SARS-CoV-2 e animali da compagnia: faq e informazioni dall’IZS Venezie

animali d'affezioneIn merito all’epidemia di COVID-19, la malattia respiratoria causata dal Nuovo Coronavirus (SARS-CoV-2), l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie rRisponde alle seguenti, ricorrenti domande sul coinvolgimento degli animali da compagnia nella trasmissione di questa specifica infezione:

  • È meglio evitare il contatto con animali da compagnia in caso di infezione da SARS-CoV-2?
  • Cosa devo fare se un animale a stretto contatto con un paziente infetto con COVID-19 si ammalasse?
  • Se il mio animale è stato a contatto con una persona malata può diffondere l’infezione?
  • Ha senso richiedere un test per coronavirus felino o canino per valutare se i nostri animali sono sani?
  • Avrebbe senso sottoporre un cane a vaccinazione per coronavirus canino al fine di proteggerlo da COVID-19?



Coronavirus, indicazioni per i familiari e per gli operatori sanitari su come assistere a casa i pazienti

Al via i Rapporti tecnici dell’ISS che forniscono indicazioni agli operatori sanitari sulla prevenzione e controllo delle infezioni. Il primo di questi rapporti, che si aggiunge alle comunicazioni tecniche che l’ISS sta pubblicando per il pubblico, “Indicazioni ad interim per l’effettuazione dell’isolamento e della assistenza sanitaria domiciliare nell’attuale contesto COVID-19 (aggiornato al 7 marzo 2020)”, redatto dal gruppo ISS sulla prevenzione e il controllo delle infezioni (Infection prevention and control, IPC) nell’ambito dell’attuale epidemia da COVID-19, in collaborazione con la responsabile dell’Area prevenzione e controllo delle infezioni dell’OMS Benedetta Allegranzi, è dedicato alla gestione dei soggetti affetti da COVID-19 che necessitano di isolamento domiciliare.

La finalità di questa guida è duplice: fornire indicazioni chiare per gli operatori sanitari e per chi si prende cura di malati di COVID-19 e allo stesso tempo evitare casi secondari dovuti a trasmissione del virus.

Consulta:

Fonte: Ministero della salute




Covid-19. Cosa fare in caso di dubbi. Il Vademecum dell’ISS

L’istituto superiore di Sanità ha  realizzato con il contributo scientifico dell’ECDC – Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e in collaborazione in collaborazione con il Ministero della salute un vademcum sui sintomi a cui fare attenzione, i numeri da chiamare, come proteggere i familiari, dove fare il test.

vademecum iss

 

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Covid-19. Efsa: non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione

coronavirusL’EFSA osserva con attenzione la situazione relativa all’epidemia di coronavirus (COVID-19) che sta interessando un gran numero di Paesi in tutto il mondo. Attualmente non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione probabile del virus.

Ha commentato Marta Hugas, direttore scientifico EFSA: “Le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai coronavirus, come il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV) e il coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (MERS-CoV), evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi. Al momento non ci sono prove che il coronavirus sia diverso in nessun modo”.

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha affermato che, mentre in Cina sono stati gli animali la probabile fonte dell’infezione iniziale, il virus si sta diffondendo da persona a persona, principalmente tramite goccioline respiratorie che le persone emanano quando starnutiscono, tossiscono o espirano. Maggiori informazioni su coronavirus e alimenti sono reperibili su queste domande frequenti del BfR, l’organismo tedesco preposto alla valutazione del rischio.

Scienziati ed Enti di tutto il mondo stanno monitorando la diffusione del virus e non si registrano segnalazioni di trasmissione tramite il cibo. Per tale motivo l’EFSA non è attualmente coinvolta nella risposta ai focolai epidemici di COVID-19. Sta tuttavia controllando la letteratura scientifica per eventuali nuove e pertinenti informazioni.

Per quanto concerne la sicurezza alimentare l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha emanato una serie di raccomandazioni precauzionali tra cui consigli di buone pratiche igieniche durante la manipolazione e la preparazione dei cibi, come ad esempio lavarsi le mani, cucinare a fondo la carne ed evitare potenziali contaminazioni crociate tra cibi cotti e non. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito web dell’OMS.

Riduzione delle possibilità di contagio: misure in atto nella sede EFSA
L’EFSA ha sede a Parma, nel nord Italia, una delle aree attualmente soggette a restrizioni urgenti degli spostamenti imposte dal governo italiano. A partire dall’ultima settimana di febbraio abbiamo adottato una serie di misure in linea con le raccomandazioni delle autorità italiane.

Abbiamo introdotto telelavoro per la maggior parte del personale e teleriunioni per i nostri esperti e partner; mentre eventi, viaggi d’affari del personale e visite del pubblico all’edificio sono stati sospesi fino all’8 aprile salvo proroghe. Tali misure sono soggette a costante aggiornamento alla luce delle informazioni che pervengono via via.

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) aggiorna continuamente le informazioni sull’epidemia e sulle valutazioni del rischio utilizzate dagli Stati membri dell’UE e dalla Commissione europea nelle loro attività di reazione. A livello mondiale le misure sono coordinate dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Per ulteriori informazioni vedi il sito web della Commissione europea.

Fonte: EFSA




Report zoonosi. La Salmonella è la causa più comune dei focolai di origine alimentare nell’Ue

efsa ecdcNel 2018 quasi un focolaio su tre di origine alimentare nell’UE è stato causato da Salmonella. È questa una delle principali risultanze del rapporto sulle tendenze e fonti di zoonosi pubblicato oggi congiuntamente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

Nel 2018 gli Stati membri dell’UE hanno segnalato 5 146 focolai di origine alimentare che hanno colpito 48 365 persone. Un focolaio di malattia di origine alimentare si verifica quando almeno due persone contraggono la stessa malattia consumando lo stesso alimento o bevanda contaminati.
La Slovacchia, la Spagna e la Polonia rappresentano il 67% dei 1 581 focolai di Salmonella. Tali focolai erano riconducibili principalmente al consumo di uova.

I risultati del nostro ultimo Eurobarometro mostrano che meno di un terzo dei cittadini europei classifica le intossicazioni alimentari da batteri tra le cinque principali preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare. Il numero di focolai segnalati suggerisce che ci sia spazio per sensibilizzare i consumatori in quanto molte malattie di origine alimentare possono essere prevenute migliorando le misure igieniche durante la manipolazione e preparazione degli alimenti” ha commentato Marta Hugas, direttore scientifico EFSA.

La salmonellosi è stata la seconda infezione gastrointestinale più comunemente segnalata nell’uomo nell’UE (con 91 857 casi segnalati), dopo la campilobatteriosi (246 571 casi).

Il virus del Nilo occidentale e le infezioni da STEC a livelli insolitamente elevati
L’aumento di gran lunga maggiore nel 2018 ha riguardato il numero di infezioni da virus del Nilo occidentale.
I casi di questa malattia zoonotica, provocata da un virus trasmesso dalle zanzare, sono stati sette volte superiori a quelli del 2017 (1 605 contro 212) e hanno travalicato tutti i casi segnalati tra il 2011 e il 2017.

I motivi del picco del 2018 non sono ancora del tutto chiari. È stato evidenziato che fattori come la temperatura, l’umidità o le precipitazioni influenzano l’attività stagionale delle zanzare e possono aver avuto un ruolo. Pur non potendo prevedere l’intensità delle prossime stagioni di trasmissione, sappiamo che il virus del Nilo occidentale circola attivamente in molti Paesi dell’Unione europea, colpendo esseri umani, cavalli e uccelli. L’ECDC sta intensificando l’assistenza ai Paesi negli ambiti della sorveglianza, della preparazione, della comunicazione e del controllo dei vettori“, ha dichiarato Mike Catchpole, direttore scientifico ECDC.

La maggior parte delle infezioni da virus del Nilo occidentale contratte localmente sono state segnalate da Italia (610), Grecia (315) e Romania (277). La Cecenia e la Slovenia hanno segnalato i primi casi sin dal 2013.

Negli ultimi anni l’Italia e l’Ungheria hanno inoltre registrato un numero crescente di focolai di virus del Nilo occidentale in cavalli e altre specie equine.

L’ E. coli produttore di tossina Shiga (STEC) è diventata la terza causa più comune di zoonosi di origine alimentare con 8 161 casi segnalati, sostituendo la yersiniosi con un aumento del 37% rispetto al 2017. Ciò può essere in parte spiegato con il crescente utilizzo di nuove tecnologie di laboratorio, che facilitano l’individuazione di casi sporadici.

Il numero di persone affette da listeriosi nel 2018 è simile a quello del 2017 (2 549 nel 2018 contro i 2 480 dell’anno precedente). Ad ogni modo la tendenza nei dieci anni passati è stata al rialzo.
Tra le malattie zoonotiche oggetto della relazione i casi di listeriosi rappresentano la più alta percentuale di ricoveri ospedalieri (il 97%) e il più alto numero di decessi (229), il che la rende una delle più gravi malattie veicolate da alimenti.

La relazione contiene anche dati su Mycobacterium bovis, Brucella, Yersinia, Trichinella, Echinococcus, Toxoplasma, rabbia, Coxiella burnetii (febbre Q) e tularemia.

The European Union One Health 2018 Zoonoses Report
Plain language summary: The European Union One Health 2018 Zoonoses Report

Fonte: EFSA




CoViD-19, ipertensione e farmaci ACE-inibitori

coronavirusGrazie al formidabile impegno profuso dalla comunita’ scientifica e’ stato identificato il recettore che il virus SARS-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule dell’organismo umano.

Si tratta di una molecola denominata ACE-2 (“angiotensin converting enzyme-2”), che viene parimenti impiegata dai coronavirus della SARS e della MERS con identiche finalita’ e modalita’.

In un altro recente lavoro pubblicato sull’autorevole rivista “The Lancet” si legge che buona parte dei pazienti geriatrici ospedalizzati in quanto affetti da CoViD-19 e provenienti da Wuhan, la megalopoli cinese epicentro dell’epidemia da SARS-CoV-2, sarebbero risultati affetti da una serie di ulteriori patologie concomitanti, prime fra tutte ipertensione, diabete e malattie cardio-vascolari.

L’Italia, l’Europa e il resto del mondo rispecchiano fedelmente il succitato “trend” della CoViD-19 in Cina, visto e considerato che la stragrande maggioranza dei casi di malattia ad esito infausto si concentrerebbe nel segmento geriatrico della popolazione, comunemente gravato da patologie pregresse, ipertensione e malattie cardio-vascolari in primis.

E a questo punto si apre un’importante riflessione, che ha trovato riscontro in una “Lettera all’Editore” a firma del Professor Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Teramo, che e’ stata appena pubblicata sulla prestigiosa Rivista inglese “British Medical Journal”: poiche’ le terapie anti-ipertensive routinariamente prescritte prevedono l’utilizzo di una particolare categoria di farmaci denominati “ACE-inibitori”, sarebbe utile valutare l’impatto di queste molecole sia sulla suscettibilita’ degli individui nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 sia sull’evoluzione della CoViD-19 in pazienti affetti da ipertensione e trattati con ACE-inibitori. E’ da sottolineare, in proposito, che e’ gia’ stata documentata un’aumentata espressione di ACE-2 (il recettore per il virus SARS-CoV-2) sia in modelli murini che in pazienti umani trattati con ACE-inibitori.

Ad un accresciuto livello di espressione del succitato recettore virale potrebbe plausibilmente conseguire, infatti, un aumentato potere infettante ed un’accelerata colonizzazione dell’apparato respiratorio umano ad opera dell’agente virale.

Sara’ la ricerca e solo la ricerca a fornire una risposta “evidence-based” a questi importanti interrogativi. Da qui l’ennesimo accorato appello, rivolto al nostro Governo e alla nostra classe politica, affinche’ la comunita’ delle ricercatrici e dei ricercatori italiani – che dati alla mano si attesta al settimo posto su scala globale per qualita’ della produzione scientifica – possa beneficiare da oggi in avanti di ben altri finanziamenti rispetto alla risibile quota dell’1,35% del PIL che l’Italia destina al finanziamento pubblico della ricerca, a fronte di oltre il 2% mediamente devoluto dagli altri Paesi europei a questa nobilissima causa!

Leggi anche: Ricerca, ricerca e ancora ricerca! lettera del Prof. Giovanni Di Guardo a Italians




MOCA. Esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare, nuovo parere CNSA

Alla luce dei risultati finali dello studio svolto dal Laboratorio nazionale di riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità  “Studio dell’esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare”, dello studio di “Dieta Totale Nazionale” dell’ISS e della ricerca condotta dall’Università di Milano “Determinazione del contenuto di alluminio in alimenti quali manzo, pollo, e pesce in seguito a cottura utilizzando pellicola commerciale di alluminio”, la Direzione generale per l’igiene, la sicurezza degli alimenti e la nutrizione del Ministero della Salute ha chiesto alla Sezione 1 “sicurezza alimentare” del Comitato nazionale sicurezza alimentare, di rivalutare quanto già espresso con il parere n° 19 del 3 maggio 2017.

Nel parere del 30 gennaio 2019 “Esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare: elementi di valutazione del rischio e indicazioni per un uso corretto dei materiali a contatto con gli alimenti” – Aggiornamento, ora pubblicato sul sito del Ministero della salute, la Sezione 1 del CNSA ritiene che i risultati dei nuovi studi apportino una conferma alle conclusioni del precedente parere e consentano di identificare con maggiore precisione le condizioni d’uso e le fasce di popolazione alle quali rivolgere una specifica attenzione.

In particolare:

  • la contaminazione del cibo per fenomeni migrazionali da utensili o imballaggi è un’importante fonte di esposizione alimentare all’alluminio;
  • la cessione di alluminio dai MOCA è condizionata dalle modalità di uso;
  • l’esposizione alimentare ad alluminio attraverso i materiali a contatto può portare ad un superamento della TWI stabilita da EFSA nel 2008, con un potenziale rischio per la salute per fasce vulnerabili della popolazione, rappresentate dai bambini sotto i 3 anni, anziani sopra i 65 anni, donne in gravidanza, persone con funzionalità renale compromessa.

Pertanto, la Sezione 1 del CNSA ritiene che:

  • l’alluminio venga inserito con rilievo prioritario nel piano di monitoraggio dei MOCA, in modo da raccogliere una congrua base di dati di sorveglianza a livello nazionale; al riguardo si auspica la definizione di un piano nazionale;
  • sia necessaria l’attivazione di idonee modalità di informazione e comunicazione circa il corretto uso dei MOCA contenenti alluminio per la produzione e la preparazione degli alimenti, rivolte sia ai consumatori sia alle imprese; in quest’ultimo ambito è opportuno considerare l’inserimento dell’uso corretto dei MOCA nei manuali aziendali di corretta prassi igienica.

In aggiunta, la Sezione 1 del CNSA raccomanda:

    • una valutazione complessiva dei dati disponibili in vista di un’ eventuale definizione del limite di migrazione a livello comunitario, così come previsto per i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con gli alimenti (1 mg/kg di prodotto alimentare o simulante, Reg. 1416/2016, di aggiornamento al Reg.10/2011), coerentemente con quanto stabilito dalla norma quadro (Regolamento (CE) n. 1935/2004): “i materiali e gli articoli destinati a venire a contatto con gli alimenti, sotto normali o forzate condizioni d’uso, non devono cedere all’alimento i loro costituenti in quantità tali da: costituire un pericolo per la salute umana….”
    • la promozione da parte del Ministero della Salute di studi sulla valutazione del rischio per la salute umana derivante da MOCA contenenti alluminio. La Sezione 1 del CNSA auspica che tali studi integrino i seguenti elementi: i) la valutazione dettagliata dell’assunzione alimentare (come suggerito dai risultati dello studio di dieta totale); ii) il biomonitoraggio; iii) il rischio di patologie (ad es. neurologiche, ossee) riferibili all’assunzione di alluminio, ad es., attraverso uno studio osservazionale caso-controllo. La Sezione 1 del CNSA nota inoltre che validi dati sulla popolazione umana potrebbero essere importanti per un eventuale aggiornamento della TWI definito da EFSA, che data oramai al 2008 e si basa esclusivamente su studi tossicologici sperimentali;
    • l’uso di materiali alternativi o leghe, che minimizzino la cessione, sulla base di solide evidenze.

A tale proposito, la Sezione 1 del CNSA raccomanda l’avvio di azioni atte a contenere l’esposizione, in particolare, delle fasce a rischio (bambini sotto i 3 anni, anziani sopra i 65 anni, donne in gravidanza, persone con funzionalità epatica compromessa) a livelli inferiori al TWI definito da EFSA, mediante l’utilizzo di MOCA contenenti alluminio, tenendo conto del contributo che questa via di esposizione rappresenta.

Il Ministero della salute ha avviato una campagna informativa sul corretto uso dell’alluminio in cucina

A cura della segreteria SIMeVeP




Efsa: basso rischio di introduzione della Febbre della Rift Valley in Ue, ma mantenere alta la sorveglianza

L’Unione Europea non è a rischio imminente di febbre della Rift Valley ma gli sviluppi nei Paesi limitrofi dovrebbero indurre le autorità dell’UE e gli Stati membri a incrementare, migliorare e armonizzare le proprie capacità di sorveglianza e risposta, nonché le proprie competenze scientifiche e tecniche, per essere meglio preparati all’ingresso della malattia.

L’UE dovrebbe inoltre continuare a collaborare strettamente con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente per valutare l’eventualità che la febbre della Rift Valley si diffonda dalle zone attualmente infette, e per monitorare l’evoluzione delle epidemie in altri Paesi.

Sono queste le principali raccomandazioni di un parere scientifico dell’EFSA sul rischio di introduzione della febbre della Rift Valley in Europa.

Si tratta di una malattia trasmessa ad alcuni animali (ruminanti domestici e selvatici e cammelli) e anche all’uomo da diverse specie di zanzare che fungono da vettori della malattia. È endemica nell’Africa sub-sahariana e nella penisola arabica, e le recenti epidemie in un dipartimento francese d’oltremare nonché l’individuazione di casi sieropositivi (animali con anticorpi della febbre della Rift Valley nel sangue che indicano una precedente esposizione al virus) in Paesi vicini all’Europa hanno aumentato la possibilità che la malattia si trasferisca nel territorio dell’UE.

Il rischio complessivo di introduzione della malattia nell’UE tramite il trasporto di animali infetti è considerato molto basso, date le rigide politiche sulle importazioni di animali. Anche il rischio di introduzione tramite movimenti di insetti vettori infetti è molto basso, anche in quei Paesi aventi collegamenti aerei e marittimi con le zone infette.

Rift Valley Fever – epidemiological update and risk of introduction into Europe

Fonte: EFSA




Conferenza INFOSAN: nuove tecnologie, tracciabilità e trasparenza per malattie di origine alimentare sempre più complesse

InfosanSi sta svolgendo ad Abu Dhabi il secondo incontro globale dell’International Food Safety Authorities Network (Infosan) organizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e ospitato dall’Autorità per l’agricoltura e la sicurezza alimentare di Abu Dhabi (Adafsa).

Infosan (International Food Safety Authorities Network)  è una rete globale di 190 autorità nazionali per la sicurezza alimentare, gestita congiuntamente dall’Oms e dalla Fao con lo scopo di garantire una rapida condivisione delle informazioni durante le emergenze in materia di sicurezza alimentare, migliorare la cooperazione tra paesi e reti e sviluppare le loro capacità nella gestione delle emergenze. Infosan ha inoltre il compito di verificare, valutare e indagare sugli incidenti leagati alla sicurezza alimentare in collaborazione con gli Stati membri, diramare allerte per fermare la diffusione di alimenti contaminati da un paese all’altro e fornire assistenza tecnica su richiesta per gestire le emergenze.

Durante i 4 giorni le autorità di sicurezza alimentare, 230 esperti e funzionari di 135 paesi, 35 rappresentanti dell’OMS, della FAO e della Banca mondiale parteciperanno ad un evento principale di carattere internazionale e a 8 incontri regionali per rafforzare la cooperazione e chiedere un’azione più incisiva per proteggere la salute delle persone e salvaguardare le economie nazionali e globali dagli effetti di epidemie di malattie di origine alimentare sempre più complesse .

Fra i temi affrontati la gestione delle frodi alimentari, la regolamentazione e la rintracciabilità dei prodotti dal commercio online (l’espansione di nuove piattaforme per l’acquisto e la consegna di alimenti pone nuove sfide per la sicurezza alimentare, con catene di distribuzione alimentare per lo più non regolamentate che complicano la tracciabilità), la valutazione e gestione del rischio, la prevenzione e la gestione dell’antibioticoresistenza.

Particolare attenzione sarà dedicata all’uso della genomica nelle indagini sulle epidemie grazie alla quale aumentano le possibilità di identificare i casi di malattia di origine alimentare correlati a focolai da casi sporadici e non connessi e di individuare le aree di contaminazione che richiedono un intervento

A fronte del grande aumento del numero e della portata delle emergenze di origine alimentare, legato alla globalizzazione degli scambi di alimenti e mangimi, “I paesi devono investire in tecnologie che tracciano le emergenze della sicurezza alimentare. Devono inoltre essere trasparenti nel condividere le informazioni sui focolai per impedire la loro diffusione transfrontaliera e il rischio per la salute che rappresentano” ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.

Alcuni numeri per comprendere l’incidenza delle sicurezza alimentare:

  • a causa dell’epidemia di listeriosi in Spagna nel 2019, la più grande della storia nazionale, oltre 200 persone si sono ammalate, delle quali 3 sono morte;
  • l’epidemia di listeriosi più grande al mondo,  in Sudafrica nel 2017-2018, ha coinvolto oltre 1000 persone che hanno sofferto di intossicazione alimentare e più di 200 morti;
  • un focolaio di listeriosi in Europa legato a verdure surgelate prodotte in una fabbrica ungherese nel 2018 ha colpito sette paesi, 47 persone che si sono ammalate. La fabbrica produceva prodotti alimentari che venivano esportati in oltre 100 paesi

A cura della segreteria SIMeVeP

 




World Wildlife Day. WWF: In Italia ancora centinaia le specie protette dalla Direttiva Habitat a rischio

direttiva habitatIn occasione del World Wildlife Day, che si celebra il 3 marzo in tutto il mondo, il WWF valuta lo stato di salute di specie e habitat italiani più a rischio, elaborando i dati messi a disposizione dal nostro Paese alla Comunità Europea per il report quinquennale sulla Direttiva Habitat, la norma che a livello comunitario protegge le specie maggiormente minacciate d’estinzione. Purtroppo, sebbene le valutazioni siano ancora preliminari, il quadro per la natura italiana è tutt’altro che roseo.

I dati generali
Delle 570 specie italiane protette dalla Direttiva Habitat, solo 248 (43%) mostrano uno stato di conservazione favorevole. Purtroppo ben 206 (36%) presentano ancora uno stato di conservazione inadeguato e 93 (16%) addirittura sfavorevole. Del restante 5% non si hanno dati sufficienti per una valutazione secondo gli standard europei.

I gruppi più a rischio
Tra i diversi gruppi di animali considerati (esclusi gli uccelli, tutelati da una specifica Direttiva), a passarsela peggio sono i pesci (a rischio estinzione specie quali storione cobice, barbo canino e trota macrostigma) con oltre l’80% delle specie considerate che presentano uno stato di conservazione non favorevole, il 39% addirittura cattivo e con trend di popolazione in diminuzione.
Seguono a ruota gli anfibi, con il 64% delle specie in cattivo o inadeguato stato di conservazione (fortemente minacciati ululone appenninico, tritone crestato italiano e salamandra di Aurora); ma anche i mammiferi (lince, foca monaca, orso marsicano ma anche i pipistrelli) non se la passano bene: in media, solo 4 specie su 10 tra quelle presenti in direttiva presentano uno stato di conservazione favorevole.
La situazione appare lievemente migliore per i rettili (67% in buono stato) e gliartropodi (insetti, ragni, etc.; 53%). Anche per le piante, solo il 46% presenta uno stato di conservazione favorevole, che però scende al 21% per muschi e licheni. Tra le specie che rischiamo di perdere: l’abete dei Nebrodi e ribes di Sardegna

Lo stato degli habitat
Anche la situazione a livello dei diversi ambienti naturali è tutt’altro che rosea. Appena il 10% di quelli in Direttiva (pari a 26 tipi di habitat) presenta infatti un buono stato di conservazione, che risulta invece inadeguato per 47% (124 habitat) e addirittura cattivo per il 39% di essi (102 habitat), per il restante 4% non ci sono dati sufficienti alla valutazione.
Tra gli habitat che presentano, in media, le peggiori condizioni troviamo quelli dunali, quelli di acqua dolce, torbiere e acquitrini, nessuno dei quali (0%) è in uno stato di conservazione favorevole. Per gli habitat dunali, in particolare, il 71% di quelli tutelati dalla Direttiva sono in cattivo stato e in regressione, così come il 47% di acqua dolce, il 39% delle praterie, il 28% di torbiere e acquitrini, ma anche il 21% delle foreste, che includono gli habitat tutelati dalla Direttiva più estesi d’Italia (oltre 17.000 km2).
Solo per lande e arbusteti temperati la maggioranza degli habitat (55%) è in uno stato di conservazione favorevole, percentuale che scende al 26% per gli habitat costieri e marini, 15% sia per quelli rocciosi sia per le macchie di sclerofille.

Le cause
Tra le pressioni principali alla biodiversità del nostro Paese, troviamo al primo posto (in termini di numero di habitat impattati da ciascun fattore) l’agricoltura, che interessa oltre il 68% degli habitat protetti dalla Direttiva. Al secondo posto (con impatti negativi sul 58% degli habitat) troviamo invece le specie aliene, ovvero animali o piante trasportati volontariamente o involontariamente dall’uomo in aree geografiche diverse da quelle in cui si sono originate, creando squilibri ecologici agli ecosistemi locali. Segue a breve distanza, impattando quasi il 56% degli habitat, lo sviluppo delle infrastrutture ad uso industriale, commerciale, residenziale e ricreativo. Tra gli ulteriori fattori di minaccia troviamo infine attività forestali, modifiche ai regimi idrici legate alle attività umane e cambiamenti climatici, oltre a processi naturali che favoriscono l’espansione di alcuni habitat a discapito di altri.

Carenza di dati
Una percentuale significativa di specie e habitat è caratterizzata da uno stato di conservazione incerto o del tutto indefinito: in molti casi regioni ed enti locali non hanno infatti provveduto ai monitoraggi indispensabili per valutare lo stato di conservazione della biodiversità, che vanno fatti con personale, competenze e risorse adeguate: da questo dipende l’efficacia delle misure di conservazione.

“La biodiversità è il nostro vero tesoro, la cui ricchezza non ha pari in Europa Come le opere d’arte che riempiono d’orgoglio il Bel Paese, anche la natura di casa nostra va tutelata al meglio. Purtroppo siamo ancora ben lontani dal riuscirci, per questo speriamo che il 2020 sia finalmente un anno di svolta in cui governi, regioni, comuni, aziende e singoli cittadini comprendano che senza natura non possiamo vivere e si attivino per conservarli con ambizione e coraggio. Non possiamo più rimandare”

dichiara Marco Galaverni, Direttore Scientifico WWF Italia-.

Fonte: WWF