ConVErgence, un progetto europeo per valutare i suini come ospiti potenziali di Coronavirus emergenti

Gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione, in particolare da parte di coronavirus.

In tempi recenti si è registrato un aumento delle malattie infettive emergenti, anche a causa del confine sempre più labile nell’interfaccia tra esseri umani, animali domestici e fauna selvatica. In particolare, gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. Gli animali d’allevamento potrebbero essere infettati sia dalla fauna selvatica che dagli esseri umani e potrebbero fungere da ponte tra questi ospiti, portando all’infezione in modo reciproco.

In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione. Il mantenimento dei virus nelle popolazioni di suini in seguito allo spillover iniziale potrebbe complicare il controllo del patogeno nell’ospite naturale ed alimentare la ricomparsa del virus una volta eliminato. Qualora poi virus simili circolassero naturalmente nelle popolazioni suine, è possibile che lo spillover in questa specie porti alla comparsa di varianti ricombinanti pericolose per gli animali o l’uomo.

L’attuale pandemia di COVID-19 ha confermato che i coronavirus hanno un’alta probabilità di spillover, possono facilmente adattarsi a nuovi ospiti e possono provocare gravi danni nelle popolazioni naïve. In effetti, i coronavirus emergenti sono considerati una delle principali minacce per la salute umana e per la produzione suina in tutto il mondo.

ConVergence, una collaborazione Italia, Paesi Bassi e Regno Unito

Nell’ambito del bando Era-Net ICRAD cofinanziato da Unione Europea  e Stati Membri, è stato finanziato il progetto ConVErgence – Assessing swine as potential hosts for emerging Coronaviruses, allo scopo di indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Il consorzio di ricerca comprende l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe, capofila), l’Erasmus Medical Center di Rotterdam (Paesi Bassi) e l’Università del Sussex (Regno Unito), ognuno finanziato dei rispettivi enti nazionali, il Ministero della Salute Italiano, il Consiglio Inglese per la Ricerca e l’Innovazione (BBRSC) e il Ministero dell’Agricoltura Olandese.

Il progetto europeo ConVErgenze, che vede l’IZSVe come capofila, vuole indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Gli obiettivi del progetto sono: (1) studiare la relazione tra i suini, i pipistrelli e gli esseri umani in diversi sistemi di allevamento; (2) determinare il livello di esposizione dei suini ai CoV noti di pipistrelli e umani misurando la loro risposta anticorpale; (3) individuare l’eventuale circolazione di CoV di pipistrello/uomo nelle popolazioni suine dell’Italia nord-orientale.

Attualmente si conoscono sette specie di Coronavirus (CoV) che infettano gli esseri umani, di cui tre sono endemiche e causano infezioni stagionali simil-influenzali e una è responsabile dell’attuale pandemia. D’altra parte, i coronavirus sono estremamente diversificati e frequenti nei pipistrelli, al punto che la maggior parte delle specie virali presenti nei mammiferi sembra derivare dal pool di CoV dei pipistrelli, eccezione fatta per un grande cluster di virus che raggruppa specie comuni nell’uomo e nel bestiame, compresi i maiali, ma che non è mai stato descritto nei pipistrelli.

Anche se ad oggi non si sa se i coronavirus umani e dei pipistrelli possano infettare i suini, è ipotizzabile che gli animali che hanno un contatto più stretto con i pipistrelli e gli esseri umani abbiano maggiori probabilità di essere esposti ai loro virus e che l’esposizione nel lungo periodo aumenti le possibilità di trasmissione da una specie all’altra.

Comprendere i legami fra suini, pipistrelli e uomo

Gli obiettivi di ConVErgence sono:

  • studiare la relazione tra i suini, i pipistrelli e gli esseri umani in diversi sistemi di allevamento;
  • determinare il livello di esposizione dei suini ai CoV noti di pipistrelli e umani misurando la loro risposta anticorpale;
  • individuare l’eventuale circolazione di CoV di pipistrello/uomo nelle popolazioni suine dell’Italia nord-orientale.

Inoltre, anche sulla base del fatto che la diffusione dei coronavirus è altamente stagionale sia nei pipistrelli che negli esseri umani, i dati di campo raccolti sia dai suini che da popolazioni di chirotteri saranno utilizzati per costruire un modello matematico dello spillover che possa essere utile nell’individuare le situazioni a rischio più elevato. Infine, nel caso in cui lo studio abbia successo nell’identificazione di nuovi CoV, di nuove varianti o di virus associati a nuovi ospiti, si procederà alla caratterizzazione del loro genoma e alla valutazione dell’adattamento nel suino e nell’uomo, della loro capacità di causare danni al nuovo ospite e del potenziale di infettare altre specie.

ConVErgence utilizzerà tecnologie all’avanguardia e professionalità provenienti da diversi campi, tra cui medicina veterinaria, ecologia, virologia, epidemiologia e modelli matematici, sfruttando l’esperienza dei diversi partner inclusi nel consorzio.

Fonte: IZS Venezie




Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI




SARS-CoV-2 nei visoni: raccomandazioni per migliorare il monitoraggio

logo-efsaIn un nuovo rapporto si raccomanda il rilevamento precoce di SARS-CoV-2 (coronavirus) negli allevamenti di visoni dell’Unione europea come obiettivo prioritario delle attività di monitoraggio.

Il rapporto, redatto dall’EFSA e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), propone alcune strategie di monitoraggio che contribuiranno a prevenire e controllare la diffusione della malattia.  Vi si conclude che tutti gli allevamenti di visoni vanno considerati a rischio di SARS-CoV-2 e che il monitoraggio dovrebbe comprendere, oltre alla sorveglianza passiva da parte di allevatori e veterinari, misure attive come test sugli animali e sul personale.

Il rapporto è stato richiesto dalla Commissione europea in seguito ai focolai epidemici di SARS-CoV-2 verificatisi negli allevamenti di visoni in vare parti d’Europa nel 2020.

Al gennaio 2021 il virus era stato rilevato in 400 allevamenti di visoni in otto Paesi dell’UE/SEE, di cui 290 in Danimarca, 69 nei Paesi Bassi, 21 in Grecia, 13 in Svezia, 3 in Spagna, 2 in Lituania, 1 in Francia e in Italia.

Fonte: EFSA




HPAI. Patogenicità comparata e trasmissibilità nelle recenti infezioni da virus H5.

influenza aviariaWageningen Bioveterinary Research fornisce informazioni sul decorso delle infezioni da influenza aviaria.

La minaccia di focolai di influenza aviaria altamente patogena (HPAI) nel pollame rimane alta, con diversi allevamenti di pollame che sono stati infettati negli ultimi anni. Al fine di ottenere maggiori informazioni sul decorso e la trasmissione delle infezioni da HPAI, Wageningen Bioveterinary Research (WBVR) ha esaminato i sintomi della malattia, la diffusione del virus e la mortalità a seguito di infezione recenti da virus H5.

La ricerca mostra che un’infezione da virus HPAI H5N8-2014, H5N8-2016 o H5N6-2017 differisce notevolmente tra polli, anatre e piccioni eurasiatici. La patogenicità dei virus per i polli è superiore a quella per anatre e piccioni eurasiatici.

I risultati suggeriscono anche che la patogenicità dei virus HPAI H5 e la diffusione del virus dalle anatre si sta evolvendo, il che può avere conseguenze sul rischio di introduzione di questi virus nel settore del pollame.

Il virus dell’influenza aviaria è facilmente trasmissibile attraverso l’acqua.

La ricerca ha anche osservato livelli più elevati di diffusione del virus da anatre e piccioni infettati dai virus del 2016 e del 2017 rispetto al virus del 2014. Gli uccelli selvatici infetti (come i piccioni) possono introdurre il virus negli allevamenti di pollame attraverso le loro feci.

Più il virus è presente nelle feci degli uccelli, più è facile trasmettere il virus al pollame. Questa ricerca mostra anche che il virus può sopravvivere a lungo in acqua (più di una settimana) e che i polli possono essere facilmente infettati dall’acqua potabile contaminata dalle feci degli uccelli.

La WBVR sta conducendo ulteriori ricerche sui fattori genetici e altri aspetti che determinano la patogenicità dei virus HPAI. Una migliore comprensione delle caratteristiche dei virus HPAI può contribuire alla prevenzione di future epidemie.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise

Articolo completo (in inglese)




ISS: uno studio dimostra che i coronavirus dei ricci possono acquisire i geni dell’ospite

coronavirusUn recente studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca la Ambientale (ISPRA), dell’Università di Bologna (UNIBO), e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) ha dimostrato la capacità di acquisire geni dell’ospite, da parte di Coronavirus (CoV) del riccio comune (Erinaceus europaeus).

Lo studio, pubblicato su Viruses descrive l’acquisizione del gene CD200 del riccio da parte di un gruppo di CoV identificati in una popolazione di ricci selvatici, campionati in nord Italia. Tali virus appartengono allo stesso gruppo dei CoV responsabili di COVID-19 e MERS, con i quali hanno una stretta somiglianza genetica.

Nei mammiferi, il CD200 ed il suo recettore agiscono come importanti checkpoint della risposta immunitaria che regolano negativamente al fine di prevenire l’eccessivo stimolo infiammatorio che si osserva talvolta nei confronti degli agenti infettivi, compreso SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19.

La capacità dei virus di acquisire geni dell’ospite è un fenomeno noto, tuttavia è la prima volta che viene descritto nei CoV. Sebbene il ruolo del CD200 non sia lo stesso in ogni virus, è stato dimostrato che la sua integrazione nel genoma di alcuni virus (Herpesvirus 8 dell’uomo, Rhesus rhadinovirus R15 e Myxoma Virus), ne aumenta la fitness rispetto alla risposta immunitaria dell’ospite.

Il risultato dello studio è di grande rilevanza poiché dimostra l’esistenza, tra i CoV, di un meccanismo evolutivo estremamente raffinato, potenzialmente in grado di conferire proprietà patogenetiche nuove e più vantaggiose a tali agenti infettivi e indica il valore dello studio delle malattie degli animali quali insostituibili modelli di comprensione della patologia nell’uomo.

Fonte: ISS




Epidemia di EHV-1 in Europa. Prime indicazioni operative sulla diagnosi di possibili casi sospetti

La diffusione della Rinopolmonite Equina da Herpes Equino di tipo 1 (EHV-1) in Europa sta destando una certa preoccupazione nelle autorità sanitarie europee; anche il Ministero della Salute italiano sta monitorando e analizzando attentamente la situazione.

Dopo il primo focolaio scoperto a Valencia lo scorso febbraio, sono stati segnalati casi analoghi anche in Francia, Belgio e Germania. Dalle prime informazioni sembra si tratti dell’epidemia di EHV-1 più grave che si sia registrata in Europa da diversi decenni, causata da un ceppo di EHV-1 particolarmente aggressivo che ha già causato decessi di equini e un numero molto elevato di casi clinici gravi. La Federazione Equestre Internazionale (FISE) ha pertanto comunicato alcuni giorni fa alle Federazioni nazionali, e poi anche alla stampa, le misure di controllo assunte per prevenirne l’espansione.

Tutte le info sul sito dell’ IZS Venezie

 

 




Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS

“CS n°13/2021 – Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS”

Lucentini: risultati importanti per esplorare la variabilità genetica del virus

Bonadonna: le potenzialità della sorveglianza sui reflui riconosciute nel Piano europeo contro le varianti

Le varianti del virus SARS-CoV-2 inglese e brasiliana sono state individuate per la prima volta nelle acque di scarico italiane.

La ricerca, prima in assoluto sulle varianti in reflui urbani in Italia e tra le prime al mondo, è stata condotta dal gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina La Rosa* del Dipartimento Ambiente e Salute e da Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica Veterinaria dell’ISS, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Puglia e della Basilicata.   I risultati dello studio dimostrano che le acque di scarico posso essere un utile strumento per valutare la circolazione delle varianti di SARS-CoV-2 nei centri urbani.

Per consentire uno screening rapido, pratico e semplice delle varianti circolanti nella popolazione italiana è stato sviluppato, infatti, un metodo che prevede l’amplificazione e il sequenziamento di una parte del gene S contenente specifiche mutazioni in grado di caratterizzarle. Il metodo, testato inizialmente su campioni clinici (tamponi naso-faringei), è stato successivamente applicato all’analisi delle acque di scarico raccolte in fognatura prima dei trattamenti di depurazione. L’esame di questa matrice ha individuato, per la prima volta in campioni ambientali, la presenza di mutazioni caratteristiche delle varianti UK e brasiliana in alcune aree del nostro paese dove la circolazione di tali varianti era stata accertata in campioni clinici di pazienti CoViD-19.

In particolare sono state individuate sequenze con mutazioni tipiche di variante brasiliana e inglese in reflui raccolti a Perugia dal 5 all’8 febbraio e mutazioni tipiche della variante spagnola in campioni raccolti da impianti di depurazione a Guardiagrele, in Abruzzo dal 21 al 26 gennaio 2021.

“I nostri risultati – sottolinea Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute – confermano le potenzialità della wastewater based epidemiology, non solo per lo studio dei trend epidemici, come già dimostrato in precedenti nostre ricerche e ormai consolidato nella letteratura scientifica, ma anche per esplorare la variabilità genetica del virus”.

“Le prospettive sono promettenti – dice Lucia Bonadonna, direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS – in particolare se pensiamo che la sorveglianza sui reflui è applicata in diversi paesi europei, anche se non ancora per la ricerca delle varianti. L’importanza della sorveglianza ambientale è stata riconosciuta, grazie anche al contributo dei risultati italiani, nel Piano europeo contro le varianti del COVID-19 (Hera incubator), che mira a rafforzare le difese dell’Unione davanti al crescente numero di mutazioni del virus”.

*gruppo di lavoro: Marcello Iaconelli, Giusy Bonanno Ferraro, Pamela Mancini e Carolina Veneri

Fonte: ISS




Il cimurro delle volpi nelle Valli lombarde e in Romagna

volpeIl cimurro (CD) è una malattia mortale e altamente contagiosa dei carnivori selvatici e domestici. Nel territorio alpino, negli ultimi decenni, si sono verificati diversi focolai all’interno di popolazioni selvatiche. Il virus del cimurro si è ripresentato con particolare virulenza negli ultimi anni nelle valli lombarde determinando la morte di parecchie volpi e di altre specie come tassi e faine. Il cimurro è presente oramai da qualche anno nelle valli lombarde ormai popolate da numerose volpi; il virus, presente sotto forma di due varianti provenienti rispettivamente dal nord Europa e dalle zone alpine dell’ Italia orientale si è progressivamente diffuso nelle Alpi Lombarde interessando la provincia di Bergamo e Brescia, di Sondrio e quindi di Varese/Como. Negli ultimi giorni, ad ulteriore conferma di presenza di questa malattia in forma endemica, sono state conferite alla Unità Territoriale di Binago numerose volpi morte e di esse 5 sono risultate positive per il virus del cimurro. Un ulteriore segnale questo che la malattia ha raggiunto una notevole diffusione ed espansione sud-occidentale negli animali selvatici e segnatamente nella volpe che è la specie più rappresentata in termini di densità di popolazione, ma anche in altri selvatici come il tasso e la faina.

I ricercatori del Reparto Virologia dell’IZSLER con i colleghi delle Sedi territoriali di Bergamo, Brescia, Sondrio e Varese hanno seguito l’andamento epidemiologico della malattia negli anni dal 2018 al 2020 e descritto le caratteristiche del virus circolante in Lombardia in una pubblicazione open source dal titolo: Canine distemper outbreaks in wild carnivores in Northern Italy pubblicata sulla rivista Viruses (https://doi.org/10.3390/v13010099).

Una situazione molto simile si è verificata nelle colline della Romagna attorno a San Marino, da dove sono state conferite alla Sede Territoriale di Forlì dell’IZSLER dall’ambulatorio del CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici) 4 volpi morte con segni di chiari di cimurro, confermato successivamente dalle analisi di laboratorio. I materiali sono stati inviati dalla Virologia della Sede Centrale dove sono in corso di valutazione per confrontare i ceppi con gli altri isolati.

Il virus del cimurro, pur imparentato con il virus del morbillo, non infetta l’uomo, ma è tipico dei carnivori selvatici, come la volpe, e domestici, tra cui cane, furetto ed visone che possono contrarre una malattia, spesso mortale, che si manifesta con febbre, segni di difficoltà respiratoria, vomito, diarrea ed con sintomatologia nervosa.

Da un punto di vista epidemiologico il ciclo silvestre e urbano si possono sovrapporre; infatti, i cani possono contrarre la malattia sia a seguito di contatto con carcasse di animali morti che con le feci di animali ammalati. La vaccinazione del cane è estremamente efficace nel prevenire la malattia ed è pertanto indispensabile che i cani siano vaccinati e richiamati periodicamente, in modo particolare gli ausiliari e quelli che frequentano zone all’aperto dove possono essere transitate anche le volpi.

Fonte: IZS LER




Peste suina africana: elaborare una “strategia di uscita” per i Paesi interessati dalla malattia

cinghiale

L’EFSA ha elaborato strategie di sorveglianza che aiuteranno i Paesi interessati dalla peste suina africana (PSA) a determinare quando il virus abbia smesso di circolare tra le proprie popolazioni di cinghiali selvatici.

Il parere scientifico raccomanda una “strategia di uscita” che consta di due fasi: un periodo di sorveglianza di routine dei cinghiali selvatici (fase di screening) seguito da un periodo più breve di sorveglianza intensa (fase di conferma).

La modellazione ha dimostrato che:

Il parere fornisce esempi pratici di come applicare la strategia di uscita sia alle grandi che alle piccole aree interessate. Esprime anche raccomandazioni sui periodi minimi di monitoraggio necessari per rendere efficace la strategia.

Fonte: EFSA




Casi di Campylobacter e Salmonella stabili nell’UE

In Europa il numero di casi di malattia provocata nell’uomo dai batteri Campylobacter e Salmonella sembra essersi stabilizzato negli ultimi cinque anni. È quanto emerge dall’ultima relazione sulle malattie zoonotiche dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La campilobatteriosi, dal 2005 la malattia gastrointestinale più diffusa nell’Unione europea (UE), ha colpito oltre 220 000 persone nel 2019. La seconda malattia zoonotica segnalata con maggior frequenza nell’UE è stata la salmonellosi, che ha interessato circa 88 000 persone.

Dall’esame di 66 113 campioni di alimenti pronti al consumo, ossia alimenti che non necessitano di cottura prima di essere consumati, lo 0,3 % è risultato positivo a Salmonella, mentre su 191 181 campioni di alimenti non pronti al consumo è risultato positivo l’1,5 %. Diciotto dei 26 Stati membri che comunicano dati sui programmi di controllo di Salmonella nelle popolazioni di pollame hanno centrato tutti gli obiettivi di riduzione rispetto a quanto hanno fatto 14 Stati membri nel 2018.

Le altre malattie maggiormente segnalate sono state le infezioni da Escherichia coli produttore di tossine Shiga (STEC), yersiniosi e listeriosi. Dopo una lunga fase di incremento, i casi conclamati di listeriosi nell’uomo si sono stabilizzati nel periodo 2015-2019. Nel 2019 i casi segnalati sono stati 2 621 e hanno riguardato perlopiù soggetti di oltre 64 anni di età. A causa degli elevati tassi di ospedalizzazione (92 %) e di mortalità (17,6 %), si è rivelata la malattia zoonotica più grave.

Mediante la relazione vengono monitorati anche i focolai di malattie di origine alimentare nell’UE, ossia casi in cui almeno due persone contraggono la stessa malattia dopo aver consumato lo stesso cibo contaminato. Benché Salmonella sia rimasto l’agente riscontrato con maggior frequenza, responsabile di 926 focolai, il numero dei focolai dovuti a S. Enteritidis è diminuito. Le più comuni fonti di infezione da Salmonella sono state rappresentate da uova e ovoprodotti. I norovirus nel pesce e nei prodotti della pesca hanno provocato il più elevato numero di focolai (145) per i quali sono state riscontrate “solide evidenze” a sostegno di un’origine alimentare.

Nel 2019 sono stati registrati complessivamente 5 175 casi di focolai infettivi di origine alimentare, in calo del 12,3 % rispetto al 2018.

La relazione contiene dati riguardanti anche Mycobacterium bovis/capraeBrucellaYersiniaTrichinellaEchinococcusToxoplasma gondii, rabbia, febbre Q, virus della Valle del Nilo e tularemia.

Fonte: EFSA