CoViD-19 e fase 2

Fase 2Sono un patologo veterinario e insegno da quasi 20 anni patologia generale e fisiopatologia veterinaria all’Universita’ di Teramo. Le “malattie infettive emergenti”, il 70% delle quali sostenute da agenti in grado di trasferirsi dall’animale all’uomo, sono da oltre 30 anni al centro dei miei interessi scientifici ed il coronavirus responsabile della CoViD-19 non rappresenta di certo “un’eccezione alla regola”, come peraltro testimoniato dai lavori che ho recentemente pubblicato su prestigiose riviste scientifiche quali Science e British Medical Journal (BMJ).

A tal proposito, il tanto agognato ed oramai imminente avvio della cosiddetta “fase 2” in data 4 Maggio mi spinge a fare le considerazioni che verranno esposte qui di seguito e che fondano le loro premesse sulle conoscenze scientifiche attualmente disponibili (e non) sulla CoViD-19 e su SARS-CoV-2, il betacoronavirus che ne e’ l’agente causale:

  1. L’effettivo numero dei casi d’infezione da SARS-CoV-2 in Italia potrebbe esser pari (secondo l’autorevole King’s Imperial College londinese) a 5 milioni, a fronte dei circa 200.000 finora accertati.
  2.  Gli individui SARS-CoV-2-infetti, seppur asintomatici o paucisintomatici, sarebbero in grado di trasmettere l’infezione ad altri individui.
  3. I tamponi naso-faringei e le relative indagini biomolecolari finalizzate a ricercare la presenza del virus sono stati/e finora effettuati/e in larghissima misura solo su pazienti sintomatici.
  4. La positivita’ ad un test sierologico (effettuato sul sangue ed opportunamente validato a cura dell’Istituto Superiore di Sanità) testimonia l’avvenuta esposizione a SARS-CoV-2, il che non equivale a dire che i soggetti sieropositivi abbiano acquisito un’immunita’ nei suoi confronti.
  5. L’immunita’ nei confronti del virus e’ comprovata dalla presenza degli “anticorpi neutralizzanti”, la cui “concentrazione minima” nel sangue in grado di rivelarci se quell’individuo abbia sviluppato (o meno) un’efficiente ed efficace risposta immunitaria anti-virale non e’ a tutt’oggi nota.
  6. Quand’anche un individuo venisse classificato come “immune” nei confronti del virus, non e’ dato ancora sapere per quanto tempo rimarrà tale.
  7. Uno studio appena pubblicato su BMJ riferisce che il 60% dei pazienti con CoViD-19 eliminerebbero il virus con le feci per un arco temporale mediamente pari a 22 giorni, a fronte dell’eliminazione di SARS-CoV-2 per via respiratoria, ad opera degli stessi, per un tempo mediamente pari a 18 giorni.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, che nella mia veste di rappresentante della comunità scientifica ho comunque inteso mantenere ben distinte e separate dalle pur fondamentali componenti e valutazioni di carattere economico-finanziario alle quali la drammatica “emergenza CoViD-19” risulta intimamente connessa, mi sento di esprimere una serie di perplessità su alcune delle misure appena adottate dal nostro Governo in vista della “ripartenza”, seppur parziale, scaglionata e graduale, che avverrà per le diverse attività lavorative a far tempo dal fatidico quanto agognato avvio della “fase 2”.

Nello specifico, come si può pensare di “ripartire” il 4 Maggio e di avviare, in pari data, lo “screening siero-epidemiologico” (mediante i “famosi” tests che ricercano la presenza degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 nel sangue), oltre che l’eventuale, auspicabile effettuazione dei tamponi naso-faringei (e/o salivari), sulle lavoratrici e sui lavoratori interessate/i in prima istanza dalle succitate disposizioni governative?

Logica e buon senso avrebbero richiesto che per il 4 Maggio fossero già disponibili i risultati delle indagini laboratoristiche di cui sopra, non gia’ che si decidesse di avviarle! Aggiungo, per amore di verità (scientifica) e per completezza d’informazione, che bisognerebbe fare esclusivo riferimento a test di comprovata affidabilità, ovverosia ufficialmente validati e certificati come tali a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, con l’ulteriore avvertenza che sarebbe “cosa buona e giusta” utilizzare test “unici ed univoci” sull’intero territorio nazionale, in maniera tale da poter consentire tutti i confronti “ex ante” e, soprattutto, “ex post” che si renderanno necessari via via necessari fra i diversi laboratori chiamati ad analizzare i numerosissimi campioni biologici prelevati e a refertarne i relativi esiti.

Così operando o, per dirla in maniera oltremodo prosaica, “confrontando mele con mele e pere con pere”, si potra’ fornire una risposta ben più rapida, affidabile e precisa a questi due fondamentali interrogativi:

  1. a quale titolo gli anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 presenti nel sangue risultano protettivi
  2. quanto dura l’immunità conferita dai succitati anticorpi nei confronti dell’agente virale?

Concludo esprimendo un’ulteriore perplessità, che racchiude al suo interno, per così dire, tutte quelle fin qui esplicitate: come mai, sic stantibus rebus e visto che questo temibilissimo virus lo conosciamo da soli 4 mesi, non e’ stato disposto dal nostro Governo, in una sana ottica di applicazione del salvifico “principio di precauzione”, l’obbligo incondizionato (unitamente al “social distancing“), per tutte e per tutti (indipendentemente dall’eta’), di indossare sempre e comunque (e non soltanto nei luoghi chiusi, sui mezzi di trasporto pubblico o durante le cerimonie funebri) l’oramai “famosa” mascherina chirurgica (che dovrebbe essere perfettamente “a norma”, peraltro)?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria

 




ISS – Domande e risposte sull’RT del Covid-19

L’Istituto Superiore di Sanità ha predisposto una serie di domande e risposte sul numero di riproduzione netto (Rt):

Perché l’Rt Nazionale non sempre cresce sopra 1 se i casi aumentano? Come interpretare l’Rt nella fase di transizione epidemica di Covid-19 in Italia

Nelle ultime 5 settimane in Italia si è assistito ad un aumento nell’incidenza dei casi di COVID-19 mentre l’indice di trasmissione nazionale (Rt) calcolato sui casi sintomatici non sempre ha superato il valore medio di 1 nello stesso periodo, tranne nell’ultima settimana.

Sebbene possa non essere intuitivo, i due dati non sono in contraddizione ma danno informazioni complementari.

Perché non sono in contraddizione?

I due indicatori sono calcolati su dati leggermente diversi. Infatti il conteggio dei casi si riferisce al numero complessivo delle persone con infezione confermata da SARS-CoV-2 diagnosticate ciascun giorno sul territorio italiano (per data di diagnosi), mentre l’Rt è calcolato sul sottogruppo dei casi con sintomi non importati e riferito ai tempi in cui questi sintomi si sono sviluppati (per data di inizio sintomi).  Quindi il calcolo dell’Rt è relativo ad una parte della curva e ad un periodo temporale “sfalsato” di circa 1 settimana.

R0, Rt: cosa sono, come si calcolano?

Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

R0 e Rt possono essere calcolati su base statistica a partire da una curva di incidenza di casi giornalieri (il numero di nuovi casi, giorno per giorno). Per calcolare R0 o Rt non è necessario conoscere il numero totale di nuove infezioni giornaliere.

Perché calcoliamo Rt solo sui soli casi sintomatici?

Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate.

Per questi motivi, le stime di R0 ed Rt non tengono conto delle infezioni asintomatiche. Si sottolinea a tal riguardo l’aumento continuo della capacità offerta diagnostica dei tamponi rino-naso faringei per la diagnosi molecolare e di altri test di screening quali test sierologici e test rapidi antigenici il cui utilizzo ha aumentato la probabilità di identificare le infezioni asintomatiche.

Quindi si è scelto di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio 2020 a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici (che in queste settimane costituiscono la maggior parte dei casi diagnosticati).

Come vengono considerati i casi importati nel calcolo di Rt?

Una considerazione a parte meritano le infezioni (sintomatiche) importate, cioè le infezioni contratte all’estero ed individuate al successivo ritorno in Italia. Queste infezioni possono essere considerate in due modi diversi: A) dal momento dell’ingresso in Italia queste persone (sia italiane che non) possono trasmettere esattamente come le persone che si sono infettate in Italia; B) oppure, queste persone sono rapidamente identificate (es. all’aeroporto) e isolate non contribuendo alla trasmissione in Italia. Essendo molto alta l’attenzione sugli ingressi/rientri dall’estero questo ci farebbe propendere per lo scenario B; tuttavia, sono già stati descritti diversi focolai autoctoni originatisi da persone infettatesi all’estero. Di conseguenza, è probabile che il loro contributo stia da qualche parte tra gli scenari A) e B). In assenza di dati di sufficiente qualità per comprendere meglio il ruolo delle infezioni importate dall’estero sull’epidemiologia di COVID-19 in Italia, si è al momento deciso di considerare lo scenario A). Va rimarcato che se fosse al contrario vero lo scenario B), questo comporterebbe una trasmissibilità di SARS-COV-2 in Italia maggiore di quanto riportato, anche perché le infezioni importate rappresentano una percentuale non trascurabile del totale in questo ultimo periodo.

Qual è l’informazione aggiuntiva che ci fornisce l’Rt calcolato in questo modo in aggiunta al dato sul numero di nuovi casi diagnosticati?

Rt ci dice che, nonostante sia osservato un aumento continuo dei casi totali da metà luglio, al netto dei casi asintomatici identificati attraverso attività di screening/tracciamento dei contatti e dei casi importati da stato estero (categorie non mutuamente esclusive), vi è stata stabilizzazione e solo recentemente un lieve aumento della trasmissibilità. Questo ci permette di affermare assieme ad altri dati che, sebbene il numero di casi riportato giornalmente sia numericamente simile a quanto riportato alla fine di febbraio 2020, la fase epidemiologica è completamente diversa con casi diagnosticati quasi esclusivamente in sintomatici ed un Rt stimato ad oltre 2.

Come va interpretato?

Questo dato, letto assieme a quello sul numero di nuovi casi diagnosticati ogni giorno, suggerisce che il grande lavoro svolto dai servizi territoriali ha per il momento contenuto la diffusione del virus sul nostro territorio. La maggior parte dei casi è identificato attraverso screening di popolazione e ricerca dei contatti con identificazione dei focolai e rapida realizzazione di misure di isolamento e quarantena. Il fatto che non vi sia sovraccarico dei servizi assistenziali è una conferma di questo. Allo stesso tempo però l’aumento dei casi diagnosticati conferma che ci sia una elevata circolazione del virus (sia autoctono che re-introdotto da altri Paesi) dà conto dell’aumento del lavoro richiesto agli stessi servizi territoriali le cui capacità di risposta rischiano di essere messe a dura prova.

Nota metodologica

La stima di R(t) viene effettuata con un metodo statistico consolidato [1], che stima la distribuzione a posteriori tramite un algoritmo Markov Chain Monte Carlo (MCMC) applicato alla seguente funzione di verosimiglianza

Dove, oltre a R(t):

  • P(k; λ) è la densità di una distribuzione Poisson, ovvero la probabilità di osservare k eventi se questi avvengono a una frequenza media λ.
  • C(t) è il numero di casi sintomatici con data di inizio sintomi al giorno t, con t=1,…,T
  • I(t) è il numero di casi sintomatici importati da un’altra regione o dall’estero aventi data inizio sintomi nel giorno t; essendo un sottoinsieme di C(t), si ha che C(t) ³ I(t) a ogni t.
  • p(T) è la distribuzione del tempo di generazione (una distribuzione gamma con parametri di shape = 1.87 e rate = 0.28, stimata su dati della regione Lombardia [2]).

 

Bibliografia essenziale

[1] Cori A, Ferguson NM, Fraser C, Cauchemez S. A new framework and software to estimate time-varying reproduction numbers during epidemics. Am J Epidemiol. 2013;178(9):1505-1512. doi:10.1093/aje/kwt133

[2] D Cereda, M Tirani, F Rovida, V Demicheli, M Ajelli, P Poletti, F Trentini, G Guzzetta, V Marziano, A Barone, M Magoni, S Deandrea, G Diurno, M Lombardo, M Faccini, A Pan, R Bruno, E Pariani, G Grasselli, A Piatti, M Gramegna, F Baldanti, A Melegaro, S Merler. The early phase of the COVID-19 outbreak in Lombardy, Italy. ArXiv:2003.09320v1, 2020.

Fonte: ISS




Il virus della rosolia passato dagli animali all’uomo

Nuova ipotesi dopo la scoperta di virus simili in topi e pipistrelli
Potrebbe essersi originato negli animali per poi passare all’uomo. Lo suggerisce la scoperta di due suoi stretti ‘parenti’, trovati in un gruppo di pipistrelli ugandesi e in alcuni topi in Germania. Descritti su Nature da due gruppi di ricerca indipendenti, questi nuovi virus sembrano essere innocui per l’uomo, ma non è possibile escludere che in futuro possano fare il salto di specie causando nuove epidemie.

“Saremmo negligenti a non preoccuparci, visto cosa sta accadendo nel mondo oggi”, afferma Tony Goldberg, epidemiologo dell’Università del Wisconsin tra i coordinatori dello studio. Il Rubella virus, il virus della rosolia isolato per la prima volta nel 1962, era considerato finora l’unico esemplare della sua famiglia. La sua eradicazione a livello globale è considerata come un obiettivo raggiungibile dall’Organizzazione mondiale della sanità perché al momento non sono noti animali che possano essere contagiati diventando un pericoloso serbatoio di infezione. A cambiare le carte in tavola potrebbe essere proprio l’identificazione dei suoi nuovi ‘parenti’.

Il virus Ruhugu, trovato in Africa, e il virus Rustrela, individuato in Germania, sono infatti presenti in specie di mammiferi molto comuni: quasi la metà dei topi e dei pipistrelli testati dai ricercatori sono risultati positivi. Ciò fa pensare che questi animali possano fungere da riserva per i virus, in quanto portatori sani che possono trasmettere l’infezione. Lo studio suggerisce dunque che il virus della rosolia, come tanti altri virus che colpiscono l’uomo, potrebbe essersi originato negli animali, ma non è noto se possa passare nuovamente dall’uomo agli animali. Se questo accadesse, o se i due nuovi virus arrivassero a contagiare l’uomo, la lotta alla rosolia si troverebbe a un punto di svolta. Le analisi dei ricercatori suggeriscono comunque che i virus Ruhugu e Rustrela sarebbero così simili al Rubella virus da poter essere fermati grazie all’attuale vaccino per la rosolia.

Fonte: ANSA




La Vespa orientalis arriva in Toscana

Il calabrone orientale, Vespa orientalis, ha raggiunto anche il territorio toscano, proseguendo l’espansione del suo areale nella risalita della penisola. La presenza della specie è segnalata in tutto il sud Italia, oltre che nel Friuli Venezia Giulia, dove sembra essersi insediata nella città di Trieste già a partire dall’estate del 2018, e a Genova, dove un individuo è stato segnalato nel 2018 e una nuova segnalazione è stata effettuata a fine agosto.

La segnalazione toscana riguarda il centro della città di Grosseto.

Tutte le informazione sul ritrovamento sul sito stopvelutina.it, la rete italiana nata dal progetto Mipaaf  “VELUTINA”, conclusosi nel 2016 e avente scopo la messa a punto a punto di strategie di contenimento della vespa esotica.  Dal 2016 StopVelutina continua a lavorare come gruppo non finanziato: i suoi soggetti si sono impegnati a realizzare, anche con risorse proprie, progetti comuni e concordati con gli altri membri per arginare e gestire la presenza del calabrone asiatico in Italia.




Differenze di genere in COVID-19: l’importanza dei dati disaggregati per sesso

La pandemia da COVID-19 sta colpendo tutta la popolazione, anche se in modo diverso, a causa di vari fattori, tra i quali anche il sesso e il genere che sembrano svolgere un ruolo molto importante. In particolare il genere (vale a dire l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile) determina importanti differenze su come questa pandemia influenzi la vita quotidiana delle persone. Un esempio è proprio quello recentemente riportato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che mette in luce il dato allarmante dei numerosi episodi di violenza domestica che tante donne sono costrette a subire, a causa della condivisione continuativa degli spazi con uomini maltrattanti, con conseguenti e reiterate situazioni di disagio fisico e psicologico.

Tuttavia, ancor più evidenti durante un’epidemia o una pandemia come questa, sono le differenze di sesso, ovvero quelle differenze dovute alle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce (per esempio i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali). Per poter capire davvero quale sia il peso del sesso e del genere in questa patologia abbiamo però bisogno di dati aggiornati e disaggregati.

Mancanza di dati disaggregati per sesso e genere

Prima di approfondire l’argomento delle differenze di sesso nel contesto della pandemia da COVID-19, vale la pena ricordare che l’immagine che si può dipingere è destinata ad essere incompleta, poiché non tutti i Paesi hanno raccolto e riportano i propri dati disaggregati per sesso e genere. L’articolo “Sex, gender and COVID-19: Disaggregated data and health disparities” pubblicato sul blog della rivista BMJ Global Health il 24 marzo 2020 ha esaminato i dati dei 20 Paesi che avevano il numero più alto di casi confermati di COVID-19, a quel momento. Di queste 20 nazioni, Belgio, Malesia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti non avevano fornito dati disaggregati o suddivisi per sesso. L’Italia, da sempre molto impegnata nello studio delle differenze di genere, ha invece rilasciato da subito dati disaggregati. In seguito alcuni Paesi hanno reso disponibili i propri dati ma ad oggi rimangono una minoranza i Paesi che forniscono dati completi differenziati per sesso.

Decessi: gli uomini muoiono di più delle donne

Global Health 50/50, un’organizzazione internazionale che promuove l’uguaglianza di genere nell’assistenza sanitaria, ha iniziato a raccogliere i dati disaggregati per sesso su COVID-19 riportati finora dai governi nazionali e disponibili pubblicamente. Dall’analisi, oltre al tema dell’under-reporting dei dati disaggregati per sesso, emerge chiaramente una più alta proporzione di decessi per COVID-19 negli uomini rispetto alle donne in quasi tutti i Paesi che forniscono dati completi. In Italia secondo i dati riportati nel bollettino della sorveglianza integrata (aggiornamento del 23 aprile 2020), la percentuale di letalità per gli uomini è circa il doppio di quella delle donne (17,1% e 9,3% rispettivamente). Differenze simili sono riportate in molti altri Paesi europei (fra cui Grecia, Olanda, Danimarca, Belgio e Spagna) ed extraeuropei (come Cina e Filippine). In alcuni Paesi, come Tailandia e Repubblica Domenicana, il rapporto maschi/femmine (M/F) risulta ancora più alto, superiore cioè a 3:1 (3,8 e 3,2 rispettivamente). Tra le nazioni che forniscono i dati differenziati per sesso, solo l’India e il Pakistan mostrano una proporzione lievemente più alta nelle donne decedute per COVID-19, con un rapporto M/F pari a 0,9.

Diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 in donne e uomini

Più incerta è la situazione sulle differenze di sesso e genere per quanto riguarda i casi diagnosticati. I dati disponibili non sono sufficienti per trarre una conclusione sui tassi di infezione suddivisi per sesso, almeno fino a quando non conosceremo la percentuale di persone di ciascun sesso che si sono sottoposte al tampone. In Italia, come in altri Paesi, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo e Danimarca è stata riportata una maggiore percentuale di casi tra le donne. In altri, come Singapore, Pakistan e India, l’infezione sembra essere molto più frequente nei maschi.

In Italia, come in altri Paesi, la maggior parte degli operatori sanitari infetti è donna

Un dato italiano molto importante è quello dei casi di infezione tra gli operatori sanitari, ad oggi infatti il 69% degli operatori infetti è donna. Altre nazioni, come Stati Uniti, Spagna e Gremania riportano dati simili (73%, 72% e 75% rispettivamente). Questo dato potrebbe essere giustificato dalla più alta percentuale di donne in questa categoria professionale ma saranno necessari ulteriori studi per poter giungere a delle conclusioni più certe.

Perché i dati disaggregati per sesso sono importanti

Conoscere le reali differenze di sesso e genere in termini di incidenza e letalità rappresenta il primo passo per investigare i meccanismi biologici e/o sociali alla base di queste differenze al fine di identificare strategie preventive e bersagli terapeutici specifici per uomini e donne. Politiche di intervento che prendano in considerazione le esigenze delle donne che lavorano in prima linea, per esempio come operatrici sanitarie, potrebbero aiutare a prevenire i più alti tassi di infezione che vediamo nel sesso femminile in questa fascia di popolazione. Inoltre, uomini e donne tendono a reagire in modo diverso ai potenziali vaccini e trattamenti, quindi avere accesso a dati disaggregati per sesso risulterebbe fondamentale per condurre studi clinici più appropriati. Tenere quindi in considerazione il sesso e il genere in relazione alla salute non deve essere considerata una componente aggiuntiva ed opzionale, ma un aspetto necessario a garantire efficacia ed equità ai sistemi sanitari di ogni Paese.

Risorse utili

Fonte: EPICENTRO aggiornamento al 25 aprile 2020




Che fine fanno le zanzare d’inverno? Un’app può aiutare a scoprirlo

Si chiama Mosquito Alert ed è una app per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa e di contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori.

Dietro la app c’è un network di ricerca internazionale coordinato per l’Italia dall’Università La Sapienza di Roma, a cui partecipa anche il Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). I ricercatori dell’IZSVe faranno infatti parte del team di esperti internazionali che si occuperà del riconoscimento delle specie di zanzare, a partire dalle foto scattate dai cittadini e inviate con la app.

Zanzare esotiche ormai di casa

Mosquito Alert ed è una app gratuita  per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa attraverso segnalazioni e fotografie inviate dai cittadini. L’app permette inoltre di segnalare le punture ricevute e potenziali siti di riproduzione delle zanzare. Queste informazioni sono utili per contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori. I cittadini possono quindi contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo.

Le zanzare non sono più quelle “di una volta”. Negli ultimi decenni, la globalizzazione e i cambiamenti climatici hanno portato alla diffusione in Italia ed in Europa di specie di zanzare esotiche, un tempo confinate alle regione tropicali, prima di tutte la famosa zanzara tigre (Aedes albopictus), ma anche altre specie meno note, come la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e quella coreana (Aedes koreicus).

Queste specie non solo hanno cambiato la vita di tutti noi a causa del loro comportamento di puntura aggressivo e diurno, ma hanno creato le condizioni per la trasmissione di virus esotici capaci di causare gravi patologie all’uomo. Nel 2017 un’epidemia del virus chikungunya, sostenuta dalla zanzara tigre, ha causato centinaia di infezioni nel Lazio e in Calabria, e nelle scorse settimane si sono registrati nel Vicentino i primi 10 casi autoctoni del più temibile virus della dengue. La trasmissione di questi virus a partire da viaggiatori infetti provenienti da regioni tropicali endemiche è diventata ormai una regola in molto paesi europei.

Questi casi si sommano a quelli di un virus endemico nel nostro territorio – il virus del Nilo Occidentale – trasmesso dalla zanzara notturna nostrana (Culex pipiens), per il quale negli ultimi anni si è osservato un preoccupante aumento, probabilmente legato a un clima particolarmente favorevole al vettore. Secondo i dati del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC), nel 2020 ci sono stati 29 casi di virus del Nilo Occidentale in Italia e 1.688 casi in Europa, con 13 decessi.


Mosquito alert, un esempio di citizen science europea

Sebbene questi numeri non impressionino in questo periodo in cui ci siamo abituati a contare i casi ed i decessi da Covid-19 nell’ordine delle migliaia e delle decine al giorno, non va abbassata la guardia su altri pericolosi agenti patogeni. Per questo un gruppo di esperti internazionali nel campo della prevenzione e del controllo delle malattie trasmesse da vettore sta collaborando insieme per sviluppare ed implementare in Europa un sistema di monitoraggio delle zanzare attraverso Mosquito Alert, un’applicazione gratuita per telefoni cellulari, attraverso la quale ogni cittadino può inviare segnalazioni e fotografie di zanzare.

Mosquito Alert è attiva in Spagna dal 2014 dove ha permesso di rilevare rapidamente l’espansione della zanzara tigre a regioni settentrionali fino a poco fa ancora esenti e la presenza di nuove specie invasive, grazie ad oltre 18.000 avvistamenti inviati da un’ampia rete di volontari. Mosquito Alert ha da oggi una dimensione internazionale grazie a due progetti finanziati dalla Comunità Europea – la Aedes Invasive Mosquito COST ACTION (AIM-COST) e Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) – che riuniscono 46 paesi in Europa ed in regioni limitrofe. È stata già tradotta in 17 lingue, Italiano incluso, e aggiornata rispetto alla versione del 2014.

La nuova versione consente non solo l’invio di foto delle zanzare (aliene e non), ma anche segnalazioni delle punture ricevute. Attraverso una task force di oltre 50 esperti entomologi, le immagini inviate vengono identificate e archiviate per consentire e una valutazione su larga scala della diffusione e stagionalità delle diverse specie, impossibile da ottenere con strumenti entomologici convenzionali isolato per isolato in tutti i centri abitati dei paesi interessati.

I cittadini sono quindi chiamati a contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo. Mosquito Alert fornisce tutte le informazioni ed i trucchetti necessari per fotografare gli esemplari avvistati o catturati nella maniera migliore.

Fonte: IZS Venezie




Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP




A proposito dell’intervista a Luc Montagnier

Giovanni Di GuardoDi recente è stata diffusa un’intervista al virologo francese Luc Montagnier (premio Nobel per la medicina nel 2008) sull’origine del VIRUS SARS-CoV-2 che ha destato molto stupore nell’opinione pubblica. Su tale intervento ci sono pervenuti alcuni commenti del prof. Giovanni Di Guardo, che volentieri ospitiamo:

Il professor Luc Montagnier è senza dubbio un Grande della Medicina, come dimostra il Premio Nobel di cui e’ stato insignito nel 2008 (che tuttavia, a onor del vero, avrebbe dovuto condividere con Robert Gallo, co-scopritore del virus dell’Aids, HIV), ma da qui a dire che le Sue “certezze” siano quelle della Comunità Scientifica, che di prove sull’origine naturale di SARS-CoV-2 ne ha gia’ fornite parecchie (si veda, in proposito, l’autorevole studio recentemente pubblicato su Nature Medicine), ce ne corre davvero tanto…..(e c’è chi, come il professor Clerici, ha gia’ preconizzato, sulle pagine dell’autorevole Journal of Virology, la comparsa di SARS-CoV-3, anch’esso di origine naturale!).

Quanto sopra anche alla luce delle pregresse, fondamentali evidenze scientifiche sulla cui scorta anche SARS-CoV e MERS-CoV, i due “illustri” predecessori di SARS-CoV-2, avrebbero avuto anch’essi un’origine naturale! La Storia della Medicina (Historia Magistra Vitae!) ci ha fornito nel tempo molti esempi di virus (e, più in generale, di agenti patogeni) capaci di effettuare il fatidico “salto di specie” uomo-animale, a tal punto che oltre il 70% degli agenti responsabili delle cd “malattie infettive emergenti” riconoscerebbero un comprovato o sospetto “serbatoio animale”……e, chissà quali e quante sorprese ci riserverà il futuro, andando avanti di questo passo (incremento demografico, deforestazione, riscaldamento globale, crescente contaminazione da composti chimici e plastiche a livello globale, etc. etc.).

Dobbiamo stare pronti (Estote Parati!), come professioni sanitarie e come professionisti sanitari, a tutti i livelli, incrementando (ed, in una serie di casi, pure attivando!) una quantomai ampia ed intensa collaborazione interdisciplinare (nel segno di “One Health”, che spesso appare ai miei occhi più uno “slogan” piuttosto che un sano e salvifico concetto e principio al quale ispirare e ricondurre costantemente i nostri comportamenti e le nostre azioni in ambito di sanità pubblica!).

Un’ultima considerazione in merito ai singolari contenuti dell’intervista rilasciata da Luc Montagnier (sul ruolo dell’inquinamento elettromagnetico preferirei sorvolare, visto che epidemie e pandemie esistono “dalla notte dei tempi”!): quale folle mente utilizzerebbe un “backbone coronavirale” per mettere a punto un eventuale vaccino nei confronti di HIV (virus notoriamente assai mutevole peraltro, anche nel corso di una singola infezione in un singolo individuo!) quando esistono vettori virali di espressione (vedi Adenovirus, per esempio) ben più innocui?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria




Di Guardo: Spagnola e Covid, un confronto sbagliato

Con una lettera al Direttore di quotidianosanità.it, il Prof. Giovanni Di Guardo – Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria,  Università di Teramo, Facoltà di Medicina Veterinaria – propone una riflessione sulla correttezza dei parallelismi e confronti che spesso vengono proposti fra COVID-19 e influenza Spagnola e le pandemie causate rispettivamente dalla circolazione dei virus  SARS-CoV-2 e IAV-H1N1, a partire dall’esistenza di terapie antibiotiche, del tutto assenti nel caso dell’influenza spagnola, disponibili per curare le complicanze dovute a batteri d’irruzione secondaria.

Sarebbe interessante, purtuttavia – afferma Di Guardo – acquisire dati affidabili in merito alla reale prevalenza delle complicanze settiche nei pazienti CoViD-19-affetti, al precipuo fine di poter stabilire quale sia stato l’effettivo ruolo svolto dai batteri d’irruzione secondaria negli oltre 880.000 casi di malattia ad esito letale ufficialmente accertati su scala globale.

Alle succitate opzioni terapeutiche oggigiorno disponibili per gli individui SARS-CoV-2-infetti colpiti da sindromi respiratorie complicate da germi d’irruzione secondaria fa da “contraltare”, infatti, l’allarmante escalation delle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, responsabili di almeno 10.000 decessi su base annua in Italia, fattispecie quest’ultima che “conferisce” al nostro Paese un triste primato per tale parametro nel Vecchio Continente”.




ISS: Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico

L’Istituto Superiore di sanità ha pubblicato il “Rapporto ISS COVID-19 n. 26/2020 – Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico. Versione del 18 maggio 2020”

Il documento fornisce raccomandazioni per la gestione di mascherine e guanti monouso come rifiuti prodotti da utilizzo domestico e non domestico, compresi Enti pubblici e privati, attività commerciali e produttive, diverse dalle attività sanitarie e sociosanitarie. Vengono fornite raccomandazioni anche sulle caratteristiche, posizionamento e movimentazione dei contenitori per la raccolta di tali rifiuti.

Scarica il rapporto
Scarica il poster su smaltimento di guanti e mascherine