Diminuita nell’UE nel corso del 2022 la peste suina africana in maiali e cinghiali selvatici

Il numero di focolai di peste suina africana (PSA) nei maiali e di casi segnalati nei cinghiali selvatici nell’Unione europea (UE) è diminuito notevolmente nel 2022 rispetto all’anno precedente, si afferma in un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La malattia è stata notificata in otto Paesi dell’UE nei maiali e in undici nei cinghiali selvatici.

“Nell’ultimo decennio la peste suina africana ha avuto un impatto rilevante sul settore suinicolo dell’UE e continua a impattare pesantemente sulle economie locali e regionali. Sebbene il nostro ultimo rapporto evidenzi segnali incoraggianti che indicano che le misure per fermare la diffusione del virus stanno avendo effetto, il quadro nell’UE non è affatto completamente positivo e dobbiamo restare in guardia. Allevatori, cacciatori e veterinari hanno un ruolo particolarmente importante nel segnalare i casi sospetti”, ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA.

Nel 2022 i focolai di PSA tra i maiali domestici nell’UE sono diminuiti del 79% rispetto al 2021. Il calo è stato particolarmente marcato in Romania, Polonia e Bulgaria. La Lituania, invece, ha registrato un leggero aumento causato da un raggruppamento di focolai notificati in estate nella parte sud-occidentale del Paese.

Otto Paesi dell’UE (Bulgaria, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia) e quattro Paesi confinanti non appartenenti all’UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno segnalato focolai nei maiali domestici. La Romania è stato il Paese dell’UE più colpito con 327 focolai, pari all’87% dei focolai totali dell’UE. La Serbia è stato il Paese non UE maggiormente colpito, con 107 focolai. La FSA fu notificata per la prima volta nella Macedonia del Nord.

Per quanto riguarda i cinghiali selvatici nel 2022 sono stati segnalati nell’UE il 40% di casi in meno rispetto al 2021. Si tratta della prima diminuzione di casi di PSA nei cinghiali selvatici nell’area sin dall’insorgenza della malattia nel 2014. Undici Stati membri dell’UE (Cechia, Estonia e Ungheria oltre agli Stati membri con focolai tra i maiali domestici) e quattro Paesi non UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno notificato casi di PSA nei cinghiali selvatici.

Estesa la campagna StopASF dell’EFSA

Per coadiuvare le misure ancora in atto per controllare la diffusione del virus, l’EFSA ha deciso di prorogare la sua campagna StopASF al 2023. La campagna mira a sensibilizzare gli allevatori, i cacciatori e i veterinari dell’UE e dei Paesi limitrofi circa le modalità per  individuare, prevenire e segnalare correttamente la PSA.

Giunta alla sua quarta edizione, la campagna EFSA incoraggia gli allevatori commerciali e quelli privati, i veterinari e i cacciatori a “individuare, prevenire e segnalare” i casi di PSA. La campagna si avvale dell’assistenza di gruppi di allevatori locali ed è gestita in collaborazione con le autorità locali di diciotto Paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Kosovo[1], Lettonia, Lituania, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia.

Fonte: EFSA




Centro di referenza europeo: Indicatori di benessere per l’allevamento del tacchino

Il Centro di referenza europeo per il benessere dei volatili e delle piccole specie (EURCAW), del quale IZSLER fa parte, ha presentato in modo diffuso ed esaustivo un estratto delle modalità di valutazione del benessere dei tacchini in allevamento  nella newsletter di aprile.

La pubblicazione combina un elenco di indicatori di benessere e metodi di valutazione relativi all’azienda. Non essendo ancora disponibile una legislazione europea specifica, i requisiti legali del direttiva 98/58/CE che si applicano ai tacchini sono identificati e assegnati a quattro principi di benessere identificati con il progetto Welfare quality: Good Feeding, Good Housing, Good Health and Appropriate Behaviour . Gli indicatori di benessere e loro metodi di valutazione sono sviluppati a seguito di una revisione della letteratura scientifica esistente e della checklist e linee guida utilizzate dagli ispettori ufficiali negli Stati membri(es. Classyfarm) . L’elenco non è esaustivo,. potrebbero esserci alcuni metodi non descritti in questo documento. EURCAW-Poultry-SFA ha scelto i metodi  più rilevanti e validi secondo le conoscenze dei ricercatori e i dati scientifici disponibili. Tra i diversi indicatori di benessere , gli indicatori basati sugli animali (ABI) hanno la priorità e questi indicatori e metodi di valutazione sono stati valutati in base alle conoscenze disponibili circa la loro fattibilità e affidabilità in fine di fornire alle Autorità Competenti informazioni utili per i controlli ufficiali. EURCAW-Poultry-SFA raccomanda l’uso di diversi indicatori specifici da usare in combinazione perchè possono fornire una panoramica generale del benessere del gruppo allevato. Il documento (allegato ) è senz’altro molto utile per quanti operano nel settore e per gli ispettori del servizio veterinario addetti ai controlli sul benessere.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




La network analysis per spiegare la dinamica dell’epidemia di influenza aviaria

L’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia è stata una delle più gravi di sempre, con il coinvolgimento di 317 allevamenti avicoli e oltre 14 milioni di animali. La maggior parte degli allevamenti colpiti dall’epidemia è localizzata in un’area considerata ad alta densità, dove viene allevato circa il 70% del pollame italiano. La diffusione dell’epidemia è stata estremamente rapida, coinvolgendo inizialmente la provincia di Verona per poi espandersi alle province e alle Regioni circostanti, con picchi di oltre 50 nuovi focolai a settimana.

La grande velocità con cui l’epidemia si è diffusa sul territorio ha fatto emergere due ipotesi principali: 1) possibili fenomeni di contatto diretto tra allevamenti infetti e altre aziende avicole, oppure 2) la presenza di comuni fonti di infezione, che hanno determinato in breve tempo l’emergere di molteplici nuovi focolai.

Il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica ha analizzato la dinamica di diffusione dell’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia. Per farlo è stata adottata la network analysis,  una metodologia che permette di integrare efficacemente dati virologici (genomi di virus e cluster genetici virali) ed epidemiologici (caratteristiche degli allevamenti colpiti).

La sfida per il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica (SCS4) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) è stato di riuscire a spiegare la dinamica dell’epidemia valutando l’impatto di potenziali fattori di diffusione dell’infezione e utilizzando i dati raccolti durante i sopralluoghi negli allevamenti e le informazioni genetiche ottenute dalle analisi biomolecolari sui virus isolati da ciascun focolaio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Pathogens.

Network analysis ed epidemia di aviaria 2021-2022

Per condurre questo tipo di analisi è stato scelto di sfruttare la network analysis, una metodologia che trova applicazione in diversi ambiti, tra cui le scienze economiche, sociali, psicologiche, biologiche, ecc. Questo potente strumento di analisi permette di studiare le caratteristiche e le relazioni tra gli oggetti esistenti all’interno di un network: i nodi rappresentano delle entità, gli oggetti, mentre le connessioni rappresentano una relazione esistente tra queste entità.

Nel contesto dell’epidemia 2021-2022, le analisi filogenetiche condotte dal Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle hanno rivelato l’esistenza di diversi cluster genetici virali che rafforzano l’ipotesi di una diffusione del virus tra gli allevamenti domestici. Le successive analisi virologiche si sono quindi concentrate a valutare il grado di similarità genetica dei virus sequenziati appartenenti allo stesso cluster.

Nello specifico, i genomi completi di 214 virus sono stati utilizzati per costruire il network filogenetico. In questo network, ogni nodo corrisponde ad un virus identificato in un singolo focolaio, mentre i link mettono in relazione nodi caratterizzati dalla massima similarità genetica. Il network filogenetico rappresenta la base dati di partenza dello studio, su cui è stata applicata la metodica di network analysis denominata Exponential Random Graph Model (ERGM). L’ERGM è un modello statistico capace di spiegare il motivo per cui esiste un link tra due nodi, sulla base di una serie di variabili epidemiologiche. Applicato ad un network filogenetico, l’ERGM mette in relazione le caratteristiche epidemiologiche degli allevamenti colpiti con quelle più strettamente genetiche dei virus trovati. Questo approccio ha quindi consentito di valutare l’impatto di tali variabili sulla possibilità di diffusione dell’infezione tra gli allevamenti.

Le variabili dei network di diffusione virale

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende.

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende, che suggeriscono importanti implicazioni dal punto di possibili strategie di controllo, gestione e prevenzione di future epidemie di Influenza aviaria sul nostro territorio.

Lo studio dell’epidemia mediante l’applicazione della network analysis, normalmente utilizzata nelle scienze sociali, si è rivelato non solo innovativo ma anche valido per integrare efficacemente i dati virologici ed epidemiologici. Infatti, in molta letteratura scientifica spesso gli aspetti virologici ed epidemiologici di un’epidemia vengono presentati in maniera disgiunta, mentre in questo caso i dati epidemiologici sono stati utilizzati proprio per ‘spiegare’ la struttura dei dati virologici.

Ulteriori sviluppi di questo approccio sono già in cantiere. Per esempio, l’informazione relativa all’evoluzione di un’epidemia nel corso del tempo può essere integrata tramite la creazione di network ‘temporalizzati’, capaci di rappresentare con un quadro più dettagliato le dinamiche di diffusione spazio-temporale delle infezioni; oppure lo studio di malattie che coinvolgono diverse popolazioni (come, per esempio, le malattie trasmesse da vettori) potrebbe essere fatto tramite analisi dei cosiddetti multi-layer network, che integrano un maggior livello di complessità legato alla presenza di più ‘strati’ di entità che interagiscono tra loro all’interno dello stesso sistema.

Il potenziale applicativo della network analysis potrebbe in futuro aiutare gli epidemiologi a comprendere meglio la complessità delle malattie circolanti sul nostro territorio e fornire un efficace strumento di controllo e prevenzione delle epidemie.

Fonte: IZS Venezie




EFSA: per migliorare il benessere di bovine da latte, anatre, oche e quaglie è necessario migliorarne le condizioni in stalla

Le bovine da latte, le anatre, le oche e le quaglie hanno bisogno di più spazio e di migliori condizioni nelle stalle. Queste le raccomandazioni per il benessere degli animali espresse in due nuovi pareri scientifici odierni dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) facenti parte di una serie dedicata alle specie animali d’allevamento su cui si basa l’attuale revisione delle norme dell’Unione europea sul benessere degli animali.

Bovine da latte

Avere spazio sufficiente per muoversi e riposare è un fattore importante per il benessere delle bovine da latte. Le risultanze scientifiche evidenziano che le vacche legate nelle stalle permanentemente hanno un ridotto benessere e, secondo l’EFSA, questa pratica andrebbe evitata. Ogni vacca deve avere accesso a uno spazio interno totale – compresa l’area per sdraiarsi – di almeno 9m2.

Altre raccomandazioni includono: dare alle vacche da latte accesso al pascolo con aree drenate e ombreggiate; verificare periodicamente eventuali casi di zoppia, mastite o disturbi metabolici; utilizzare spazzole in tutti i sistemi di stabulazione libera (cioè quelli in cui le vacche non sono legate) per consentire alle vacche di seguire comportamenti naturali come grattarsi e pulirsi. Se alloggiate in cubicoli, le vacche devono disporre di uno spazio individuale e di una lettiera sufficientemente spessa.

Consultate l’infografica sul benessere delle bovine da latte

Anatre, oche e quaglie

Gli scienziati dell’EFSA hanno esaminato anche i rischi per il benessere di anatre, oche e quaglie. Hanno valutato i sistemi zootecnici per gli animali da riproduzione e quelli utilizzati per i volatili destinati alla produzione di carne, foie gras e uova. L’EFSA ha individuato vari pericoli che possono avere un impatto negativo sul benessere dei volatili, consigliando misure adatte a prevenirli.

Per anatre, oche e quaglie l’EFSA raccomanda di evitare l’uso dei sistemi zootecnici detti comunemente gabbie. Inoltre i sistemi di allevamento utilizzati durante il periodo di sovralimentazione per la produzione di foie gras in anatre e oche dovrebbero essere evitati, poiché hanno ripercussioni notevoli sul benessere dei volatili. La pratica della sovralimentazione nella produzione di foie gras non rientrava nell’ambito di questa valutazione e non è stata esaminata.

L’EFSA raccomanda di fornire ai volatili più spazio e stabulari arricchiti e di altezza sufficiente per consentire a una persona di entrarvi per ispezionare gli animali. Altre raccomandazioni includono la necessità che: gli uccelli acquatici abbiano a disposizione acqua all’aperto per fare il bagno o immergere il capo; che le quaglie giapponesi abbiano a disposizione aree e materiale fine per fare il bagno nella polvere; pavimenti compatti con lettiera e materiali ruvidi per consentire agli uccelli di esplorare e foraggiarsi; e strutture di nidificazione per i volatili che depongono uova.

Consultate l’infografica sul benessere di anatre, oche e quaglie

Consulenza corroborata dalla scienza a supporto dei legislatori

Il parere scientifico sulle bovine da latte e quello su anatre, oche e quaglie forniscono consulenza al processo decisionale dei legislatori nell’ambito della revisione in corso della legislazione dell’Unione europea sul benessere degli animali. La relativa proposta legislativa della Commissione è attesa per la seconda metà del 2023.

La Commissione europea ha richiesto all’EFSA diversi pareri scientifici sul benessere degli animali d’allevamento nell’ambito della strategia Farm to Fork (F2F) [dal produttore al consumatore]. L’EFSA ha già pubblicato valutazioni sul benessere dei malaiali d’allevamentodei polli da carne, delle galline ovaiole e dei vitelli e degli animali durante il trasporto.

Evento in programma

L’EFSA presenterà le conclusioni raggiunte sui vitelli e i prossimi pareri sulle vacche da latte e su anatre, oche e quaglie in un evento pubblico che si terrà il 23 maggio 2023. Maggiori informazioni sono disponibili a questo link.

Fonte: EFSA




Quaderno Tecnico: Principi di gestione del puledro

Il Ministero della salute negli anni ha promosso e organizzato numerose iniziative di comunicazione in materia di benessere degli equidi, tra cui convegni e workshop e ha elaborato numerose brochure e opuscoli informativi. Infatti, tra i compiti del Ministero risulta essere punto cardine la promozione di programmi di informazione e di educazione finalizzati al rispetto degli animali e la tutela del loro stato di benessere come stabilito dall’art.7 dell’Accordo Stato-Regioni e Province Autonome del 6 febbraio 2003 in materia di benessere degli animali da compagnia e di pet therapy.

Questa pubblicazione, frutto della collaborazione con il Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università degli Studi di Messina, nasce dall’esigenza di fornire corretti indirizzi di gestione del puledro che si riverberano sul benessere del cavallo adulto, considerando anche che nel panorama nazionale del settore equestre non è presente una compiuta trattazione dei principi di gestione, educazione e allenamento del puledro.
Il testo, utilizzando un linguaggio diretto ed efficace e coniugando informazioni tecnico-scientifiche a un linguaggio visivo con l’ausilio di materiale fotografico dettagliato, rappresenta un utile strumento per tutti gli addetti del settore.

Leggi la pubblicazione

Fonte: Ministero della Salute




Aviaria. Meno focolai rispetto al 2022. In Europa rischio “basso” per la popolazione generale.

influenza aviariaTra il 2 marzo e il 28 aprile 2023, virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5Nx), clade 2.3.4.4b, sono stati segnalati focolai in uccelli domestici (106) e selvatici (610) in 24 paesi europei. A fare il punto sull’influenza aviaria è l’Ecdc in un nuovo rapporto.

I focolai si sono verificati meno frequentemente rispetto al periodo di riferimento precedente e rispetto alla primavera del 2022. La maggior parte di questi focolai sono stati classificati come focolai primari. Rispetto alla primavera del 2022, quando l’86% degli stabilimenti avicoli colpiti aveva segnalato la presenza di focolai secondari, quest’anno sono stati attribuiti alla diffusione secondaria un numero minore di focolai di pollame, il che potrebbe essere legato alla diminuzione della densità di pollame adottata in alcune aree e sistemi di produzione avicola considerati ad alto rischio; questo è stato il caso della Francia occidentale e sudoccidentale nel settore delle anatre domestiche e del foie gras e dell’Italia nordorientale nel settore dei tacchini e delle galline ovaiole.

Una presentazione atipica della malattia, caratterizzata da una bassa mortalità e dall’assenza di segni tipici dell’infezione da HPAI, è stata osservata in alcuni focolai di A(H5N1) causati dal genotipo BB (H5N1-A/Herring_gull/France/22P015977/2022-like) in tacchini e galline ovaiole in Italia. Questa presentazione atipica della malattia è stata ulteriormente valutata sperimentalmente. Rispetto agli isolati virali degli anni epidemici precedenti (2017-2021), il virus del genotipo BB ha richiesto una dose infettiva più elevata e anche il tempo mediano per l’insorgenza della malattia, dei segni clinici evidenti e della mortalità è stato più lungo.

l virus HPAI è generalmente poco rilevato e poco segnalato negli uccelli selvatici in Europa, poiché solo una parte dei volatili che muoiono di HPAI viene individuata e solo una parte di essi viene analizzata. Negli uccelli selvatici, i gabbiani dalla testa nera hanno continuato ad essere pesantemente colpiti, mentre anche altre specie di uccelli selvatici minacciati dal virus, come il falco pellegrino, hanno mostrato un aumento della mortalità.

Anche il virus HPAI A(H5N1) ha continuato ad espandersi nelle Americhe, anche nelle specie di mammiferi, e si prevede che raggiungerà l’Antartico nel prossimo futuro. Le infezioni da virus HPAI sono state rilevate in sei specie di mammiferi, in particolare nei mammiferi marini e nei mustelidi, per la prima volta, mentre i virus attualmente circolanti in Europa mantengono un legame preferenziale per i recettori aviari.

Dal 13 marzo 2022 e dal 10 maggio 2023, sono stati segnalati due rilevamenti di virus A(H5N1) 2.3.4.4b negli esseri umani provenienti dalla Cina (1) e dal Cile (1), nonché tre infezioni umane A(H9N2) e una A(H3N8) in Cina. Il rischio di infezione da virus dell’influenza aviaria H5 attualmente in circolazione del clade 2.3.4.4b in Europa rimane basso per la popolazione generale nell’UE/SEE e da basso a moderato per le persone esposte a livello professionale o in altro modo.

IL REPORT

Fonte: quotidianosanità.it




Sieropositività alla Leptospirosi a livello globale: una revisione sistematica e meta-analisi

La leptospirosi è una zoonosi di interesse di salute pubblica. Questo studio aggiorna lo stato attuale…

La leptospirosi è una grave minaccia per la salute pubblica in tutto il mondo; tuttavia, non esiste uno studio incentrato sulla sieropositività globale nei suini.

In questo studio, abbiamo raggruppato le pubblicazioni ed eseguito una revisione sistematica con meta-analisi per raccogliere dati relativi alla sieropositività della leptospirosi suina pubblicati a livello globale.

Il metodo di ricerca inizialmente utilizzato ha restituito un totale di 1183 risultati, di cui 20 soddisfacevano tutti i criteri predefiniti e sono stati quindi inclusi in questa revisione.

È stata eseguita una meta-analisi con dati generali ed è stata trovata una sieropositività combinata del 21,95%. La sieropositività è stata del 36,40% in Sud America, 34,05% in Nord America, 22,18% in Africa, 17,40% in Oceania, 13,30% in Europa e 13,36% in Asia.

I risultati suggeriscono che esiste un’elevata sieropositività per la leptospirosi nei suini di tutto il mondo. Le informazioni raccolte da questa ricerca sono rilevanti per comprendere la diffusione della leptospirosi a livello globale. Si prevede che questi indicatori contribuiranno a una migliore comprensione dell’epidemiologia della malattia con particolare attenzione al suo controllo e, di conseguenza, alla riduzione dei casi nella popolazione umana e animale…

Gomes de Araújo H, Limeira CH, Viviane Ferreira de Aquino V, et al. Global Seropositivity of Swine Leptospirosis: Systematic Review and Meta-Analysis. Trop Med Infect Dis. 2023;8(3):158. Published 2023 Mar 5. https://doi.org/10.3390/tropicalmed8030158

Fonte:3tre3.it




Zoonosi, il white paper della quadripartita

Della quadripartita (FAO, OMS, WOAH e UNEP) si parla spesso, specialmente in chiave One Health. L’impegno delle quattro organizzazioni, con il supporto del loro organo consultivo OHHLEP, ha di recente portato alla pubblicazione di un White Paper dedicato alle zoonosi e all’impegno che ogni Paese dovrebbe assumersi in forma condivisa, in nome di un benessere generale.

Il documento sostiene la necessità di ridurre il rischio di malattie zoonotiche partendo dalla fonte e adottando migliori misure di prevenzione e un approccio più efficiente. Non basta attivarsi, insomma, come si è fatto fino ad oggi, dopo che un patogeno ha già fatto il salto dagli animali all’uomo (descritto come un evento di spillover), consentendo il riemergere di una data malattia o l’emergere di nuove. Serve piuttosto distinguere le attività di contenimento dei focolai da quelle mirate alla prevenzione delle ricadute.

Per questo ‘OHHLEP propone la seguente definizione: “Prevenire la diffusione dei patogeni dagli animali agli esseri umani significa spostare il paradigma del controllo delle malattie infettive da reattivo a proattivo (prevenzione primaria). La prevenzione include l’affrontare i driver dell’emergenza della malattia, vale a dire i fattori e le attività ecologici, meteorologici e antropogenici che aumentano il rischio di spillover, al fine di ridurre il rischio di infezione umana. Tra le altre azioni, occorre puntare con forza sulla  biosorveglianza negli ospiti naturali, nelle persone e nell’ambiente, comprendendo le dinamiche di infezione dei patogeni e attuando attività di intervento”.

Un’impostazione proattiva richiede approcci diversi, che tengano conto dei cambiamenti  del suolo legati allo sviluppo delle infrastrutture, dell’industria o all’espansione agricola. E poi si devono prendere in considerazione anche fattori generali come il cambiamento climatico, la povertà e le disuguaglianze socioeconomiche e le pratiche di base per la salute animale e umana e il benessere degli animali.

E l’impatto economico di questo approccio?

Non può essere un deterrente. Anzi, il documento dimostra che la prevenzione intelligente costerebbe ben meno degli interventi ex post. I costi di prevenzione variano da circa 10 miliardi di dollari a 31 miliardi di dollari all’anno a livello globale, mentre la risposta alle recenti crisi di malattie infettive come le epidemie di Ebola e Mpox costa più tempo e denaro di quanto sarebbe necessario per avviare approcci di prevenzione. Basti pensare, per esempio, che le perdite economiche previste dalla pandemia di COVID-19 sono stimate in quasi 14 trilioni di dollari fino al 2024. L’OHHLEP sottolinea che l’approccio One Health non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali come la riduzione delle emissioni di gas serra.

Fonte: Vet33.it




Allevamenti a basso impatto con il life cycle assessment

muccaNegli ultimi anni le smart technology hanno trovato il loro posto negli allevamenti – in Italia come in altri Paesi – e hanno contribuito ad aumentare l’efficienza e la sostenibilità dei processi zootecnici.

In un’ottica One Health è fondamentale misurare l’impatto non solo sulla produttività, ma anche sull’ambiente, sulla salute animale e sui lavoratori delle tecnologie innovative che si stanno diffondendo, per identificare quelle più utili. Uno strumento riconosciuto e usato allo scopo è la valutazione del ciclo di vita o life cycle assessment (Lca). Una metodologia, standardizzata a livello internazionale, che permette di valutare e quantificare i carichi ambientali e gli impatti potenziali associati a un prodotto, a un processo o a un’attività lungo l’intero ciclo di vita: a partire dall’acquisizione delle materie prime fino al “fine vita”.

Lice cycle assessment: una realtà anche nella zootecnia

La metodologia, applicabile a tantissimi ambiti diversi, viene impiegata in agricoltura da circa 20-25 anni e più di recente anche in zootecnia.

Marcella Guarino, professore ordinario all’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali) studia le smart technology usate negli allevamenti intensivi in Italia. E dal 2017, insieme al collega Jacopo Bacenetti, usa il life cycle assessment per cercare di capire l’impatto dell’innovazione in zootecnia sull’ambiente e sulla società.

“I prodotti di zootecnia di precisione oggi sono ampiamente diffusi e permettono agli allevatori di gestire un allevamento con più tecnologia, più controllo e con la possibilità di ridurre l’intervento umano: il tutto nell’ottica del One Health – racconta Guarino -. Nei nostri studi cerchiamo di paragonare un’attività prima e dopo l’introduzione di una particolare tecnologia, per capire se, in che misura e in che modo questa migliora l’impatto ambientale e la salute animale”.

Usare la metodologia Lca, spiega Bacenetti, consiste nel definire i flussi di massa ed energia tra sistema (un allevamento intensivo ad esempio) e ambiente. “Prendiamo in considerazione tutto ciò che viene consumato, come i mangimi, il gasolio, i prodotti per la pulizia, e le emissioni nell’ambiente, quindi l’emissione di inquinanti legati ai gas di scarico dei trattori, oppure emessi all’animale o i reflui da loro prodotti. Tutti questi dati vengono inventariati e convertiti in indicatori di impatto ambientale usando un fattore di conversione”.

In questo modo i ricercatori possono stimare l’impatto sul cambiamento climatico o la produzione di particolato, per esempio.

Come ridurre l’ammoniaca in suinicoltura

Bacenetti e Guarino stanno concludendo un progetto sull’efficienza di diverse soluzioni (in parte appositamente sviluppate) per l’abbattimento di polvere e ammoniaca negli allevamenti intensivi di suini.

L’Italia è tra i principali paesi produttori di carne suina nell’Unione europea, con circa nove milioni di capi (di cui il 50 per cento in Lombardia). Gli allevamenti di suini generano emissioni di ammoniaca (NH3), che contribuiscono ai fenomeni di acidificazione ed eutrofizzazione. L’ammoniaca è un precursore del particolato fine (PM 2,5), a cui si giunge attraverso reazioni chimiche con il biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx). Con significativi effetti negativi sulla salute umana.

“L’Italia ha la particolarità di produrre il prosciutto di Parma, per cui alleviamo animali che arrivano a pesare anche 180 chili. In questi allevamenti vengono prodotte importanti quantità di ammoniaca. Per questo abbiamo pensato di installare uno scrubber che, usando l’acido citrico, catturi l’ammoniaca sottraendola cosi all’ambiente”, spiega Guarino.

La macchina è uno scrubber a umido costituito da due serbatoi: il primo contenente solo acqua per catturare il particolato ed il secondo acqua in soluzione con acido citrico, per catturare l’ammoniaca. L’aria, prelevata all’interno dei ricoveri grazie ad una pompa di aspirazione, passa attraverso i due serbatoi ed è poi reimmessa nella stanza.

“I nostri sono solo prototipi, ma le grandi aziende hanno colto il vantaggio e stanno riadattando dei sistemi per garantire all’interno degli allevamenti una qualità dell’aria appropriata”, nota Guarino.

Le tecnologie più diffuse

Sulla base degli studi condotti da Guarino e dai suoi colleghi, in particolare in Lombardia, sono diverse le tecnologie che permettono di aumentare l’efficienza degli allevamenti e di ridurre l’impatto ambientale delle attività.

“Prima di tutto sono importantissimi i sistemi di early warning, che permettono il monitoraggio della salute animale 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come i rilevatori della tosse dei suini che permettono di identificare immediatamente un problema di salute e di prevenirlo. Sono poi utili tutte le tecnologie di gestione e ottimizzazione che consentono di sfruttare al massimo il ciclo di vita degli animali. Esistono oggi macchine che permettono di allattare il vitello più volte al giorno o di distribuire l’alimento agli animali in mungitura in modo automatizzato più volte al giorno e in base alle necessità dell’animale. Sono poi molto interessanti tutti gli scrubber che permettono di pulire l’aria”, racconta l’esperta.

Contrasto alla formazione di biogas

Dalle ricerche, nota Bacenetti, è anche emerso che la maggior parte dell’impatto ambientale degli allevamenti è legato all’alimentazione degli animali.

“Nell’ultimo anno molti allevatori di bovini da carne hanno cercato di modificare la dieta degli animali: sostituendo i prodotti ad alto impatto con sottoprodotti dell’industria agroalimentare”, commenta l’esperto. “Abbiamo anche osservato che, tra le soluzioni di mitigazione dell’impatto in zootecnia, una delle più efficaci è la realizzazione di impianti di biogas grazie ai quali, nel caso di allevamenti di bovini da carne, è possibile ridurre l’impatto ambientale di un allevamento mediamente del 10 per cento”.

La certificazione sarà richiesta dalla Gdo

Secondo Guarino sempre più aziende – e in particolare un numero sempre maggiore all’interno della grande distribuzione organizzata – richiederà nei prossimi anni una certificazione Lca.

“L’Europa si è data un obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 e il mercato sta andando in questa direzione: sono gruppi di distribuzione che stanno portando avanti politiche per acquisire solo prodotti a impatto zero”.

Zootecnia smart a beneficio dei lavoratori

I ricercatori hanno notato che una zootecnia smart va anche a beneficio di coloro che lavorano negli allevamenti. “Abbiamo visitato un allevamento di vacche da latte in provincia di Cremona, il più evoluto in Italia dal punto di vista tecnologico – racconta la ricercatrice – e ci siamo resi conto che, oltre ad essere particolarmente efficiente, l’azienda è anche un luogo di lavoro molto ambito perché il lavoro più pesante da un punto di vista fisico viene fatto dalle macchine”.

I ricercatori hanno allora intrapreso degli studi per valutare l’impatto sociale degli allevamenti intensivi suini, usando il Social life cycle assessment (S-Lca): una metodologia ancora poco esplorata in ambito zootecnico. “Intendiamo scoprire come i lavoratori degli allevamenti vivono l’uso delle tecnologie”, dice Guarino.

L’uso del social life cycle Assessment in ambito zootecnico si è però rivelato più complesso del previsto. L’approccio è molto più qualitativo rispetto all’Lca classico e si basa sulla disponibilità dei lavoratori a rispondere a una serie di domande sul salario, sulla regolarità dei pagamenti, sulla percentuale di lavoratori con regolare contratto di lavoro, sulle ore di formazione, sulle ore lavorative settimanali, sugli straordinari, gli infortuni e sulle malattie correlate al lavoro.

La reticenza degli allevatori

Domande a cui non sempre è stata data una risposta volentieri.

“Abbiamo cercato di intervistare i lavoratori degli allevamenti di suini in Italia e in Catalogna – racconta Bacenetti – ma i risultati non sono stati sempre soddisfacenti. Non perché abbiamo rilevato situazioni di bassa sostenibilità sociale ma perché gli allevatori non condividono volentieri queste informazioni. Nessun allevamento della Catalogna ci ha concesso i colloqui dopo che avevamo anticipato loro le domande, mentre in Italia siamo riusciti a effettuare interviste in un numero limitato di allevamenti. C’è poi un’altra criticità: il metodo si basa non solo sulla disponibilità degli intervistati, ma anche sulla loro sincerità. C’è quindi il rischio che a partecipare alla valutazione siano le aziende più virtuose e attente al benessere degli animali e dei lavori nonché più propensi a collaborare con le comunità locali”.

La rilevazione del benessere animale

Il S-Lca è quindi uno strumento da migliorare per riuscire ad ottenere un quadro realistico delle condizioni dei lavoratori negli allevamenti in Italia e all’estero.

Bacenetti nota che intanto alcuni ricercatori stanno cercando di implementare un Lca che permetta la valutazione del benessere animale. “Potrebbe essere interessante, ma bisognerà considerare indicatori diversi per ogni specie”.

In ogni caso al momento risulta evidente che una zootecnia attenta alla sostenibilità ambientale e al benessere animale che fa uso delle tecnologie disponibili per migliorare l’efficienza e l’impatto delle attività è nell’interesse dell’allevatore e dei lavoratori.

Secondo Guarino però non è chiaro chi e come dovrebbe sostenere l’aumento dei costi dovuto all’introduzione dell’innovazione. “Dobbiamo riflettere sugli allevamenti intensivi e chiederci se il consumatore sia disposto a pagare di più per dei prodotti che impattino meno sull’ambiente”.

Fonte: aboutpharma.it




Lyssavirus nei pipistrelli, la trasmissibilità del virus raddoppia dopo il parto

Lo studio dell’IZS delle Venezie su due colonie in Alto Adige, nessun rischio di rabbia per l’uomo.

Otto anni. Tanto è durato lo studio su due colonie altoatesine di due specie sorelle di pipistrelli vespertilionidi, per valutare le dinamiche di trasmissione dei lyssavirus. I ricercatori del Centro di referenza nazionale per la rabbia presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno osservato che le due colonie, localizzate in edifici frequentati dall’uomo, raggiungono un’elevata numerosità di qualche migliaio di individui, che raddoppia dopo il parto sincrono all’inizio dell’estate. Lo studio è stato condotto in collaborazione con Università del Sussex, Imperial College London, Università di Bologna e Cooperativa Sterna di Forlì, e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B.

Le colonie residenti nel territorio della provincia di Bolzano sono state monitorate in più momenti dell’anno durante la stagione riproduttiva, dal 2015 al 2022, per un totale di 27 osservazioni. Sono stati raccolti e generati dati sierologici, virologici, demografici ed ecologici che hanno quindi permesso di valutare i fattori alla base della trasmissione di European bat lyssavirus 1 (EBLV1) in questi animali e le differenze osservate all’interno di una stessa stagione riproduttiva, e di anno in anno.

I lyssavirus sono una famiglia che conta 17 specie di virus, tra cui anche il virus della rabbia, la maggior parte di essi presenti nei chirotteri. Tuttavia, il virus EBLV1 non è da confondere con il virus della rabbia, che invece non circola sul territorio italiano: infatti, l’Italia è indenne da rabbia dal 2013.

modelli elaborati indicano che le due colonie vanno incontro ad epidemie stagionali guidate da diversi fattori.

“La trasmissione del virus in queste colonie è favorita inizialmente dalla presenza di individui, con scarsa memoria immunitaria, in seguito all’ibernazione, che si ammassano assieme nei sottotetti degli edifici scelti dalla colonia”, spiega Paola De Benedictis, direttrice del CRN rabbia e coautore dell’articolo. “La trasmissione aumenta eccezionalmente dopo il parto sincrono poiché al raddoppiamento della densità della colonia (numero di individui nello stesso spazio) si unisce anche la presenza di neonati caratterizzati da un sistema immunitario immaturo.”

Finora i ricercatori non hanno mai trovato il virus EBLV1 in modo diretto ma soltanto tracce del suo passaggio:

“Al momento, a fronte di una evidenza di circolazione virale che osserviamo indirettamente grazie alla presenza di anticorpi, non abbiamo mai rinvenuto soggetti positivi – continua De Benedictis – L’ipotesi è dunque che il virus EBLV1 si trasmetta solo all’interno delle popolazioni di pipistrelli, senza che questo rappresenti peraltro un pericolo imminente per altri animali e per l’uomo”.

I risultati ottenuti evidenziano il notevole impegno profuso dal Centro di referenza nazionale per la rabbia per comprendere i fattori ecologici alla base della circolazione dei patogeni, al fine di elaborare valutazioni più solide sul rischio di spillover dagli ospiti serbatoio a quelli occasionali, incluso l’uomo. I Lyssavirus sono potenzialmente in grado di causare rabbia nei mammiferi, per questo motivo i pipistrelli sono sorvegliati speciali.

“Le attività di sorveglianza e di ricerca scientifica sono fondamentali per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive – afferma la Direttrice generale Antonia Ricci – L’IZSVe con la locale sezione di Bolzano ha avviato nel corso degli anni numerosi progetti di collaborazione con il Servizio veterinario della Provincia Autonoma di Bolzano e il Servizio veterinario dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, per la tutela e la salute delle specie d’allevamento delle zone alpine e la conservazione della fauna selvatica.”

I dati sono stati raccolti e prodotti grazie ai fondi erogati dal Ministero della Salute, mediante i bandi di Ricerca Finalizzata (WFR GR-2011-023505919) e di Ricerca Corrente (RC IZSVe 08/18 e RC IZSVe 06/19). La collaborazione con i ricercatori inglesi è stata resa possibile con fondi ERA-NET ICRAD nell’ambito del progetto ConVErgence (BBSRC concessione n. BB/V019945/1).

Fonte: IZS Venezie