Covid, i contagi calano, ma occhio agli animali

Seppur in un contesto di riduzione della circolazione del virus SARS-CoV-2, vale la pena chiedersi quali “traiettorie” caratterizzeranno, nei mesi a venire, il lungo viaggio del virus la cui culla d’origine s’identificherebbe, con ogni probabilità, in un serbatoio animale “primario” (pipistrelli del genere Rinolophus) e, forse, anche in uno “secondario” (non ancora identificato a tutt’oggi).

In particolare, se è vero che la tanto agognata “immunità di gregge” inibirà in modo significativo la capacità di acquisire ulteriori mutazioni da parte del virus, tale fenomeno andrà opportunamente valutato anche negli animali, con particolare riferimento alle diverse specie di mammiferi domestici e selvatici già dimostratesi sensibili nei riguardi dell’infezione. Prima fra tutte il visone.

Lettera di Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, pubblicata da Il Fatto Quotidiano.




Un nuovo metodo per la rilevazione delle tossine botuliniche senza l’impiego di animali da laboratorio

laboratorio di ricercaL’Istituto  Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha validato un  nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D ed i rispettivi mosaici  CD e DC alternativo all’uso di animali da laboratorio. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dalla sezione di Treviso dell’IZSVe, in collaborazione con il Centro di riferimento nazionale per il botulismo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (USA), e pubblicato sulla rivista scientifica Toxins.

Le tossine botuliniche sono proteine neurotossiche, prodotte da batteri per lo più del genere Clostridium, che causano il botulismo, una malattia potenzialmente fatale che provoca paralisi flaccida. Sono attualmente conosciuti 7 sierotipi della  tossina botulinica, denominati con le lettere dalla A alla G. Le tossine di tipo A, B, E ed F sono principalmente  causa di botulismo nell’uomo, mentre i tipi C e D interessano gli animali.

Il test di riferimento per l’identificazione delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. L’IZSVe, in collaborazione con ISS e CDC, ha validato un nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D senza l’impiego di animali da laboratorio, basato sull’utilizzo di uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica.

La disponibilità di un metodo sensibile, affidabile e rapido per la rilevazione di queste tossine è determinante  sia per la salute umana sia per quella animale. Il test di riferimento per l’identificazione  delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. Tale metodo seppur molto sensibile e specifico grazie all’uso di antisieri per i singoli sierotipi, prevede però  il sacrificio di numerosi animali e richiede almeno quattro giorni per la conferma di un esito negativo. Il sacrificio di animali ad uso diagnostico pone inoltre numerosi problemi di carattere etico, e per tale motivo si stanno cercando sempre nuovi metodi alternativi che non prevedano l’uso di animali da laboratorio.

Il nuovo metodo denominato “EndoPep-MS” è stato inizialmente sviluppato dai ricercatori dei CDC di Atlanta utilizzando spettrometri di massa ad alta risoluzione, molto costosi e che possono essere utilizzati solo da personale altamente qualificato. Tale peculiarità lo rendeva poco impiegabile nei comuni laboratori di diagnostica. I ricercatori dell’IZSVe hanno invece validato e implementato il metodo “EndoPep-MS” utilizzando uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica sia in campo umano che veterinario.

I test hanno dimostrato che il metodo “EndoPep-MS” può essere applicato con risultati sovrapponibili o addirittura migliori in termini di sensibilità rispetto alla prova biologica per la rilevazione delle tossine botuliniche C e D e per le loro forme a mosaico CD e DC, anche su strumenti meno performanti di quelli con cui è stato sviluppato. I risultati permettono di considerare questo metodo come una valida alternativa alla prova biologica su topo, in quanto può essere facilmente eseguito nei laboratori di microbiologia senza la necessità di personale specializzato nella spettrometria di massa.

Fonte: IZS Venezie




Indagine sui potenziali vettori di Malaria in Italia

L’Italia è libera dalla malaria da diverse decadi, ma le zanzare che la trasmettevano sono ancora presenti sul nostro territorio. Queste zanzare possono essere in grado di trasmettere il Plasmodio all’arrivo di soggetti portatori di malattia, come accaduto recentemente in Grecia, con 109 casi localmente acquisiti dal 2009 al 2019.

Anche se la reintroduzione del ciclo della malattia è improbabile nel nostro paese; casi occasionali di malaria acquisiti localmente sono stati segnalati sporadicamente anche sul territorio Italiano. Dopo l’eradicazione della malaria l’interesse per le zanzare è venuto meno, e le informazioni sulla distribuzione delle specie di zanzare vettrici sono ormai datate. L’identificazione delle specie di zanzare presenti è inoltre complicata dalla presenza di complessi di specie indistinguibili morfologicamente, come il complesso Maculipennis, che raccoglie la maggior parte dei vettori che sostenevano, in passato, la trasmissione della malaria in Italia.

La ricerca svolta grazie alla collaborazione fra Istituti Zooprofilattici del nord Italia (IZS Lombardia ed Emilia Romagna, IZS delle Venezie, IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), Istituto Superiore di Sanità, Università La Sapienza, CAA (Centro Agricoltura Ambiente) e IPLA (Istituto per le Piante e l’Ambiente).ha permesso di aggiornare l’elenco delle specie del complesso presenti nella Pianura Padana.

La specie più abbondante è risultata Anopheles daciae sp. inq. (specie dal rango tassonomico ancora dibattuto, affine ad An. messeae), seguita da An. maculipennis s.s. Meno diffuse sono risultate An. melanoon e An. atroparvus, quest’ultima specie era considerato un vettore primario di malaria in Nord Europa. Non è stata invece trovata An. sacharovi, storico vettore della malaria in nord Italia, confermando la sua probabile scomparsa dal nostro territorio.

La raccolta di dati su di un così ampio territorio ha premesso di modellizzare l’idoneità dell’area indagata ad ospitare le specie più abbondanti, identificando il delta del Po e le zone risicole presenti sulla Pianura Padana come le aree più vocate alla proliferazione di queste zanzare. La presenza di An. atroparvus, anche se principalmente circoscritta ad un’area limitata fra Lombardia e Veneto, merita di essere attentamente monitorata. Questi dati possono essere un valido strumento per valutare il rischio della potenziale trasmissione locale del Plasmodio della malaria e di altri patogeni ( Batai virus ), legati alla presenza delle diverse specie di queste zanzare.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




Ancora alti i livelli di resistenza nei batteri che provocano infezioni alimentari

antibioticoresistenzaCome negli anni precedenti una parte considerevole dei batteri Salmonella Campylobacter è tuttora resistente agli antibiotici comunemente usati nell’uomo e negli animali, si afferma in un rapporto pubblicato oggi dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

Nell’uomo elevate percentuali di resistenza alla ciprofloxacina, un antibiotico comunemente usato per trattare diversi tipi di infezione, sono state riferite in un tipo specifico di Salmonella noto come S. Kentucky (82,1%). Negli ultimi anni S. Enteritidis resistente all’acido nalidixico e/o alla ciprofloxacina è stato segnalato sempre più spesso in parecchi Paesi. La crescente presenza di resistenza al fluorochinolone e/o al chinolone in questi tipi di Salmonella rispecchia probabilmente la diffusione di ceppi particolarmente resistenti.

Nel Campylobacter la resistenza alla ciprofloxacina è ormai così comune nella maggior parte dei Paesi che questo antibiotico è ormai di uso limitato nel trattamento delle infezioni da Campylobacter nell’uomo.

Il rapporto cita però anche alcuni risultati positivi. Nel periodo 2015-2019 è stato osservato in isolati umani di Salmonella un calo della resistenza all’ampicillina e alle tetracicline rispettivamente in otto e undici Stati membri.

Tra il 2015 e il 2019 è stata inoltre osservata una tendenza alla diminuzione della prevalenza di E. coli produttore di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) in campioni di animali da reddito prelevati in 13 Stati membri. Si tratta di un dato importante poiché particolari ceppi di Escherichia coli produttore di ESBL provocano gravi infezioni  nell’uomo.

Resta bassa la resistenza congiunta a due antibiotici di prima linea: i fluorochinoloni associati alle cefalosporine di terza generazione in Salmonella e i fluorochinoloni associati ai macrolidi in Campylobacter. Questi antibiotici di prima linea sono comunemente usati per trattare infezioni gravi da Salmonella Campylobacter nell’uomo.

Nei campioni di animali da reddito è aumentato anche il tasso di batteri E. coli sensibili a tutti gli antibiotici testati. Ciò è stato osservato in nove Stati membri nel periodo 2014-2019.

Il rapporto è basato sui dati di monitoraggio dell’antibiotico-resistenza raccolti dagli Stati membri nell’ambito dei loro obblighi normativi nei confronti dell’UE e analizzati congiuntamente dall’EFSA e dall’ECDC con l’assistenza di contraenti esterni.

 




Di Guardo: usiamo troppi antibiotici, ci saranno conseguenze

AntibioticoresistenzaSecondo un recente rapporto dell’OMS, nonostante il 15% dei pazienti con forme lievi o medio-gravi di Covid-19 necessiti della loro somministrazione, gli antibiotici sarebbero stati assunti dai tre quarti di essi, andando inevitabilmente ad alimentare l’antibiotico resistenza.

Ne parla, in un lettera pubblicata da Il Corriere della Sera, il Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo.

Andando avanti di questo passo, è probabile che buona parte, se non addirittura l’intero arsenale dei farmaci attualmente disponibili per combattere le infezioni batteriche, annovererà al proprio interno, di qui a breve, solo armi spuntate!

Afferma Di Guardo.




Covid e varianti: i pericoli per l’uomo e gli animali

Nell’ottica dell’approccio “One Health” sarebbe molto importante, in tema di varianti di SARS-CoV-2, analizzare non solo le “variants of concern” (VOC) di SARS-CoV-2 capaci di infettare l’uomo, ma anche le dinamiche d’interazione di ciascuna di esse con le diverse specie animali domestiche e selvatiche.

Ciò al fine di caratterizzarne i rispettivi gradi di suscettibilità (o di resistenza) nei confronti del virus e, cosa ancor più rilevante, l’eventuale capacità da parte delle varianti di consentire lo sviluppo e la conseguente propagazione di ulteriori nuove “VOC” di SARS-CoV-2, come  accaduto negli allevamenti di visoni olandesi e danesi dove questi animali avrebbero acquisito l’infezione dall’uomo (leggasi allevatori di visoni), dando luogo a una serie di eventi mutazionali a seguito dei quali si sarebbe selezionata la variante denominata “cluster 5” e contraddistinta dalla mutazione Y453F, che il visone avrebbe di lì a breve “restituito” all’uomo: un chiaro esempio di “spillover” versus “spillback”, cioè di “zoonosi inversa” o “antropozoonosi” versus “zoonosi”.

Ne ha scritto il Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, in un articolo per saperescienza.it

 

 




Quanti cinghiali abitano qui?

cinghialeRicercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Cnr e dell’Istituto per la ricerca e la protezione ambientale hanno rivisto le metodiche utilizzabili per il monitoraggio delle popolazioni di cinghiali, dimostrando che l’applicazione del Distance Sampling mediante visori termici consente una stima precisa ed accurata. Si aprono così nuove strade per una gestione sostenibile della specie e per la protezione delle colture e degli allevamenti. Il lavoro è pubblicato sulla rivista Wildlife Biology

Contrariamente a ciò che si può pensare, censire le popolazioni di animali selvatici non è banale, tanto più se la specie vive in foresta ed ha abitudini notturne come il Cinghiale. Ricercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isc) e dell’Istituto per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) hanno effettuato una serie di censimenti utilizzando il metodo del “distance sampling” e visori termici notturni in diverse aree protette italiane, dimostrando che stimare le popolazioni di cinghiale in maniera precisa ed accurata è possibile. Lo studio – pubblicato sulla rivista Wildlife Biology – è stato condotto in condizioni ambientali molto diverse, che vanno dai boschi mediterranei del Monte Arcosu (Sardegna) alle aree agricole di gran pregio nei Colli Euganei (Veneto), fino alle quote maggiori della montagna appenninica (Foreste Casentinesi, Toscana ed Emilia Romagna): tutti ambienti fortemente influenzati dalla presenza del Cinghiale.
“La disponibilità di stime delle popolazioni può permettere di programmare efficacemente le azioni di controllo necessarie al contenimento della specie e di valutare quanto tali azioni siano state efficaci”, spiega Stefano Focardi del Cnr-Isc, responsabile della ricerca. Infatti la ricerca dimostra che negli ambienti studiati, con uno sforzo accettabile, si possono ottenere stime precise al 20%, un notevole salto di qualità visto che in Europa oggi nessuno riesce a stimare le popolazioni di Cinghiale. “L’articolo presenta un’estesa discussione dei metodi che possono essere usati per il monitoraggio. Visto l’impatto negativo che la specie ha sulle colture e i costi che questo comporta”, aggiunge Barbara Franzetti dell’Ispra, “la possibilità di impostare una gestione adattativa su dati precisi e affidabili rappresenterebbe uno strumento operativo particolarmente utile”. “Un problema potenzialmente molto serio determinato dalla presenza del Cinghiale è la diffusione della peste suina africana, che può severamente impattare negativamente la suinicoltura europea”, conclude Focardi, “e la disponibilità di metodi precisi per la stima delle popolazioni può essere estremamente rilevante per la formulazione delle mappe di rischio”.

Fonte: CNR




ISS: uno studio dimostra che i coronavirus dei ricci possono acquisire i geni dell’ospite

coronavirusUn recente studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca la Ambientale (ISPRA), dell’Università di Bologna (UNIBO), e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) ha dimostrato la capacità di acquisire geni dell’ospite, da parte di Coronavirus (CoV) del riccio comune (Erinaceus europaeus).

Lo studio, pubblicato su Viruses descrive l’acquisizione del gene CD200 del riccio da parte di un gruppo di CoV identificati in una popolazione di ricci selvatici, campionati in nord Italia. Tali virus appartengono allo stesso gruppo dei CoV responsabili di COVID-19 e MERS, con i quali hanno una stretta somiglianza genetica.

Nei mammiferi, il CD200 ed il suo recettore agiscono come importanti checkpoint della risposta immunitaria che regolano negativamente al fine di prevenire l’eccessivo stimolo infiammatorio che si osserva talvolta nei confronti degli agenti infettivi, compreso SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19.

La capacità dei virus di acquisire geni dell’ospite è un fenomeno noto, tuttavia è la prima volta che viene descritto nei CoV. Sebbene il ruolo del CD200 non sia lo stesso in ogni virus, è stato dimostrato che la sua integrazione nel genoma di alcuni virus (Herpesvirus 8 dell’uomo, Rhesus rhadinovirus R15 e Myxoma Virus), ne aumenta la fitness rispetto alla risposta immunitaria dell’ospite.

Il risultato dello studio è di grande rilevanza poiché dimostra l’esistenza, tra i CoV, di un meccanismo evolutivo estremamente raffinato, potenzialmente in grado di conferire proprietà patogenetiche nuove e più vantaggiose a tali agenti infettivi e indica il valore dello studio delle malattie degli animali quali insostituibili modelli di comprensione della patologia nell’uomo.

Fonte: ISS




Tetrodotossine nei molluschi bivalvi, primo rilevamento nell’Adriatico settentrionale

Analisi di laboratorio condotte dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) su alcuni campioni di cozze provenienti dalla laguna di Marano hanno riscontrato una presenza notevole di tetrodotossine, sostanze tossiche che costituiscono un serio rischio per la salute dei consumatori. Si tratta del primo rilevamento di queste tossine in molluschi bivalvi provenienti dall’area settentrionale del Mare Adriatico.

Analisi di laboratorio condotte dall’IZSVe su alcune cozze provenienti dalla laguna di Marano, in provincia di Udine, hanno riscontrato una presenza notevole di tetrodotossine, sostanze tossiche che costituiscono un serio rischio per la salute dei consumatori, note anche come “veleno del pescepalla”.

Le analisi svolte e i loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Food control dai ricercatori dell’IZSVe, in collaborazione con esperti del Centro di Ricerche Marine di Cesenatico (Laboratorio nazionale di riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine), dell’Università “Federico II” di Napoli, del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG).

Il veleno del pesce palla

Le tetrodotossine sono neurotossine con effetti potenzialmente letali per l’uomo: se ingerite ad alte dosi possono bloccare la conduzione nervosa, provocando paralisi e blocchi cardiorespiratori. Sono note comunemente come “veleno del pesce palla”, in quanto sono state identificate per la prima volta in questa famiglia di pesci (tetrodontidi). I pesci palla convivono infatti con batteri simbionti produttori di tetrodotossine: per questo mangiare la carne dei pesci palla è molto rischioso.

Gli avvelenamenti da tetrodotossine sono frequenti in diversi Paesi del sud-est asiatico nei quali viene fatto largo consumo di questi pesci, come ad esempio Giappone, Taiwan e Bangladesh. In Giappone, in particolare, il pesce palla è alla base di un piatto tradizionale chiamato fugu, che per legge può essere preparato solo da cuochi autorizzati con una licenza speciale, rilasciata dalle autorità sanitarie a seguito di un esame molto selettivo.

Nell’Unione Europea e in molti altri Paesi del mondo invece il commercio dei tetrodontidi per scopi alimentari è vietato.

Le tetrodotossine nei mari europei

I campioni era stati prelevati dai Servizi veterinari dell’Azienda sanitaria locale competente nell’ambito dei programmi di monitoraggio e controllo ufficiale degli allevamenti di acquacoltura. Si tratta del primo rilevamento di queste sostanze in molluschi bivalvi provenienti dall’area settentrionale del Mare Adriatico, e della quantità più alta mai riscontrata in molluschi bivalvi europei.

Le tetrodotossine sono presenti non solamente nei pesci palla, ma anche in diverse altre specie ittiche come i polpi dagli anelli blu (Hapalochlaena) e in vari crostacei e gasteropodi marini.

Tradizionalmente, in Europa la presenza di queste sostanze negli organismi acquatici non era considerata una minaccia rilevante per i consumatori. Solo in tempi recenti ricercatori e autorità hanno iniziato a occuparsi di questo rischio, in seguito alla diffusione nel Mediterraneo di specie invasive note per essere portatrici di tetrodotossine, come il pesce palla argenteo (Lagocephalus sceleratus).

Nel 2008 è stata segnalata la prima intossicazione umana da tetrodotossine in Europa, avvenuta in Spagna e dovuta al consumo di un gasteropode contaminato proveniente da mari portoghesi. Inoltre, negli ultimi anni Paesi come il Regno Unito, la Grecia, i Paesi Bassi e l’Italia hanno segnalato la presenza di tetrodotossine in numerosi campioni di molluschi bivalvi, anche specie importanti per l’acquacoltura europea come le cozze (Mytilus sp.) e le ostriche (Crassotea Gigas).

In questo contesto si inserisce la segnalazione effettuata dai ricercatori dell’IZSVe, che hanno riscontrato la presenza di tetrodotossine in alcuni campioni di cozze del mediterraneo (Mytilus galloprovincialisprelevati nel maggio 2017 e nel maggio 2018 dalla laguna di Marano, in provincia di Udine.

I campioni erano stati prelevati dai Servizi veterinari dell’Azienda sanitaria locale competente nell’ambito dei programmi di monitoraggio e controllo ufficiale degli allevamenti di acquacoltura presenti sul territorio. Le analisi hanno riscontrato nelle cozze un accumulo di tetrodotossine pari a 541 μg/kg nei campioni del 2017 e 216 μg/kg in quelli del 2018: la quantità più alta di queste sostanze mai riscontrata in molluschi bivalvi europei.

Per cercare di comprendere meglio questo fenomeno i ricercatori dell’IZSVe stanno continuando a monitorare i molluschi delle aree lagunari dell’Alto Adriatico attraverso un progetto di Ricerca Corrente finanziato dal Ministero della Salute (RC 01/19). Lo studio è ancora in corso, ma dai primi dati raccolti sembra emergere che il periodo delle contaminazioni sia delimitato alla tarda primavera.

Fonte: IZS delle Venezie




Trichinella in una lupa in provincia di Arezzo

I laboratori della sezione di Arezzo dell’IZS Lazio e Toscana hanno riscontrato larve di Trichinella britovi (come da conferma del Laboratorio nazionale di Riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità) nel muscolo tibiale anteriore di una lupa trovata morta nel comune di Subbiano, probabilmente a seguito di trauma stradale.

Nelle regioni Toscana e Lazio vi sono state altre segnalazioni del parassita negli scorsi anni:

  • marzo 2013: riscontro di larve Trichinella in una volpe ancora in provincia di Arezzo
  • gennaio 2013: ventisei persone, tra cacciatori e loro familiari, sono state colpite da trichinellosi nell’Alta Val del Serchio a seguito dell’ ingestione di salsicce di cinghiale crude contaminate;
  • Nella stagione venatoria 2019-2020 la sezione di Latina dell’IZS Lazio e Toscana ha identificato larve di Trichinella nelle carni di cinghiali abbattuti a caccia, poi identificate come appartenenti alla specie Trichinella britovi

Tutte le informazioni sulla trichinellosi sul sito dell’IZS LT