Bando EFSA per la presentazione di proposte: ausili ai sistemi di sicurezza alimentare del futuro

logo-efsaLa Commissione europea ha pubblicato un bando per lo sviluppo di una piattaforma per la ricerca e l’innovazione in ambito di sicurezza alimentare. Scopo della piattaforma è quello di rendere più facile a enti nazionali di sicurezza alimentare, agenzie UE, politici, comunità scientifica e società civile coordinare le azioni per la ricerca. Termine ultimo per l’inoltro delle proposte è il 22 gennaio 2020.

Individuare le priorità di ricerca in materia di sicurezza alimentare è cruciale per l’EFSA e intendiamo contribuirvi attivamente. Il nostro recente rapporto sulle “esigenze di ricerca finalizzata alla regolamentazione della sicurezza alimentare 2030” illustra quali sono le priorità della ricerca per i prossimi 10 anni“, ha dichiarato Marta Hugas, direttore scientifico EFSA. Nella pubblicazione dell’EFSA si illustrano le modalità con cui la ricerca può stimolare l’innovazione, come la scienza possa essere comunicata efficacemente alla società e come garantire cibi privi di rischi a una popolazione mondiale in aumento.

I principali esiti del progetto della Commissione europea saranno mirati ai programmi di ricerca transnazionali, all’allineamento tra i programmi di ricerca nazionali e quelli europei, nonché alla creazione di un piano programmatico per la ricerca e l’innovazione in materia di sicurezza alimentare (SRIA) onde far fronte alle aspettative dei consumatori, alle tecnologie emergenti e alle priorità politiche.

La piattaforma comprenderà informazioni sulla ricerca in materia di sicurezza alimentare e migliorerà l’omogeneità tra i finanziamenti nazionali e quelli europei alla ricerca in ambito di sicurezza alimentare. Agevolerà inoltre nuove modalità per la comunicazione in materia di sicurezza alimentare.

Fonte: EFSA




Indagine FVE sui veterinari ufficiali: benessere e soddisfazione lavorativa

Il gruppo di lavoro sulla sicurezza alimentare e la sezione EASVO di FVE – Federazione dei Veterinari Europei hanno lanciato un indagine per acquisire, in forma anonima, informazioni relative alla vita lavorativa, alla retribuzione, alla soddisfazione e al benessere dei veterinari ufficiali impiegati dalle autorità competenti.

I risultati, che verranno analizzati sia a livello delle singole nazioni che a livello UE , confluiranno in una relazione generale che presenterà informazioni specifiche sul benessere dei veterinari che lavorano per il governo, come sottoinsieme distinto della professione veterinaria.

E’ possibile compilare il questionario, in lingua inglese composto da 16 domande a risposta chiusa e 1 aperta facoltativa, fino al 30 novembre 2019




Spreco alimentare: i numeri dell’indagine del CREA

Cosa e quanto sprechiamo a tavola? E’ possibile fare un identikit degli “spreconi”? E come agire per prevenire efficacemente lo spreco? Di questo si è discusso in occasione della II edizione della giornata della nutrizione “Nutrinformarsi: lo spreco nel piatto” organizzata dal CREA Alimenti e Nutrizione, presso cui è istituito l’Osservatorio sulle eccedenze, recuperi e sprechi alimentari, che realizza studi scientifici, diffonde informazioni e dati e promuove buone pratiche sulla generazione di eccedenze alimentari e sul loro recupero, allo scopo di stimolare innovazione nelle strategie, nelle politiche e nei comportamenti dei cittadini.

In questo ambito, l’Osservatorio sulle eccedenze, recuperi e sprechi alimentari del CREA ha realizzato la prima indagine comparativa, con dati armonizzati, provenienti da diversi paesi europei (Olanda, Spagna, Germania e Ungheria).

Lo studio, effettuato nel 2018, ha interessato 1.142 famiglie rappresentative della popolazione italiana, coinvolgendo i responsabili degli acquisti alimentari e della preparazione dei pasti. Ne è emerso che il 77% delle famiglie intervistate ha gettato via del cibo nella settimana precedente all’indagine, percentuale che si riduce con l’aumentare dell’età del responsabile acquisti, con il diminuire del reddito e in famiglie che vivono al sud e isole.

Lo spreco maggiore si è riscontrato nelle famiglie monocomponenti e nei segmenti di età più giovane.

I prodotti alimentari più sprecati sono verdura, frutta fresca e pane, seguiti da pasta, patate, uova, budini, derivati del latte (yogurt, formaggi), per un totale in media di 370 g/settimana/famiglia.

Il dato italiano sullo spreco alimentare è allineato con quello olandese (365 g/settimana) e molto inferiore a quello spagnolo (534 g/settimana), tedesco (534g/settimana) e ungherese (464 g/settimana).

Sempre secondo l’indagine CREA, la crescente attenzione nei confronti del tema dello spreco è, inoltre, ampiamente diffusa in Italia, al punto che più della metà del campione intervistato condanna fermamente la pratica di gettare via il cibo, riconoscendone l’impatto negativo e le ricadute in diversi ambiti: economico (70%), sociale (conseguenze su disponibilità di cibo nel mondo, 59%) e ambientale (55%).

Le famiglie italiane, infine, si dichiarano capaci di gestire le attività in cucina, fattore di rilevante prevenzione: circa due terzi degli intervistati, infatti, dichiara di pianificare gli acquisti e di non fare acquisti di impulso, meno di un quinto afferma di non saper riutilizzare gli avanzi o pianificare le giuste quantità di alimenti da acquistare e solo il 5% sostiene di non finire quello che c’è nel piatto e di non conservare gli avanzi. Tuttaviasolo il 42% decide in anticipo i menù settimanali.

«Quello a cui siamo assistendo–ha dichiarato LauraRossi, coordinatore dell’Osservatorio e ricercatrice del CREA Alimenti e Nutrizione –è un vero e proprio cambio di passo per lo spreco alimentare, inteso come tassello fondamentale dello sviluppo sostenibile. Dalle istituzioni internazionali e nazionali, dagli operatori economici e sociali, dai banchi alimentari e perfino da semplici cittadini, che ridistribuiscono a livello territoriale le eccedenze alimentari agli indigenti, arrivano segnaliforti di una crescente sensibilità su questi temi: normative specifiche, progetti educativi mirati e nuove modalità di gestione dei prodotti alimentari sia nelle aziende che a casa».

«L’Osservatorio su sprechi alimentari e recupero delle eccedenze è un tassello strategico per il buon funzionamento della legge antisprechi e per poter pianificare di conseguenza politiche di ampio respiro» ha spiegato l’On. Maria Chiara Gadda, Capogruppo di Italia Viva in Commissione Agricoltura Camera e prima firmataria della legge 166/2016.

«Ad oggi ci siamo dovuti confrontare con analisi e numeri parziali, mentre per agire in modo mirato sugli anelli della filiera più fragili è necessario monitorare il fenomeno in modo oggettivo. L’osservatorio del CREA sarà un punto di riferimento per il lavoro del Tavolo sulla lotta agli sprechi e sugli aiuti alimentari per le persone indigenti, che la scorsa settimana ha avuto nuovo avvio grazie alla ministra Bellanova. Ringrazio il CREA che oggi, con la presentazione della sua prima indagine, ha confermato che l’Italia è all’avanguardia in Europa su questi temi».

Tutti i materiali relativi all’indagine sono disponibili qui




Fao: necessario un grosso passo avanti nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari

FAOIl nuovo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) offre approfondimenti sulle quantità e sulle cause delle perdite alimentari nelle diverse fasi della filiera alimentare, sollecitando scelte consapevoli per la loro effettiva riduzione e segnalando nuove metodologie per monitorarne i progressi.

In questo modo, afferma il rapporto, non solo sarà possibile compiere passi avanti verso un traguardo importante – ridurre le perdite e gli sprechi alimentari – ma anche contribuire a una serie di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile relativi alla sicurezza alimentare e alla sostenibilità ambientale.

Secondo Lo Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2019 (SOFA), a livello globale circa il 14% degli alimenti va perso o sprecato dopo il raccolto e ancor prima di arrivare alla vendita al dettaglio, nel corso delle operazioni svolte nelle aziende agricole, in fase di stoccaggio e durante il trasporto. Va tenuto conto, però, che le perdite alimentari variano notevolmente da una regione all’altra tra i medesimi gruppi di materie prime e le medesime fasi delle filiere di approvvigionamento.

Il rapporto sottolinea la necessità di monitorare attentamente le perdite in ogni fase della filiera alimentare, proponendo una nuova metodologia affinché sia possibile individuare i punti critici in cui raggiungono il picco massimo, con i peggiori effetti sulla sicurezza alimentare e le maggiori dimensioni economiche: è qui che vanno prese misure adeguate per ridurle.

Indica inoltre quanto sia importante, nelle fasi di vendita al dettaglio e di consumo, ridurre gli sprechi causati dalle date di scadenza ravvicinate, dal comportamento dei consumatori – che spesso richiedono prodotti che soddisfano standard puramente estetici – e dagli sporadici inviti a non sprecare.

Facciamo il possibile per cercare di ridurre le perdite e gli sprechi alimentari, ma i nostri sforzi possono essere realmente efficaci solo se sostenuti da una profonda comprensione del problema“, afferma il Direttore Generale della FAO Qu Dongyu nella prefazione del rapporto. Si è chiesto: “come possiamo consentire che il cibo venga gettato via mentre ogni giorno nel mondo oltre 820 milioni di persone continuano a soffrire la fame”?

Individuare i punti critici per intervenire in modo mirato
I dati presentati nel rapporto mostrano un’ampia gamma di percentuali su perdite e sprechi, suddivisi per materie prime, fasi della filiera di approvvigionamento e regioni, il che indicherebbe un notevole potenziale di riduzione laddove le percentuali sono più alte.

In Asia orientale e sudorientale le perdite e gli sprechi sono generalmente più elevati per la frutta e la verdura rispetto ai cereali e ai legumi in tutte le fasi della filiera alimentare, ad eccezione delle perdite produttive delle aziende agricole e in fase di trasporto.

Nei paesi a basso reddito, le perdite di frutta e verdura fresca sono attribuite principalmente a infrastrutture carenti rispetto ai paesi industrializzati. Molti paesi a basso reddito perdono infatti notevoli quantità di alimenti durante la fase di stoccaggio, spesso a causa di strutture inadeguate, magazzini frigoriferi compresi.

Nella maggior parte dei paesi ad alto reddito sono disponibili adeguate strutture di stoccaggio e magazzini frigoriferi, tuttavia le perdite avvengono proprio durante lo stoccaggio, generalmente a causa di guasti tecnici, errata gestione delle temperature, dell’umidità o di un eccesso di scorte.

Il rapporto rivela inoltre i risultati di una serie di studi svolti dalla FAO per individuare i punti critici. I risultati indicano che il raccolto è la fase più critica per tutti i tipi di alimenti. Tra le cause principali delle perdite in fase di stoccaggio nelle aziende agricole troviamo inoltre l’inadeguatezza delle strutture e delle pratiche di movimentazione. Per frutta, radici e tuberi, anche il confezionamento e il trasporto sembrano essere critici.

Questi risultati sono utili in quanto forniscono indicazioni per determinare gli interventi più idonei per la riduzione delle perdite alimentari.

Scelta degli incentivi corretti
Il rapporto sollecita i paesi a intensificare gli sforzi per affrontare le cause profonde delle perdite e degli sprechi alimentari in tutte le fasi e fornisce indicazioni sulle strategie e sugli interventi per ridurli.

La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari comporta generalmente dei costi e agricoltori, fornitori e consumatori adotteranno le misure necessarie solo se i costi saranno compensati dai benefici. Pertanto, afferma il rapporto, modificare gli incentivi per le varie parti interessate nella filiera di approvvigionamento comporterà l’individuazione di opzioni che aumentino i vantaggi netti o che producano dati migliori sugli stessi.

Anche quando le parti interessate sono consapevoli dei vantaggi della riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari, possono incontrare ostacoli che impediscono loro di intervenire. Senza aiuti finanziari, per esempio, gli attori del settore privato nei paesi in via di sviluppo, in particolare i piccoli proprietari, potrebbero non essere in grado di sostenere gli alti costi iniziali previsti dall’implementazione degli interventi. Migliorare l’accesso al credito potrebbe essere un’opzione anche in mancanza di dati precisi sulle perdite.

Il rapporto aiuterà inoltre i governi ad analizzare i limiti e i compromessi per interventi più efficaci, per esempio sensibilizzando fornitori e consumatori sui vantaggi della riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e influenzando il loro processo decisionale attraverso vari tipi di interventi o politiche.

Il rapporto sottolinea tuttavia che le strategie mirate alla riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari dovrebbero essere concrete e prevedere monitoraggio e valutazione degli interventi efficaci per garantire l’affidabilità degli stessi.

Fonte:Fao




Istituito il Centro di referenza nazionale per l’analisi e studio di correlazione tra ambiente, animale e uomo

uomo, animale, ambienteE pubblicato sull Gazzetta Ufficiale del 26 agosto 2018 il decreto del Ministero della Salute “Istituzione del Centro di referenza nazionale per l’analisi e studio di correlazione tra ambiente, animale e uomo“.

Il Ministero ha deciso di implementare le attivita’ di ricerca e di monitoraggio di determinati fenomeni di inquinamento attraverso la valutazione degli effetti sulla salute animale e sulle produzioni agrozootecniche, al fine di definire azioni di prevenzione e di elaborare strategie atte alla riduzione del rischio sanitario dovuto all’esposizione ambientale in un’ottica «One health» e ha individuato l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno quale struttura di supporto tecnico scientifico alle attivita’ delle autorita’ sanitarie competenti, per la gestione di eventi potenzialmente emergenziali relativi all’ambiente, in considerazione anche delle attivita’ svolte nella gestione dell’emergenza della cosiddetta «Terra dei Fuochi» e dell’emergenza legata alla contaminazione da diossine.

Secondo quanto stabilito dal decreto, il centro di referenza:

  • realizza un sistema strutturato e permanente di referenti all’interno dei singoli istituti zooprofilattici sperimentali ai fini del coordinamento delle attivita’ che saranno poste in essere sul territorio nazionale;
  • fornisce assistenza tecnico-scientifica al Ministero della salute;
  • cura l’organizzazione di corsi di formazione, nell’ambito delle proprie competenze, per il personale del Servizio sanitario nazionale e per altri operatori di enti competenti;
  • promuove e svolge attivita’ di programmazione, ricerca scientifica, risk-assessment, di sorveglianza e analisi epidemiologica volte ad evidenziare le interazioni tra i contaminanti e le matrici alimentari di competenza ed a sviluppare delle strategie di intervento mirate;
  • mette in atto ogni altra utile attivita’ attinente alle proprie competenze, ivi compresa la collaborazione con altre amministrazioni, centri ed associazioni del settore.

A cura della segreteria SIMeVeP




Giornata europea degli antibiotici: i dati dell’ISS sull’antibioticoresistenza in Italia

antibioticoresistenzaIn Italia, nel 2018, le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) si mantengono più alte rispetto alla media europea, pur nell’ambito di un trend in calo rispetto agli anni precedenti.

Inoltre, gli oltre 2.000 casi diagnosticati nel 2018 – anche questo un dato costante – di infezioni nel sangue causate da enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), ovvero di enzimi che distruggono i carbapenemi (una classe di antibiotici ad ampio spettro) evidenziano la larga diffusione nel nostro Paese di tali batteriemie. Sono questi i dati aggiornati, pubblicati in vista dell’imminente European Antibiotic Awareness Day (18 novembre 2019) e della World Antibiotic Awareness Week (18–24 novembre 2019), della Sorveglianza Nazionale dell’antibiotico-resistenza (AR-ISS) e della Sorveglianza delle CPE, coordinate entrambe dall’Istituto Superiore di Sanità.

“Purtroppo, il nostro Paese detiene il triste primato, nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza – dichiara Annalisa Pantosti, Responsabile della Sorveglianza AR-ISS – Infatti, dei 33.000 decessi che avvengono in Europa ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 succedono in Italia”.

Gli ultimi dati disponibili – continua l’esperta – mostrano che i livelli di antibiotico-resistenza e di multi-resistenza delle specie batteriche sotto sorveglianza sono ancora molto alti, nonostante gli sforzi notevoli messi in campo finora, come la promozione di un uso appropriato degli antibiotici e di interventi per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria. In questo contesto, il “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020”, rappresenta un’occasione per migliorare e rendere più incisive le attività di contrasto del fenomeno a livello nazionale, regionale e locale”.

Patogeni super resistenti

Le percentuali di resistenza alle cefalosporine di terza generazione (29%) e ai fluorochinoloni (42%) in Escherichia coli si sono confermate di gran lunga maggiori rispetto alla media europea, anche se in leggero calo rispetto agli ultimi anni.

Si è osservata una diminuzione significativa nella percentuale di isolati di Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi, che sono passati dal 37% nel 2016 al 30% nel 2018, mentre per E. coli, anche se il valore si è confermato molto basso (0,6%), è risultato in leggero aumento rispetto agli anni precedenti. La resistenza ai carbapenemi è risultata frequente, anche se in diminuzione, nelle specie Pseudomonas aeruginosa (16%) e Acinetobacter (82%).

Per Staphylococcus aureus, la percentuale di isolati resistenti alla meticillina (MRSA) si è mantenuta stabile intorno al 34%, mentre incrementi significativi si sono riscontrati nella percentuale di isolati di Enterococcus faecium resistenti alla vancomicina, passata dal 6% nel 2012 al 19% nel 2018. Per Streptococcus pneumoniae si è osservata una tendenza alla diminuzione sia per la percentuale di isolati resistenti alla penicillina che per quelli resistenti all’eritromicina.

Le batteriemie

Secondo i dati della Sorveglianza Nazionale dedicata alle batteriemie causate da Enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), gli oltre 2.000 casi diagnosticati e segnalati nel 2018 evidenziano la larga diffusione in Italia delle CPE, soprattutto in pazienti ospedalizzati. In particolare:

  • nel periodo 2016-2018, l’incidenza dei casi segnalati è costante;
  • l’Italia centrale è l’area con maggiore incidenza di casi segnalati ed è l’unica ad aver mostrato un aumento del tasso di incidenza rispetto al 2017: 4,4 casi su 100.000 residenti (nel 2017 erano 3,8 su 100.000), seguita dal Sud e dalle Isole (3,1 su 100.000 residenti) e dal Nord (2,8 su 100.000 residenti). Nel Centro, la Regione con la più alta incidenza è il Lazio (5,9 su 100.000 residenti), nel Sud e Isole la Puglia (6 su 100.000 residenti) e nel Nord l’Emilia-Romagna (5,2 su 100.000 residenti).
  • i soggetti maggiormente coinvolti sono maschi (65,2%), in una fascia di età compresa tra 60 e 79 anni (48,5%), ospedalizzati (86,1%) e, tra questi, la maggioranza si trova nei reparti di terapia intensiva (38,3%);
  • il patogeno maggiormente diffuso è Klebsiella pneumoniae (97,7%) con enzima KPC (Klebsiella pneumoniae carbapenemasi); a fine 2018, si osserva però un aumento di altri enzimi, in particolare NDM (New Delhi metallo beta lattamasi).

 La Sorveglianza AR-ISS

Hanno partecipato alla Sorveglianza Nazionale AR-ISS 98 laboratori distribuiti su tutto il territorio nazionale (erano 55 nel 2017). Rispetto all’anno precedente è aumentata la copertura nazionale (dal 21% al 36%).

Dai dati di copertura per Regione, emerge che la Sicilia è l’unica ad avere una copertura ancora molto bassa. Sei Regioni (Valle d’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania) e le Province Autonome di Bolzano e Trento hanno partecipato alla sorveglianza con le proprie reti regionali.

Il 99% dei patogeni è stato ottenuto da sangue e l’1% da liquor. Nella maggiore parte degli isolati è stato isolato E. coli (38,3%), seguito da S. aureus (19,9%), K. pneumoniae (13,7%), E. faecalis (9,7%), P. aeruginosa (7,1%), E. faecium (5,4%), Acinetobacter spp. (3,2%) e S. pneumoniae (2,7%).

La Sorveglianza delle CPE

La Sorveglianza delle batteriemie da enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), istituita nel 2013, raccoglie e analizza le segnalazioni dei casi di batteriemie da K. pneumoniae ed E. coli resistenti ai carbapenemi e/o produttori di carbapenemasi da tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di monitorare la diffusione e l’evoluzione di queste infezioni e sviluppare strategie di contenimento adeguate. I dati analizzati si basano sulle segnalazioni anonime e individuali inviate dagli Ospedali/Aziende ospedaliere e dalle Unità sanitarie locali al Ministero della Salute e all’ISS, dove vengono raccolte, registrate in un database dedicato e analizzate dal Dipartimento Malattie Infettive dell’ISS.

Nel 2018 sono state inviate segnalazioni da 19 Regioni/Province Autonome. Non hanno segnalato casi il Molise e la Basilicata che, insieme alla Valle d’Aosta, non avevano segnalato casi neanche nel 2017. Complessivamente le segnalazioni sono giunte da 209 Ospedali/Aziende sanitarie/Unità sanitarie locali.

Fonte: ISS




Microplastiche: brevettato a Catania brevetto per quantificarle

Microplastiche al microscopio

Microplastiche al microscopio

Da oggi sarà possibile, per la prima volta al mondo, determinare e quantificare le microplastiche inferiori a 10 micrometri con una elevata sensibilità.

L’invenzione, già brevettata in Italia, frutto della ricerca dal titolo “Metodo per l’estrazione e la determinazione di microplastiche in campioni a matrici organiche e inorganiche”, porta la firma del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti dell’Università di Catania.

La ricerca – già pubblicata su riviste scientifiche internazionali come la prestigiosa “Water Research” (Elsevier) e presentata in diversi congressi internazionali – è stata condotta dal direttore del LIAA Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti, prof.ssa Margherita Ferrante, dalla ricercatrice prof.ssa Gea Oliveri Conti e dal PhD Pietro Zuccarello.

L’originalità e l’inventività di questa metodologia – che permette la reale quantificazione delle microplastiche inferiori a 10 micron fino alle nano per quasi tutte le tipologie di plastica – è stata accettata per tutte e dieci le rivendicazioni depositate nella domanda di brevetto. Le attuali metodologie pubblicate in ambito internazionale, infatti, come ad esempio la tecnica µFTIR e µRAMAN mostrano numerose limitazioni nell’identificazione e determinazione delle particelle plastiche inferiori ai 10 micrometri. Prima di questa invenzione tutte le metodologie di estrazione di microplastiche ad oggi internazionalmente accettate prevedono un processo di filtrazione per la raccolta delle microparticelle e microfibre plastiche. Un processo selettivo dimensionale, quello adottato fino ad oggi, che però non consentiva di riconoscere le particelle con diametro inferiore al poro del filtro utilizzato con conseguente perdita irrimediabile delle micro- e nanoplastiche.
L’Università di Catania, inoltre, nel marzo scorso ha depositato la domanda di estensione del Brevetto Internazionale (PCT/IB2019/051838) al fine di proteggere l’invenzione in moltissimi paesi tra cui tutti quelli comunitari, ma anche Russia, Cina, Giappone, Korea, Taiwan, Canada, Usa e Australia.

Il brevetto – che ha reso il LIAA l’unico laboratorio in grado di determinare le microplastiche con dimensione inferiore ai 10 µm a livello mondiale – ha permesso all’ateneo di Catania di siglare diverse collaborazioni scientifiche con vari atenei del territorio nazionale, ma anche con centri di ricerca in Tunisia, Austria e a breve con la Columbia University negli Stati Uniti.
Il LIAA, inoltre, sta sviluppando applicazioni del brevetto in campo ambientale, alimentare e medico al fine di meglio comprendere le interazioni ad oggi sconosciute tra microplastica e cellule nell’ottica di chiarire la relazione tra microplastiche ambientali e salute.

Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study
Reply for comment on “Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study by Zuccarello et al. [Water Research 157 (2019) 365–371]”

Fonte: Università degli Studi di Catania




Vespa velutina è arrivata in Italia dall’Europa e non direttamente dai paesi d’origine dell’Asia sud-orientale

vespa velutinaUno studio filogenetico basato sul confronto delle sequenze del gene mitocondriale della citocromo ossidasi I (cox1) di esemplari raccolti in Italia di Vespa velutina, calabrone dalle zampe gialle originario delle aree tropicali e subtropicali del sud-est asiatico, ha permesso di appurare che questi provengono dalla diffusione verso sud di una popolazione stabilitasi in Francia. È quanto emerge da una ricerca condotta dal Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) in collaborazione con il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione (BCA) dell’Università di Padova, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Biological Invasions.

Un’altra ricerca ha rilevato la presenza di forme replicative del virus della cella reale nera (BQCV) e del virus Kashmir (KBV) in esemplari di Vespa velutina rinvenuti in Italia. L’analisi delle sequenze virali mostra un’elevata percentuale di identità con sequenze di virus rilevate in Europa in Apis mellifera. Considerando l’attività predatoria di Vespa velutina, questa similarità genetica suggerisce che il calabrone asiatico possa contrarre questi virus nutrendosi e nutrendo le sue larve con api da miele infette e avere, di conseguenza, un ruolo nella loro diffusione.

Tutte le informazioni sul sito dell’IZS delle Venezie

 




Benessere degli avicoli al macello: Efsa individua i pericoli e propone misure

logo-efsaL’EFSA ha proposto alcune misure per ridurre i pericoli legati al benessere animale più comunemente osservati durante la macellazione del pollame sia a fini di produzione alimentare sia per finalità di controllo delle malattie infettive.

Una esaustiva disamina tratta tutto il processo di macellazione, dall’arrivo e lo scarico dei volatili, fino allo stordimento, al dissanguamento e all’abbattimento. Nel documento vengono individuati una serie di pericoli che danno adito a questioni di benessere come dolore, sete, fame o limitazioni dei movimenti, e vi si propongono, ove possibile, misure di prevenzione e correzione.

La maggior parte dei pericoli è il risultato di carenze da parte degli addetti, ad esempio mancanza di adeguata formazione professionale e di personale qualificato. Il parere dell’EFSA sottolinea l’importanza di disporre di personale adeguatamente formato a gestire le diverse fasi della macellazione con una chiara individuazione dei vari ruoli e responsabilità.

Si tratta del primo parere scientifico di una serie di aggiornamenti in materia di tutela del benessere degli animali al macello richiesti dalla Commissione europea. Nel 2020 saranno pubblicati altri pareri su suini (a marzo), bovini (a giugno) e altre specie (a dicembre).

I pareri si baseranno tutti sulle più recenti conoscenze scientifiche disponibili e vengono elaborati in consultazione con esperti in materia di benessere degli animali degli Stati membri dell’UE.

Le risultanze saranno utilizzate dalla Commissione europea nei dibattiti con l’Organizzazione mondiale della salute animale (OIE) finalizzati ad allineare gli approcci al benessere degli animali in fase di macellazione.

Slaughter of animals: poultry
Killing for purposes other than slaughter: poultry

Fonte: EFSA




Rifiuti in mare: il 75% è plastica. Nelle reti dei pescatori più scarti che pesci

plastica mareCon i rifiuti abbiamo “toccato il fondo”: più del 70% di quelli marini è depositata nei fondali italiani e il 77% è plastica.

Il mare di Sicilia, con 786 oggetti rivenuti e un peso complessivo superiore ai 670 kg, conferma la sua collocazione tra le discariche sottomarine più grandi del Paese, seguita dalla Sardegna con 403 oggetti nella totalità delle 99 cale e un peso totale di 86,55kg. La situazione varia da area ad area e in base alle zone monitorate: nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 m di profondità, le concentrazioni più alte di rifiuti sul fondo si rilevano nel Mar Ligure (1500 oggetti per ogni ettaro), nel golfo di Napoli (1200 oggetti per ogni ettaro) e lungo le coste siciliane (900 oggetti per ogni ettaro).

Questi i principali risultati delle attività condotte dall’Ispra e dal Sistema per la protezione dell’Ambiente SNPA, per monitorare la qualità dei nostri mari. La situazione che ne emerge appare molto grave e rappresenta la prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (fondali marini, colonna d’acqua e spiagge).

Complessivamente ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, di cui il 7% nelle acque del Mediterraneo.

Ma come arrivano in mare? Sicuramente attraverso i fiumi che costituiscono la principale via di trasporto dei rifiuti marini. I risultati emersi dal monitoraggio condotto dall’ISPRA, nell’ambito del progetto europeo MEDSEALITTER negli anni 2017 e 2018, mostrano i trend e i range di densità dei macrorifuti galleggianti in alto mare, vicino la fascia costiera, e vicino la foce dei fiumi. I dati parlano chiaro: la foce dei fiumi presenta il maggior quantitativo di rifiuti galleggianti (più di 1000 oggetti per km2) e vicino la costa tra i 10 e i 600 oggetti per km2. Più ci si allontana in mare aperto e più il numero di oggetti scende a 1 ‐ 10 per km2.

Allarmante la situazione dei fondali italiani: nella regione Adriatico‐Ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni km2, dei quali l’’86% è plastica, in particolare usa e getta (il 77%). Imballaggi industriali e alimentari, borse/shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura (queste ultime particolarmente abbondanti lungo le coste italiane), sono i rifiuti più comuni.

L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti al km2), quella settentrionale (910 rifiuti al km2) e meridionale (829 rifiuti al km2) di Corfù e le acque di fronte a Dubrovnik (559 rifiuti al km2) sono le località adriatiche –ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Fondamentale la collaborazione dei pescatori nel monitoraggio dei fondali marini condotta in Adriatico dal 2013 al 2019: rinvenute nelle reti di 224 pescherecci coinvolti in due progetti di ricerca europei DEFISHGEAR e MLREPAIR, 194 tonnellate i rifiuti “incastrati”. Solo nella marineria di Chioggia raccolte 45 tonnellate.

E la situazione non migliora salendo in superfice: le quantità di macroplastiche rinvenute raggiungono una densità media che oscilla all’incirca tra i 2 e i 5 oggetti flottanti per km2, mentre la densità media delle microplastiche, ossia particelle più piccole di 5 mm, è compresa tra 93 mila e le 204 mila microparticelle per km2 . Non va meglio neanche lungo le spiagge: i litorali nazionali “ospitano” dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.

Quello dei rifiuti marini è un problema che supera i confini nazionali. Lo dimostrano i risultati ottenuti dall’analisi dei rifiuti ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta dal progetto europeo INDICIT condotto dal 2017 al 2019. Su 1406 tartarughe analizzate (458 vive e 948 morte), il 63% presentava plastica ingerita e quasi il 58% degli esemplari vivi di Caretta caretta aveva plastica nelle feci. I valori riscontrati in Italia non si discostano da quelli rilevati nell’ Atlantico (70.91%) e nel Mediterraneo (61.95%).

Fonte: ISPRA