Le malattie infettive sono da lungo tempo considerate una priorità di salute pubblica globale a causa del loro forte impatto in termini di salute sulla popolazione. Prima i vaccini e poi gli antibiotici ne hanno modificato la storia, riducendo notevolmente la circolazione dei patogeni e la mortalità per malattie infettive trasmissibili.
Ad oggi, quasi un secolo dopo la scoperta del primo antibiotico, l’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali minacce alla salute pubblica, e, secondo le stime, potrebbe causare la morte di 10 milioni di persone all’anno entro il 2050. Per questo la sua diffusione è un problema urgente che richiede un intervento globale e un piano d’azione coordinato.
Alcuni studi hanno evidenziato che le infezioni da patogeni resistenti agli antibiotici hanno un notevole impatto per la salute pubblica, espresso come decessi attribuibili e anni di vita aggiustati per la disabilità (Disability Adjusted Life Years -DALY). Questi studi sono utili perché una delle principali sfide per contrastare l’antibiotico-resistenza è comprendere il vero impatto del fenomeno, in particolare nelle regioni del mondo dove la sorveglianza è limitata e i dati sono scarsi.
Avere delle stime sul numero di decessi dovuti alle infezioni da patogeni resistenti agli antibiotici e sulle loro cause è importante perché permette di programmare interventi di prevenzione e controllo, di definire le priorità per vaccini e farmaci in fase di sviluppo, e conseguentemente di ridurre i decessi associati o attribuibili a queste infezioni.
Queste stime non sono sempre disponibili per tutti i patogeni, a volte sono incomplete (es. per S. pneumoniae le stime sono per lo più ristrette ai bambini di età inferiore a 5 anni e alle infezioni causa di polmonite o meningite) e non coprono tutti i paesi o tutte le combinazioni patogeno-antibiotico.
Ad oggi gli studi sulle cause di mortalità dovuta a patogeni batterici comuni sono limitati, mentre esistono studi che riportano stime per agenti patogeni come Mycobacterium tubercolosis, Plasmodium spp e HIV.
Un recente studio pubblicato nel 2022 ha stimato la mortalità globale associata a 33 specie batteriche considerando 11 sindromi infettive. Questo studio stima che nel 2019 si sono verificati 13,7 milioni di decessi per infezioni a livello globale, dei quali 7,7 milioni associati alle33 specie batteriche sia sensibili che resistenti agli antibiotici. I risultati mostrano che più della metà dei decessi sono stati causati da cinque principali batteri patogeni quali Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Streptococcus pneumoniae, Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa. Questi batteri erano associati al 13,6% di tutti i decessi a livello globale e al 56,2% di tutte le morti per sepsi nel 2019. In particolare, lo S. aureus è stato associato a più di 1 milione di morti.
Un altro studio, anch’esso pubblicato recentemente (gennaio 2022), descrive un’approfondita analisi dell’impatto sanitario dell’antibiotico-resistenza per 23 patogeni e 88 combinazioni patogeno-antibiotico in 204 paesi, utilizzando specifici modelli statistici anche per le regioni del mondo per le quali non ci sono dati disponibili. È stato stimato che nel 2019, 4,95 milioni di decessi sono stati associati all’AMR, di cui 1,27 milioni di decessi direttamente attribuibili alla resistenza, cioè all’incirca la mortalità per malaria e HIV messi insieme.
Considerando tutte le età, il tasso più elevato di mortalità attribuibile alla resistenza è stato riportato nell’Africa subsahariana occidentale (27,3 decessi per 100.000 abitanti) e il più basso in Australasia (6,5 decessi per 100.000 abitanti). Le infezioni delle vie respiratorie inferiori hanno causato 1,5 milioni di decessi associati alla resistenza nel 2019, rappresentando una delle sindromi infettive più gravi.
Secondo questo studio, sei principali batteri patogeni (E. coli, S. aureus, K. pneumoniae, S. pneumoniae, P. aeruginosa e A. baumannii) hanno provocato 929.000 decessi attribuibili alla resistenza agli antibiotici e 3,57 milioni di decessi associati alla resistenzavagli antibiotici. In particolare, la combinazione patogeno-antibiotico, S. aureus con resistenza alla meticillina, ha causato più di 100.000 decessi.
I risultati di questo studio indicano che la resistenza dei batteri agli antibiotici è un problema di salute pubblica la cui dimensione è importante almeno quanto le principali malattie infettive, come HIV e malaria, e potenzialmente maggiore.
A livello europeo anche l’ECDC ha pubblicato un rapporto con le stime del numero annuale di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, del numero di decessi attribuibili, del numero e del tasso di anni di vita aggiustati per disabilità (DALY) e i tassi DALY specifici per gruppo di età.
È stato stimato che tra il 2016 e il 2020, il numero annuo di casi di infezioni da batteri resistenti a determinate classi antibiotiche (dati EARS-Net) nei Paesi dell’UE/SEE variava da 685.433 nel 2016 a 865.767 nel 2019 e 801.517 nel 2020, con un numero annuo di decessi attribuibili che va da 30.730 nel 2016 a 38.710 nel 2019 e 35.813 nel 2020. Se analizzate come DALY, le infezioni hanno portato a un impatto sanitario annuale che va da 909.488 nel 2016 a 1.101.288 nel 2019 e 1.014.799 nel 2020. È stato stimato che il 70,9% dei casi di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici erano infezioni correlate all’assistenza.
Questo dimostra che dal 2016 al 2020 sono state osservate tendenze significativamente in aumento nel numero stimato di infezioni, decessi attribuibili e DALY per 100.000 abitanti a causa dell’antibiotico-resistenza, sebbene i numeri siano leggermente diminuiti dal 2019 al 2020. Il carico maggiore di malattia è stato causato da E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, seguito da S. aureus resistente alla meticillina e K. pneumoniae resistente alle cefalosporine di terza generazione. Il peso totale specifico per gruppo di età era più alto nei neonati e negli anziani (oltre 65 anni).
Aggiustato per la numerosità della popolazione, il carico complessivo di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici è stato stimato essere il più alto in Grecia, Italia e Romania, ognuna con in totale più di 2000 DALY, stimati per 100.000 abitanti, nel periodo 2016-2020.
I cambiamenti nelle stime annuali dell’impatto, riporta l’ECDC, possono essere stati influenzati da cambiamenti nella sorveglianza o da cambiamenti nelle pratiche sanitarie, come nel 2020, quando la pandemia di COVID-19 ha messo sotto pressione tutti i servizi sanitari nei Paesi dell’UE/SEE. Parte della diminuzione nel 2020 può anche essere spiegata dalle misure adottate per controllare la diffusione di COVID-19, compresi i cambiamenti nella prevenzione e nel controllo delle infezioni, e i cambiamenti nella gestione dei pazienti negli ospedali a causa delle diverse pratiche di ricovero durante la pandemia.
Fonte: ISS