale/FAO per la rabbia, e Franco Mutinelli, direttore del Centro di referenza nazionale/FAO per l’apicoltura.

Gli sforzi internazionali dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo di strumenti di controllo per una serie di malattie infettive prioritarie degli animali, tra cui le infezioni da virus Nipahpeste suina africana, afta epizootica e tubercolosi bovina – affermano gli scienziati – ma sono necessari ulteriori progressi per un’ampia gamma di malattie zoonotiche, endemiche e malattie epidemiche (comprese le pandemie) al fine di garantire un pianeta sano per l’uomo, gli animali e l’ambiente.

Lo studio, guidato dal dottor Johannes Charlier, project manager di DISCONTOOLS (DISease CONtrol TOOLS), e comprendente un team internazionale di esperti di salute animale, ha valutato lo stato attuale degli strumenti di controllo disponibili per 53 principali malattie infettive degli animali.

Il contributo dell’IZSVe per rabbia e malattie delle api

Con la partecipazione al Consorzio DISCONTOOLS, anche i ricercatori dell’IZSVe hanno contribuito allo studio in ambiti specifici come la rabbia e le malattie delle api che, per aspetti diversi, ricadono fra le malattie animali di interesse prioritario, evidenziando le competenze specialistiche proprie dell’ente.

“La rabbia, una delle più antiche malattie conosciute e per la quale da oltre 150 anni si conoscono mezzi di prevenzione nell’uomo e di controllo negli animali, è ancora una malattia prioritaria per l’Unione europea – spiega Paola De Benedictis, direttore del Centro di referenza nazionale per la rabbia all’IZSVe, coautore dell’articolo. “La rabbia rappresenta un ottimo esempio di One Health a livello mondiale. Una zoonosi negletta ancora oggi responsabile di circa 60.000 decessi all’anno e contro la quale gli organismi nazionali e internazionali hanno stipulato un patto di mutua e trasversale collaborazione tra tutti i settori implicati per il suo controllo.”

“La varroosi, causata dall’acaro parassita Varroa destructor, è a livello mondiale la più importante malattia delle api che colpisce sia la covata sia gli adulti, provocando un progressivo indebolimento e spopolamento della colonia fino al suo collasso.”

Così spiega Franco Mutinelli, direttore del Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’IZSVe, fra gli autori dell’articolo, che aggiunge: “Lo spopolamento è inevitabile se non vengono eseguiti adeguati trattamenti e interventi tecnici. Oltre al danno diretto dovuto al fatto che si nutre del corpo grasso e dell’emolinfa dell’ape, l’acaro è anche un vettore di diversi virus che possono danneggiare ulteriormente le api. Ne deriva che l’individuazione di nuovi metodi di controllo è un compito essenziale per i ricercatori.

In particolare, vanno prese in considerazione le interazioni ecologiche di questo parassita, la selezione per la resistenza nei suoi confronti; il miglioramento delle modalità di applicazione dei medicinali veterinari, lo sviluppo di nuovi farmaci alternativi o complementari a quelli esistenti, e l’ottimizzazione e standardizzazione delle tecniche apistiche per il suo controllo.”

Le cinque priorità di ricerca per garantire la salute animale

 I ricercatori hanno constatato che, sebbene siano disponibili metodi diagnostici accurati e facili da usare per molte malattie animali, è urgente sviluppare metodi stabili e duraturi in grado di differenziare gli animali infetti dagli animali vaccinati e valutare altre caratteristiche della malattia come la trasmissibilità, l’impatto sulla produttività e il benessere degli animali. Aggiungono che è anche necessario sfruttare i rapidi progressi tecnologici e di rendere i metodi diagnostici ampiamente disponibili e affidabili. Gli scienziati chiedono ulteriore ricerca per migliorare la praticità d’uso e la durata dell’immunità, e per sviluppare marker vaccinali efficaci.

La ricerca evidenzia che la più grande criticità per i farmaci veterinari è rappresentata dalla possibilità che i patogeni sviluppino resistenza ai farmaci disponibili, in particolare per i patogeni batterici e i parassiti (protozoi, elminti e artropodi). Il dottor Charlier e i colleghi ricercatori propongono cinque priorità di ricerca per la salute degli animali che contribuiranno a creare un pianeta sano e sostenibile: vaccinologia, resistenza antimicrobica, mitigazione e adattamento climatico, salute digitale e preparazione alle epidemie.

Gli scienziati hanno utilizzato DISCONTOOLS, un database open access e risorsa chiave per il Consorzio di ricerca internazionale STAR-IDAZ, nonché per altri finanziatori della ricerca sulla salute animale, inclusi trust e industria farmaceutica, per valutare lo stato attuale degli strumenti di controllo appropriati per 53 importanti malattie infettive degli animali. DISCONTOOLS identifica le lacune di conoscenza che devono essere colmate per accelerare lo sviluppo di nuovi strumenti di controllo (diagnostica, vaccini e farmaci) e ridurre l’impatto delle malattie degli animali. Ciò offre vantaggi in termini di salute e benessere degli animali, salute pubblica e un sistema di approvvigionamento alimentare sicuro.

DISCONTOOLS è stato quindi utilizzato per definire l’ordine di priorità delle malattie infettive animali per le quali mancano strumenti di controllo adeguati e laddove affrontare questa esigenza avrebbe il maggiore impatto sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

 

Fonte: IZS Venezie




Vaiolo ovino e caprino in Spagna, Andalusia

Il 19 settembre 2022 i servizi veterinari della regione Junta in Andalusia, Spagna, hanno notificato al WOAH un focolaio di vaiolo ovino e caprino in un allevamento ovino da riproduzione situato nel comune di Benamaurel, nella provincia di Granada.

Il 14 settembre 2022, il proprietario dell’allevamento di 314 pecore e 11 capre, ha constatato la presenza di segni e lesioni cliniche compatibili con la malattia e ha comunicato tempestivamente al servizio veterinario regionale dell’Andalusia il sospetto della patologia.

Il servizio veterinario ha diagnosticato 50 pecore clinicamente malate e 30 animali morti; i restanti 284 ovini e 11 caprini sono stati uccisi; le carcasse, i sottoprodotti e i rifiuti sono stati smaltiti sotto controllo ufficiale.

Il laboratorio veterinario centrale di Algete (Madrid) – laboratorio di referenza nazionale del vaiolo ovino e caprino in Spagna, ha confermato, il 18 settembre 2022, la positività dei campioni di 50 animali mediante test RT-PCR e sequenziamento per il virus del vaiolo ovino e caprino.

Le autorità andaluse hanno immediatamente adottato le misure di controllo  previste dal regolamento delegato (UE) 2020/687 della Commissione, che integra il Regolamento (UE) 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme relative alla prevenzione e al controllo di determinate malattie.

In Spagna, la malattia del vaiolo ovino e caprino era stata eradicata il 31 dicembre del 1968.

Il vaiolo degli ovini e dei caprini è una malattia virale infettiva che colpisce gli ovini e i caprini e può avere conseguenze gravi sulla popolazione animale interessata e sulla redditività dell’allevamento, perturbando i movimenti delle partite di tali animali e dei relativi prodotti all’interno dell’Unione Europea e le esportazioni verso paesi terzi.

Informazioni relative alla malattia

Fonte: IZS Teramo




SARS CoV-2 negli animali, un sito per navigare in tutti gli eventi segnalati

SARS CoV-2 negli animali, un sito per navigare in tutti gli eventi segnalati.

Il virus SARS CoV-2 è stato segnalato in moltissime nazioni anche negli animali e talvolta con risonanza mediatica notevole. Per quanto il coronavirus non sia abitualmente trasmesso dagli animali all’uomo, SARS-CoV-2 è in grado di infettare 29 specie animali, determinando la possibilità  di creare serbatoi animali dove può modificarsi e diventare più contagioso per l’uomo. Questo rischio viene ridotto tramite la segnalazione tempestiva al World Animal Health Information System (WAHIS) dell’organizzazione mondiale della sanità animale (WOAH) e l’attivazione di misure di contenimento.

Il sito SARS-ANI VIS (Complexity Science Hub Vienna) ha collezionato gli eventi segnalati di infezione degli animali da 39 paesi nel mondo e rappresentato i 729 eventi in una infografica chiara e navigabile per nazione, per specie e per tipologia di eventi, segni clinici, varianti etc. . Ogni evento ha una piccola scheda con i dati disponibili di numero animali , specie, contatti, relazioni.

Il sito ha utilizzato un set di dati open riguardante gli eventi SARS CoV-2 segnalati negli animali, le fonti sono i data base di ProMED (Program for Monitoring Emerging Diseases ), ISID (International Society for Infectious Disease ) e WOAH (World Organisation for Animal Health ).

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Primo caso di infezione da RHDV2 nel Nord-est Italia in un esemplare di lepre bruna europea

È stato rilevato per la prima volta nel Nord-est Italia il virus dell’RHDV2 in un esemplare di lepre bruna europea. L’animale, ritrovato morto nella Riserva di Ala (provincia di Trento) a giugno 2022, è stato conferito alla sede di Trento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) per monitoraggio sanitario. All’esame autoptico si sono riscontrate lesioni EBHS-simili con congestione diffusa degli organi addominali, versamento ematico addominale e grave tracheite emorragica. Le analisi biomolecolari eseguite nei laboratori dell’IZSVe hanno individuato una positività a Lagovirus, poi confermata come RHDV2 (variante francese di RHDV) dal Centro di referenza nazionale per le malattie virali dei lagomorfi dell’IZS della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER).

È stato rilevato per la prima volta nel Nord-est Italia il virus dell’RHDV2 in un esemplare di lepre bruna europea. L’animale, ritrovato morto nella Riserva di Ala (provincia di Trento) a giugno 2022, è stato conferito alla sede di Trento dell’IZSVe. Le analisi biomolecolari hanno individuato una positività a Lagovirus, poi confermata come RHDV2 (variante francese di RHDV) dal Centro di referenza nazionale per le malattie virali dei lagomorfi dell’IZSLER.

La malattia della lepre bruna europea (EBHS) e la malattia emorragica del coniglio (RHD) sono patologie altamente contagiose e letali causate da due Lagovirus antigenicamente e geneticamente simili tra loro (EBHSV e RHDV). Classicamente EBHSV colpisce alcune specie di lepre (Lepus spp.) mentre RHDV colpisce i conigli (Oryctolagus cuniculus). Nel 2010, è stata rilevata in Francia nei conigli una nuova variante di RHDV (RHDV2), diffusasi rapidamente in tutta Europa, Italia compresa, provocando vere e proprie epidemie nei conigli sia d’allevamento che allo stato brado.

Mano a mano che il virus andava diffondendosi in Europa si è scoperto che diverse specie di lepre risultano sensibili a RHDV2: la lepre bruna europea (Lepus europeus), la lepre bianca o alpina (Lepus timidus) e in Italia, oltre alle già citata lepre bruna, si sono riscontrate le prime positività in due specie autoctone: la lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus) e la lepre italica o appenninica (Lepus corsicanus).

In Provincia di Trento la sorveglianza sanitaria sulla fauna selvatica, comprese le popolazioni di lepre, è prevista da una convenzione con il Servizio Faunistico che l’IZSVe ha in essere da più di 20 anni. Per l’EBHS, il monitoraggio prevede la sorveglianza passiva su lepri rinvenute morte e quella attiva su organi di lepri abbattute durante la stagione venatoria.

Dal 2016, a seguito di un focolaio di RHDV2 nei conigli selvatici nella zona urbana/periurbana della città di Trento, in collaborazione con il CRN malattie virali dei lagomorfi, è stato indagato il ruolo della lepre bruna europea nell’epidemiologia di questo virus. In alcune riserve di caccia provinciali nel biennio 2016-2017 e 2017-2018 sono stati testati 226 sieri raccolti da lepri abbattute e sono state rilevate diverse positività sierologiche per RHDV2; è stata eseguita anche la ricerca di RHDV2 con metodiche biomolecolari sugli organi di alcune lepri provenienti da riserve dove era segnalata circolazione di RHDV2 nel coniglio selvatico e non sono state evidenziate positività virologiche. Dal 2016 nella Provincia di Trento la ricerca dei virus RHDV2 ed EBHSV viene eseguita routinariamente nelle lepri rinvenute morte, e questo ha permesso di individuare la positività nella lepre morta nella riserva di Ala.

I risultati confermano ancora una volta l’importanza della sorveglianza sanitaria sulle popolazioni selvatiche per la raccolta di dati sanitari. La sporadicità dei casi d’infezione per RHDV2 nella lepre bruna europea ci indica che, probabilmente, la suscettibilità nei confronti di questo virus è bassa, ma è necessario continuare ad indagare il possibile ruolo epidemiologico della lepre come ospite spillover per RHDV2.

Fonte: IZS Venezie