CoViD-19, dove sono i patologi?

Nella mia veste di patologo veterinario nonche’ di professore di patologia generale e fisiopatologia veterinaria presso la Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, faccio sommessamente notare che non vi e’ finora traccia di un patologo, sia pure un solo patologo, che sia stato intervistato in merito alla drammatica emergenza “CoViD-19” nei vari dibattiti e “talk show” trasmessi in prima serata dalle principali emittenti televisive.

Di contro, nei sopra citati contesti si registra da settimane la puntuale quanto reiterata presenza di virologi, infettivologi, microbiologi, immunologi, epidemiologi ed altri insigni specialisti e studiosi i quali, pur nelle loro diversificate quanto complementari abilita’ e competenze scientifiche e professionali, risultano condividere un “minimo comune denominatore”: la pur autorevole e qualificata “narrazione” che i colleghi di cui sopra possono fare della CoViD-19 e del famigerato virus SARS-CoV-2, che e’ stato appena identificato, peraltro, in una tigre dello zoo di New York, puo’ prendere in esame, giocoforza, la sola “dimensione intra vitam” della malattia.

Il patologo e’, infatti, l’unico specialista oggettivamente abilitato a “fotografare” prima e a “narrare” poi la non meno rilevante “dimensione post mortem” della CoViD-19 e dell’infezione da SARS-CoV-2 – cosi’ come quella di tutte le altre condizioni morbose, ad eziologia infettiva e non – mediante il fondamentale ausilio degli esami autoptici e delle indagini istopatologiche ed immunoistochimiche successivamente condotte sui pazienti deceduti.

L’Italia ha purtroppo, con gli oltre 18.000 casi d’infezione ad esito fatale sinora registrati, il triste primato del Paese col piu’ alto numero di decessi su scala globale nei pazienti SARS-CoV-2-infetti. Quest’ultimo dato, oltremodo allarmante, grida vendetta al cospetto della quantomai palese “asimmetria narrativa” esistente fra “dimensione intra vitam e post mortem” della CoViD-19, le cui molteplici questioni irrisolte potranno trovare adeguate risposte grazie anche al fondamentale quanto imprescindibile contributo fornito dai patologi!

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria




Ilaria Capua promuove un’Interdisciplinary Convergence Initiative per COVID-19 in Italia

Il One Health Center of Excellence  presso l’Università della Florida, diretto dalla virologa veterinaria Ilaia Capua ha come missione quella di  promuovere una visone della salute come “sistema” e si pone l’obiettivo di sviluppare idee e proposte interdisciplinari per il co-avanzamento della salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente utilizzando i big data e l’intelligenza artificiale.

In questi giorni promuove un'”Iniziativa di convergenza interdisciplinare 2020″ ad argomento speciale: il COVID-19 Italia.

Una task force multidisciplinare di scienziati analizzà i dati generati durante l’epidemia di COVID-19 in Italia con particolare riferimento alla Lombardia.

In questi giorni abbiamo sentito spesso la Dott.ssa Ilaira Capua interrogarsi sull’andamento dell’epidemia in Lombardia, con gli elevatissimi tassi di contagio e di letalità rispetto agli altri focolai.

“La Lombardia rappresenta un’anomalia o è solo la prima regione ad avere un andamento di questo tipo? Qualunque sia la risposta, dobbiamo saperlo” sostengono gli scienziati del One Health Center of Excellence .

Il team #yesITcan sarà gestito attraverso gruppi di lavoro dedicati coordinati dalla Dott.ssa Ilaria Capua, la Dott.ssa Rania Gollakner, la Dott.ssa Sonja Rasmussen e la Dott.ssa Daniela Paolotti.

Aree di interesse a partire dal 20 marzo 2020:
Cambiamento climatico, inquinamento e tasso di mortalità
Differenza tra i sessi
Dinamiche di infezioni nosocomiali
Fattore di rischio di co-morbidità
La mobilità umana come fattore di rischio
Batteri multiresistenti in ambienti ospedalieri come condizione sovrapposta
Condizioni sottostanti
Pianificazione della gestione degli animali domestici
Effetti nelle donne incinte e nei bambini

I risultati dell’iniziativa saranno pubblicati regolarmente sulla pagina dedicata.

Il team è all ricerca di collaboratori idee e donazioni per trasformare il progetto in realtà. Gli interessati a sostenere l’iniziativa e coloro che desiderano maggiori informazioni possono scrivere a health@ufl.edu

Per le donazioni cliccare qui (Le donazioni al One Health Center sono depositate presso la University of Florida Foundation, che è un’organizzazione benefica di tipo 501(c)3 e possono essere conteggiati come detrazioni fiscali di beneficenza).

A cura della segreteria SIMeVeP

 




EMA: in italiano l’infografica sulla categorizzazione degli antibiotici

E’ stata pubblicata in italiano l’infografica elaborata dall’Antimicrobial Advice Ad Hoc Expert Group (AMEG) dell’EMA – Agenzia europea per i medicinali, “Categorizzazione degli antibiotici destinati all’impiego negli animali per un uso prudente e responsabile”.

L’infografica riassume il parere del gruppo AMEG che classifica gli antibiotici in base all’effetto che il possibile sviluppo della resistenza antimicrobica dovuto al loro utilizzo negli animali può avere sulla salute pubblica e in base alla necessità di utilizzarli nella medicina veterinaria.

I medici veterinari sono esortati  consultare la categorizzazione AMEG prima di prescrivere antibiotici agli animali che hanno in cura.

Scarica l’infografica in pdf




ISS: malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta, bambini sorvegliati speciali

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili ad oggi non è dimostrato che i pazienti pediatrici che in passato hanno avuto diagnosi di malattia di Kawasaki siano esposti ad un rischio maggiore rispetto agli altri bambini di contrarre SARS-CoV-2, né di presentare una recidiva di malattia di Kawasaki. Tuttavia, recenti pubblicazioni scientifiche descrivono una sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale, associata a positività per il SARS-CoV-2 o presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2. Questa sindrome sembrerebbe condividere alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma, secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della World Health Organization (WHO), si tratta di una forma clinica che va differenziata dalla malattia di Kawasaki e che è ancora in via di definizione.

L’ISS, al riguardo, ha pubblicato il RAPPORTO COVID-19 “Indicazioni ad interim su malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale nell’attuale scenario emergenziale da infezione da SARS-CoV-2” , elaborato da un gruppo interdisciplinare di esperti, coordinato da Domenica Taruscio. Il Rapporto è un documento operativo di sanità pubblica che fornisce indicazioni essenziali e raccomandazioni per affrontare e gestire questa sindrome pediatrica e adolescenziale ancora in via di completa definizione.

“Si tratta di un evento grave, ancorché raro, che merita tutta l’attenzione dei pediatri, degli infettivologi, dei reumatologi, dei cardiologici e degli altri professionisti della salute, soprattutto considerando l’associazione con la pandemia da COVID-19 tuttora in corso – afferma Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare (ISS) e coordinatrice del Gruppo di lavoro “COVID-19 e Malattie rare” – E’ infatti importante identificare precocemente i pazienti, ricoverarli tempestivamente ed effettuare l’accertamento diagnostico accurato per avviarli al trattamento appropriato”.

La malattia di Kawasaki

La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica che colpisce prevalentemente i bambini di età inferiore a 5 anni e la cui prognosi dipende essenzialmente dal coinvolgimento delle arterie coronarie. Ha un’incidenza in Italia di circa 14 su 100.000/anno in bambini sotto i 5 anni, con un numero di casi di circa 450/anno calcolato sulla base delle dimissioni ospedaliere. I sintomi sono febbre (≥38°C), congiuntivite bilaterale senza secrezioni, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, eruzione cutanea e linfoadenopatia cervicale monolaterale, che possono anche non essere tutti presenti contemporaneamente. E’importante che il bambino con questi sintomi venga rapidamente valutato dal pediatra e portato in ospedale per effettuare gli accertamenti clinici e laboratoristici. Se la diagnosi viene confermata, si deve iniziare la terapia farmacologia appropriata nei tempi previsti dalle linee guida. Pertanto, l’appropriatezza e la tempestività della diagnosi incidono in modo considerevole sulla prognosi. Non ci sono al momento evidenze che il trattamento della malattia di Kawasaki debba essere modificato in epoca di pandemia COVID-19 rispetto alle linee guida esistenti.

I dati epidemiologici della malattia di Kawasaki suggeriscono un’eziologia infettiva, sebbene l’agente causale non sia ancora stato identificato. Non è stabilita, al momento, un’associazione con l’infezione da SARS-CoV-2. In particolare non è possibile al momento attuale verificare se il numero dei soggetti affetti sia aumentato quest’anno, in concomitanza con l’epidemia da COVID-19.

La sindrome infiammatoria acuta multisistemica

L’ECDC ha pubblicato, lo scorso 15 maggio, un Rapid Risk Assessement sulla sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica e adolescenziale e l’infezione da SARS-CoV-2, in cui vengono riportati 230 casi sospetti nell’Unione Europea e nel Regno Unito, con due decessi. I soggetti colpiti hanno un’età media di 7-8 anni, fino 16 anni, e hanno presentato interessamento multisistemico grave, a volte con necessità di ricovero in terapia intensiva. Il reale numero di questi soggetti è ancora in fase di valutazione, così come il preciso inquadramento nosologico di questa condizione, attualmente chiamata “sindrome infiammatoria acuta multisistemica”. Dati sia italiani che inglesi dimostrano che lo sviluppo di questa sindrome segue di 2-4 settimane il picco di infezione da SARS-CoV-2, per cui si ipotizza una patogenesi immunomediata e non legata ad un’infezione diretta del virus. Le caratteristiche della sindrome comprendono un’aberrante risposta infiammatoria, con febbre elevata, shock e prevalente interessamento miocardico e/o gastrointestinale. Le opzioni terapeutiche comprendono immunoglobuline, steroidi, farmaci anticitochinici.

Il documento evidenzia che, al momento, pur in assenza di una definizione di caso condivisa a livello europeo, è plausibile una correlazione fra infezione da SARS-CoV-2 e insorgenza della sindrome, pur in presenza di evidenze limitate del nesso di

causalità. “L’esistenza della sindrome è una realtà clinica riconosciuta – va avanti l’esperta – tuttavia è indispensabile una definizione condivisa dei criteri diagnostici, questo permetterà una registrazione sistematica dei casi per valutare la reale incidenza”.

L’infezione da SARS -CoV-2 nei bambini

La reale prevalenza di SARS-CoV-2 nella popolazione pediatrica, così come in quella adulta, non è conosciuta, tuttavia le evidenze scientifiche disponibili ad oggi indicano che l’infezione da SARS-CoV-2 si manifesta nei pazienti pediatrici con un andamento clinico più benigno rispetto all’adulto e con una letalità molto bassa (0,06% nella fascia di età 0-15 anni).

Gli studi effettuati

Un’analisi pubblicata su Pediatrics è stata realizzata in Cina su 2135 bambini con infezione da SARS-CoV-2, diagnosticata o sospetta, segnalati al Chinese Center for Disease Control and Prevention nel periodo tra il 16 gennaio e l’8 febbraio 2020. Di tutti i casi esaminati, 112 (5,2%) hanno sviluppato una forma grave della malattia con una rapida insorgenza di dispnea, ipossia, febbre, tosse e sintomi gastrointestinali, inclusa diarrea. Altri 13 bambini (0,6%) erano in condizioni critiche e hanno manifestato in breve tempo una sindrome da difficoltà respiratoria acuta o insufficienza respiratoria; in questi casi si è potuto anche osservare shock, encefalopatia, danno miocardico o insufficienza cardiaca, coagulopatia e danno renale acuto.

Nell’aprile 2020, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA hanno pubblicato uno studio sul Morbidity and Mortality Weekly Report, nel quale sono stati analizzati, 149.760 casi risultati positivi per SARS-CoV-2 di cui 2.572 (1,7%) casi avevano un’età inferiore ai 18 anni nel periodo compreso tra il 12 febbraio e il 2 aprile. Nel 73% dei bambini SARS-CoV-2 positivi, era presente almeno uno dei sintomi clinici che sono alla base del sospetto diagnostico (febbre, tosse e dispnea) mentre negli adulti tale percentuale era il 93% (3). Lo stesso documento riportava un tasso di ospedalizzazione in un intervallo stimato tra il 5,7% e il 20%, e di ricovero in terapia intensiva in un range tra lo 0,6% e il 2%. Il tasso di ospedalizzazione era molto maggiore fra i bambini al di sotto di un anno di età (range stimato 15%-62%) mentre nella fascia superiore di età il range stimato era del 4,1-14%. Per 295 casi pediatrici erano disponibili informazioni sanitarie sia sull’ospedalizzazione sia sulle patologie concomitanti. Circa il 77% (28 su 37 casi) dei pazienti ospedalizzati presentavano una o più patologie concomitanti, mentre dei restanti 258 pazienti che non necessitarono di ricovero, 30 (12%) presentavano altre patologie.

In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riportano che al 14 maggio 2020 fra i 29.692 deceduti positivi all’infezione SARS-CoV-2 sono stati rilevati 3 casi relativi alla fascia di età 0-19 anni.

In una casistica, pubblicata su Jama Pediatrics, di 41 pazienti pediatrici spagnoli con confermata infezione da SARS-CoV-2 il 60% (25 casi) ha avuto la necessità di essere ospedalizzato: di questi 4 casi sono stati ricoverati in terapia intensiva e altri 4 hanno avuto necessità di ventilazione assistita.

Secondo il sistema di sorveglianza europeo (The European Surveillance System, TESSy), al 13 maggio 2020, i bambini rappresentano una percentuale molto bassa dei 193.351 casi COVID-19 confermati in Italia; nell’intervallo di età tra i 0-10 anni i casi segnalati sono stati 1,1% e 1% tra 10-19 anni. L’indice di letalità del COVID-19 è quindi pari a 0,06% nella fascia di età 0-15 anni, rispetto al 16,9% nel gruppo di ultra-quindicenni. I 3 bambini deceduti in Italia erano affetti da importanti e gravi patologie (malattia metabolica, cardiopatia, neoplasia).

In una casistica di 100 bambini con tampone positivo al SARS-CoV-2 che hanno fatto accesso al Pronto Soccorso di 17 ospedali italiani, solo il 52% dei pazienti con febbre presentava gli altri due sintomi indicativi di COVID-19 (tosse e dispnea). Il 38% dei bambini, secondo uno studio italiano pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha necessitato di ricovero, 9 dei quali hanno avuto bisogno di supporto respiratorio (6 con patologie preesistenti). Tutti i 100 bambini della casistica risultano guariti.

Questi dati sembrano tranquillizzanti riguardo al COVID-19 pediatrico. Va comunque posta molta attenzione quando a manifestare i sintomi dell’infezione sono i bambini con meno di un anno. Studi eseguiti da scienziati cinesi e pubblicati su Jama su madri in gravidanza con infezione da SARS-CoV-2 hanno indagato la relazione fra immunità materna e protezione del neonato dall’infezione, senza giungere però a risultati conclusivi. Il riscontro quindi, in neonati figli di madre SARS-CoV-2 positive, di sintomi indicativi come febbre, difficoltà respiratoria, tosse, sintomi gastrointestinali e tendenza al sopore, deve allertare i genitori e il pediatra.

Fonte: ISS




Ricerca della PrPSc nelle ghiandole surrenali di ovini di razza Sarda infettati sperimentalmente con l’agente della scrapie

Pubblichiamo il testo integrale della tesi “Ricerca della PrPSc nelle ghiandole surrenali di ovini di razza Sarda infettati sperimentalmente con l’agente della scrapie” del dott. Domenico Sciota, relatore il Prof. Giovanni Di Guardo, Università di Teramo, vincitrice ex aequo del Premio tesi di laurea 2018

Scarica la tesi




Come condizioni meteorologiche e inquinamento possono influenzare la diffusione della pandemia

coronavirusUno studio pubblicato sulla rivista Nature Research – Scientific Report condotto da ricercatori dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Cnr-Imaa) ha evidenziato come le differenti condizioni meteorologiche e qualità dell’aria possono influenzare la diffusione della pandemia da Covid-19.

I risultati sottolineano che parametri quali temperatura e umidità risultano correlati negativamente con il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva, figura di merito usata nel lavoro per valutare la diffusione della pandemia sul territorio nazionale. Una ulteriore correlazione, debolmente positiva, è stata riscontrata con la presenza di polveri sottili in atmosfera. In sostanza, questo significa che il virus si propaga più facilmente in ambienti umidi e freschi, in particolare con un maggior livello di inquinamento dell’aria. Inoltre, vale la pena sottolineare che i risultati dello studio non implicano necessariamente una relazione diretta causa-effetto tra il virus e fattori quali temperatura e umidità, ma, per esempio, che le condizioni climatiche potrebbero influenzare il comportamento umano, favorendo l’aggregazione in spazi chiusi.

Onde evitare possibili correlazioni spurie, il risultato ottenuto è confermato attraverso un’analisi eseguita su due differenti aree metropolitane italiane quali Milano e Firenze e la provincia autonoma di Trento. Lo studio eseguito è particolarmente innovativo perché, rispetto ad altri studi simili, per la prima volta i parametri meteorologici e di qualità dell’aria sono stati correlati non con il numero di positivi giornalieri, variabile condizionata in modo non banale ad esempio dal numero di tamponi eseguiti, ma con il numero di malati ricoverati in terapia intensiva. In particolare, il modello epidemiologico è stato stimato a partire dalle evidenze statistiche a disposizione, e compensato in modo da epurare le correlazioni calcolate da effetti principali quali l’attuazione di misure di distanziamento sociale forzato atte alla riduzione della diffusione pandemica. L’approccio proposto rende, così, i risultati indipendenti dal numero di tamponi giornalieri eseguiti e, soprattutto, dal naturale decorso di un’epidemia.

 

Fonte: CNR




L’EFSA lancia la campagna “Stop alla peste suina africana” nell’Europa sud-orientale

L’EFSA ha avviato un’importante campagna di sensibilizzazione per contribuire ad arrestare la diffusione della peste suina africana nell’Europa sudorientale.

La campagna è rivolta ai Paesi individuati dall’EFSA nel 2019 collettivamente come “area di preoccupazione” per la loro vicinanza a quelli in cui è presente la malattia, ovvero: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Kosovo*, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Slovenia.

La campagna intende affiancare le misure in atto presso la Commissione europea e altre organizzazioni internazionali per eradicare la malattia dall’Europa.

Cos’è la peste suina africana?

La peste suina africana (PSA in breve) è una malattia virale che colpisce maiali e cinghiali selvatici. Il virus, innocuo per l’uomo, ha causato notevoli perdite economiche in diversi Paesi. Attualmente non esistono vaccini contro la PSA, quindi in caso di epidemia è necessario abbattere un gran numero di maiali d’allevamento nelle zone colpite.

Obiettivi e pubblico

La campagna mira ad accrescere la conoscenza e la comprensione della PSA in tutti i nove Paesi succitati. Si rivolge a gruppi di persone e individui che sono spesso a contatto con maiali domestici e cinghiali selvativi, come ad esempio allevatori di suini e cacciatori. Con la campagna l’EFSA vuole raggiungere anche le organizzazioni veterinarie, le associazioni venatorie, vari gruppi di allevatori, i funzionari doganali, la polizia di frontiera, i governi locali, gli operatori turistici e i viaggiatori.

Rilevare, prevenire, segnalare

Poiché un’epidemia di PSA può avere effetti devastanti, per poter contenere questa malattia sono essenziali l’individuazione, la prevenzione e la segnalazione, che sono le tre parole chiave della nostra campagna.

Pubblicheremo schede informative, infografiche, post sui social media da poter riutilizzare e tanto altro materiale. Per saperne di più vedere il sito web della campagna: www.efsa.europa.eu/StopASF

[*] Tale designazione non intende arrecare pregiudizio a posizioni di stato, ed è in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite UNSCR 1244 e con il parere della Corte internazionale di giustizia (ICJ) sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo.

Fonte: EFSA




SARS-CoV2 OIE: indicazioni per il campionamento, test e monitoraggio degli animali

Il “Preparedness and Resilience Department” e il  “Ad hoc Group on COVID-19 and the human-animal interface” delll’Oie, Organizzazine mondiale per la salute animale, hanno elaborato delle indicazioni per lo svolgimento dei test per la diagnosi del virus SARS-CoV2 negli animali d’affezione, di allevamento e selvatici e per il trattamento dei risultati.

Sebbene  il virus SARS-CoV2 sia stato isolato sporadicamente negli animali (ad oggi i casi segnalati all’Oie sono due cani a Hong Kong, un gatto in Belgio, alcune tigri e leoni da zoo negli Usa, due gatti negli Usa, dei visoni da allevamento in Olanda, 2 gatti in Francia il primo il 2 maggio il secondo il 12 maggio, un gatto in Spagna), tutti infettati dall’uomo a seguito di contatti stretti e/o ripetuti, conoscere lo stato di infezione degli animali è funzionale al mantenimento dello stato di salute unica, nella prospettiva One Health, secondo la quale tutte le specie del pianeta e l’ambiente sono interconnesse.

I risultati delle indagini di laboratorio ed epidemiologiche sul campo possono fornire informazioni per valutare meglio le implicazioni della diffusione umana delle infezioni da SARS CoV 2 e per supportare le misure di mitigazione del rischio.

Tuttavia, la decisione di effettuare il campionamento negli animali dovrebbe basarsi su una forte motivazione e prendere in considerazione la più ampia risposta della sanità pubblica a COVID 19, compresa la disponibilità di risorse per il campionamento umano e le misure di sanità pubblica in atto.

Il campionamento negli animali è consigliato quindi solo nel caso in cui siano necessarie informazioni provenienti dagli animali per completare il quadro epidemiologico a supporto delle decisioni di sanità pubblica.

Il documento verrà aggiornato sulla base di nuove evidenze scientifiche che dovessero emergere.

A cura della segreteria SIMeVeP




CoViD-19 e mucca pazza, cosi’ diversi eppure cosi’ uguali

laboratorioProprio in un momento come questo, in cui il mondo intero sta combattendo il virus SARS-CoV-2, responsabile della più grande emergenza sanitaria globale, è quanto mai importante fare memoria delle lezioni apprese nel corso di emergenze sanitarie passate.

Una di queste è senz’altro rappresentata dall’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), popolarmente nota come “morbo della mucca pazza”. CoViD-19 e BSE infatti, pur nelle colossali differenze che caratterizzano le due malattie, la prima causata da un virus a tropismo respiratorio, l’altra di origine alimentare e causata da un prione, un agente “sui generis” di natura proteica, presentano tuttavia una serie di analogie estremamente interessanti.

La prima di esse riguarda il “principio di precauzione”, un “minimo comune denominatore” applicato alla gestione di qualsivoglia emergenza, non meramente sanitaria e dalle conseguenze imprevedibili in quanto se ne hanno conoscenze imprecise e frammentarie se non largamente deficitarie.

Leggi il contributo integrale a cura di Cristina CASALONE Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte
Liguria e Valle d’Aosta e Giovanni DI GUARDO Universita’ di Teramo, Facolta’ di Medicina Veterinaria




Oie, Faq su COVID-19

L’organizzazione Mondiale della salute mondiale ha aggiornato il 23 marzo la pagina dedicata alle domande e risposte sulla malattia da coronavirus COVID-19

Queste le domande a cui Oie fornisce risposte:

  • Che cosa causa COVID-19
  • Gli animali sono responsabili del COVID-19 nelle persone?
  • L’uomo può trasmettere il virus COVID-19 agli animali?
  • Che cosa sappiamo riguardo agli animali domestici e al virus COVID-19?
  • Quali misure precauzionali devono essere prese dai proprietari quando animali domestici o altri animali entrino in contatto con persone malate o sospette di infezione da virus COVID-19?
  • Cosa possono fare i Servizi Veterinari nazionali per quanto riguarda gli animali domestici?
  • Ci sono delle precauzioni da adottare con gli animali vivi o i loro prodotti?
  • Quali sono le responsabilità internazionali dell’Autorità veterinaria in questo evento?
  • Che cosa sta facendo L’OIE?

Sul sito dell’IZS Lombardia e Emilia Romagna è disponibile, a cura dell’Osservatiorio epidemiologico, una traduzione accurata delle domande e delle risposte e delle altre informazioni riferite dall’Oie.