Resistenza agli antimicrobici: quale il rischio di diffusione tramite il trasporto di animali?

L’EFSA ha intrapreso una nuova valutazione scientifica per esaminare la rischio di diffusione di batteri resistenti agli antimicrobici durante il trasporto di animali.

La valutazione, richiesta dalla Commissione per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo, si concentrerà sul rischio di diffusione di batteri zoonotici resistenti tra pollame, suini e bovini durante il trasporto ad altri allevamenti o al macello.

La resistenza agli antimicrobici (AMR), se si verifica in batteri zoonotici, ovvero batteri che possono trasferirsi dagli animali all’uomo, può persino compromettere l’efficacia della terapia di malattie infettive nell’uomo.

Ha affermato Marta Hugas, direttore scientifico EFSA: “La resistenza agli antimicrobici è una minaccia che incombe sulla salute pubblica, e una consulenza che si basi su evidenze scientifiche è vitale per sviluppare politiche e  leggi mirate ad affrontare questa sfida.

“Questo nuovo mandato – il cui fulcro sono le possibili implicazione per la salute umana – illustra ancora una volta la convergenza crescente tra salute animale e umana e la necessità di un approccio “One Health” –  ovvero di salute unica globale – da parte di valutatori e politici”.

Oltre a indagare su fattori che possono provocare la diffusione di batteri resistenti agli antimicrobici tramite il trasporto, l’EFSA vaglierà anche misure di prevenzione e opzioni per il controllo del fenomeno, e individuerà eventuali necessità di dati ulteriori per corroborare l’analisi della questione. Il parere scientifico dovrebbero essere completato entro settembre 2022.

La richiesta trae origine da colloqui intercorsi l’anno scorso tra la Commissione d’inchiesta sulla protezione degli animali durante il trasporto (ANIT), la Commissione europea e l’EFSA.

Fonte: EFSA

 




Metà delle specie aliene marine arrivano in Ue via nave

Il trasporto marittimo svolge e continuerà a svolgere un ruolo essenziale nel commercio e nell’economia mondiale ed europea. Negli ultimi anni, il settore marittimo ha adottato misure significative per alleviare il proprio impatto ambientale.

In vista di un atteso aumento dei trasporti via mare a livello globale, con riferimento all’UE la relazione sull’impatto ambientale del trasporto marittimo europeo, presentata dall’Agenzia europea dell’ambiente e dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima,  rivela per la prima volta la piena portata dell’impatto di tale settore sull’ambiente e individua le problematiche da risolvere per conseguire uno sviluppo sostenibile.

Dalla relazione emerge che nel complesso, dal 1949, il settore del trasporto marittimo è il principale responsabile dell’introduzione di specie non indigene nei mari dell’UE (circa il 50%), la maggior parte delle quali è stata rilevata nel Mediterraneo. Si tratta di un totale di 51 specie, tutte classificate ad alto impatto, perché possono incidere sugli ecosistemi e sulle specie autoctone. La relazione segnala anche che i dati disponibili per valutare l’impatto complessivo sugli habitat e sulle specie sono limitati.

Secondo il rapporto le navi che fanno scalo nei porti dell’Ue e dello Spazio economico europeo hanno generato circa 140 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 nel 2018, il 18% delle emissioni da trasporto marittimo su scala mondiale.

Migliora la situazione delle perdite di petrolio. Nonostante i volumi trasportati via mare siano aumentati negli ultimi 30 anni, su un totale di 18 grandi fuoriuscite accidentali di petrolio nel mondo dal 2010, solo tre sono state localizzate nell’Ue (17%).

A cura della segreteria SIMeVeP




Escherichia coli resistenti agli antibiotici: un confronto genetico per comprendere la trasmissione della resistenza tra animali e uomo

antibioticoresistenzaI cloni di Escherichia coli che infettano o colonizzano l’uomo e gli animali allevati per la produzione di alimenti potrebbero circolare fra le diverse specie che li ospitano, scambiandosi geni che conferiscono meccanismi di resistenza agli antibiotici. Per questo è importante adottare un approccio One Health nella sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dei batteri patogeni, analizzando e confrontando con metodi armonizzati il genoma di batteri isolati da matrici umane e animali.

A suggerirlo sono anche i risultati di un progetto di ricerca finanziato nel 2015 dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e realizzato da 15 istituti italiani di sanità pubblica tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). Lo studio è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents.

Il problema sanitario degli E. coli resistenti agli antibiotici

Le beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di Escherichia coli in grado di produrre ESBL, isolati sia nell’uomo che in animali allevati per produrre alimenti. La ricerca scientifica sta quindi cercando di stabilire se i geni codificanti ESBL possono trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Le beta-lattamasi a spettro esteso (Extended-Spectrum Beta-Lactamases, ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. Questi antibiotici sono utilizzati per il trattamento di alcune importanti infezioni batteriche umane, tra cui quelle sostenute da Klebsiella pneumoniae e quelle extra-intestinali causate da E. coli.

A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di E. coli in grado di produrre ESBL, fra cui in particolare il clone denominato ST131, che hanno complicato considerevolmente la terapia di queste infezioni sia in comunità che in ambito ospedaliero.

Negli ultimi anni sono inoltre in aumento le segnalazioni di E. coli ESBL-produttori negli animali allevati per la produzione di alimenti.  Anche se il clone ST131 viene sporadicamente isolato in queste specie, i geni codificanti ESBL potrebbero trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Su questa ipotesi la letteratura scientifica ha fornito sinora evidenze contrastanti: alcuni studi hanno rilevato in E.coli isolati dagli animali e dall’uomo i medesimi geni codificanti ESBL, mentre altri hanno evidenziato differenze fra i geni codificanti questi enzimi in relazione alle specie animali da cui i batteri erano isolati.

E. coli può inoltre disporre di altri geni che producono ulteriori meccanismi di resistenza agli antibiotici. Tra questi i geni che codificano le carbapenemasi, enzimi che conferiscono resistenza a diversi principi attivi tra i quali i carbapenemi, utilizzati nell’ambito della clinica umana per il trattamento di E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, oppure i geni in grado di conferire resistenza alla colistina (mobile colistin resistancemcr), antibiotico salvavita somministrato per contrastare i batteri resistenti proprio ai carbapenemi, oltre che ad altri antibiotici.

Uno studio One Health sugli E.coli resistenti

Tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti. Sono stati analizzati 925 isolati di E. coli ESBL-produttori raccolti da 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici diversi, tra cui l’IZSVe. Gli isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL, quindi classificati con ulteriori metodi molecolari in gruppi filogenetici e cloni.

Per comprendere quindi se gli animali e gli alimenti da essi derivati possono contribuire alla trasmissione delle resistenze verso le cefalosporine di terza e quarta generazione in batteri patogeni per l’uomo, tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti.

Il progetto, che rappresenta uno dei primi esempi in Italia di approccio One Health nella ricerca sulle resistenze batteriche agli antimicrobici, ha coinvolto i laboratori di 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici sperimentali situati in 6 diverse regioni italiane: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Lazio e Sicilia.

I partner del progetto hanno contribuito alla raccolta di 925 isolati di E. coli ESBL-produttori individuati durante le loro attività diagnostiche di routine. Di questi, 480 provenivano da matrici umane (urine o sangue) e 445 da matrici animali (feci o intestino). In particolare, gli isolati di origine animale sono stati prelevati da bovini (29,4%), suini (27,0%) e specie avicole (43,6%).

Questi isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL e carbapenemasi; quindi sono stati tipizzati con ulteriori metodi molecolari per poterli classificare prima in gruppi filogenetici e successivamente, mediante Multilocus Sequence Typing (MSLT), in cloni. Negli isolati risultati resistenti alla colistina sono stati ricercati anche i geni da mcr-1 a mcr-5.

Screening molecolare

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. In particolare, CTX-M-15 è risultato il gene più frequente nell’uomo (75,0%) e nei bovini (51,1%), CTX-M-1 era più diffuso nei suini (58,3%), mentre nel pollame è stato individuato con maggiore frequenza il gene CTX-M-15 (36,6%), unitamente a geni di tipo diverso (SHV e CMY-2, 29,9%).

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. Gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). I dati emersi dallo studio indicano che i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL, per cui lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è un fenomeno probabile.

Tra gli isolati di E.coli ESBL-produttori analizzati 14 (di cui solo uno di origine animale) sono risultati resistenti anche ai carbapenemi, anche se in nessuno di essi sono stati rilevati geni codificanti carbapenemasi. I ricercatori spiegano questa apparente contraddizione con la possibilità che all’origine della resistenza ci fossero geni o meccanismi di resistenza diversi da quelli investigati nello studio.

Gruppi filogenetici e cloni

L’analisi filogenetica ha permesso di classificare gli isolati in 7 diversi gruppi filogenetici (A, B1, B2, C, D, E, F). Come già noto, gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). Gli isolati animali si distribuivano invece prevalentemente tra i gruppi A (35,7%), B1 (26,1%) e C (12,4%).

La tipizzazione effettuata con la tecnica MSLT ha rivelato poi che la maggior parte degli isolati di origine umana (83,4%) apparteneva al clone pandemico ST131, che era frequentemente portatore del gene CTX-M-15 (75,9%). Questo clone è stato rilevato solo raramente negli isolati di origine animale (solo 3 isolati, originati tutti da pollame).

Scambi genetici, un’ipotesi da approfondire

I dati emersi dallo studio indicano che gli isolati ESBL-produttori di E. coli responsabili di infezioni extra-intestinali nell’uomo e quelli che colonizzano gli animali allevati per la produzione di alimenti sono per lo più diversi, con il clone ST131 che si conferma poco diffuso negli animali.  Tuttavia, come già evidenziato in altri studi, i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL.

Lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è quindi un fenomeno probabile, soprattutto se sussistono fattori di rischio come l’impiego non prudente di antimicrobici; dovrà quindi essere indagato ulteriormente dalla comunità scientifica e monitorato dalle autorità sanitarie.

Infine 42 isolati analizzati nello studio sono risultati resistenti anche alla colistina; di questi 29 (3 provenienti da matrici umane e 26 da matrici animali) erano portatori del gene mcr-1, veicolato su elementi genetici mobili (i cosiddetti plasmidi) facilmente interscambiabili fra batteri diversi. Uno degli isolati da matrici umane apparteneva al clone ST131. Sulla base di queste evidenze, gli autori dello studio sottolineano l’importanza di mantenere una sorveglianza anche verso questo tipo di resistenza.

Fonte: IZS delle Venezie




Il Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia

Ancora a rischio specie e habitat marini e terrestri. Necessari interventi di contrasto per il 35% delle specie esotiche piu’ pericolose

Situazione critica per le specie e gli habitat che popolano il nostro Paese: seppur tutelati ormai da decenni, sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri, mentre gli habitat marini mostrano status favorevole nel 63% dei casi e sconosciuto nel restante 37%.

E’ quanto emerge dal Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia, disponibile on line sul sito dell’Istituto, che presenta il quadro aggiornato dello stato di conservazione delle specie animali e vegetali e degli habitat tutelati a livello comunitario presenti nel nostro Paese in ambito sia marino che terrestre. Il volume fornisce una sintesi commentata dei risultati che emergono dai dati italiani prodotti in risposta a direttive e regolamenti europei in materia di biodiversità e presenta i risultati emersi dalle tre rendicontazioni trasmesse dall’Italia alla Commissione
Europea nel 2019 nell’ambito delle Direttive Habitat e Uccelli e del Regolamento per il contrasto alle specie esotiche invasive.

L’Italia è tra i Paesi europei con maggior ricchezza di specie e habitat e con i più alti tassi di specie esclusive del proprio territorio; i dati presentati nel Rapporto, infatti, riguardano 336 specie di uccelli, 349 specie animali e vegetali e 132 habitat presenti nel nostro territorio e nei nostri mari, oltre che 31 specie esotiche invasive.

I risultati relativi all’avifauna mostrano che nonostante il 47% delle specie nidificanti presenti un incremento di popolazione o una stabilità demografica, il 23% delle specie risulta in decremento e il 37% è stato inserito nelle principali categorie di rischio di estinzione.

Inoltre il 35% delle specie esotiche invasive individuate come le più pericolose a scala europea presenti in Italia, non è stato ancora oggetto di alcun intervento gestionale finalizzato al contrasto. Ricchezza di specie e habitat sono accompagnati in Italia da elevata densità di
popolazione, forte pressione antropica e inarrestabile consumo di suolo.

In ambito terrestre tra le pressioni che minacciano la nostra biodiversità l’agricoltura è la principale causa di deterioramento per specie e habitat, seguita dallo sviluppo di infrastrutture e dall’urbanizzazione.

Tali pressioni sono tra le più ricorrenti anche per l’avifauna; in particolare le minacce connesse alle moderne pratiche agricole si ritiene abbiano inciso in modo determinante sulla drastica diminuzione delle popolazioni di specie tipiche degli ambienti agricoli, soprattutto in pianura e dove c’è maggiore utilizzo delle colture intensive.

In ambito marino il Rapporto mostra invece che le attività di prelievo e le catture accidentali rappresentano le maggiori fonti di pressione sulle specie di interesse comunitario, accompagnate dall’inquinamento, dai trasporti marittimi e dalla costruzione di infrastrutture, che insistono anche sulla maggioranza degli habitat marini, insieme alle attività con attrezzi da pesca che interagiscono fisicamente con i
fondali.

I risultati fanno emergere l’urgente necessità di un maggiore impegno nella conservazione e gestione di specie e habitat in Italia, anche in riferimento agli obiettivi della nuova Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030. È anche essenziale rafforzare gli sforzi di monitoraggio, perché le norme comunitarie impongono un salto di qualità nei dati che dovranno essere trasmessi nei prossimi anni.

Fonte: ISPRA




Raccomandazioni per l’UE sulla normativa concernente ricerca e sviluppo del Genome editing per piante e animali da allevamento

laboratorio

L’Unione Europea delle Accademie Agricole (UEAA), attraverso un gruppo di lavoro ha formulato e trasmesso alla Commissione dell’UE alcune raccomandazioni per la revisione della normativa, attualmente in vigore, sul Genome editing. L’Italia aderisce all’UEAA attraverso l’Accademia dei Georgofili con la quale mantiene stretti rapporti, anche in collegamento con UNASA (Unione Nazionale delle Accademie per le Scienze Applicate allo Sviluppo dell’Agricoltura).
Lo scorso mese di Ottobre l’UNASA, rispondendo alla “Consultazione pubblica sulla normativa europea per le piante prodotte con alcune Nuove Tecniche Genomiche”, ha preparato e trasmesso una nota nella quale, sulla base di articolate argomentazioni, si chiedeva il cambiamento delle normativa oggi in vigore nell’UE che fa considerare i prodotti ottenuti con il Genome editing uguali agli OGM, riconoscendo che, ogni qualvolta le nuove tecniche genomiche portano a ottenere un prodotto che è analogo, o addirittura non distinguibile, da qualcosa che si sarebbe potuto ottenere per mutagenesi spontanea e per incrocio, questo venga considerato alla pari delle varietà ottenute per incrocio e selezione. Tale documento è stato anche trasmesso all’UEAA, la quale, come si è anticipato, ha a sua volta ora inviato all’UE una serie di raccomandazioni per il Genome editing che sostanzialmente vanno nella stessa direzione di quelle espresse dall’UNASA.
Il documento dell’UEAA, infatti, ha come premessa generale la messa in evidenza della potenzialità delle Nuove Tecniche Genomiche, come il Genome editing, nel contribuire alla sostenibilità del sistema agroalimentare. Si sostiene, pertanto, che l’agricoltura europea deve fare affidamento sulle nuove tecnologie genomiche per produrre di più e meglio al fine di garantire l’alimentazione della popolazione e la tutela ambientale.
Le raccomandazioni sono formulate distinguendo tra: piante e animali da allevamento.
Per quanto attiene le piante si fa riferimento al sistema CRISPR associato all’enzima CAS9 (CRISPR/CAS9) e le richieste ricalcano sostanzialmente quelle contenute nel documento dell’UNASA. Per gli animali da allevamento, si sottolineano le ragioni e l’importanza della selezione genomica e si sostiene l’urgente necessità di regolare in Europa Ricerca e Sviluppo sulle Nuove Tecnologie Genomiche per gli animali da allevamento. Al riguardo si segnala l’incontro su “La genetica e le sfide future della zootecnia” tenutosi nell’ambito degli eventi promossi dall’Accademia dei Georgofili lo scorso mese di Settembre in occasione dell’incontro a Firenze dei Ministri dell’agricoltura dei G 20, i cui Atti sono disponibili sul sito dei Georgofili (https://www.georgofili.it/contenuti/genetica-sfide-zootecnia/9342)

Il documento dell’UEAA è consultabile sul sito dell’UNASA: http://www.unasa.net/notizie/

Fonte: gergofili.info




Preparazione e risposta alle pandemie influenzali: la rete di Epidemic Intelligence Nazionale

L’accordo sancito in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, il 25 gennaio 2021 sul «Piano strategico– operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021 – 2023 » prevede di disporre di un sistema di Epidemic Intelligence Nazionale ossia un sistema che – comprendono tutte le attività volte  all’identificazione precoce di rischi in sanità pubblica, la loro validazione, valutazione e indagine –  consenta la rapida rilevazione e analisi di informazioni in base alle quali avviare indagini epidemiologiche e azioni di controllo sul territorio per identificare precocemente e monitorare eventi che possano costituire una emergenza  internazionale di sanità pubblica.

L’epidemic intelligence combina la sorveglianza basata su eventi e quella basata su indicatori. In Italia il Network Italiano di Epidemic Intelligence, finanziato nell’ambito di una azione centrale
del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) costituisce un esempio di questa attività.

Con Decreto Direttoriale del 1° giugno 2021 è stata istituita la Rete di Epidemic Intelligence Nazionale (Rete), composta da analisti formati e certificati dall’Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute, designati dai rappresentanti dei servizi sanitari pubblici (Ministero, Iss, Regioni/Pa, Asl, Irccs, ecc.) sul territorio nazionale.

Il Ministero della salute ha diramato una Circolare per fornire indicazioni operative per l’implementazione della sorveglianza basata su eventi a livello nazionale.




Vespa velutina: sempre più apiari positivi in provincia di Massa-Carrara

Vespa VelutinaAumentano le segnalazioni da parte degli apicoltori della provincia di Massa-Carrara per la presenza di Vespa velutina presso i loro apiari.

Dopo la provincia di Imperia, fortemente colpita ormai da diversi anni, quelle di La Spezia e Massa-Carrara appaiono le provincie più problematiche per numero di nuove segnalazioni.

Alcune segnalazioni provengono anche dalla Lunigiana (Mulazzo MS e Castelnuovo Magra SP), mentre nei giorni scorsi un primo nido è stato trovato e neutralizzato nella zona di Riccò del Golfo, dove nel 2020 ne era già stato neutralizzato un altro

Fonte: stopvelutina.it




Sull’origine della variante omicron di SARS-CoV-2

covid-19Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 300 milioni su scala planetaria, con oltre 5 milioni e mezzo degli stessi ad esito infausto (poco meno di 140.000 dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” (alias “B.1.1.529”) impazza nei due Emisferi e nei cinque Continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalle neogenite varianti “Deltaomicron” ed “Omicron 2” appena identificate, rispettivamente, a Cipro e in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi sul “Journal of Genetics and Genomics” (Wei et al., 2021), la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (“spillover”), che avrebbe a sua volta ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (“spillback”).

Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri -, l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Se andiamo infatti ad analizzare, dal punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano ed il suo analogo murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie in esame, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il cosiddetto “receptor-binding domain” di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti.

Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilita’ biologica, cosicche’ ulteriori studi si rendono necessari per definire con maggior solidita’ e precisione l’origine della variante omicron e, piu’ in generale, del virus SARS-CoV-2.

Giovanni Di Guardo

Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
presso l’Universita’ degli Studi di Teramo

 




Nasce il Centro di Referenza Regionale dedicato all’Elicicoltura

La 50ª edizione del Convegno Internazionale di Elicicoltura, promosso dall’Istituto Internazionale di Elicicoltura Cherasco è stato il momento centrale di Helix 2021. Hanno partecipato al convegno i massimi esponenti della Sanità Veterinaria italiana e internazionale. Sono intervenuti infatti il Consigliere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale, Romano Marabelli, il Direttore generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari, Pierdavide Lecchini, il Sottosegretario di Stato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio, e Giorgio Maria Bergesio, Componente della IX Commissione Permanente Agricoltura e Produzione agroalimentare del Senato della Repubblica Italiana.

Con loro hanno dialogato il Direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Angelo Ferrari, e il Presidente dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura di Cherasco, Simone Sampò.

Al termine del convegno il Direttore generale dell’IZSPLV, Angelo Ferrari, ha annunciato la futura nascita di Centro di Referenza Regionale dedicato proprio all’Elicicoltura con sede di Cuneo.

Fonte: IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta

 




IZS Venezie. Omicron, i test sierologici attuali non sono indicativi

A un anno dall’inoculazione del primo vaccino anti Covid-19, sono ancora numerose le domande senza risposta contro la malattia. Soprattutto a causa delle varianti del virus. Per provare a dare qualche risposta i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio sulla mutazione Omicron, presentato durante una conferenza stampa del Governatore del Veneto Luca Zaia. Ricerca che mostrerebbe come il test sierologico per la conta degli anticorpi non avrebbe più lo stesso valore di prima.

A dirlo è Francesco Bonfante responsabile del Laboratorio ricerca modelli animali presso la SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione dell’Istituto Zoprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha condotto lo studio.

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