Escherichia coli resistenti agli antibiotici: un confronto genetico per comprendere la trasmissione della resistenza tra animali e uomo

antibioticoresistenzaI cloni di Escherichia coli che infettano o colonizzano l’uomo e gli animali allevati per la produzione di alimenti potrebbero circolare fra le diverse specie che li ospitano, scambiandosi geni che conferiscono meccanismi di resistenza agli antibiotici. Per questo è importante adottare un approccio One Health nella sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dei batteri patogeni, analizzando e confrontando con metodi armonizzati il genoma di batteri isolati da matrici umane e animali.

A suggerirlo sono anche i risultati di un progetto di ricerca finanziato nel 2015 dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e realizzato da 15 istituti italiani di sanità pubblica tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). Lo studio è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents.

Il problema sanitario degli E. coli resistenti agli antibiotici

Le beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di Escherichia coli in grado di produrre ESBL, isolati sia nell’uomo che in animali allevati per produrre alimenti. La ricerca scientifica sta quindi cercando di stabilire se i geni codificanti ESBL possono trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Le beta-lattamasi a spettro esteso (Extended-Spectrum Beta-Lactamases, ESBL) sono enzimi in grado di conferire ai batteri la capacità di resistere all’azione di vari antibiotici, in particolare alle cefalosporine di terza e quarta generazione. Questi antibiotici sono utilizzati per il trattamento di alcune importanti infezioni batteriche umane, tra cui quelle sostenute da Klebsiella pneumoniae e quelle extra-intestinali causate da E. coli.

A partire dagli anni 2000 la ricerca scientifica ha evidenziato una progressiva diffusione di alcuni cloni di E. coli in grado di produrre ESBL, fra cui in particolare il clone denominato ST131, che hanno complicato considerevolmente la terapia di queste infezioni sia in comunità che in ambito ospedaliero.

Negli ultimi anni sono inoltre in aumento le segnalazioni di E. coli ESBL-produttori negli animali allevati per la produzione di alimenti.  Anche se il clone ST131 viene sporadicamente isolato in queste specie, i geni codificanti ESBL potrebbero trasmettersi da un isolato all’altro di E. coli, venendo acquisiti dai ceppi che infettano maggiormente l’uomo.

Su questa ipotesi la letteratura scientifica ha fornito sinora evidenze contrastanti: alcuni studi hanno rilevato in E.coli isolati dagli animali e dall’uomo i medesimi geni codificanti ESBL, mentre altri hanno evidenziato differenze fra i geni codificanti questi enzimi in relazione alle specie animali da cui i batteri erano isolati.

E. coli può inoltre disporre di altri geni che producono ulteriori meccanismi di resistenza agli antibiotici. Tra questi i geni che codificano le carbapenemasi, enzimi che conferiscono resistenza a diversi principi attivi tra i quali i carbapenemi, utilizzati nell’ambito della clinica umana per il trattamento di E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, oppure i geni in grado di conferire resistenza alla colistina (mobile colistin resistancemcr), antibiotico salvavita somministrato per contrastare i batteri resistenti proprio ai carbapenemi, oltre che ad altri antibiotici.

Uno studio One Health sugli E.coli resistenti

Tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti. Sono stati analizzati 925 isolati di E. coli ESBL-produttori raccolti da 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici diversi, tra cui l’IZSVe. Gli isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL, quindi classificati con ulteriori metodi molecolari in gruppi filogenetici e cloni.

Per comprendere quindi se gli animali e gli alimenti da essi derivati possono contribuire alla trasmissione delle resistenze verso le cefalosporine di terza e quarta generazione in batteri patogeni per l’uomo, tra marzo 2016 e settembre 2017 è stato realizzato un ampio studio sulle caratteristiche di E. coli ESBL-produttori isolati in Italia sia dall’uomo che da diverse specie di animali allevati per la produzione di alimenti.

Il progetto, che rappresenta uno dei primi esempi in Italia di approccio One Health nella ricerca sulle resistenze batteriche agli antimicrobici, ha coinvolto i laboratori di 12 ospedali e di 3 istituti zooprofilattici sperimentali situati in 6 diverse regioni italiane: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Lazio e Sicilia.

I partner del progetto hanno contribuito alla raccolta di 925 isolati di E. coli ESBL-produttori individuati durante le loro attività diagnostiche di routine. Di questi, 480 provenivano da matrici umane (urine o sangue) e 445 da matrici animali (feci o intestino). In particolare, gli isolati di origine animale sono stati prelevati da bovini (29,4%), suini (27,0%) e specie avicole (43,6%).

Questi isolati sono stati sottoposti a screening molecolare per verificare la presenza di geni codificanti ESBL e carbapenemasi; quindi sono stati tipizzati con ulteriori metodi molecolari per poterli classificare prima in gruppi filogenetici e successivamente, mediante Multilocus Sequence Typing (MSLT), in cloni. Negli isolati risultati resistenti alla colistina sono stati ricercati anche i geni da mcr-1 a mcr-5.

Screening molecolare

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. In particolare, CTX-M-15 è risultato il gene più frequente nell’uomo (75,0%) e nei bovini (51,1%), CTX-M-1 era più diffuso nei suini (58,3%), mentre nel pollame è stato individuato con maggiore frequenza il gene CTX-M-15 (36,6%), unitamente a geni di tipo diverso (SHV e CMY-2, 29,9%).

Nella quasi totalità degli isolati (97,7%) è stato possibile identificare uno o più geni codificanti ESBL. I geni del gruppo CTX-M sono risultati i più frequenti sia negli isolati umani che in quelli animali. Gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). I dati emersi dallo studio indicano che i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL, per cui lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è un fenomeno probabile.

Tra gli isolati di E.coli ESBL-produttori analizzati 14 (di cui solo uno di origine animale) sono risultati resistenti anche ai carbapenemi, anche se in nessuno di essi sono stati rilevati geni codificanti carbapenemasi. I ricercatori spiegano questa apparente contraddizione con la possibilità che all’origine della resistenza ci fossero geni o meccanismi di resistenza diversi da quelli investigati nello studio.

Gruppi filogenetici e cloni

L’analisi filogenetica ha permesso di classificare gli isolati in 7 diversi gruppi filogenetici (A, B1, B2, C, D, E, F). Come già noto, gli isolati di origine umana appartenevano per lo più al filogruppo B2 (76,5%), mentre solo pochi isolati di origine animale (quasi tutti da pollame) sono stati classificati in questo gruppo (4,3%). Gli isolati animali si distribuivano invece prevalentemente tra i gruppi A (35,7%), B1 (26,1%) e C (12,4%).

La tipizzazione effettuata con la tecnica MSLT ha rivelato poi che la maggior parte degli isolati di origine umana (83,4%) apparteneva al clone pandemico ST131, che era frequentemente portatore del gene CTX-M-15 (75,9%). Questo clone è stato rilevato solo raramente negli isolati di origine animale (solo 3 isolati, originati tutti da pollame).

Scambi genetici, un’ipotesi da approfondire

I dati emersi dallo studio indicano che gli isolati ESBL-produttori di E. coli responsabili di infezioni extra-intestinali nell’uomo e quelli che colonizzano gli animali allevati per la produzione di alimenti sono per lo più diversi, con il clone ST131 che si conferma poco diffuso negli animali.  Tuttavia, come già evidenziato in altri studi, i cloni umani e animali di E. coli possono essere portatori degli stessi geni codificanti ESBL.

Lo scambio di geni responsabili della codifica di meccanismi di resistenza tra ceppi batterici che infettano specie diverse è quindi un fenomeno probabile, soprattutto se sussistono fattori di rischio come l’impiego non prudente di antimicrobici; dovrà quindi essere indagato ulteriormente dalla comunità scientifica e monitorato dalle autorità sanitarie.

Infine 42 isolati analizzati nello studio sono risultati resistenti anche alla colistina; di questi 29 (3 provenienti da matrici umane e 26 da matrici animali) erano portatori del gene mcr-1, veicolato su elementi genetici mobili (i cosiddetti plasmidi) facilmente interscambiabili fra batteri diversi. Uno degli isolati da matrici umane apparteneva al clone ST131. Sulla base di queste evidenze, gli autori dello studio sottolineano l’importanza di mantenere una sorveglianza anche verso questo tipo di resistenza.

Fonte: IZS delle Venezie




Raccomandazioni per l’UE sulla normativa concernente ricerca e sviluppo del Genome editing per piante e animali da allevamento

laboratorio

L’Unione Europea delle Accademie Agricole (UEAA), attraverso un gruppo di lavoro ha formulato e trasmesso alla Commissione dell’UE alcune raccomandazioni per la revisione della normativa, attualmente in vigore, sul Genome editing. L’Italia aderisce all’UEAA attraverso l’Accademia dei Georgofili con la quale mantiene stretti rapporti, anche in collegamento con UNASA (Unione Nazionale delle Accademie per le Scienze Applicate allo Sviluppo dell’Agricoltura).
Lo scorso mese di Ottobre l’UNASA, rispondendo alla “Consultazione pubblica sulla normativa europea per le piante prodotte con alcune Nuove Tecniche Genomiche”, ha preparato e trasmesso una nota nella quale, sulla base di articolate argomentazioni, si chiedeva il cambiamento delle normativa oggi in vigore nell’UE che fa considerare i prodotti ottenuti con il Genome editing uguali agli OGM, riconoscendo che, ogni qualvolta le nuove tecniche genomiche portano a ottenere un prodotto che è analogo, o addirittura non distinguibile, da qualcosa che si sarebbe potuto ottenere per mutagenesi spontanea e per incrocio, questo venga considerato alla pari delle varietà ottenute per incrocio e selezione. Tale documento è stato anche trasmesso all’UEAA, la quale, come si è anticipato, ha a sua volta ora inviato all’UE una serie di raccomandazioni per il Genome editing che sostanzialmente vanno nella stessa direzione di quelle espresse dall’UNASA.
Il documento dell’UEAA, infatti, ha come premessa generale la messa in evidenza della potenzialità delle Nuove Tecniche Genomiche, come il Genome editing, nel contribuire alla sostenibilità del sistema agroalimentare. Si sostiene, pertanto, che l’agricoltura europea deve fare affidamento sulle nuove tecnologie genomiche per produrre di più e meglio al fine di garantire l’alimentazione della popolazione e la tutela ambientale.
Le raccomandazioni sono formulate distinguendo tra: piante e animali da allevamento.
Per quanto attiene le piante si fa riferimento al sistema CRISPR associato all’enzima CAS9 (CRISPR/CAS9) e le richieste ricalcano sostanzialmente quelle contenute nel documento dell’UNASA. Per gli animali da allevamento, si sottolineano le ragioni e l’importanza della selezione genomica e si sostiene l’urgente necessità di regolare in Europa Ricerca e Sviluppo sulle Nuove Tecnologie Genomiche per gli animali da allevamento. Al riguardo si segnala l’incontro su “La genetica e le sfide future della zootecnia” tenutosi nell’ambito degli eventi promossi dall’Accademia dei Georgofili lo scorso mese di Settembre in occasione dell’incontro a Firenze dei Ministri dell’agricoltura dei G 20, i cui Atti sono disponibili sul sito dei Georgofili (https://www.georgofili.it/contenuti/genetica-sfide-zootecnia/9342)

Il documento dell’UEAA è consultabile sul sito dell’UNASA: http://www.unasa.net/notizie/

Fonte: gergofili.info




Sull’origine della variante omicron di SARS-CoV-2

covid-19Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 300 milioni su scala planetaria, con oltre 5 milioni e mezzo degli stessi ad esito infausto (poco meno di 140.000 dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” (alias “B.1.1.529”) impazza nei due Emisferi e nei cinque Continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalle neogenite varianti “Deltaomicron” ed “Omicron 2” appena identificate, rispettivamente, a Cipro e in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi sul “Journal of Genetics and Genomics” (Wei et al., 2021), la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (“spillover”), che avrebbe a sua volta ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (“spillback”).

Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri -, l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Se andiamo infatti ad analizzare, dal punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano ed il suo analogo murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie in esame, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il cosiddetto “receptor-binding domain” di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti.

Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilita’ biologica, cosicche’ ulteriori studi si rendono necessari per definire con maggior solidita’ e precisione l’origine della variante omicron e, piu’ in generale, del virus SARS-CoV-2.

Giovanni Di Guardo

Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
presso l’Universita’ degli Studi di Teramo

 




IZS Venezie. Omicron, i test sierologici attuali non sono indicativi

A un anno dall’inoculazione del primo vaccino anti Covid-19, sono ancora numerose le domande senza risposta contro la malattia. Soprattutto a causa delle varianti del virus. Per provare a dare qualche risposta i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio sulla mutazione Omicron, presentato durante una conferenza stampa del Governatore del Veneto Luca Zaia. Ricerca che mostrerebbe come il test sierologico per la conta degli anticorpi non avrebbe più lo stesso valore di prima.

A dirlo è Francesco Bonfante responsabile del Laboratorio ricerca modelli animali presso la SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione dell’Istituto Zoprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha condotto lo studio.

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Di Guardo: animali a rischio contagio, prevenire la catena di trasmissione

Il Prof. Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo, è stato intervistato da “Il Mattino” sulla relazione uomo-animale ai tempi della pandemia da SARS-CoV-2




OIE e IIZZSS, firmato accordo strategico su One Health

OIE – World Organisation For Animal Health -, Ministero della Salute e la rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) hanno siglato un accordo per unire le forze e affrontare le sfide su One Health.

L’intesa è finalizzata allo sviluppo nel prossimo quadriennio di attività progettuali a supporto degli obiettivi globali dell’OIE e di una collaborazione sinergica in ambito One Health, che sia duratura e sostenibile.

Gli IIZZSS contribuiranno proponendo progetti di ricerca che riguarderanno la sorveglianza epidemiologica delle malattie, le strategie per la salvaguardia della fauna selvatica e dell’habitat marino, la tutela del benessere animale; e il contrasto alle malattie trasmesse da vettori.

L’accordo fornirà alle parti coinvolte l’opportunità di collaborare alla promozione di programmi di ricerca comuni che permettano di unire gli sforzi in modo da costruire sistemi sanitari resilienti e coordinati.

I progetti si allineeranno con il mandato dell’OIE e dimostreranno tangibilmente come azioni comuni possano contribuire al raggiungimento di una strategia condivisa in ambito sanitario globale.

Fonte: IZSPLV




«Serve un veterinario nel Cts»

L’identificazione della variante Omicron, recentemente avvenuta in Botswana e in Sudafrica—sebbene la stessa fosse già presente da diversi giorni nei Paesi Bassi e negli Usa —, ha reso ancor più esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora
utilizzate per designare le varianti di Sars-Cov-2 progressivamente emergenti sulla scena epidemiologica mondiale.

È in graduale aumento, al contempo, il numero delle specie animali suscettibili al betacoronavirus responsabile del Covid-19, come
chiaramente testimoniano i casi d’infezione descritti fra i cervi a coda bianca statunitensi e canadesi e, ancor più di recente, quelli segnalati in due esemplari d’ippopotamo (madre e figlia) custoditi all’interno dello zoo di Anversa, in Belgio.

In alcuni animali (gatto, cane, cervo a coda bianca) è stata altresì segnalata la presenza di varianti (Alfa, B.1.2, B.1.311 ed altre ancora), verosimilmente acquisite da nostri conspecifici Sars-Cov-2 infetti. Particolarmente degna di attenzione, in proposito, la
variante «cluster 5», sviluppatasi oltre un anno fa negli allevamenti di visoni olandesi e danesi e quindi ritrasmessa dai visoni stessi all’uomo.

Ciononostante, un solo medico veterinario non siede ancora nel Cts, a dispetto dei quasi due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo

Lettera pubblicata su Il Corriere della Sera  – 20 dicembre 2022




Veterinari Senza Frontiere VSF – Italia – VACCINATE FOR AFRICA

La campagna VACCINATE FOR AFRICA (V4A) è una raccolta fondi internazionale organizzata da VSF International. Si tratta di una campagna internazionale congiunta, realizzata in 9 Paesi del Network e che coinvolge le cliniche veterinarie a sostegno degli allevatori africani.

Veterinari Senza Frontiere VSF – Italia partecipa anche quest’anno alla campagna di raccolta fondi: nel corso della settimana 13-19 Dicembre 2021, i veterinari e le strutture aderenti raccolgono i proventi ottenuti dalle vaccinazioni e dalle prestazioni effettuate e ne donano una parte a VSF Italia.

Le donazioni andranno a sostegno degli allevatori che conferiscono il latte alla latteria di Ndiao Bambaly, in Senegal, realizzata anche grazie alla precedente campagna.

Scopri di più sulla pagina web della campagna e aderisci compilando il form on-line: https://www.vsf-italia.it/vaccinate-for-africa/.

 




Nuova delibera CNCF sull’assolvimento dell’obbligo formativo

EcmLa Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 9 dicembre 2021, ha adottato una delibera  in materia di assolvimento dell’obbligo formativo secondo la quale:

1. Ai fini del recupero del debito formativo pregresso relativo ai trienni 2014-2016 e 2017-2019 è consentito ai professionisti sanitari di effettuare sul portale Co.Ge.A.P.S. lo spostamento dei crediti acquisiti tramite la partecipazione ad eventi con “data fine evento” al 31 dicembre 2021 entro il 30 giugno 2022. Restano fermi eventuali limiti previsti da specifiche disposizioni normative vigenti.

2. Per i professionisti che non si sono avvalsi per il recupero del debito formativo relativo al triennio 2014-2016 della facoltà di cui al par. 3.7 del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario, il Co.Ge.A.P.S. procede d’ufficio a trasferire i crediti utili al raggiungimento della certificabilità nel triennio 2014-2016, esclusivamente nel caso in cui per il triennio 2017-2019 i professionisti interessati abbiano conseguito crediti in eccedenza rispetto a quelli necessari all’assolvimento dell’obbligo formativo individuale del triennio 2017-2019.

3. Per i professionisti che hanno compiuto il settantesimo anno d’età il Co.Ge.A.P.S. riconosce in modo automatico l’esenzione di cui alla lettera o) del par. 4. del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario. Rimane fermo l’obbligo del singolo professionista di comunicare l’esercizio non saltuario dell’attività professionale tramite il portale Co.Ge.A.P.S, essendo in tal caso soggetto all’obbligo formativo ECM. Tale comunicazione equivale a rinuncia dell’esenzione.

4. La segnalazione di partecipazioni non trasmesse dai Provider e ancora mancanti sul portarle Co.Ge.A.P.S. può essere effettuato, dai professionisti sanitari, solo una volta decorso il termine di 90 giorni dalla data di fine evento pianificata dal Provider. Il riconoscimento dei crediti ECM per partecipazioni mancanti, segnalate manualmente dai professionisti sul portale Co.Ge.A.P.S., è comunque subordinato all’autorizzazione da parte dell’ente accreditante, ai sensi del par. 1.13 del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario.

Il testo integrale della delibera




Animali e varianti di SARS-CoV-2, tutto è connesso!

L’identificazione della temibile variante “omicron”, alias “B.1.1.529”, recentemente avvenuta in Botswana ed in Sudafrica – sebbene la stessa fosse gia’ presente e circolante da diversi giorni sia nei Paesi Bassi che negli USA -, ha reso ancora piu’ esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 via via emergenti sulla scena epidemiologica globale. In un siffatto contesto si sta contemporaneamente assistendo ad un graduale aumento del numero delle specie domestiche e selvatiche naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti del betacoronavirus responsabile della CoViD-19, che nel mondo ha sinora provocato più di 5.300.000 decessi, 135.000 dei quali in Italia.

L’ultima specie che si è aggiunta, in ordine di tempo, al già corposo elenco di quelle sensibili al virus è rappresentata dall’ippopotamo, con due esemplari (madre e figlia, rispettivamente di 41 e 14 anni) mantenuti all’interno dello zoo di Anversa, in Belgio, risultati entrambi SARS-CoV-2-infetti.

Di particolare interesse risulta, altresì, il comportamento  di due distinte specie animali – il visone e il cervo a coda bianca – nei confronti dell’infezione virale.

Negli allevamenti intensivi di visoni olandesi e danesi è stata infatti segnalata, oltre un anno fa, la presenza della variante “cluster 5” (recante la mutazione Y453F a livello del gene codificante per la proteina “spike“, grazie alla quale il virus è in grado di penetrare nelle cellule umane ed animali, previa interazione col recettore ACE2 posizionato sulla loro superficie), che si sarebbe sviluppata negli stessi a seguito di una pregressa acquisizione dell’infezione ad opera di allevatori SARS-CoV-2-infetti. I visoni avrebbero quindi ritrasmesso il virus mutato (“cluster 5“) all’uomo, fattispecie quest’ultima che ha provocato l’abbattimento/eutanasia, in Danimarca, di ben 17 milioni di esemplari mantenuti all’interno dei suddetti allevamenti!

Per quanto attiene ai cervi a coda bianca, una specie la cui suscettibilità nei riguardi dell’infezione sperimentale da SARS-CoV-2 era già stata resa nota da un precedente studio pubblicato nel Marzo 2021, desta fondati motivi di allarme l’elevata percentuale di esemplari sieropositivi, pari a circa il 40%, riscontrati fra la popolazione residente nella regione nord-orientale degli USA. Una successiva indagine condotta sui cervi a coda bianca dell’Iowa ha altresì consentito di dimostrare la presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 in una percentuale superiore all’80% degli individui testati, un terzo dei quali avrebbe parimenti fornito esito positivo alle relative analisi biomolecolari (RT-PCR) eseguite sui linfonodi retrofaringei. Gli studi di sequenziamento genomico effettuati sugli esemplari risultati positivi alle indagini biomolecolari avrebbero quindi permesso di documentare la circolazione, nei cervidi in questione, di numerose varianti virali già descritte nella nostra specie, prime fra tutte la “B.1.2” e “B.1.311”. E, mentre l’infezione da SARS-CoV-2 si sta diffondendo anche tra i cervi a coda bianca del Canada, la presenza della variante “alfa” (alias “B.1.1.7”) è stata recentemente riportata in Francia in un cane e in due gatti con miocardite, i cui proprietari erano affetti da CoViD-19. Un analogo caso d’infezione sostenuta dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2 era già stato accertato qualche mese prima, in Piemonte, in un gatto i cui proprietari erano risultati parimenti affetti da CoViD-19.

E’ oramai acclarato che SARS-CoV-2 è un agente patogeno dotato di notevole “plasticità”, come eloquentemente testimoniano le numerose varianti virali (“variants of concern” e “variants of interest“) comparse e circolanti in ogni angolo del Pianeta. Queste sono il frutto, a loro volta, dei cicli replicativi che il virus compie all’interno sia delle nostre cellule sia di quelle delle numerose specie animali domestiche e selvatiche che a SARS-CoV-2 risultano sensibili, fattispecie quest’ultima alla quale non si presta la dovuta attenzione, secondo l’opinione di chi scrive.

Il genoma di SARS-CoV-2 consta di circa 30.000 nucleotidi e si stima che, ad ogni replicazione coinvolgente 10.000 delle succitate basi azotate, possa corrispondere la comparsa di una mutazione genetica. Ovviamente esistono varie tipologie di mutazione e solo un ridotto numero di esse permetterà al virus di acquisire “nuove” caratteristiche fenotipiche (la cosiddetta “gain of function“), quali ad esempio una più spiccata virulenza e/o un’accresciuta capacità di diffusione/trasmissione interumana e di colonizzazione delle nostre cellule, se non addirittura di elusione della risposta immunitaria indotta dall’infezione o dalla vaccinazione, caratteristiche che la ben nota variante “delta” e, presumibilmente – sulla base dei dati sin qui acquisiti -, anche la “new entry omicron (che presenta almeno 32 mutazioni a livello del gene codificante per la glicoproteina “spike“, il doppio rispetto a quelle caratterizzanti la variante “delta”) sembrano ricapitolare in maniera quantomai efficace.

In considerazione degli elementi sopra esposti e, nondimeno, in una salutare quanto opportuna prospettiva di One Health – la “salute unica di uomo, animali ed ambiente” -, sarebbe a dir poco miope e riduttivo considerare Homo sapiens sapiens quale “unico attore” coinvolto nelle intricate e complesse dinamiche d’interazione virus-ospite, tanto piu’ alla luce della probabile origine di SARS-CoV-2 dal mondo animale, come già dimostrato per i suoi due “predecessori” rappresentati dai betacoronavirus della SARS e della MERS e, più in generale, per almeno il 70% degli agenti responsabili delle cosiddette “malattie infettive emergenti”.

In un siffatto contesto spiace molto a chi scrive dover sottolineare che, a dispetto dei quasi due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione, un solo Collega Veterinario non sieda ancora nel “Comitato Tecnico-Scientifico”, popolarmente noto con l’acronimo “CTS”.
Per dirla con Sant’Agostino, Errare humanum est, perseverare autem diabolicum!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo