Aumentare la precisione e la sensibilità nel rilevamento degli inquinanti PFAS negli alimenti
Testato sulle uova un nuovo metodo ad alta sensibilità per determinare la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). Un contributo alla salute pubblica attraverso la conoscenza del livello di esposizione della popolazione italiana.
Una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo ha permesso di definire un nuovo metodo per determinare la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti, in particolare nelle uova. I PFAS, appartengono alla classe dei contaminanti organici persistenti emergenti per cui la Commissione Europea ha valutato necessario un recentissimo intervento legislativo, in vigore proprio da quest’anno, per la tutela della salute dei consumatori introducendo dei limiti per alcuni alimenti. Dal momento che i PFAS sono composti chimici utilizzati in molti prodotti industriali, di consumo e di health care, possono entrare nell’ambiente e, di conseguenza, contaminare la catena alimentare. Il loro rilevamento nei cibi è di particolare importanza, considerando che queste sostanze possono avere effetti negativi sulla salute umana con alterazioni a livello di fegato, tiroide, disordini del sistema immunitario e riproduttivo fino a problemi nello sviluppo fetale.
“Proprio a causa dei potenziali effetti dannosi – dice Manuela Leva, ricercatrice del Laboratorio Nazionale di Riferimento per gli inquinanti organici persistenti alogenati nei mangimi e negli alimenti e corresponding author dello studio pubblicato sulla rivista scientifica Food Chemistry – l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) aveva già indicato la necessità di rilevare i PFAS con la più alta sensibilità possibile, prima che venisse emanata una specifica legge che ne regolasse i limiti. Con questo obiettivo, abbiamo sviluppato un metodo che ad oggi è già fruibile e che ci permette di determinare, attraverso la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa ad alta risoluzione, la presenza negli alimenti di 18 diverse molecole appartenenti a questa categoria, tra cui i quattro PFAS considerati i più dannosi. Abbiamo quindi validato e utilizzato questo metodo per analizzare 132 campioni di uova di gallina, provenienti da allevamenti sia biologici che convenzionali”.
I risultati dello studio mostrano che le uova in vendita in Italia hanno generalmente un basso livello di contaminazione da PFAS, con un dato interessante: non ci sono differenze significative tra le uova da allevamento biologico e quelle convenzionali. “E questo – sottolinea la ricercatrice – ci sembra un dato rilevante poiché dimostra che in Italia sia le uova da allevamento biologico che quelle convenzionali hanno generalmente bassi livelli di contaminazione da PFAS. Ciò fornisce una maggiore sicurezza al consumatore riguardo alla qualità delle uova che acquista”.
“Grazie a queste analisi innovative – continua Leva – abbiamo potuto anche estrapolare il contributo che le uova danno alla dieta rispetto all’esposizione di questi contaminanti. Come ci aspettavamo, i più esposti risultano i bambini, a causa del loro minore peso corporeo. I bambini, infatti, consumano una maggiore quantità di cibo in rapporto al loro peso corporeo per soddisfare le loro esigenze nutrizionali. Ciò significa che, proporzionalmente, assumono una quantità maggiore di PFAS rispetto agli adulti, il che può aumentare il loro rischio di esposizione.”
Sempre nell’ottica di studiare quanto i cittadini possano essere complessivamente esposti ai PFAS, è da sottolineare che il nuovo metodo potrebbe anche essere utilizzato per analizzare altri alimenti e altre molecole emergenti della stessa categoria. “Questa metodologia di analisi – conclude infatti la ricercatrice – potrebbe contribuire ad una più ampia valutazione dell’esposizione umana con la dieta in cui vengono inclusi anche altri alimenti o altri contaminanti. Un dato che ha già avuto un riscontro anche in termini di fruibilità per il controllo di questi inquinanti e di prevenzione dei loro effetti sulla salute”.
Fonte: IZS Lazio e Toscana
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Risale a pochi giorni fa, ad opera di un team di ricercatori australiani dell’Università di Sydney, la notizia relativa all’identificazione di un ulteriore recettore nei confronti di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della drammatica pandemia da COVID-19 -, localizzato in ambito polmonare nonché a livello delle prime vie aeree e di altri distretti tissutali dell’ospite, ivi compresa la cute.
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Assume sempre più rilevanza la casistica degli incidenti della strada con il coinvolgimento di animali.
Si è parlato dello stato dell’arte dell’utilizzo di animali nella ricerca e di metodi alternativi ad un convegno svoltosi il 25 ottobre 2022 (Science in dialogue The future of Life Science research in Europe – how animal and non-animal approaches can contribute) e del quale è stato diffuso recentemente il report finale.
Approvato in Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 30 novembre 2022, il
La Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare venne celebrata per la prima volta in Italia il 5 febbraio 2014. La giornata è stata ideata ed istituita dalla Campagna pubblica di sensibilizzazione Spreco Zero con l’Università di Bologna – Distal con il Ministero dell’Ambiente, per iniziativa del coordinatore PINPAS Andrea Segrè. Nel 2004 furono convocati gli “Stati generali” della filiera agroalimentare italiana. PINPAS, promosso da Ministero dell’ambiente, è il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare. per sensibilizzare i cittadini sul tema delllo spreco alimentare.[ Dal 2014 in poi, la giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, in calendario stabilmente il 5 febbraio, è l’occasione per la diffusione di nuovi dati da parte dell’Osservatorio Waste Watcher International. Le edizioni successive si sono svolte sempre con il Patrocinio del Ministero dell’Ambiente (e della Transizione Ecologica), dei Ministeri della Salute e del Lavoro e dell’ANCI, di RAI per la Sostenibilità e con la media partnership di Rai Radio2.
I ricercatori del
In data 8 gennaio 2023, nelle acque antistanti il litorale tra i comuni di Salerno e Cetara, è stata segnalata, da pescatori locali, la cattura all’amo di un raro pesce palla adulto, della lunghezza di 60 cm. L’esemplare è stato identificato come Lagocephalus lagocephalus, specie bentopelagica ben distribuita in acque tropicali e subtropicali, a profondità comprese tra i 10 e 100 metri, piuttosto rara nel Mediterraneo e comunemente conosciuto come capolepre.