Prima segnalazione di leptospirosi nel lupo in Europa

I veterinari della sezione di Udine dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno descritto per la prima volta in Europa un caso di leptospirosi in un lupo. L’esemplare, un maschio di circa 7 mesi, era stato investito in provincia di Pordenone e sottoposto a indagini sanitarie, in funzione delle lesioni riscontrate e come previsto tra le attività di un progetto di ricerca (RC 16/18 per Echinococcus multilocularis).

Approcci sierologico e molecolare per identificare la leptospira

I veterinari della sezione di Udine dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno descritto per la prima volta in Europa un caso di leptospirosi in un lupo. L’esemplare, un maschio di circa 7 mesi, era stato investito in provincia di Pordenone e sottoposto a indagini sanitarie in funzione delle lesioni riscontrate. La leptospira è stata identificata come Leptospira kirschneri, sierogruppo Pomona, serovar Mozdok (ST117), un ceppo la cui circolazione in Italia è nota nel suino e nel cane.

Dai primi approfondimenti diagnostici biomolecolari è stata evidenziata la presenza di una leptospira patogena a livello renale, mentre dall’esame sierologico per ricerca anticorpi – sempre nei confronti di leptospira – è stata osservata la presenza di reattività verso tre sierogruppi: GrippotyphosaPomona, Icterohaemorrhagiae. Dall’esame istopatologico del rene è emersa una nefrite interstiziale cronica.

Successivamente i campioni sono stati inviati al Centro di referenza nazionale per la leptospirosi dell’IZS Lombardia ed Emilia-Romagna per la tipizzazione molecolare, la fase in cui vengono assegnati nome e cognome al patogeno. La leptospira è stata identificata come Leptospira kirschneri, sierogruppo Pomona, serovar Mozdok (ST117).

Si tratta di un ceppo la cui circolazione in Italia è già nota nel suino e nel cane, mentre nel cinghiale (Sus scrofa) è stata finora rilevato il sierogruppo Pomona, serovar Pomona. È verosimile che la serovar Mozdok possa circolare anche nel cinghiale, vista l’omologia di specie rispetto al suino domestico e che il cinghiale possa rappresentare un serbatoio di infezione per il lupo; dal punto di vista epidemiologico, il rapporto preda-predatore tra cinghiale e lupo è compatibile con una trasmissione diretta o indiretta dell’infezione.

Il lupo in questo caso rappresenterebbe più una vittima accidentale che un serbatoio di infezione, quindi un interessante epifenomeno e sentinella della diffusione di sierogruppi di leptospira nel territorio. Il rilevamento è stato pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Environmental Research and Public Health (IJERPH).

Lupo e leptospirosi in Friuli Venezia Giulia

La leptospirosi è una malattia endemica in Friuli Venezia Giulia che determina casi clinici e decessi nei cani, nonostante un’ampia diffusione della vaccinazione, e rappresenta anche un’importante zoonosi. La malattia è compresa tra quelle elencate come prioritarie nel Piano di sorveglianza della fauna selvatica del Friuli Venezia Giulia.

La leptospirosi è una malattia endemica in Friuli Venezia Giulia che determina casi clinici e decessi nei cani. Nei carnivori selvatici il riscontro di quadri patologici da leptospira non è frequente: in Europa finora non erano note segnalazioni di forme cliniche o di lesioni anatomopatologiche dovute a leptospira nel lupo. La comparsa della malattia nel lupo è collegata alla ricolonizzazione naturale che interessa ormai tutto l’arco alpino.

In ambito selvatico sono riconosciuti serbatoi di infezione, in particolare tra i roditori; nei carnivori selvatici sono state riscontrate positività sierologiche, sebbene il riscontro di quadri patologici da leptospira non sia frequente. In Europa finora non erano note segnalazioni di forme cliniche o di lesioni anatomopatologiche dovute a leptospira nel lupo; riscontri di positività sierologiche sono stati documentati in Spagna, mentre analisi condotte in centro Italia sono risultate negative.

La comparsa della malattia nel lupo è collegata alla ricolonizzazione naturale che interessa ormai tutto l’arco alpino. L’espansione del lupo italico (Canis lupus italicus) dagli Appennini alle Alpi e l’incontro con esemplari provenienti dalle aree dinarico-balcaniche (Canis lupus lupus) hanno dato origine a nuclei familiari nel Nord-est che si stanno stabilizzando. A parte presenze sporadiche di soggetti provenienti dalla Slovenia, la prima coppia di lupi formatasi sul territorio è stata individuata nel 2013 e attualmente si stimano circa 15-25 esemplari in tutta la Regione.

Il lupo (Canis lupus) è una di quelle specie protette, insieme allo sciacallo dorato (Canis aureus), alla lontra (Lutra lutra) e al gatto selvatico (Felis silvestris), attorno alle quali negli ultimi anni in Friuli Venezia Giulia si è sviluppata la collaborazione scientifica tra vari enti, come l’IZSVe, l’Università di Udine, il Museo di Storia Naturale di Udine e il Corpo Forestale Regionale.

Le indagini sanitarie nelle specie selvatiche, che continuano ad essere svolte, consentiranno di raccogliere ulteriori informazioni epidemiologiche sulla distribuzione di ceppi di Leptospira sul territorio.

Fonte: IZS delle Venezie




Virus Yezo: scoperto in Giappone un virus precedentemente sconosciuto collegato a una malattia infettiva “emergente”

In Giappone è stato scoperto un nuovo virus che può essere trasmesso da punture di zecca. Soprannominato virus Yezo (YEZV), può causare febbre e altri sintomi negli esseri umani. Un caso della misteriosa malattia è stato registrato nel 2019 dopo che un uomo di 41 anni è stato ricoverato in ospedale con sintomi, tra cui febbre e dolore alle gambe, ha riportato l’Università di Hokkaido in un comunicato stampa. L’uomo è stato punto da un “artropode ritenuto una zecca”, ma i test hanno rivelato che non era infetto da nessuno dei virus delle zecche conosciuti nella regione. Sebbene l’uomo sia stato dimesso dall’ospedale dopo due settimane, un anno dopo è stato segnalato un altro caso della misteriosa malattia, con il paziente che mostrava sintomi simili.

Nuovo orthonairovirus 

In uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, un team di ricercatori ha identificato il nuovo orthonairovirus attraverso l’analisi genetica dei campioni di sangue raccolti dai due pazienti. Inoltre, sono stati analizzati campioni di sangue di 248 pazienti sospettati di avere una malattia trasmessa da zecche e hanno scoperto che c’erano in totale sette casi dal 2014 al 2020. Il virus “YEZV è filogeneticamente raggruppato con il virus Sulina rilevato nelle zecche Ixodes ricinus in Romania”. Il nome del nuovo virus fa riferimento allo storico nome giapponese di Hokkaido, il luogo in cui è stata scoperta la malattia. Per individuare il serbatoio naturale del virus a Hokkaido, il team di ricercatori ha esaminato campioni di siero raccolti da animali selvatici a Hokkaido dal 2010 al 2020. Nei cervi e procioni shika di Hokkaido sono stati trovati anticorpi di YEZV; inoltre è stato identificato l’RNA YEZV in “tre principali specie di zecche” raccolte dal 2016 al 2020. “Abbiamo dimostrato che dal 2014 almeno sette pazienti sono stati infettati da YEZV e che animali selvatici e zecche potrebbero essere potenziali serbatoi del virus, suggerendo che l’infezione da YEZV è endemica in quest’area”, il team di ricercatori comunica.

Fonte: IZS Teramo

 




Nuove specie di flebotomi in Pianura Padana

Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha riportato la presenza di alcune specie di flebotomi in aree della Pianura Padana dove non erano mai stati segnalati prima, e che possono trasmettere la leishmaniosi nei cani. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Parasites & Vectors.

Identikit dei flebotomi

flebotomi o ‘pappataci’ sono piccoli ditteri ematofagi, vettori di diversi patogeni, tra i quali i più noti sono i protozoi del genere Leishmania e i virus del genere Phlebovirus. L’insetto adulto ha dimensioni ridotte (2-4 mm di lunghezza), è di color sabbia e ha il corpo e le ali ricoperti da una fitta peluria, grazie alla quale è in grado compiere un volo silenzioso e di nutrirsi senza emettere alcun rumore (da cui il nome ‘pappatacio’: “mangia e taci”).

Uno studio condotto da ricercatori dell’IZSVe ha riportato la presenza di alcune specie di flebotomi in aree della Pianura Padana dove non erano mai stati segnalati prima. Dal 2017 al 2019 sono stati catturati più di 300 esemplari grazie alle trappole utilizzate per la sorveglianza entomologica della West Nile Disease. Di notevole interesse il ritrovamento per la prima volta in Veneto e Friuli Venezia Giulia della specie Phlebotomus perfiliewi (vettore di Leishmania infantum e Toscana virus), specie che aveva il suo limite di distribuzione al Nord Italia sull’Appennino emiliano.

In Italia sono presenti otto specie e le più comuni sono P. papatasiP. perniciosus e P. perfiliewi. I flebotomi sono molto comuni nelle aree del Centro e Sud Italia, mentre sono meno abbondanti nelle regioni settentrionali; qui sono confinate ad aree collinari e pedemontane, caratterizzate da un’altitudine compresa tra 100 e 800 metri, vegetazione abbondante e clima mite.

Espansione verso nord e in Pianura Padana

In studi sulla distribuzione di questi vettori condotti in passato era spesso riportato che “i flebotomi sono assenti in Pianura Padana”. Il motivo non è mai stato ben chiarito; probabilmente le condizioni climatiche e geologiche della pianura Padana non erano idonee allo sviluppo delle diverse specie di flebotomi.

Tuttavia, negli ultimi anni venivano segnalati sporadici ritrovamenti di alcuni esemplari di questo insetto. Partendo da questi “insoliti ritrovamenti” il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’IZSVe ha cominciato a raccogliere tutti gli esemplari di flebotomi che venivano catturati accidentalmente con le trappole utilizzate per la sorveglianza entomologica della West Nile Disease, quindi utilizzate per la cattura delle zanzare.

Dal 2017 al 2019 sono stati catturati più di 300 esemplari appartenenti alle specie Phlebotomus perniciosusP. perfiliewiP. mascittii e Sergentomyia minuta in aree di pianura, sia in ambienti rurali che peri-urbani. È stata osservata un’estensione dell’areale di distribuzione dei flebotomi, la cui presenza è stata segnalata in zone a maggiori latitudini e a diverse altitudini (addirittura anche a -2 metri), ambienti che si discostano da quelli tradizionalmente considerati idonei allo sviluppo di questi insetti. Di notevole interesse il ritrovamento per la prima volta in Veneto e Friuli Venezia Giulia della specie P. perfiliewi (vettore di Leishmania infantum e Toscana virus), specie che aveva il suo limite di distribuzione al Nord Italia sull’Appennino emiliano.

Sebbene in queste aree il numero di esemplari trovati è comunque limitato e inferiore a quello osservato negli ambienti tipicamente abitati dai flebotomi, la presenza di un vettore di patogeni in aree considerate ‘free’ è di grande rilevanza. Quindi, anche in Pianura Padana bisogna cominciare a porre attenzione nel proteggere i propri animali domestici (il cane principalmente) dalle punture di questi insetti, utilizzando prodotti repellenti registrati per la prevenzione della leishmaniosi.

Fonte: IZS delle Venezie




Trichinella in una lupa in provincia di Arezzo

I laboratori della sezione di Arezzo dell’IZS Lazio e Toscana hanno riscontrato larve di Trichinella britovi (come da conferma del Laboratorio nazionale di Riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità) nel muscolo tibiale anteriore di una lupa trovata morta nel comune di Subbiano, probabilmente a seguito di trauma stradale.

Nelle regioni Toscana e Lazio vi sono state altre segnalazioni del parassita negli scorsi anni:

  • marzo 2013: riscontro di larve Trichinella in una volpe ancora in provincia di Arezzo
  • gennaio 2013: ventisei persone, tra cacciatori e loro familiari, sono state colpite da trichinellosi nell’Alta Val del Serchio a seguito dell’ ingestione di salsicce di cinghiale crude contaminate;
  • Nella stagione venatoria 2019-2020 la sezione di Latina dell’IZS Lazio e Toscana ha identificato larve di Trichinella nelle carni di cinghiali abbattuti a caccia, poi identificate come appartenenti alla specie Trichinella britovi

Tutte le informazioni sulla trichinellosi sul sito dell’IZS LT




Procedure operative per prevenire l’infestazione da Baylisascaris procyonis

Baylisascaris procyonis è un nematode endemico del Nordamerica e sporadicamente segnalato in altri Paesi: in Italia è stato segnalato per la prima volta nel 2021 da 5 procioni abbattuti nel territorio del  Casentino (AR).

L’infestazione è tipica del procione (ospite definitivo) e occasionalmente di altri carnivori, tra cui il cane, nei quali decorre in modo asintomatico con lo sviluppo di nematodi adulti  nell’intestino tenue (20-22 cm le femmine e 9-11 cm i maschi).

Numerosi ospiti paratenici (principalmente roditori, lagomorfi e uccelli selvatici) possono infestarsi sporadicamente attraverso l’ingestione di feci contenenti uova infettanti.

Operatori che a vario titolo manipolano procioni ed i soggetti di età pediatrica possono contagiarsi attraverso l’ingestione accidentale di feci o di materiale fecalizzato.

La maggior parte dei casi di contagio umano è stata riportata negli Stati Uniti.

Nonostante la baylisascariasi sia una rara zoonosi, la malattia nell’uomo è caratterizzata da evoluzione clinica molto grave legata alla migrazione larvale.

Sintomi aspecifici come: febbre, letargia e nausea possono svilupparsi già una settimana dall’esposizione. Le larve migrano attraverso una grande varietà di tessuti (fegato, cuore, polmoni, cervello, occhi) producendo una sindrome da larva migrans viscerale e larva migrans oculare, simili alla toxocariasi. Tuttavia, prediligendo il sistema nervoso centrale, a differenza delle larve di Toxocara, quelle di Baylisascaris si sviluppano fino a grandi dimensioni determinando gravi lesioni. Le anomalie neurologiche tendono a comparire da 2 a 4 settimane dopo l’ingestione di uova infettanti, come esito della meningoencefalite eosinofila, e comprendono alterazione dello stato mentale, irritabilità, anomalie cerebellari, atassia, stupor e coma. I trattamenti elminticidi sono spesso inefficaci a causa dei ritardi nella diagnosi e della scarsa attività larvicida nei confronti delle larve a localizzazione encefalica.

Pertanto, l’informazione e la prevenzione sono strumenti necessari per limitare il contagio.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ha elaborato per la Regione Toscana delle Procedure operative per la manipolazione dei procioni e delle carcasse durante le fasi di abbattimento e cattura per prevenire il rischio di trasmissione all’uomo.




Parere CNSA – Virus SARS-COV-2 e alimenti

Parere CNSA – Virus SARS-COV-2 e alimenti

A cura di Ministero della Salute, CNSA

Anno 2021

Abstract

In considerazione dell’importanza e attualità dell’argomento e di specifiche richieste di chiarimento avanzate dalla Sezione consultiva delle Associazioni dei consumatori e dei produttori e da altri portatori di interesse, la Sezione Sicurezza Alimentare ha ritenuto opportuno procedere ad un’analisi delle conoscenze attuali in merito al rapporto tra virus e alimenti.

Sulla base degli studi attualmente presenti a livello internazionale, in attesa di possibili modifiche e/o precisazioni successive, si può concludere che non sono presenti evidenze scientifiche che permettano di affermare che il virus SARS-CoV-2 si trasmetta per via alimentare, attraverso gli alimenti crudi o cotti. In condizioni normali, non ci sono ancora prove che gli imballaggi contaminati trasmettano l’infezione e il rischio di contagio del virus SARS-CoV-2 attraverso i materiali, il packaging e le superfici a contatto con gli alimenti appare trascurabile.

Le più importanti misure di prevenzione che i lavoratori dedicati alla distribuzione e vendita degli alimenti devono applicare sono il distanziamento fisico, la buona igiene personale con frequente lavaggio delle mani e l’applicazione delle generali regole per l’igiene degli alimenti.

Ai consumatori si ricorda che nel corso della spesa è bene mantenere la distanza di almeno 1 metro e mezzo tra le persone, sanitizzare il carrello o il cestino, sanitizzare le mani prima e dopo l’utilizzo del carrello o del cestino e/o proteggere le mani con guanti da eliminare in appositi contenitori finita la spesa, oltre che usare la mascherina correttamente indossata tutto il tempo di permanenza al supermercato. A casa, non è necessario disinfettare gli involucri che contengono gli alimenti, ma lavare le mani dopo aver manipolato le confezioni. Mentre le temperature utilizzate per la cottura sono sufficienti per inattivare il coronavirus, le temperature di refrigerazione e congelamento non sembrano causare una riduzione della vitalità del virus. Il lavaggio con solo acqua potabile sembra essere sufficiente per sanificare la frutta e la verdura.

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Fonte: Ministero della Salute




Febbre del topo da Hantavirus: moria di topi nel Nordest

In relazione alla mortalità di topi di diverse specie osservata nel Nordest italiano nelle ultime settimane, e alle informazioni riportate da diversi organi di stampa, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ritiene utile fornire alcune informazioni aggiornate dal punto di vista sanitario, in particolare per quanto riguarda il rischio di infezione per l’uomo da Hantavirus (“febbre del topo”).

In particolare, si precisa che:

  • campioni conferiti all’IZSVe a partire dallo scorso mese di maggio sono stati sottoposti ad un ampio spettro di analisi, non solo virologiche e batteriologiche ma anche istopatologiche e tossicologiche, che ad oggi hanno dato esito negativo per la ricerca di cause specifiche di mortalità;
  • l’infezione da Hantavirus è da tempo nota nei paesi confinanti e vicini (Austria, Slovenia, Croazia…), anche con focolai nell’uomo, mentre in Italia fino ad oggi essa non è stata ancora dimostrata nella popolazione murina ed umana. È naturalmente possibile che nell’uomo vi siano casi di importazione;
  • la mortalità di piccoli roditori non è necessariamente associata alla presenza di questi virus. Ad esempio in un analogo fenomeno, verificatosi sempre nel Nordest nel 2012, i campioni conferiti all’IZSVe, analizzati anche in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e l’IZS Lombardia ed Emilia Romagna, erano risultati negativi;
  • le mortalità “di massa” nei micromammiferi sono relativamente frequenti e possono costituire un fenomeno di regolazione della popolazione, ad esempio in seguito ad una precedente esplosione demografica dovuta a diverse cause, anche in associazione tra loro. Tra queste, stagioni con un’iperproduzione di risorse alimentari, o con una minore abbondanza di predatori naturali, o altri fattori meno noti. In caso di presenza di Hantavirus nella popolazione murina, è certamente prevedibile che ad un picco di popolazione si associ una maggior frequenza di casi nell’uomo, in relazione al notevole incremento della carica virale nell’ambiente ma, ripetiamo, mortalità nei microroditori e presenza di virus sono completamente indipendenti.

In relazione alla mortalità di topi di diverse specie osservata nel Nordest italiano nelle ultime settimane i campioni analizzati dall’IZSVe hanno dato esito negativo in relazione alla presenza di Hantavirus ma sono in corso approfondimenti diagnostici.

Tuttavia, dati la vicinanza dei focolai al nostro territorio e i mutamenti ecologico-ambientali particolarmente evidenti negli ultimi anni, non possiamo escludere che questi virus arrivino ad interessare anche il Nordest.

Per tale ragione sono in corso ulteriori approfondimenti diagnostici sui campioni ricevuti, anche in collaborazione con altri enti di sanità pubblica. Inoltre, l’IZSVe sta lavorando a stretto contatto con le autorità sanitarie per tracciare un quadro più completo e chiaro della situazione.

Regole di comportamento per ridurre il rischio di infezione da Hantavirus

L’infezione da roditore a uomo può avvenire per contatto diretto con feci, saliva o urina dei roditori infetti, e in particolare attraverso l’inalazione del virus presente in queste matrici biologiche. A titolo precauzionale possiamo già in questa sede richiamare l’attenzione su alcune basilari norme igieniche che, oltre ad essere certamente consigliabili in generale, ridurrebbero sensibilmente il rischio di infezione nel caso di presenza di Hantavirus:

  • è opportuno minimizzare il contatto con polvere e suolo contaminato da escreti di roditori. Ad esempio, utilizzando detersivi/disinfettanti liquidi quando si puliscono aree in cui possono raccogliersi feci e urine di questi animali, in modo da evitare il generarsi di aerosol, e utilizzando guanti resistenti possibilmente monouso e una mascherina di protezione;
  • lavarsi e lavare il proprio vestiario dopo aver effettuato tali operazioni di pulizia;
  • i cittadini possono segnalare tempestivamente fenomeni di mortalità significativa ai Servizi Veterinari delle Aziende Sanitarie, senza però manipolare o raccogliere direttamente le carcasse;
  • chi invece dovesse maneggiare tali carcasse, ad esempio per raccogliere campioni da analizzare o per allontanare le carcasse rinvenute nei pressi della propria abitazione, dovrà essere munito di guanti resistenti possibilmente monouso, mascherina di protezione e contenitori ben richiudibili, e lavarsi accuratamente dopo aver effettuato tali operazioni.

Fonte: IZS Venezie




Peste suina africana: rischi da allevamenti suini all’aperto

L’EFSA ha valutato il rischio di diffusione della peste suina africana (PSA) negli allevamenti suini all’aperto e ha proposto misure di biosicurezza e controllo per gli allevamenti all’aperto nelle zone dell’UE colpite dalla PSA. 

L’allevamento all’aperto di maiali è comune nell’UE. Non esiste tuttavia una legislazione a livello europeo che categorizzi tale tipo di allevamenti, per cui le informazioni sono limitate, non armonizzate tra loro e da interpretare con attenzione.

Il gruppo di esperti scientifici EFSA sulla salute e il benessere degli animali ha concluso che gli allevamenti di suini all’aperto comportano un rischio notevole di introdurre e diffondere la PSA, ritenendo però che l’installazione di robuste recinzioni singole o di recinzioni doppie in tutti gli allevamenti di suini all’aperto nelle zone dell’UE in cui è presente la PSA potrebbe ridurre tale rischio almeno del 50%.

Inoltre l’attuazione di valutazioni in termini di biosicurezza complete e obiettive in allevamento e l’approvazione di allevamenti suini all’aperto sulla base del rispettivo rischio di biosicurezza ridurrebbero ulteriormente il rischio di introduzione e diffusione della malattia. Le valutazioni effettuate sul sito dell’allevamento sono uno strumento efficace non solo per migliorare la biosicurezza, ma anche per affrontare questioni zootecniche più ampie.

L’EFSA è dell’avviso che le deroghe alle attuali restrizioni sull’allevamento di suini all’aperto nelle zone interessate da PSA possano essere prese in considerazione caso per caso, una volta attuate tali misure e altre misure specifiche di biosicurezza.

Il parere scientifico si basa su evidenze raccolte da enti veterinari nazionali, associazioni di agricoltori e letteratura scientifica. E’ stata effettuata un’elicitazione della conoscenza di esperti (EKE) per classificare gli allevamenti di suini all’aperto in base al loro rischio di introdurre e diffondere la PSA, onde classificare le misure di biosicurezza in base alla loro efficacia, e proporre migliorie in termini di biosicurezza.

Scientific opinion on African swine fever and outdoor farming of pigs

Fonte: EFSA




EYWA, sistema di allarme rapido per le malattie trasmesse dalle zanzare

EYWA (EarlY WArning System for Mosquito borne disease) è un sistema di monitoraggio che risponde alle esigenze di prevenzione e protezione dalla salute pubblica contro le malattie trasmesse da zanzare (MBD, mosquito-borne diseases). Ideato e coordinato dall’Osservatorio Nazionale di Atene / BEYOND Center of Earth Observation Research and Satellite Remote Sensing, dal 2020 EYWA si avvale della collaborazione di diverse realtà di ricerca europee impegnate nella ricerca e nel controllo della diffusione dei vettori, tra cui anche il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe)

Che cos’è EYWA?
EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle malattie trasmesse da zanzare.

EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici, convalidati e dinamici, basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle MBD.

In linea con i principi della scienza aperta, EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati relativi a parametri ambientali essenziali, serie temporali meteo, dati del portale GEOSS e dati dal programma di osservazione terrestre Copernicus (C3S, ERA5, IMERG, CLMS, ecc.). Questi vengono poi integrati con dati entomologici ed epidemiologici (casi di malattie negli animali e nell’uomo) che verranno forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia), dove l’Italia è rappresentata da IZSVe, Fondazione Edmund Mach e Università di Trento.

I dati sono pubblicati in una piattaforma Web GIS a disposizione delle organizzazioni sanitarie nazionali e delle autorità pubbliche, nonché degli istituti di ricerca e delle aziende private. Attraverso un continuo approccio di co-progettazione e co-creazione, EYWA ha raggiunto il livello di preparazione tecnologica TRL 7, che corrisponde alla “dimostrazione di un prototipo di sistema in ambiente operativo”. Negli anni a venire, EYWA includerà i dati anche di altri Paesi e di ulteriori MBD, per rendere il sistema sempre più globale, anche oltre i confini europei.

EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati provenienti da diverse fonti, integrandoli con dati entomologici ed epidemiologici che vengono forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia). I dati sono pubblicati in un’apposita piattaforma Web GIS.

L’approccio EYWA è interdisciplinare: entomologia, epidemiologia, ecologia, big data analytics, intelligenza artificiale e citizen science sono combinati e integrati in un’unica filiera per offrire ai gestori del rischio e alle autorità sanitarie un sistema di allarme rapido (early warning system) a supporto dei sistemi decisionali per la gestione delle epidemie da vettori.

Sulla base dei dati raccolti e disponibili in EYWA, le autorità di sanità pubblica e le figure coinvolte nella gestione del rischio saranno facilitate nel processo di contenimento delle MBD: i modelli predittivi di distribuzione dei vettori e dei focolai forniranno indicazioni evidence based per pianificare in modo più efficiente e puntuale le azioni di monitoraggio dei vettori e di prevenzione dei focolai, mitigando il loro impatto sul territorio e ottimizzando risorse umane ed economiche a tutela della salute pubblica.

Il ruolo dell’IZSVe

Il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’IZSVe è coinvolto in EYWA dal suo inizio, nel 2020. Tra i partner del progetto, l’IZSVe è stato il primo ente, in accordo con il Dipartimento di Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione Veneto, a fornire ai coordinatori di EYWA dati entomologici ed epidemiologici (casi di West Nile disease nell’uomo) relativi al territorio di competenza. Grazie ai dati condivisi dall’IZSVe è stato possibile validare i primi modelli predittivi sviluppati dal sistema EYWA, collaborazione che continuerà anche nei prossimi anni per affinare le previsioni di insorgenza di MBD.

Per approfondire

Visita la pagina del progetto sul sito BEYOND: http://beyond-eocenter.eu/index.php/web-services/eywa




Studiare le simbiosi fra batteri e zanzare per vincere la resistenza agli insetticidi

Un batterio simbionte delle zanzare potrebbe essere coinvolto in fenomeni di resistenza agli insetticidi. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Camerino, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Laboratorio di parassitologia) e le Università di Pavia, Milano, San Paolo (Brasile) e Glasgow (Regno Unito). Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale mBIO dell’American Society for Microbiology e apre prospettive interessanti per il controllo delle malattie trasmesse da vettori.

Riduzione genomica nei batteri simbionti

Un batterio simbionte delle zanzare potrebbe essere coinvolto in fenomeni di resistenza agli insetticidi. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Camerino, in collaborazione con il Laboratorio di parassitologia) dell’IZSVe e le Università di Pavia, Milano, San Paolo (Brasile) e Glasgow (Regno Unito).

Il batterio si chiama Asaia e si trova nell’intestino, negli organi riproduttivi e nelle ghiandole salivari di molte specie di zanzare ed altri insetti nocivi all’agricoltura. Come tutti i batteri simbionti, anche Asaia non è dannoso per la salute dell’ospite, ma ne influenza in maniera positiva il percorso evolutivo, con un vantaggio reciproco. In generale, le associazioni simbiotiche mostrano un elevato livello di integrazione fisica, metabolica e genomica fra gli organismi in simbiosi, al punto che se anche i batteri simbionti non diventano essenziali all’esistenza stessa dell’ospite, sono comunque in grado di fornirgli un vantaggio nei termini di una migliore fitness all’ambiente.

Uno degli effetti della coevoluzione nelle simbiosi è la riduzione delle dimensioni del genoma del batterio, che consiste nella perdita di geni ritenuti invece indispensabili per i batteri non simbiotici. L’analisi filogenetica di Asaia ha infatti rivelato una sostanziale distanza genetica nella linea evolutiva dei diversi ceppi, mostrando proprio come processi indipendenti di riduzione/variazione genetica hanno determinato una “erosione” di geni a seconda del ceppo di Asaia e della sua relazione simbiotica con l’ospite. Alla base di questo fenomeno ci sarebbero meccanismi evolutivi in cui sono coinvolti percorsi metabolici che svolgono funzioni essenziali per la vita del microorganismo.

Geni di resistenza agli insetticidi nelle zanzare

L’attenzione dei ricercatori si è concentrata in particolare su un gene (PH) che regola la degradazione dei piretroidi, un principio attivo di molti insetticidi. I ceppi di Asaia sono stati isolati da diverse specie di zanzare, da popolazioni di mosca mediterranea della frutta (Ceratitis capitata) e da campioni ambientali. In tutti i ceppi batterici analizzati è stato trovato il gene PH, tranne in un caso: nella zanzara Anopheles darlingi, una delle specie maggiormente responsabili della diffusione di malaria nelle regioni amazzoniche.

L’efficacia degli insetticidi nei confronti di insetti vettori, come nel caso della zanzara anofele, o di insetti delle piante potrebbe dipendere da meccanismi di regolazione genetica che agiscono a livello metabolico nelle simbiosi tra zanzare e batteri.

Il ruolo del gene PH nella biologia del batterio è ancora da approfondire ma, secondo gli autori dello studio, la sua presenza – di cui è nota la funzione protettiva nei confronti di Asaia – potrebbe proteggere indirettamente anche le zanzare dagli insetticidi a base di piretroidi, rendendoli poco efficaci. La zanzara anofele An. darlingi sembra rappresentare un buon candidato per testare questa ipotesi.

Lungo questa linea di ricerca, uno studio condotto qualche anno fa nell’ambito del Programma di controllo della malaria in Brasile ha evidenziato che An. darlingi non è resistente ad alcuni insetticidi a base di piretroidi. È interessante notare che alcuni studi hanno evidenziato come l’infezione da Plasmodium (il parassita malarico) riduca la sopravvivenza delle zanzare solo nei ceppi resistenti agli insetticidi ma non in quelli sensibili , fornendo così la prova di un “costo di sopravvivenza” associato all’infezione da Plasmodium solo nelle zanzare selezionate per la resistenza agli insetticidi. L’efficacia degli insetticidi nei confronti di insetti vettori, come nel caso della zanzara anofele, o di insetti delle piante potrebbe quindi dipendere da meccanismi di regolazione genetica che nelle simbiosi agiscono a livello metabolico.

In generale, la detossificazione da insetticidi mediata dai batteri simbionti è oggi riconosciuto come un problema emergente nelle strategie di controllo degli insetti. Nei prossimi anni sarà quindi necessario approfondire il funzionamento dei processi metabolici coinvolti nei meccanismi di resistenza agli insetticidi, al fine di sviluppare nuovi metodi di controllo efficaci per insetti vettori di patogeni e altri insetti nocivi.

Fonte: IZS delle Venezie