Uccelli acquatici selvatici e influenza di tipo A

Ricercatori dell’Università di Bologna e dell’ISPRA collaborano alla redazione di un editoriale che commenta i risultati di recenti ricerche sull’ecologia e sui meccanismi di trasmissione interspecie dei virus influenzali di tipo A.

Tra i virus influenzali attualmente noti, quelli di tipo A circolano sia nell’uomo che in altre specie animali. Grazie alla plasticità del genoma i virus influenzali di tipo A possono acquisire rapidamente mutazioni alla base della trasmissione interspecie (spillover). In tale ambito sono gli uccelli acquatici selvatici a occupare un ruolo centrale in quanto serbatoio naturale del pool genetico virale.

 In particolare, l’influenza A causa nell’uomo epidemie stagionali ricorrenti e periodiche pandemie, come la cosiddetta “influenza suina” legata all’emergenza nel 2009 di un virus riassortante geni di origine animale e umana.
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Fonte: ISPRA



Salmonellosi bovina, manuale di gestione pubblicato sul sito IZSLER

La salmonellosi è una patologia rilevante negli animali, sia per le possibili ripercussioni sanitarie ed economiche, che per i risvolti sulla salute pubblica conseguenti al carattere zoonotico dell’infezione. La salmonellosi dei bovini è anche soggetta a segnalazione all’Autorità competente, la cui gestione era codificata dal Regolamento di Polizia Veterinaria (RPV), oggi abrogato dal DL 136/2022. Permane tuttavia l’obbligo di segnalazione come da Decreto Legislativo 191/2006 che recepisce la Direttiva Zoonosi 99/2003 e prevede per tutte le salmonelle una “sorveglianza” obbligatoria.

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Fonte: IZS LER




Malaria, Hiv e Tbc, si allontana l’obiettivo di eliminarle entro il 2030 a causa di cambiamenti climatici e guerre

Cambiamenti climaticiSi allontana l’obiettivo di eradicare malaria, Hiv e Tubercolosi (Tbc) entro il 2030. Complici lo stop dovuto alla pandemia di Covid-19 nel 2020 e i cambiamenti climatici, i conflitti in corso, le disuguaglianze sempre più profonde e la crescente minaccia ai diritti umani attuali. È quanto emerge dal Rapporto sui risultati 2023 del Global Fund appena pubblicato. “Lavorando fianco a fianco, negli ultimi 20 anni il partenariato del Global Fund ha salvato 59 milioni di vite e, nonostante i diversi risultati senza precedenti raggiunti nel 2022, non raggiungeremo gli obiettivi per il 2030, a meno che non adottiamo misure straordinarie”, ha dichiarato il direttore esecutivo del Global Fund, Peter Sands.

I numeri del 2022

Nel 2022 24,5 milioni di persone hanno ricevuto la terapia antiretrovirale, “un numero senza precedenti” come ricorda il Global Fund in una nota. Ancora, 6,7 milioni di persone sono state trattate per la Tbc e sono state distribuite 219,7 milioni di zanzariere per prevenire la malaria. Nel 2022, i servizi di prevenzione dell’HIV sono aumentati del 22% rispetto al 2021. Il numero di persone diagnosticate e trattate per la tubercolosi è aumentato del 26% e il numero di casi di malaria trattati è aumentato dell’11%.

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Fonte: aboutpharma.com




EFSA: Cani e gatti non devono essere tenuti continuativamente in box, gabbie e gabbiette

animali d'affezione

Il rapporto include anche raccomandazioni in fatto di stress termico, condizioni di alloggio, operazioni di chirurgia estetica o non terapeutiche nonché questioni sanitarie della riproduzione negli allevamenti commerciali.

Per la maggior parte dei gatti adulti una temperatura compresa tra i 15 e i 26°C previene gli stress termici, mentre per i cani adulti da riproduzione non sono disponibili evidenze scientifiche sufficienti a definire un tale tipo di intervallo di temperatura.

L’EFSA ha poi valutato alcune pratiche di chirurgia estetica o non terapeutiche (taglio delle unghie nei gatti e taglio nelle orecchie, taglio della coda e resezione delle corde vocali o “devocalizzazione” nei cani) concludendo che non dovrebbero essere eseguite se non necessarie per la salute degli animali.

Le femmine di cani e gatti non dovrebbero essere fatte accoppiare prima dello sviluppo completo, anche se hanno già raggiunto la maturità sessuale (pubertà). Andrebbe controllata la frequenza delle gravidanze, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire un periodo minimo tra un parto e l’altro. Le gatte di età superiore ai sei anni e le cagne di età superiore agli otto anni devono essere controllate da un veterinario per verificarne lo stato di salute generale e le condizioni fisiche.

Fonte: EFSA

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I cinghiali ungheresi potrebbero salvare i maiali europei dalla peste suina africana

cinghialiEsiste un vaccino già testato con successo sui cinghiali in cattività

Secondo un articolo pubblicato da Horizon: The EU Research & Innovation Magazine, «Il destino di milioni di maiali in Europa potrebbe essere deciso il prossimo inverno in una foresta ungherese. Lì, i ricercatori dell’Ue intendono testare un vaccino contro la peste suina africana sui cinghiali».

La peste suina africana (PSA), è una malattia virale che minaccia i suini selvatici e domestici in tutta Europa. Senza vaccini o cure per la PSA, le epidemie di solito uccidono i suini infetti e spesso provocano abbattimenti di interi allevamenti di maiali per impedire che la malattia si diffonda altrove. I ricercatori stanno individuando dei boschi ungheresi nei quali spargere bocconi-esca arricchiti con un vaccino sperimentale contro la PSA, con l’obiettivo di immunizzare circa 300 cinghiali.

José Manuel Sánchez-Vizcaíno, che insegna salute animale all’Universidad Complutense de Madrid, spiega che «In questo momento, il problema più grande in Europa sono i cinghiali infetti. Se riduciamo la malattia nei cinghiali, probabilmente non avremo bisogno di vaccinare i maiali domestici». Sánchez-Vizcaíno guida il progetto di ricerca VACDIVA che ha prodotto il vaccino sperimentale contro la PSA che rappresenta circa il 90% del costo totale del progetto, che verrà prolungato fino a luglio 2024 rispetto alla data finale originariamente prevista per questo mese.

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Fonte: greenreport.it




I cervi potrebbero rinfocolare la pandemia di COVID-19

Una specie diffusa in Nord America si è rivelata un importante serbatoio di SARS-CoV-2 e potrebbe anche agire come un acceleratore alla sua evoluzione. Monitorare questi animali, come anche altre specie che ospitano il coronavirus, potrebbe però rivelarsi un vantaggio per tenere sotto controllo la diffusione del patogeno

Dalla specie scelta da Walt Disney per rappresentare il piccolo Bambi vengono minacce e opportunità per la futura gestione della pandemia. Nei cervi dalla coda bianca che popolano il nord degli Stati Uniti, oltre che la fantasia dei bambini di tutto il mondo, infatti, il virus ormai circola in maniera estesa senza provocare particolari danni, ma mutando molto più rapidamente di quanto faccia tra gli umani. Teoricamente, quindi, ciò potrebbe far tornare un giorno a noi un virus tanto irriconoscibile da riaccendere il fuoco della pandemia. Ma monitorarne l’evoluzione negli animali potrebbe anche fornirci un certo vantaggio sulla sua inarrestabile corsa. Sempre che se ne voglia approfittare.
Fonte: lescienze.it



La teoria del caos si applica anche al Covid: ricerca italiana pubblicata su Plos One

Sars-CoV-

Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa)

Un’iniziale crescita caotica influenza l’evoluzione e la diffusione dei virus, incluso il Sars-Cov-2.  Ad applicare la teoria del caos per spiegare l’evoluzione della pandemia Covid-19 è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Condotto da Giorgio Palù (nella foto), presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, insieme Pier Francesco Roggero e Arianna Calistri del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova.     In matematica, la teoria del caos afferma che nell’apparente casualità di sistemi naturali complessi ci sono dei precisi modelli sottostanti, in grado di spiegare le variazioni intervenute nei sistemi stessi quasi a ipotizzare un percorso evolutivo predeterminato. Lo studio evidenzia come la capacità riproduttiva misurata per le diverse varianti di Sars-CoV-2 (fino a Omicron) dimostra che l’evoluzione del virus dipende da una crescita caotica nella sua fase iniziale di espansione (Wuhan-Alfa) legata alle caratteristiche genetiche iniziali del virus.   Durante l’adattamento all’uomo, inoltre, un numero ridotto di mutazioni su un genoma di 30.000 basi, con molte mutazioni identiche per tutte le varianti, è in grado di modificare la contagiosità e la letalità del coronavirus. In pratica le mutazioni inizialmente più favorevoli diventano mutazioni “fisse” e sono specifiche per la maggiore adattabilità nonché sopravvivenza del coronavirus nell’essere umano. Se le mutazioni dipendessero dal caso allora non sarebbero più “fisse” e la probabilità che compaiono in tutte le varianti sarebbe praticamente zero. “La crescita caotica sia evidente solo nella fase iniziale di espansione pandemica di SARS-CoV-2 – evidenzia Giorgio Palù. Il fatto che altri virus altamente diffusivi e letali ma non pandemici quali i SARS-CoV-1 e MERS-CoV e Ebola non abbiano questo comportamento fa pensare che una crescita iniziale caotica sia il pre-requisito necessario che garantisca ad un virus emergente l’intrinseca capacità di diventare pandemico”.    La scoperta che la legge del caos si applica anche ai virus, conclude Palù,”ha ricadute di sanità pubblica per il controllo di future emergenze epidemico-pandemiche”.
Fonte: dottnet.it




COVID-19, ci stiamo avviando oltre Omicron?

coronavirusPer chi segue la continua evoluzione di SARS-CoV-2, è stato un Ferragosto di lavoro e scambio frenetico di informazioni. A provocare tanto scompiglio è stata la comparsa di una nuova variante molto mutata rispetto a quelle che coesistono da mesi. Dopo l’enorme ondata di Omicron che provocò un numero record di casi a cavallo tra il 2021 e il 2022, nessun altro virus mutante o ricombinante è finora riuscito a spazzare via tutti gli altri. Con alti e bassi, convivono decine di versioni diverse del coronavirus pandemico, in quella che è stata chiamata una “zuppa di varianti”. Ora però qualcuno sembra pronto a scommettere che siamo di fronte a una nuova svolta nella storia della pandemia.

Pochi casi hanno fatto scattare l’allerta
Tutto è cominciato con l’isolamento, in Israele, a fine luglio, di un coronavirus con una sequenza genetica molto diversa dalle altre, caricata il 13 agosto su una piattaforma accessibile agli esperti di tutto il mondo, senza che però nessuno ci facesse troppo caso. Ogni giorno, d’altra parte, se ne registrano migliaia. Poi ne sono arrivate altre due quasi uguali, provenienti da due pazienti danesi, in due località distanti tra loro. Sebbene si trattasse di pochissimi casi, molti esperti rizzarono le antenne: la mancanza di una chiara catena di contagio tra i tre riscontri presupponeva una significativa diffusione sotto traccia del virus, forse facilitata dal gran numero di mutazioni che la distinguono dalle varianti precedenti.

 Eppure si trattava inizialmente di soli tre infetti, seguiti dopo pochi giorni da un paziente ricoverato in ospedale a Londra, e poi ancora da altri due negli Stati Uniti, uno dei quali asintomatico, sottoposto a un controllo casuale al ritorno da Tokyo. La segnalazione di altri casi in Cina invece, non è stata confermata, mentre ulteriori sequenze provenienti dal Sudafrica portano a quattro, con Asia, Europa e America, il numero di continenti che ospitano il nuovo virus.

Nel frattempo anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), a pochi giorni dalla prima segnalazione, la dichiarava variant under monitoring (VuM), da monitorare, raccomandando ai governi di proseguire e potenziare le attività di isolamento e sequenziamento dei virus, per le quali, dopo la fine dell’emergenza, è calato quasi ovunque l’impegno economico, organizzativo e di personale.

Fonte: lescienze.it

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Linee guida “Uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento bovino da latte”

n attuazione della politica nazionale sull’impiego prudente degli antimicrobici, la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari – ufficio 4 Medicinali veterinari – pubblica le linee guida in materia di uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento bovino da latte.

Le presenti Linee guida, alla loro 3ª revisione, sono state predisposte da un gruppo multidisciplinare, tenendo in debito conto gli aggiornamenti scientifici e le nuove disposizioni normative europee. Il documento è stato oggetto di consultazione telematica della sub-area sanità animale del coordinamento interregionale prevenzione, senza ricevere ulteriori osservazioni.

Esse si propongono come strumento non cogente, utile per condividere le problematiche poste dalla resistenza antimicrobica fra medici veterinari che operano nel settore della produzione primaria e quelli impiegati in istituzioni pubbliche (Regioni, Aziende Sanitarie, Istituti Zooprofilattici Sperimentali, Università, etc.), per una migliore tutela della salute pubblica e della salute animale, con la finalità di attuare un confronto costante tra autorità competenti, operatori e i medici veterinari, circa le scelte ragionate di trattamento dell’animale.

Fonte: Ministero della Salute




Intossicazione acuta in bovini in Veneto, la causa è il sorgo selvatico

In relazione al caso di intossicazione acuta in un gruppo di bovini e la conseguente moria di 13 animali avvenute nel comune di Gambugliano (Vicenza), e a seguito degli accertamenti diagnostici, i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e dell’Ulss 8 Berica ritengono che la causa sia da imputare all’ingestione di sorgo selvatico.

L’episodio risale allo scorso 3 luglio, quando un gruppo di 55 bovine da latte appartenenti a un’azienda agricola, dopo circa un’ora di pascolo in un prato di proprietà dell’azienda, ha mostrato sintomi neurologici acuti caratterizzati da barcollamento e tremori, decubito permanente e irrigidimento degli arti.

Il giorno stesso, a titolo precauzionale il Servizio veterinario di sanità animale dell’Ulss 8 Berica ha fatto prontamente spostare dal pascolo gli animali in grado di muoversi autonomamente e ha disposto la sospensione della consegna del latte prodotto nell’azienda agricola. I veterinari del Laboratorio di diagnostica dell’IZSVe e i colleghi dell’Ulss 8 Berica, intervenuti sul posto il giorno successivo per un sopralluogo congiunto, hanno constatato il decesso dei 13 bovini.

A seguito dell’esito negativo degli esami tossicologici effettuati su campioni biologici presso i laboratori di chimica dell’IZSVe, il sospetto diagnostico si è orientato sull’ingestione di piante tossiche, tenuto conto della sintomatologia iperacuta manifestata dai bovini.

La verifica effettuata successivamente dai veterinari nell’area del pascolo ha evidenziato la presenza di un gran numero di piante di sorgo selvatico, noto anche come sorghetta. In specifiche situazioni, questa pianta, se ingerita da bovini, pecore o altri ruminanti, può dar luogo alla liberazione di cianuri. In presenza di siccità, eccesso di nitrati nel terreno, presenza di insetti o altre situazioni che ritardano la crescita e lo sviluppo della pianta, il sorgo può accumulare una sostanza detta durrina, che può liberare acido cianidrico, direttamente nella pianta o qualora venga ingerita dagli animali. I bovini sono più sensibili all’azione della durrina poiché l’ambiente ruminale favorisce la liberazione dell’acido cianidrico da parte di questa sostanza.

Dalle analisi chimiche effettuate dall’Arpav sulle piante di sorgo selvatico prelevate dal pascolo è emersa la presenza di una bassa quantità di cianuri, inferiore alla dose prevista per le materie prime vegetali dal Piano Nazionale Alimentazione Animale 2022-2023.

Gli altri bovini coinvolti nell’episodio si sono completamente ristabiliti, senza mostrare alcuna sintomatologia clinica. Secondo i veterinari, i giorni trascorsi dall’evento sono un tempo adeguato per lo smaltimento di eventuali residui di sostanze tossiche da parte dell’organismo, considerato che la patologia si è manifestata in forma iperacuta e non cronica, il che porta ad escludere un processo di accumulo di un’eventuale sostanza tossica. Le autorità sanitarie hanno così potuto riammettere il latte prodotto dall’azienda agricola alla trasformazione casearia, e hanno stabilito un periodo di monitoraggio per consentire agli animali un ritorno al pascolo in sicurezza.

Fonte: IZS Venezie