Sostenibilità: con climate change più infezioni West Nile

Il climate change porterà a una crescita delle infezioni da virus West Nile ed è necessario che i sistemi sanitari si preparino rapidamente a questa prospettiva. E’ quanto emerge da un approfondimento clinico pubblicato sull’European Journal of Internal Medicine. “Il cambiamento climatico – afferma l’autore principale Emanuele Durante-Mangoni, MD, PhD, Università della Campania L. Vanvitelli e AORN Ospedali dei Colli –, sta influenzando la nostra salute consentendo agli insetti portatori di malattie di diffondersi in nuove aree. Stiamo assistendo a un numero crescente di malattie come l’infezione da virus West Nile in luoghi in cui prima non si riscontravano, inclusa l’Europa. Poiché il numero di casi di virus West Nile è in aumento, è ora più importante che mai aumentare le nostre conoscenze per riconoscere, diagnosticare e trattare questa malattia emergente”.

Il virus West Nile è un virus trasmesso dalle zanzare che può attaccare il sistema nervoso e il cervello. È stato identificato per la prima volta nel 1937 a ovest del fiume Nilo, nell’attuale Uganda. Si tratta di un virus altamente variabile per il quale non è attualmente disponibile un vaccino umano. Tuttavia, l’identificazione della malattia può facilitare l’individuazione delle aree di diffusione in cui è possibile effettuare interventi mirati, in particolare l’eradicazione delle zanzare, nel tentativo di evitare un’ulteriore diffusione e la morbilità correlata. Durante -Mangoni spiega: “L’insetto si infetta dopo aver punto uccelli portatori del virus. La stagionalità è anche legata ai modelli di migrazione degli uccelli, un altro fenomeno naturale influenzato dai cambiamenti climatici. Dopo l’infezione da virus West Nile, la maggior parte degli esseri umani non mostra sintomi (80 per cento) o sviluppa sintomi lievi di una malattia virale, tipicamente caratterizzata dall’insorgenza improvvisa di febbre. È anche associata a mal di testa, malessere, anoressia, mialgia, dolore agli occhi, diarrea e vomito.

In alcuni individui a rischio, come gli anziani, le persone fragili o con altri problemi di salute, la malattia può progredire in una forma più grave, che spesso coinvolge il cervello, e può avere conseguenze gravi o addirittura fatali”. L’obiettivo degli autori è quello di aiutare a preparare la comunità scientifica ad affrontare il previsto aumento dell’incidenza dei casi di virus West Nile, delineando la virologia, la presentazione clinica, l’approccio diagnostico e l’attuale gestione suggerita per questa malattia emergente. Consigliano di concentrarsi su: 1) sviluppo di un vaccino per uso umano in grado di proteggere i soggetti a più alto rischio di complicazioni e/o progressione della malattia; 2) Cercare di identificare un agente antivirale in grado di bloccare il virus in una fase iniziale, prima che si verifichi un coinvolgimento neurologico. “I medici devono acquisire le competenze necessarie per identificare la malattia e formulare una diagnosi rapida e accurata, nonché essere a conoscenza delle aree endemiche/epidemiche di diffusione del virus West Nile, per accelerare il percorso diagnostico nei pazienti fragili e immunocompromessi che rimangono a rischio di un esito infausto”, sottolinea Durante-Mangoni. “La strategia definitiva sarebbe la vaccinazione dei soggetti a rischio. Nonostante gli sforzi, nessun vaccino ha ancora raggiunto una fase avanzata di sviluppo clinico, ma c’è speranza per il futuro”.

Fonte: AGI




Cetacei spiaggiati, sentinelle della salute del mare

spiaggiamentiHic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae” (“Ecco il luogo ove la morte si compiace di venire incontro alla vita”): è questa la celebre frase che, a far tempo dalla seconda metà del XIX secolo, campeggia sulla facciata dello storico Ospedale degli Incurabili di Napoli.

Nulla di più rispondente al vero non solo per noi umani, ma anche rispetto alla straordinaria valenza di balene e delfini spiaggiati nei confronti dei propri “consimili”, la cui vita si svolge esclusivamente in ambiente acquatico.

Le oltre 90 specie cetologiche popolanti i mari e gli oceani del nostro Pianeta risultano sempre più minacciate per mano dell’uomo, come chiaramente si evince dagli esiti delle indagini post mortem effettuate su esemplari rinvenuti spiaggiati.

La crescente contaminazione chimica e da materie plastiche degli ecosistemi marini, unitamente all’intrappolamento in reti da pesca ed alle collisioni con natanti, rappresentano infatti alcune tra le più significative minacce antropogeniche per la cetofauna dei nostri mari, mentre numerosi agenti patogeni di natura virale, batterica e parassitaria – alcuni dei quali a comprovata capacità zoonosica – ne minano ulteriormente, al contempo, il già precario stato di salute e di conservazione.

Un approccio multidisciplinare, basato sul principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – costituisce pertanto lo strumento ideale per affrontare e gestire al meglio queste complesse problematiche con tutte le inevitabili ricadute sia in ambito sanitario che conservazionistico.

Giovanni Di Guardo
DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Il Parlamento adotta nuove norme UE per ridurre i rifiuti alimentari

Il 9 settembre, il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo a nuove misure per prevenire e ridurre i rifiuti alimentari tutta l’UE.

Il testo legislativo, frutto di un accordo con il Consiglio del febbraio 2025, è stato adottato senza votazione poiché non sono stati presentati emendamenti, in linea con la seconda lettura della procedura legislativa ordinaria.

La direttiva aggiornata introduce obiettivi vincolanti di riduzione degli sprechi alimentari, da raggiungere a livello nazionale entro il 31 dicembre 2030: il 10% per la produzione e la trasformazione alimentare e il 30% pro capite per i rifiuti provenienti dal commercio al dettaglio, dai ristoranti, dai servizi di ristorazione e dai nuclei domestici. Gli obiettivi saranno calcolati sulla media annua 2021-2023.

Su richiesta del Parlamento, i Paesi UE dovranno adottare misure per garantire che gli operatori economici con un ruolo rilevante nella prevenzione e generazione di sprechi facilitino la donazione di alimenti invenduti ancora idonei al consumo umano.

Prossime tappe

La legge sarà ora firmata dai presidenti del Parlamento e del Consiglio, prima della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Gli Stati membri avranno 20 mesi dall’entrata in vigore per applicare le norme nella legislazione nazionale.

Contesto

Nel luglio 2023, la Commissione ha proposto una revisione delle norme dell’UE sui rifiuti, mirata agli sprechi alimentari e tessili. Ogni anno, nell’UE si generano quasi 60 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (132 kg a persona).




Prosegue la campagna Safe2Eat, Focus sugli Additivi

Per il quinto anno consecutivo, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Ministero della Salute hanno lanciato la campagna di comunicazione Safe2Eat con l’obiettivo di far crescere la fiducia dei consumatori nella sicurezza alimentare nell’ambito dell’UE, informando e sensibilizzando i cittadini italiani, per promuovere la capacità di prendere decisioni informate relative alle scelte alimentari di ogni giorno aumentando la consapevolezza su ciò che avviene nelle fasi di preparazione e conservazione dei cibi e al tempo stesso evidenziando il ruolo fondamentale della scienza e delle direttive formulate dagli esperti dell’EFSA, grazie alle quali il cibo sulle nostre tavole è controllato e sicuro.

Quest’anno la campagna in Italia è partita ad aprile concentrandosi sui focolai di malattie a trasmissione alimentare attribuibili ad alimenti di origine non animale, ovvero vegetale, meglio conosciuti come ANOA, e da settembre prosegue informando sugli additivi alimentari.

 Cosa sono gli ADDITIVI         

Gli additivi alimentari sono sostanze che vengono aggiunte intenzionalmente agli alimenti con uno scopo tecnologico preciso, come migliorare la conservazione, il gusto, l’aspetto o la stabilità del prodotto. Prima di essere autorizzati all’uso, sono sottoposti a una rigorosa valutazione di sicurezza da parte dell’EFSA e successivamente approvati dalla Commissione Europea.

Solo dopo queste verifiche entrano a far parte di una lista ufficiale, chiamata “lista positiva“, che ne consente l’impiego.

Ogni additivo alimentare utilizzato deve essere di grado alimentare con una propria “carta d’identità”, che ne definisce specifiche caratteristiche e requisiti di purezza previsti dai regolamenti europei.

Identificato da una sigla composta dalla lettera “E” seguita da un numero, deve essere sempre indicato in etichetta. Alcuni additivi sono sostanze naturali, come la vitamina C (E 300) e la pectina (E 440), presenti nella frutta, la lecitina contenuta nel tuorlo d’uovo (E 322) o il licopene nei pomodori (E 160d), mentre altri additivi possono derivare da fonti animali, come l’acido carminico (E 120), estratto dagli esemplari di sesso femminile della cocciniglia, o essere sintetizzati chimicamente (ad es. E 123/amaranto, E 160d(i)/licopene sintetico).

Gli additivi si distinguono per funzione: i coloranti (E 100–E 199), i conservanti (E 200–E 299) prolungano la durata degli alimenti, impedendo o rallentando il deterioramento; gli antiossidanti e i correttori di acidità (E 300–E 399) inibiscono, i primi, possibili variazioni da parte dei prodotti alimentari, come ad esempio come l’irrancidimento o le variazioni di colore, i secondi agiscono stabilizzando il grado di acidità e basicità di un prodotto sia ai fini del gusto che della conservazione e aiutano a mantenere il corretto equilibrio acido-base. Esistono additivi, identificati da altre sigle, utilizzati per altre necessità tecnologiche, legate al processo produttivo.

L’uso degli additivi è regolamentato a livello europeo: le norme stabiliscono esattamente quali additivi possono essere utilizzati, in quali alimenti e in quali quantità. In Italia, il rispetto di queste norme viene verificato dal Ministero della Salute attraverso il Piano Nazionale Additivi Alimentari (2020-2024), che prevede controlli ufficiali su circa 1840 campioni l’anno, con una percentuale media di non conformità pari all’1,16%. Questi dati confermano che l’uso degli additivi alimentari è sottoposto a controllo e ne assicura l’uso corretto nel rispetto delle norme per garantire la qualità e la conservazione dei prodotti alimentari (Link)

Gli additivi sono sempre inclusi negli elenchi degli ingredienti degli alimenti in cui sono utilizzati.

Secondo Camilla Smeraldi, tossicologa presso l’EFSA: «Tutti gli additivi alimentari sono sottoposti a valutazione per accertare che possano essere consumati in sicurezza. I consumatori possono essere certi che queste sostanze soddisfano rigorose norme di sicurezza».

Gli aspetti da considerare durante la scelta degli alimenti

In base a un’indagine Ipsos sull’impatto della campagna Safe2Eat 2024, per i consumatori il sapore è al primo posto con il 56 %, seguito dal costo con il 50 % e, successivamente, la durata di conservazione con il 37 %. Tuttavia, le scelte alimentari si stanno evolvendo: il 40 % delle persone coinvolte nella campagna ora tiene attivamente conto della sicurezza alimentare quando fa acquisti, rispetto al 35 % del grande pubblico.

Un aspetto rimane costante: la sicurezza alimentare. Indipendentemente dai fattori che ne influenzano le scelte, gli europei possono fidarsi del fatto che il cibo sulla loro tavola soddisfa alcuni degli standard di sicurezza più elevati al mondo. Grazie al rigoroso sistema di sicurezza alimentare dell’UE, i cittadini sanno da dove proviene il cibo, com’è prodotto e cosa contiene, garantendo così la trasparenza e la sicurezza a ogni pasto.

La campagna Safe2Eat

La campagna Safe2Eat si rivolge al pubblico in generale, da coloro che hanno un elevato livello di consapevolezza e preoccupazioni limitate in merito alla sicurezza alimentare a chi è più preoccupato e meno informato. Lo stile comunicativo è dunque pensato per essere informativo e chiaro, mantenendo al contempo un tono rassicurante, positivo e dinamico.

La campagna, che durerà fino a metà novembre, si rivolge in particolare ai cittadini tra i 18 e i 55 anni, e utilizza un linguaggio semplice, intuitivo e accattivante.

Le attività previste per la promozione della campagna includono ufficio stampa, media partnership, influencer marketing e programmatic advertising.

 Partecipazione

L’ampio ventaglio di iniziative della campagna Safe2Eat si svolge a livello europeo e nazionale nell’arco dell’anno. I consumatori sono invitati a visitare il sito web ufficiale della campagna, prendendo visione dei materiali didattici e interagendo con i contenuti della campagna sui social media utilizzando l’hashtag #Safe2EatEU.




#NoBirdFlu – Stop all’influenza aviaria: una comunicazione chiara per una migliore biosicurezza

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e la Commissione europea hanno collaborato per pubblicare un nuovo pacchetto di strumenti di comunicazione, concepito per aiutare gli agricoltori e tutti coloro che entrano in contatto con le aziende agricole a proteggere il pollame, gli altri animali e le persone dall’influenza aviaria.

Il pacchetto di strumenti #NoBirdFlu, reso disponibile in concomitanza con l’inizio della nuova stagione migratoria in Europa, mira a sensibilizzare all’importanza di attuare semplici misure di biosicurezza, in particolare nelle aziende agricole di piccole e medie dimensioni. Adottando tali misure, gli agricoltori contribuiranno a proteggere la salute pubblica e quella degli animali, a garantire la stabilità della produzione alimentare e a ridurre al minimo le perturbazioni degli scambi commerciali.

«L’avvio di #NoBirdFlu evidenzia come la preparazione di oggi possa prevenire le crisi di domani», ha dichiarato Nikolaus Kriz, direttore esecutivo dell’EFSA. «Lavorando insieme possiamo proteggere i nostri animali, garantire la sicurezza dei sistemi alimentari e rafforzare la resilienza contro le future minacce per la salute. L’EFSA è impegnata a fornire la consulenza scientifica necessaria per tenere l’influenza aviaria lontana dalle aziende agricole europee».

«Con l’avvicinarsi dell’inverno e l’aumento del rischio di influenza aviaria, ognuno deve fare la propria parte per prevenire nuovi focolai. Semplici precauzioni da parte di agricoltori, operai e piccoli allevatori, nonché di veterinari e visitatori delle aziende agricole, possono fare la differenza nel limitare la diffusione di questa grave malattia. Questa campagna fornisce indicazioni pratiche per aiutare a proteggere gli allevamenti e salvaguardare il settore avicolo europeo», ha dichiarato Claire Bury, direttrice generale aggiunta per la Sostenibilità alimentare presso la Commissione europea.

Il pacchetto di strumenti comprende diversi materiali di comunicazione, tradotti in tutte le lingue dell’UE, utili agli agricoltori per prevenire l’insorgere e la diffusione dell’influenza aviaria nelle loro aziende agricole.

Caratteristiche principali

  • Infografica dettagliata contenente indicazioni in materia di igiene, dispositivi di protezione e gestione degli spostamenti per agricoltori, animali, attrezzi, operai e visitatori.
  • Poster recanti promemoria visivi delle azioni chiave da integrare nelle routine quotidiane.
  • Contenuti pronti per l’uso (adesivi, post) destinati ai social media per raggiungere le comunità agricole e non solo.

Perché proprio ora?

I focolai d’influenza aviaria possono devastare le popolazioni avicole, perturbare le catene di approvvigionamento e nuocere ai mezzi di sussistenza degli agricoltori, oltre ad avere un impatto sulla salute pubblica. I casi d’influenza aviaria in Europa aumentano generalmente durante i mesi invernali, quando i volatili migratori viaggiano e si raggruppano nel continente, e le misure proattive sono fondamentali per evitare che il virus giunga o si diffonda nelle aziende agricole. Ogni persona che interagisce con un’azienda agricola, sia essa un operaio, un fornitore o un visitatore, contribuisce a garantire la sicurezza dei capi avicoli.

Il pacchetto di strumenti è il frutto di un’azione congiunta con la Commissione europea, che rispecchia l’impegno comune a prevenire i focolai prima che si manifestino e ad assicurare la sostenibilità del settore avicolo dell’UE.

Fasi successive

La Commissione europea ha chiesto all’EFSA di condurre ricerche sulla percezione del rischio che hanno gli agricoltori, i veterinari e gli operai agricoli in Europa in relazione all’influenza aviaria, al fine di comprendere come meglio adattare le future campagne di sensibilizzazione. Questi dati serviranno da base per un’iniziativa di più ampio respiro al livello dell’UE nel 2026, volta a rafforzare i piani di preparazione contro l’influenza aviaria e a contribuire a ridurre il rischio di future pandemie.

Come partecipare

Sostieni la diffusione di queste risorse! Condividendo messaggi chiari e coerenti sul miglioramento della biosicurezza nelle aziende agricole, i portatori di interesse e i partner negli Stati membri e oltre questi territori possono svolgere un ruolo cruciale nel fermare la diffusione dell’influenza aviaria in Europa. Scarica subito il pacchetto di strumenti e unisciti a noi dicendo #NoBirdFlu.

 Fonte: EFSA



Influenza aviaria, il ruolo delle specie “ponte” nella trasmissione del virus dai selvatici al pollame

AvicoliAironi, garzette, gallinelle d’acqua e fagiani comuni potrebbero rappresentare anelli importanti nella catena di trasmissione del virus dell’influenza aviaria dagli uccelli selvatici al pollame allevato nel Nord Italia, svolgendo il ruolo di “ospiti ponte” tra le aree umide frequentate dalle specie in cui il virus si mantiene (come germani reali e gabbiani) e gli allevamenti avicoli.

È quanto emerge da uno studio di eco-epidemiologia realizzato dal Laboratorio di epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), pubblicato di recente sulla rivista scientifica Transboundary and Emerging Disease. Lo studio ha confrontato la distribuzione geografica dei focolai in allevamenti avicoli registrati nel Nord Italia (Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto) durante l’epidemia di influenza aviaria del 2017/2018, con quella di 40 specie di uccelli selvatici presenti sullo stesso territorio, identificate da una ricerca svolta nel 2019 tramite fototrappole installate nei pressi di 10 allevamenti.

Uno studio IZSVe ha confrontato la distribuzione geografica dei focolai in allevamenti avicoli registrati nel Nord Italia durante l’epidemia di influenza aviaria del 2017/2018, con quella di 40 specie di uccelli selvatici presenti sullo stesso territorio. Il cluster comprendente la maggior parte delle specie osservate – appartenenti alla famiglia degli ardeidi (aironi e garzette), assieme alla gallinella d’acqua e al fagiano comune – mostra una maggiore associazione con la distribuzione dei focolai domestici. Queste specie potrebbero rappresentare un “ponte” tra le aree umide frequentate dalle specie in cui il virus si mantiene (come germani reali e gabbiani) e gli allevamenti avicoli.

Basandosi sui dati di rilevamento relativi alle specie e al territorio considerati disponibili nella libreria online eBird, oltre che su ulteriori variabili ambientali e bioclimatiche, sono stati sviluppati dei modelli di distribuzione spaziale per ciascuna specie. Data la numerosità delle specie, queste sono state raggruppate in 7 cluster diversi in base alla somiglianza della loro distribuzione, che si allineava anche con la loro affinità ecologica e tassonomica. L’associazione tra la distribuzione dei focolai e quella delle specie selvatiche è stata quindi analizzata tramite un approccio che ha combinato diverse metodiche, includendo sia tecniche statistiche classiche sia approcci di machine learning.

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Fonte: IZS Venezie




Nanoplastiche, quando il piccolo non è così bello

microplasticheQualcuno certamente ricorda Piccolo è bello (il sottotitolo era Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa). Pubblicato nel 1973, un anno dopo I limiti della crescita del Club di Roma e nel mezzo della crisi petrolifera, era una raccolta di saggi che anticipava molti temi ambientalisti dei decenni successivi. Il titolo è rimasto il simbolo di un’economia attenta all’ambiente e ai limiti posti dal rispetto della natura.

L’autore, Ernst Friedrich Schumacher, non poteva sapere che mezzo secolo dopo il piccolo, impersonato dalle nanoplastiche, avrebbe rappresentato uno dei più gravi pericoli per l’ambiente e la salute.

Mi riferisco alle nanoplastiche, che risultano dal decomporsi con il tempo della microplastica, i frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm in lunghezza (più piccoli di un chicco di riso). Le nanoplastiche hanno la dimensione di un micrometro (un milionesimo di metro) e sono visibili solo con appositi strumenti di precisione.

Già l’anno scorso era stato lanciato un allarme da ricercatori della Columbia University per la presenza di grandi quantità di nanoplastiche nelle bottiglie in plastica di acqua minerale: mediamente una bottiglia conteneva 240.000 piccoli frammenti di sette diversi tipi di plastica, il 9% costituito da nanoplastiche (l’argomento è stato ripreso da Ilaria Broglio in un articolo pubblicato oltre un anno dopo, Perché non dovresti più bere acqua in bottiglia: scatta l’allarme, 23 marzo 2025).

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Fonte: scienzainrete.it




Tagliare o non tagliare la coda ai maiali? Una scelta etica con risvolti economici

Ormai da diversi anni la Commissione Europea raccomanda a tutti gli stati Membri di ridurre la pratica del taglio routinario della coda (caudectomia) nei suinetti. Tale pratica viene utilizzata per prevenire i fenomeni di morsicatura, che potrebbero invece essere ridotti attraverso il miglioramento delle condizioni di allevamento. Per questo motivo l’allevamento di suini con coda integra rappresenta un indicatore indiretto di benessere animale.

In risposta al richiamo e alla crescente sensibilità dei consumatori, gruppi di allevatori hanno iniziato volontariamente il percorso attraverso adeguamenti manageriali e strutturali e la graduale introduzione di gruppi di animali a coda integra. Inoltre, dal 2019 è entrato in vigore un Piano nazionale obbligatorio del Ministero della Salute per il progressivo abbandono della pratica della caudectomia.

Lo studio IZSVe

Ricercatori IZSVe hanno effettuato un’analisi retrospettiva su un campione di 22 allevamenti di una stessa filiera che dal 2015 al 2022 avevano volontariamente intrapreso il percorso di abbandono del taglio della coda (caudectomia) nei suinetti. Il processo ha seguito tre fasi: 1) 100% di suini con coda tagliata; 2) fino al 50% di suini a coda integra; 3) 100% di suini a coda integra. L’analisi ha rivelato che il passaggio dalla fase 1 alla fase 2 è avvenuto con successo, mentre quello alla fase 3 ha aumentato mortalità e lesioni al macello, e ridotto gli indici di conversione alimentare. Lo studio rimarca la complessità nella gestione efficace di suini non caudectomizzati.

In un recente studio pubblicato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) sulla rivista Animals, in collaborazione con l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, l’Università di Padova (Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali – TESAF) e l’Università di Torino (Dipartimento di Scienze veterinarie), i ricercatori hanno effettuato un’analisi retrospettiva su un campione di 22 allevamenti di una stessa filiera (4 svezzamenti e 18 ingrassi), che dal 2015 al 2022 avevano volontariamente intrapreso il percorso di abbandono del taglio coda in tre fasi:

  • Fase 1: 100% di suini con coda tagliata
  • Fase 2: fino al 50% di suini a coda integra
  • Fase 3: 100% di suini a coda integra

Nel corso delle fasi sono stati raccolti dati relativi a:

  • Produttività: mortalità, indice di conversione alimentare, incremento medio giornaliero
  • Costi: mangime, farmaci, suinetti, manodopera, consulenze veterinarie, strutture, management
  • Consumo di farmaci: somministrazione di antibiotici e antinfiammatori
  • Registrazione della frequenza di lesioni della coda al macello

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Fonte: IZS Venezie




Aggiornato l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale

Lo scorso 17 luglio è stato pubblicato il regolamento di esecuzione (UE) n. 2025/1422, che porta a 29 (su 48) le specie vegetali segnalate in Italia
È sempre più difficile parlare di biodiversità vegetale, poiché nella nostra epoca moltissime persone hanno ormai perso il contatto con la natura e tendono a vedere le piante come un generico e anonimo oggetto di arredo o “sfondo verde” davanti al quale svolgere le proprie attività quotidiane. Questo fenomeno è ben noto ed è stato definito “cecità alle piante”. Nonostante ciò, interessarsi, conoscere e proteggere la biodiversità vegetale è fondamentale, poiché è proprio dalle piante che dipende la vita sulla terra per come oggi la conosciamo. Stime recenti indicano che oltre l’80% della biomassa di ambienti emersi sul nostro pianeta sia costituita da piante, che in quanto produttori primari sono alla base di tutte le catene alimentari, inclusa ovviamente la nostra specie Homo sapiens Linnaeus, 1758.

Assieme al consumo di suolo e al cambiamento climatico, uno dei principali problemi che nell’ultimo secolo stanno mettendo a rischio la biodiversità delle piante è il fenomeno delle invasioni biologiche: la presenza, cioè, di specie introdotte – consapevolmente o inconsapevolmente – dall’uomo al di fuori del loro areale naturale. Normalmente, le piante sono introdotte in coltivazione in un determinato territorio per essere utilizzate come ornamento o alimento. Può succedere che alcune di queste specie aliene (definibili anche alloctone o esotiche) inizino a sfuggire alla coltivazione (aliene casuali) e che, col tempo, acquisiscano la capacità di autosostenersi e riprodursi autonomamente senza l’intervento dell’uomo (aliene naturalizzate). Una porzione di queste specie può trovarsi talmente bene in un territorio da iniziare a diffondersi in modo incontrollato, andando a sottrarre spazio alle specie native (definibili anche autoctone) presenti nello stesso territorio con dinamiche naturali, o addirittura a sostituirle completamente. Si parla in questo caso di specie aliene invasive.

Il problema è ben documentato dalla comunità scientifica a livello globale. Recentemente, l’Unione Europea ha preso coscienza degli enormi rischi connessi con le invasioni biologiche, emanando una serie di regolamenti con elenchi – periodicamente aggiornati – di specie animali e vegetali da non detenere, da non commercializzare, da monitorare in caso di rinvenimento in natura e da eradicare precocemente ove possibile, secondo il Regolamento europeo UE 1143/2014 e successivi Regolamenti di esecuzione UE 2016/1141, 2017/1263, 2019/1262, 2022/1203 e 2025/1422, l’ultimo dei quali pubblicato lo scorso 17 luglio 2025. Tale regolamento è stato recepito dallo Stato italiano, che ha delegato alle Regioni la piena responsabilità della corretta gestione di questi organismi.

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Fonte: www.georgofili.info




Il 40% delle malattie di origine alimentare si verifica nella cucina di casa, dall’Iss un questionario per saperne di più

issSi chiama “Mangia sicuro!” ed è rivolto a tutti, per testare le conoscenze sulla sicurezza alimentare casalinga

Oltre il 40% delle malattie legate al consumo di alimenti nel mondo si verifica in ambito domestico, ma questo dato è fortemente sottostimato a causa della mancanza di segnalazioni di focolai domestici Un luogo che si tende a considerare sicuro ma che può nascondere delle sorprese. Conoscere in maniera approfondita le regole di conservazione e preparazione dei cibi aiuta a ridurre il rischio. Per questo l’istituto Superiore di Sanità lancia oggi un questionario diretto a tutti, “Mangia Sicuro!”, che consente di colmare i gap e consumare i cibi in sicurezza.

Entro l’8 ottobre in 15 minuti si potranno testare le proprie conoscenze e alla fine si riceveranno risposte corrette, consigli utili e spunti pratici che aiuteranno a confutare alcune abitudini e credenze ancora diffuse, ad esempio su come trattare la carne cruda o l’insalata in busta.

“Le risposte – sottolinea Antonella Maugliani, ricercatrice Iss e referente scientifica del progetto- ci aiuteranno a migliorare le informazioni rivolte ai cittadini su comportamenti alimentari sicuri: dalla spesa, alla conservazione, fino alla preparazione dei cibi. Il contributo delle persone che sceglieranno di compilarlo è importante per rendere la comunicazione più vicina ai reali bisogni e promuovere la salute di tutti”.

Il questionario fa parte del progetto Iss ‘SAC’ (acronimo di Sicurezza Alimentare Casalinga), partito ad aprile 2024 e che avrà una durata di due anni. È coordinato dal Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria (SANV) e coinvolge un gruppo multidisciplinare dell’Iss con esperti in vari settori.

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Fonte: ISS