Aviaria: mucche hanno gli stessi recettori umani per l’influenza

Le mucche hanno gli stessi recettori per i virus influenzali degli esseri umani e degli uccelli. Questo il risultato di uno studio in preprint, che aumenta la preoccupazione sulla situazione USA dove l’influenza aviaria si sta diffondendo rapidamente tra il bestiame.

Gli scienziati temono che le mucche possano diventare dei comodi ospiti per il virus, permettendogli di modificarsi fino a trovare il modo di diffondersi meglio tra le persone. Un evento del genere, sebbene raro, dicono gli esperti, potrebbe metterci sulla strada di un’altra pandemia. Per anni, l’H5N1, o influenza aviaria ad alta patogenicità, è rimasta confinata principalmente alla popolazione di uccelli, ma recentemente ha iniziato a infettare un numero crescente di mammiferi, suggerendo che il virus potrebbe adattarsi e avvicinarsi a diventare un agente patogeno per l’uomo.

I virus dell’influenza aviaria hanno decimato gli allevamenti di pollame negli Stati Uniti e, poiché è noto che i maiali contraggono il virus dell’influenza aviaria, i suini sono stati attentamente monitorati per rilevare segni di infezione, ma le mucche non erano sul radar di nessuno come potenziali ospiti.

Dalla fine di marzo, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, sono state invece trovate 42 mandrie infette in nove stati. Solo un essere umano – per quanto ai dati ufficiali – è stata infettata dal virus H5N1 dopo il contatto con mucche infette, e i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie affermano che l’attuale rischio per la salute pubblica è basso, sebbene stiano lavorando con gli stati USA per monitorare le persone con esposizione agli animali .

“La scoperta nei bovini è stata molto diversa”, ha affermato il dottor Lars Larsen alla “CNN”, professore di microbiologia clinica veterinaria presso l’Università di Copenaghen in Danimarca. Nei mammiferi, l’influenza infetta tipicamente i polmoni. Nei gatti può anche infettare il cervello. “Qui vediamo un’enorme quantità di virus nelle mammelle e nel latte”, ha detto Larsen.

I virus hanno bisogno di un modo per penetrare nelle cellule. Per il virus che causa il Covid-19, la chiave è un recettore chiamato ACE2. Nel caso dei virus influenzali, si tratta di una molecola che fuoriesce dalla superficie delle cellule chiamata acido sialico. Animali diversi presentano forme diverse di acidi sialici. Gli uccelli hanno recettori che hanno forme leggermente diverse da quelli che gli esseri umani hanno nel tratto respiratorio superiore.

Fino a poco tempo fa, nessuno sapeva che tipo di recettori ad acido sialico avessero le mucche, perché si credeva che non contraessero virus influenzali di ceppo A come l’H5N1. Larsen e i suoi colleghi negli Stati Uniti e in Danimarca hanno prelevato campioni di tessuto dai polmoni, dalla trachea, dal cervello e dalle ghiandole mammarie di vitelli e mucche e li hanno colorati con composti che sapevano si sarebbero attaccati a diversi tipi di recettori ad acido sialico. Hanno tagliato i tessuti colorati molto sottilmente e li hanno osservati al microscopio.

Ciò che hanno visto è stato sorprendente: le minuscole sacche delle mammelle produttrici di latte, chiamate alveoli, erano piene di recettori ad acido sialico e avevano sia il tipo di recettori associati agli uccelli che quelli più comuni negli esseri umani. Quasi ogni cellula esaminata conteneva entrambi i tipi di recettori, ha affermato l’autrice principale dello studio, la dott.ssa Charlotte Kristensen, ricercatrice post-dottorato in patologia veterinaria presso l’Università di Copenaghen.

Questa scoperta ha sollevato preoccupazione perché uno dei modi in cui i virus influenzali cambiano e si evolvono è scambiando pezzi del loro materiale genetico con altri virus influenzali. Questo processo, chiamato riassortimento, richiede che una cellula venga infettata contemporaneamente da due diversi virus influenzali.

“Se si introducono entrambi i virus nella stessa cellula contemporaneamente, è possibile che da essa escano essenzialmente virus ibridi”, ha affermato l’autore dello studio, il dottor Richard Webby, direttore del Centro per gli studi sull’ecologia dell’influenza negli animali e negli uccelli dell’Organizzazione mondiale della sanità. Per essere infettata contemporaneamente da due virus influenzali – un virus dell’influenza aviaria e un virus dell’influenza umana – una cellula dovrebbe avere entrambi i tipi di recettori dell’acido sialico, cosa che hanno le mucche, cosa che non era nota prima di questo studio.

Ma gli studiosi lo ritengono un evento raro, anche in ragione del periodo dell’anno. Perché qualcosa del genere accada, una mucca infetta dal virus dell’influenza aviaria dovrebbe contrarre un ceppo influenzale diverso da un essere umano infetto. Attualmente, i contagi da influenza umana sono bassi negli USA e diminuiscono con la fine della stagione influenzale, rendendo la possibilità che qualcosa del genere accada ancora più remota. Seppur non impossibile, sottolineano i ricercatori.

Fonte: AGI




One Health. Quadro d’azione congiunto pubblicato da cinque agenzie dell’UE, al via task force

zoonosi viraleIl Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) hanno pubblicato un quadro d’azione congiunta per rafforzare la cooperazione a sostegno dell’attuazione dell’agenda One Health nell’Unione europea (UE).

One Health è un concetto che riconosce la complessa interazione tra salute umana, animale e vegetale, sicurezza alimentare, crisi climatica e sostenibilità ambientale. L’attuazione di questo approccio in diversi settori sarà fondamentale per rendere l’UE e i suoi Stati membri più attrezzati per prevenire, prevedere, individuare e rispondere alle minacce sanitarie, si legge in una nota comune delle cinque authorities,. Mitigherà l’impatto e il costo sociale di tali minacce, o addirittura ne impedirà l’emergere, contribuendo al tempo stesso a ridurre le pressioni umane sull’ambiente e salvaguardando le principali esigenze sociali come la sicurezza alimentare e l’accesso all’aria e all’acqua pulite.

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Fonte: quotidianosanita.it




EFSA – Campagna «Safe2Eat» 2024: rafforzare la posizione dei consumatori europei

Sulla scia del successo ottenuto nel triennio precedente, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e i suoi partner negli Stati membri dell’UE hanno avviato la campagna Safe2Eat 2024. Già nota come “#EUChooseSafeFood”, la campagna torna sotto nuovo nome con rinnovato impegno per rendere i cittadini europei consapevoli della sicurezza di ciò che mangiano.

Quest’anno la campagna estende il suo campo d’azione coinvolgendo 17 Paesi che uniscono le forze per aiutare i consumatori a prendere decisioni informate sui loro alimenti. I Paesi partecipanti all’edizione 2024 sono: Romania, Cechia, Ungheria, Grecia, Estonia, Croazia, Italia, Lettonia, Cipro, Slovenia, Spagna, Lussemburgo, Slovacchia, Austria, Polonia, Portogallo e Macedonia del Nord.

Rendere i consumatori più capaci di fare scelte alimentari con fiducia

Da una ricerca condotta dall’EFSA nel 2023 in collaborazione con IPSOS risulta che quasi il 70% degli europei manifesta interesse alla sicurezza alimentare; tuttavia circa il 60% trova le informazioni in materia troppo tecniche e difficili da capire. Di conseguenza la nuova edizione della campagna mira a comunicare in modo chiaro e accurato ma rassicurante e comprensibile i fondamenti scientifici che garantiscono i nostri alimenti L’obiettivo è di consentire ai cittadini di prendere decisioni informate sui loro consumi alimentari, garantendosi sicurezza e salute nelle scelte quotidiane.

Sotto l’insegna “#Safe2EatEU” la campagna mira sempre a rendere i cittadini consapevoli dei vari aspetti della sicurezza alimentare, tra cui le malattie veicolate da alimenti, le tecniche corrette per la preparazione del cibo, l’importanza di consultare le etichette e le buone pratiche per ridurre lo spreco alimentare.

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Fonte: EFSA




La Peste suina africana può essere trasmessa dai cinghiali ai suini domestici mediante mosche e zanzare?

Peste Suina AfricanaNelle attuali condizioni in Europa, la PSA (Peste Suina Africana) si trasmette da suino a suino – oltre che tramite carni infette o rifiuti di cucina – tramite contagio diretto (da animale ammalato ad animale sano) o indiretto (ad esempio, cioè, contagio mediato dall’uomo con scarpe od abiti contaminati).  Attualmente è in corso un’ondata epidemica nei cinghiali in alcune zone della Pianura Padana, un territorio in cui mosche e zanzare sono largamente diffuse nei mesi estivi. Considerata questa situazione, c’è chi teme che questi insetti possano trasmettere la malattia, agendo da “vettori meccanici” del virus. Se venissero in contatto con un cinghiale ammalato o con una carcassa di cinghiale morto a causa della PSA, potrebbero avere la capacità di trasportare “passivamente” il virus; e così, spinte dal vento,  introdurlo in aziende di suini domestici anche a chilometri di distanza.

Abbiamo chiesto al nostro esperto di PSA, Alberto Laddomada, veterinario che ha lavorato per molti anni per la sanità pubblica in Sardegna ed a livello europeo, cosa ne pensi in proposito. Ecco le sue risposte: 

“Non esistono prove definitive che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli insetti possano giocare un ruolo importante nella epidemia di PSA in corso nel nord-ovest italiano; ed in particolare che il virus possa essere tramesso a distanza – tramite insetti – da suini (domestici o selvatici) ammalati o morti a causa della malattia. Si teme, tuttavia, che questi insetti possano agire da “vettori meccanici”: in questi insetti il virus non causa infezione e non si riproduce, ma se si alimentano su suini o cinghiali infetti o si contaminano a partire da una carcassa od altri materiali infetti (ad esempio le feci), potrebbero poi trasmettere “meccanicamente” la malattia ad altri animali, a seguito del loro contatto od ingestione. Esistono, infatti, una serie di indizi, prove sperimentali e studi di campo che suggeriscono che questa possibile via di trasmissione della malattia non possa e non debba essere esclusa o trascurata nella attuale situazione italiana, specie se si considera che la PSA è diventata endemica nei territori limitrofi a fiumi importanti come il Ticino ed il Po, dove tra pochi mesi, come ogni estate, le popolazioni di diverse specie di insetti “esploderanno” di numero.

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Fonte: co-scienza.vet




Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC): un’analisi giuridica e scientifica

Cambiamenti climaticiIl 20 febbraio scorso è stato pubblicato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC). In considerazione dell’importanza del documento e della rilevanza degli aspetti giuridici e scientifici coinvolti, la direzione della Rgaonline e la redazione di Scienza in rete, due riviste che, nei diversi settori del diritto e dell’informazione scientifica, da tempo collaborano condividendo articoli, contributi e riflessioni in materia di ambiente, hanno deciso di organizzare un esame congiunto del Piano. In questo numero pubblichiamo quindi i commenti pervenuti da collaboratori delle due riviste. Il PNACC è stato approvato dal Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica con un decreto del 21 dicembre 2023 ed è consultabile sul sito del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, al link: Clima: Approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici | Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (mase.gov.it) e sulla piattaforma nazionale adattamento cambiamenti climatici, al link: https://climadat.isprambiente.it.

Rinviando ai contributi che trattano specificatamente alcuni aspetti del PNACC, offriamo qui alcuni dati generali. Il PNACC è lo strumento di attuazione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamento climatici del 2015, cui è affidato il compito di indicare le modalità per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici come definiti nella Strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici adottata nel 2013 e successivamente modificata nel 2021.

L’approvazione del Piano ha richiesto sei anni: la prima bozza è stata pubblicata nel 2018 dal governo Gentiloni, ma non è stata adottata dai tre governi successivi (i due di Giuseppe Conte e quello guidato da Mario Draghi). Nel 2022 Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica del governo guidato da Giorgia Meloni, ha pubblicato una nuova bozza, avviando la fase di consultazione. Il 21 dicembre 2023 è arrivata l’approvazione definitiva.

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Fonte: scienzainrete.it




Influenza aviaria da virus AH5N1, un’altra pandemia in dirittura d’arrivo?

La crescente diffusione del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza virus, HPAI virus) AH5N1 nella popolazione bovina statunitense, unitamente al recente riscontro di materiale genetico virale nel latte bovino non pastorizzato (il virus risulterebbe comunque sensibile nei confronti delle temperature utilizzate nel processo di pastorizzazione), rappresentano per la Comunità Scientifica motivi di fondato allarme rispetto alla capacità dell’agente patogeno di adattarsi progressivamente alla nostra specie dando vita, in tal modo, ad una preoccupante catena di contagi interumani. Se e’ vero com’e’ vero, infatti, che a far tempo dall’inizio del 2003 a tutt’oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe registrato quasi 900 casi d’infezione da virus AH5N1 nell’uomo in 23 Paesi, con un allarmante tasso di mortalità pari al 52%, e’ altrettanto vero che non e’ stato finora segnalato alcun caso di trasmissione interumana.

Ciò non significa, ovviamente, che una siffatta evenienza non si possa prima o poi verificare, vista e considerata la straordinaria capacità dei virus influenzali di mutare il proprio make-up genomico ed antigenico (c.d. “genome shift” e “antigenic drift“) attraverso i meccanismi/fenomeni di ricombinazione e di riassortimento genetico che notoriamente li contraddistinguono.

A tal proposito, mentre ci si interroga sull’origine di un recente caso d’infezione umana da virus AH5N1 in Texas, che potrebbe essere stato acquisito attraverso il contatto con un bovino infetto, preoccupa non poco la documentata trasmissione dell’agente virale dai volatili domestici agli uccelli selvatici e, da questi ultimi, a numerose specie di mammiferi domestici e selvatici, ivi compresi i mammiferi marini, con drammatici episodi di mortalità collettiva che hanno interessato i leoni marini lungo le coste di Perù, Argentina e Cile, unitamente a singoli casi d’infezione ad esito fatale che hanno interessato la cetofauna (focene e tursiopi) residente lungo le coste della Svezia e della Florida.

Di particolare rilievo appare, in un contesto caratterizzato da un crescente quanto allarmante ampliamento dello “spettro d’ospite” del virus a specie animali anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, la recente segnalazione dell’infezione anche in un esemplare di orso polare (Ursus maritimus) in Alaska, con tutte le gravi implicazioni che ciò potrebbe comportare ai fini della conservazione di una specie la cui sopravvivenza in natura sarebbe già seriamente minacciata dal progressivo scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale.

Degni di nota risultano, altresì, lo spiccato neurotropismo e la rilevante neuropatogenicità’ del virus AH5N1, caratteristiche inequivocabilmente comprovate dai gravi ed estesi quadri anatomo-istopatologici di meningo-encefalite riscontrati sia nei volatili sia nei mammiferi domestici (gatto) e selvatici (leone marino, focena, tursiope), quadri lesivi che il virus potrebbe continuare a produrre anche nella nostra specie, ove lo stesso dovesse mutare di quel tanto che gli basti ad avviare un’efficiente catena di trasmissione interumana.

Morale della favola, e’ assolutamente necessario e imprescindibile mantenere alta la guardia attraverso una capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica su tutti i casi di malattia “simil-influenzale” umana, con particolare riferimento a quelli insorti in individui che abbiano avuto contatti recenti e/o reiterati con animali suscettibili nei confronti dell’infezione.

A ciò dovrebbe necessariamente associarsi, in una sana ottica di collaborazione intersettoriale e nel più completo rispetto di un approccio multidisciplinare e del concetto/principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, un’altrettanto capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica, svolta in primis ad opera dei Servizi Veterinari nonché degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (presso i quali, è bene ricordarlo, sono attivi da anni “Centri di Referenza Nazionali” appositamente istituiti “ad hoc” per la lotta nei confronti delle malattie infettive animali e delle malattie trasmissibili dagli animali all’uomo), su tutte le specie animali, domestiche e selvatiche, ritenute suscettibili all’infezione da virus AH5N1 e, più in generale, ai virus influenzali.

Teniamo sempre e comunque ben presente, al riguardo, che almeno i due terzi delle “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da un serbatoio animale, comprovato o presunto che esso sia, regola alla quale non avrebbe fatto eccezione neppure SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19!

E, per favore, facciamo del nostro meglio, tutti insieme (visto che solo stando tutti insieme ci si salva, come a ogni piè sospinto Papa Francesco ci ricorda!), per non ripetere i drammatici errori che hanno contrassegnato e scandito l’evoluzione della pandemia da COVID-19, primo fra tutti la sconsiderata gestione “ospedalocentrica” della stessa e, fattispecie non meno rilevante, la mancata cooptazione dei Medici Veterinari nel “Comitato Tecnico-Scientifico per la Gestione della Pandemia” (popolarmente noto con l’acronimo “CTS”), come ho peraltro denunciato in una lettera a mia firma pubblicata nel 2021 sulla prestigiosa Rivista BMJ.

Quanto al CTS, poi, l’amaro in bocca rimane anche per il fatto che lo stesso e’ stato incomprensibilmente disciolto, mentre in previsione di future pandemie (non solo quella, qui trattata, da virus AH5N1, ma anche l’altra, “sic stantibus rebus” oltremodo plausibile e probabile, da uno o più “batteri super-resistenti agli antibiotici”) si sarebbe dovuto provvedere, di contro ed in ossequio al principio/concetto della “One Health”, a potenziarlo adeguatamente e a “rivisitarlo” nella propria composizione, includendovi almeno un Medico Veterinario.

Errare Humanum est Perseverare Autem Diabolicum!

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Dopo il Covid l’Oms Europa lancia la prima rete paneuropea per il controllo delle malattie

L’Oms Europa ha lanciato oggi congiuntamente la Rete paneuropea per il controllo delle malattie (Ndc) con l’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (Ukhsa). L’Nds sarà ospitato dall’Ukhsa, con l’amministratore delegato dell’Ukhsa, Dame Jenny Harries, come presidente ad interim del gruppo direttivo.

In quanto rete di reti di sicurezza sanitaria, la missione dell’Ndc è rafforzare la preparazione della regione europea dell’Oms, che copre 53 paesi in tutta Europa e in Asia centrale, identificando e mitigando in modo proattivo i potenziali rischi prima che si trasformino in minacce regionali o globali.

L’Ndc dovrà:
– svolgere un ruolo vitale nel mantenere le persone al sicuro facilitando la collaborazione e la condivisione delle conoscenze tra nazioni, agenzie sanitarie pubbliche, mondo accademico e società civile;

– promuovere standard comuni per contribuire a facilitare un approccio unificato alla gestione delle malattie in Europa e in Asia centrale;

– sfruttare le reti esistenti riunite attraverso l’Oms Europa e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie per creare opportunità di collaborazione tecnica e ricerca;

– promuovere lo sviluppo di approcci innovativi facilitando la condivisione di casi di studio, competenze tecniche, migliori pratiche e risorse per aiutare i membri dell’Ndc e gli Stati membri europei dell’Oms a sviluppare nuove competenze e partenariati;

– E migliorare il coordinamento interdisciplinare tra i settori animale, umano e ambientale a livello nazionale, regionale e globale, adottando un approccio One Health al controllo delle malattie.

“L’Europa e il mondo non erano preparati per il Covid-19, nonostante i ripetuti avvertimenti degli scienziati che prima o poi si sarebbe verificata una pandemia globale – ha affermato Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa – La pandemia ha messo a nudo le debolezze della nostra architettura sanitaria regionale e globale. Reazioni affrettate e non informate dalla scienza hanno portato alla chiusura delle frontiere, all’accumulo di vaccini e alla condivisione inadeguata dei dati sanitari. I nostri sistemi politici e sanitari semplicemente non erano attrezzati per affrontare una pandemia di queste dimensioni e gravità. La prossima pandemia o emergenza sanitaria globale potrebbe essere anche peggiore, quindi dobbiamo prepararci adesso”.

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Fonte: quotidianosanità.it




L’IZS Abruzzo e Molise Centro di Referenza FAO per One Health

A seguito della nostra attenta valutazione del mandato, delle principali attività e delle competenze, il raggiungimento del prestigio scientifico, tecnico e politico e l’impegno profuso per rafforzare lo sviluppo delle capacità nelle aree rilevanti per la FAO, nonché per l’esperienza di collaborazione pregressa con la FAO, ho il piacere di comunicarvi che l’IZS di Teramo è stato designato FAO Reference Center for One Health”. Inizia con queste righe firmate dal Deputy Director-General della FAO, Maria Helena Semedo, il documento di nomina inviato al Direttore Generale dell’IZS dell’Abruzzo e del Molise Nicola D’Alterio.

Questa prestigiosa designazione premia ancora una volta l’expertise scientifica del nostro Istituto, mi preme innanzitutto ringraziare i ricercatori e tutto il personale dell’Ente” – commenta il DG D’Alterio  “Dopo i Centri di Referenza per l’Epidemiologia Veterinaria, i Coronavirus Zoonotici e l’expertise nei settori della sanità animale e dei sistemi informativi, la FAO ci riconosce anche come polo di eccellenza internazionale per la ricerca e la tutela della salute in termini olistici Da sempre lavoriamo seguendo l’approccio One Health con l’obiettivo di raggiungere la salute globale e una attenzione particolare alle popolazioni più vulnerabili che vivono nei Paesi in via di sviluppo dove è strettissima la relazione tra la salute delle persone, la salute dei loro animali e l’ambiente in cui vivono, con tutto ciò che ne consegue”.

Sono diversi i compiti del nuovo Centro di Referenza che, in primo luogo, è chiamato a fornire “consulenza tecnico-scientifica, specifica e indipendente” alla FAO nelle attività di sostegno allo sviluppo dei Paesi membri dell’Organizzazione. L’IZS di Teramo dovrà fornire servizi diagnostici su focolai sospetti e confermati di agenti patogeni di zoonosi emergenti; formazione e consulenza per lo sviluppo delle capacità dei laboratori nazionali veterinari dei Paesi membri della FAO; sviluppare e rafforzare il sistema di sorveglianza per monitorare l’antimicrobico resistenza in relazione all’interfaccia umana, animale e ambientale; eseguire la caratterizzazione molecolare dei patogeni nelle acque reflue; rafforzare l’individuazione precoce e la caratterizzazione dei patogeni emergenti, utilizzando tecnologie come la Next Generation Sequencing. E ancora, sostenere la FAO promuovendo la ricerca per lo sviluppo di vaccini veterinari di nuova generazione e la produzione di kit diagnostici e reagenti biologici; fornire supporto tecnico per lo sviluppo di modelli epidemiologici predittivi per il controllo di malattie come Rift Valley Fever, West Nile Disease, Dengue, Zika, ecc.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Il legame tra scimmie e pipistrelli che fa temere lo spillover di un virus

 Sono 27 i virus precedentemente sconosciuti, incluso un nuovo tipo di coronavirus, trovati nelle feci di pipistrello di cui da qualche anno a questa parte alcune scimmie della foresta di Budongo (Uganda) hanno iniziato a cibarsi. Li hanno identificati gli autori di uno studio appena pubblicato su Communications Biology. La nuova abitudine alimentare, ipotizzano i ricercatori, potrebbe essere legata alla quasi scomparsa della palma Raphia farinifera, un’importante fonte di nutrimento per molti animali selvatici che vivono in questa foresta. La massiccia estirpazione della pianta sarebbe legata alla sua utilità per la realizzazione di corde su cui essiccare le foglie di tabacco. Il rischio è che il nuovo comportamento delle scimmie, indotto da attività antropiche, possa dare origine a eventi di spillover.

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Fonte: wired.it




Aviaria in Usa, tracce virus nel latte pastorizzato delle mucche

latteTracce di virus A H5N1 dell’influenza aviaria rilevate in alcuni campioni di latte pastorizzato di mucche provenienti da allevamenti negli Stati Uniti interessati dall’epidemia.

 La comunicazione è arrivata dalla Food and Drug Administration (Fda), che ha sottolineato come non ci siano elementi al momento per considerare il latte non sicuro e che ulteriori studi e analisi verranno effettuati nei prossimi giorni. Tuttavia, secondo virologi ed infettivologi, si tratta di un fatto da non sottovalutare e che indica come il virus si stia comunque muovendo tra specie diverse.

Al momento, precisa la Fda, non è possibile dire se si tratti di frammenti di materiale genetico inattivo o di virus vivo: “Ad oggi, non abbiamo visto nulla che possa cambiare la nostra valutazione che l’approvvigionamento commerciale di latte è sicuro”, afferma l’Agenzia. Alcuni dei campioni raccolti hanno indicato la presenza di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità utilizzando il test quantitativo della reazione a catena della polimerasi (qPCR). Tuttavia, precisa ancora l’Fda, un risultato positivo a questo esame “significa che nel campione è stato rilevato il materiale genetico dell’agente patogeno, ma ciò non significa che il campione contenga un agente patogeno intatto e infettivo. Questo perché i test qPCR rilevano anche il materiale genetico residuo di agenti patogeni uccisi dal calore, come la pastorizzazione o altri trattamenti per la sicurezza alimentare”.

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Fonte: ansa.it